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Autore: Tera_Saki    24/11/2016    3 recensioni
STORIA INTERATTIVA, Iscrizioni chiuse
Dopo che l'Umanità è venuta a conoscenza dell'esistenza dei Mezzosangue, alcuni anni dopo la guerra contro Gea, il mondo è piombato nel caos. Le convinzioni di molte persone sono crollate e la paura e il sospetto hanno preso il sopravvento dei Mortali che, animati da un cieco egiosmo, hanno cacciato, sterminato e imprigionato la maggior parte dei figli degli dei olimpici.
I pochi sopravvissuti sono diventati Esclusi, feccia del mondo mortale, bestie selvatiche in fuga, esotiche creature schiave di crudeli pardoni.
Ma i Mezzosangue fremono nell'ombra, agognando la liberta che è stata loro preclusa, e sono pronti per una vendetta che farà tremare tutti quelli che hanno anche solo pensato di poterli controllare.
Genere: Angst, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio, Semidei Fanfiction Interattive
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 2

 

Sweet dreams are made of this

who am I to disagree?

I travel the world and the seven seas

everybody's looking for someting

(Sweet Dreams, Eurythmics)

 

La polvere sulle labbra è fastidiosa, sa di ferro e calce pura, un sentore di morte che satura i polmoni ad ogni veloce respiro. Khalender scatta all'indietro prima che il colpo dell'avversario possa andare a segno- c'è sangue sul suo braccio- ed estrae una freccia dalla faretra sulle spalle.
Il pubblico ulula come una bestia quando la punta di metallo si conficca nei lembi di una ferita non rimarginata, ma l'urlo del ragazzo brucia più del suo sangue sulla pelle. Khalender affonda l'asta nella sua carne finchè non sente l'osso stridere.
-Abbassati- gli dice prima che l'arco si abbatta dove avrebbe dovuto esserci il suo collo. Il figlio di Naponos, evitato il colpo solo grazie all'avvertimento della ragazza, appoggia il peso sul braccio sano e rotola di lato, fra la polvere tinta di sangue dell'Arena. Non fa in tempo, Zachary, a domandarsi il perchè di quell'avviso, una freccia gli trapassa il polpaccio sinistro da parte a parte. Il semidio, rilasciato un urlo di sorpresa, scatta di lato con un sibilo animale.
-Posso darti una morte veloce, basta solo che tu lo chieda- Khalender si rivolge a lui ansimando leggermente, e c'è sincerità e pena nella sua voce.
Per un attimo quella proposta sembra la soluzione migliore. Il dolore gli esplode in bocca mentre si alza in piedi, e tutto il suo corpo protesta di fronte alla prospettiva di protrarre ancora il combattimento. Si è spinto al limite delle sue possibilità sia fisiche che mentali, la tensione sempre costante, la paura in agguato nel petto, e ora è sfinito. Arranca verso l'arma caduta a terra con poca convinzione.

Sopravvivi per me, Zach.

Il lampo di un ricordo lo immobilizza per un istante.

È una promessa, madre.

Una promessa da cui Zachary trae la forza per brandire nuovamente la spada e con un movimento veloce del polso conficcarla nella carne della ragazza. Non sa cosa ha colpito, sa solo che fa male, anche se è una lenta agonia anche per lui udire l'urlo a denti stretti della semidea.
Zachary sa che dovrebbero essere tutti fratelli, ma quando l'Arena apre i cancelli lo dimentica. Quando i mortali urlano è difficile ricordarsi di non essere davvero le loro bestie da svago.
Barcollante, si alza. Il fischio nelle orecchie non riesce a coprire i ruggiti del pubblico, e mentre fa qualche passo indietro, preparandosi ad affrontare un nuovo attacco, i suoi occhi cadono sulla figlia di Cupido. Non si è rialzata.
Le grida intorno a lui si fanno assordanti. Finiscila, prima che lo faccia lei.
Non ha, però, quasi il coraggio di guardarla giacere lì, a terra, in un lago di sangue; non vuole soffermare lo sguardo là dove una profondissima ferita squarcia il seno destro -Dei, glil'ha quasi staccato.
Sente le gambe cedere, la stanchezza che si accumula al disgusto, ma sa di non avere scelta. Indurisce improvvisamente lo sguardo, e solleva la spada con il braccio ancora sano.
Il pubblico impazzisce, e anche a Zachary, mentre si specchia nelle iridi chiarissime di Khalender, prive totalmente di paura o rabbia -non si merita l'ondata di dolce comprensione che lei silenziosamente gli rivolge-, sembra di perdere un po' della propria umanità.
Prima che la spada cali, un boato scuote l'intera Arena, e un grido riecheggia attraverso gli spalti -La Polizia!-

 

* * *

 

Osserva con enigmatica curiosità la figura distesa sull'asettica brandina nell'angolo della cella opposta alla sua. Trema da un po', ormai. Ha gli occhi chiusi, e quasi gli dispiace, a Dalish, di non poter scorgere in essi lo scintillio dorato che per tanti giorni è stato il suo unico contatto con la realtà.
Forse, se fosse sveglio, gli sorriderebbe. Uno di quei sorrisi appena accennati che, a volte, di nascosto riesce a cogliere sulle sue labbra. Forse gli parlerebbe, sapendo benissimo che non può sentirlo; forse poggerebbe semplicemente la mano sul vetro, fino a spingerlo a fare altrettanto con la sua.
Forse Dalish, se non avesse un occhio completamente fasciato, riuscirebbe a vederlo meglio. O se non gli facesse così male tenere aperto l'altro.
La porta della sua cella si apre con un cigolio ovattato, lo stesso suono che continua a tormentare gli incubi di Frank. Lo legano con corde che sembrano catene, e lo spingono malamente nel corridoio bianco che porta alla Sala Rossa. Lo fanno stendere su un tavolo d'acciaio, e lo immobilizzano con bracciali e stringhe di cuoio.
Una donna vestita di bianco si aggiusta gli occhiali in viso, sopra di lui, e scandisce atona agli inservienti che la circondano -Mi serve tessuto epiteliale e muscolare. Vediamo di sbrigarci-
Due uomini si avvicinano al suo fianco sinistro con bisturi e pinze. Non lo guardano negli occhi, hanno imparato fin dall'inizio che fare finta di operare su un cadavere è più semplice ed emotivamente meno impegnativo. Dalish sa che lo fanno per lui, per aiutarlo.
-Iniziamo con un'anestesia locale-
L'ordine viene eseguito da un'assistente fra le più anziane, dal volto segnato e percorso da profonde rughe, l'anestesista ufficiale. Nemmeno lei lo guarda mentre gli infila la siringa nel braccio.
Il senso di intorpidimento arriva quasi subito, accompagnato da una lieve ondata di nausea. Un cenno della dottoressa, e i due uomini iniziano con chirurgica precisione ad incidere la pelle della mano. Il sangue cola sul pavimento bianco, ma nessuno sembra farci caso.
Una regione di pelle viene rimossa con le pinze dal dorso della sua mano sinistra, lasciando scoperto l'intrico di ossa, nervi e vasi sanguigni al di sotto, ed è a quel punto che il bisturi inizia a rovistare nel sangue e a recidere i muscoli. Dalish dilata gli occhi, e sente le lacrime lambire le palpebre. Si morde a sangue il labbro, incapace di distogliere lo sguardo velato dalla carne viva che viene strappata con quelle che sembrano forbici, e il dolore si fa tanto forte da strappargli un gemito di gola. L'inserviente più alto si volta, incrociando il suo sguardo per la prima volta, e gli infila fra i denti un piccolo oggetto rivestito di cuoio in cui Dalish soffoca le proprie grida, unico suono umano nell'ora che segue.
Quando finiscono, gli bendano allla bell'e meglio la mano, e tolgono dalla sua bocca il pezzo di cuoio, marchiato dai segni dei denti, ormai coperto di saliva e sangue. La testa di Dalish ciondola in avanti mentre il tavolo meccanico si inclina quasi verticalmente.
-Vedo che abbiamo finito-
I suoi occhi velati dalla stanchezza si illuminano di gioia.
L'uomo che ha parlato si avvicina, e lo guarda con occhio gentile -Come andiamo, Denny?-
La voce del semidio è debole, ma colma di un affetto infinito -Meglio, papà-
Jason concede al figlio una lieve carezza -Molto bene-
Si intrattiene per alcuni minuti con la dottoressa in una fitta conversazione, poi, date le spalle al figlio, indurisce gli occhi, e ai suoi collaboratori sussurra -Riportatelo in cella-

 

* * *

 

Un ticchettio ritmico e quasi insistente sulla pelle costringe Aletha ad abbandonare il calore di un dei pochi sogni in cui le è concesso ricordare il volto del padre. Apre gli occhi, e ci vogliono parecchi secondi per dissolvere il torpore del sonno nella fredda brezza del mattino.
Le sue dita vanno, in un gesto ormai meccanico, a sfiorare la stoffa ruvida del proprio cappello, quel cappello che, scolorito e logorato dagli anni, rappresenta l'unico legame concreto rimastole del padre.
Si volta, le membra rigide e intorpidide dopo la notte all'aperto, il cuore colmo di malinconia e rammarico, e il suo sguardo si scioglie alla vista di un piccolo uccello intento a beccarle la mano.
-Hanka...- mormora, cercando di mettersi in piedi -che mi hai portato?-
La gazza ladra apre piano il becco, rivelando una piccola sfera in vetro soffiato dai colori sgargianti. Aletha rivolge all'indirizzo dell'amica un sorriso che a stento si può definire tale, e con una smorfia solleva il bendaggio ormai lercio che avvolge spalla e avambraccio. La ferita non ha fatto infezione, fortunatamente, ma il dolore è ancora molto intenso, e di sicuro le bende devono essere cambiate.
Malferma sulle gambe, la figlia di Achlys si trascina in mezzo a edifici in disuso e baracche ormai disabitate in quella che una volta era stata la zona di periferia più popolosa di New York. Dopo i combattimenti feroci e la caccia all'uomo che era seguita alle rivolte, però, quel luogo era stato lo storico teatro di interi massacri di massa di Mezzosangue; ora nemmeno la Polizia Speciale osava varcare la soglia delle prime rovine.
Riesce a raggiungere, dopo una decina di minuti, una vecchia fontana, adorna ancora di statue rovinate dal tempo e dalla miseria circostante. Lava come può i lembi di stoffa che ha usato come bende, rinfrescando la ferita e rimuovendo i grumi di sangue secco. Poi, imbastita nuovamente una fasciatura, sistema il cappello grigio, decisamente troppo grande, in modo da nascondere i suoi cupi occhi blu, e stringendo le magre braccia al petto si rimette in cammino in direzione est, verso gli squallidi quartieri in cui è nata.
Tiene la testa bassa, Aletha, e le spalle lievemente incurvate, schivando le occhiate diffidenti della gente che le perforano il petto e la schiena. Ignora con una morsa allo stomaco i sibili disgustati delle persone che la sfiorano per sbaglio, perfino i bambini più piccoli la fissano astiosi, i più coraggiosi tirandole contro pietre o pezzi di legno.
Sfinita dalla lunga marcia e dal dolore ancora pulsante, si accascia contro un muro scrostato in faccia al mercato, e stringe le gambe al petto quando un brivido gelido le attraversa le vertebre. Osserva una donna tirare un calcio ad Hanka, che stridendo vola via, e le sue unghie si stringono sull'asfalto spezzato fin quasi a rompersi mentre la guarda scomparire.
Ora dopo ora, tuttavia, i morsi della fame si fanno più insistenti. Esaurite le ultime riserve di energia nell'inseguimento del giorno precedente, Aletha realizza con una fitta di amarezza non può fare altro che sperare nella misericordia di qualche passante.
Il suo sguardo si sofferma alcuni secondi di troppo su un banco colmo di cibo, e l'occhiata astiosa del commerciante le perfora il petto.
Scusa, Aris. Non l'ho fatto apposta.
Stringe con forza le gambe magre al petto. Una solitaria lacrima solca la sua guancia.
Non volevo.

 

* * *

 

Caden mugugna piano contro la stoffa ruvida del letto mentre il sogno si dissolve in una nuvola scura. Ancora intorpidito dal sonno, solleva le palpebre su un paio di enormi occhi verdi, incorniciati da una folta chioma di boccoli carota, spalancati a pochi centimetri dal proprio viso, e scatta all'indietro con un urletto poco virile -Ma che cavolo!-
Leavy distende le labbra in un sorriso trasognato, lo sguardo perso in un imprecisato punto alle spalle del ragazzino -Una casa di carta!-
Caden si volta con le sopracciglia aggrottate, cercando malamente di scacciare i residui di sonno che ancora intorpidiscono le membra, per poi indirizzare uno sguardo colmo di infastidita irritazione alla figlia di Ipno -È solo un dannato capannone-
-Eh?- trilla la semidea, inclinando la testa in una tale, sincera ingenuità da far dubitare a Caden che abbia davvero capito qualcosa delle loro conversazioni nei quattro giorni di permanenza insieme. Non che reputi l'dea del tutto assurda, d'altronde. Quella ragazzina è andata, lo ha capito il primo giorno, quando ha iniziato a parlare con una sbarra della finestra, si è voltata e si è messa a ridere, e lo ha fissato con uno sguardo così intenso da risultare totalmente privo di lucidità.
A Caden non interessa cosa ne sarà di lei, sa solo che uscirà da quel posto, perchè lui non è né uno psicopatico, né tantomeno un Escluso.
-Hey!- si dirige con veloci falcate verso la porta, -Hey!- urla, colpendo con un pugno il metallo duro accanto all'apertura sbarrata -Fammi uscire, Dowson! Fammi uscire da qui!-
Gli fa male la gola, dopo altre urla a vuoto, e resce quasi a sentire l'ingiustizia bruciare nel petto. Soffia un grugnito stizzito, e senza neanche aspettare il suono di un'eventuale risposta volta le spalle alle sbarre. Non ho fatto niente, non possono tenermi chiuso qui dentro per sempre. Ma, mentre lo pensa, Caden sa che non è vero.
Si siede contro il muro. Un topo. Non lo sorprende, nella misera cella in cui si trova si aspetta anche di peggio. Quelle analisi erano sbagliate, lo sanno anche loro.

Quando la porta si apre, Leavy smette di parlare. Osserva l'uomo che entra nella stanza con occhi vuoti, come fosse un alieno, fasciato in quella stretta divisa troppo elegante. Poi si scosta i capelli ricci dal viso con uno sciolto movimento del polso, e torna a canticchiare parole sconnesse dondolando allegramente le braccia sottili -Un uccello canterino... nel camino bruciò... grande becco, occhi gialli... nel camino...-
-Alzati-
Caden scosta bruscamente la mano dell'uomo sulla schiena e, prima di uscire, si volta indietro un'ultima volta.

-Vieni, Leavy, ti portiamo in un bel posto. Dove era andata anche la mamma, ricordi?-
-Ma che vuoi che capisca, questa... e poi ci è praticamente cresciuta, nei manicomi. Vero, bambina, sono i matti che ti hanno resa matta, no?-

 

* * *

 

Affila lo sguardo -Chi è quello?-
Jass si stringe nelle spalle -Non lo so, amico-
-Non mi piace-
-Neanche a me-
Derek fa scorrere lo sguardo sull'ampia sala da ballo in cui si trovano insieme a molti, molti altri Esclusi. Lo Spettacolo quella volta era stato organizzato da uno dei
signori più potenti della zona, e i Semidei di sua proprietà si distinguevano, nella massa, soprattutto per l'enorme tatuaggio che copriva loro il collo. Era uno stemma, lo stemma della famiglia; Derek ne era disgustato.
I Padroni, invece, gradivano molto mostrare i propri Esclusi, come giocattoli di pregio, ed era per quel motivo che organizzavano incontri di quel genere. Si divertivano, niente di più.
Jass si stringe nelle braccia, visibilmente nervoso -Prima finisce questa cosa meglio è-
Jass era un figlio di Hipno, un ragazzo dalle fattezze di elfo che era stato comprato dalla famiglia del suo stesso Master pochi mesi prima. Avevano poche cose in comune, ma l'essere Semidei bastava ad entrambi, soprattutto durante gli Spettacoli, soprattutto dove Jass era più vulnerabile.
-A proposito, come va la gamba?-
Derek scrolla il capo -Sta guarendo-
È una bugia, almeno parzialmente. Quello che sentiva era un dolore costante, ed era stanco, Derek, di una pesantezza che durava da giorni, ma Jass non avrebbe mai dovuto saperlo.
-Guarda quella- mormora con un sorrisetto -è carina-
Jass si volta verso di lui inarcando un sopracciglio -Davvero? Quello...- e indica un ragazzo dai tratti nord-europei ai margini della sala -è carino-
Derek schiocca la lingua con superiorità e lieve arroganza nel tono -Ah... non hai occhi, fratello. Non hai occhi-
Jass ridacchia, allunga una mano al suo fianco per prendere un cocktail, con l'obiettivo di alleviare in qualche modo lo squallore della serata, ma si sente afferrare il braccio da una stretta gentile ma salda. Si volta confuso, e il ragazzo lo accompagna sulla pista da ballo prima che possa dire qualcosa.
Derek vorrebbe intervenire, ma sa che il suo Master lo sta guardando. Si limita a fissare il Semidio di prima con sguardo minaccioso.
Fagli qualcosa e sei morto.
Non si fida, a pelle quel ragazzo trasmette la pericolosità di un predatore, con una belezza nivea che sa solo di inganni e vuote promesse. I due Semidei ballano, e, nel mezzo di una canzone, quello si china e sussurra a Jass qualcosa a fior di labbra. Derek può vedere il brivido che percorre il corpo dell'amico, che, prima spaventato poi deciso, spinge il ragazzo lontano da sé con entrambe le mani.
Fa in tempo a pensare che avrebbe voluto avere la sua spada con sé, il figlio di Chione pianta nel petto di Jess un coltello da portata, e il tempo sembra fermarsi. Poi la sala esplode.

 

* * *


-Allora...- Riley solleva il bisturi -Melinoe, eh?-
Ljudmila inclina il capo, una cortina di spettinati capelli biondissimi a coprire le iridi grigie, e un sorriso sadico disegnato sul viso affilato. Fa scorrere la lingua sul palato, e sente in bocca il sapore di ferro e sangue. C'è la freddezza di un autocontrollo inumano nel suo sguardo, ma sotto, sotto è celato solo rancore puro.
-Cosa hai imparato dalla tua mammina?- cantilena Mitchell, lo psichiatra -Fammi vedere, dai-
Ljudmila non si muove, anche se pensieri violenti di vendetta nella sua mente si incrinano in silenzio.
Il Dottore mostra un osceno ghigno, e brucia nel suo petto di impazienza, quasi grida nell'esaltazione mostruosa di un pazzo -Forza! Voglio vederle!-
Cede solo quando i nomi di fobie, che si ripete nella mente come un gelido mantra, non sono finite e la rabbia offusca anche il dolore. A quel punto la soddisfazione
malata di Riley si confonde nei ricordi con il terrore ripugnato dei ragazzi in orfanotrofio, e la Semidea si odia per l'ondata di una paura di cui conosce perfettamente il nome. Perchè lei non è imperfetta, non è debole, solo cattiva.

Socchiude piano gli occhi, nell'oscurità familiare e confortante di una misera cella.
Osserva impenetrabile un'inservente sistemare sulla branda al lato opposto della stanza una coperta di lana, un cambio pulito di vestiti e del cibo. Molto più di quello che lì dentro Ljudmila si può aspettare, ma nella sua mente quel gesto è solo un inganno più stupido e crudele degli altri.
-Non sei gentile- scandisce con voce dura di cristallo. La donna sobbalza, -nessuno è mai stato gentile con me-
Marya ha ormai capito l'orgoglio furioso che quella bambina possiede, prova una sorta di compassione nei suoi confronti, ma si limita ad uscire dalla stanza con un amaro sospiro.
Ljudmila si rannicchia sulla branda a ridosso del muro, tira fuori la lametta. E sorride, inarcando le sopracciglia in un'inquietante simulazione di gioia.
Il dominio che aspira a raggiungere, quello dei dittatori comunisti, quello che ha inciso sulle braccia l'avrebbe ripagata di tutto il dolore che da sempre aveva sofferto, fin da quando Alekesej tornava a casa ubriaco e i mocciosi dell'orfanotrofio la additavano mostro. A quel punto li avrebbe uccisi, i due dottori, li avrebbe uccisi entrambi.
 

* * *
 

Si mette sulla difesiva quando un acuto rumore sferraglia alla sua destra. Si ricompone subito, comunque. La paura non avrebbe dato risultati, l'impulsività nemmeno.
Sbuffa, spostando un ciuffo bruno di capelli a coprire l'occhio cieco.
Ha ripreso i sensi, ormai da quasi un'ora, in quello che sembra un seminterrato, con tubature e cavi scoperti. Ha scoperto quasi subito di essere ammanettato con le mani dietro la schiena ad una sbarra verticale d'acciaio. Aris suppone, non senza amarezza, che abbiano finito le celle.
I Redson, quei disgustosi mortali a capo del centro, trattano i Semidei alla stregua di bestie. Non è stata più riconosciuta loro un minimo di dignità da quando sono diventati Esclusi.
Ha l'impulso frenetico e familiare di toccarsi la collana. È solo una piccola cornucopia vuota, ma gli ricorda la nonna, gli ricorda il padre. Non sa cosa ne sia stato degli Dei, ma non ha più avuto contatti con Pluto da anni. Si ripete spesso che se fosse scomparso l'avrebbe sentito.
Almeno, la “benedizione della ricchezza” l'ha ancora, e questo per ora gli basta.

Le ore passano lentissime, le mani di Aris sono sempre più fredde. Il siero gli impedisce di muoverle bene, e nella posizione in cui si trova il figlio di Pluto teme che la circolazine si possa compromettere seriamente.
Non è entrato nessuno da quando si è svegliato, ma ormai sono passate troppe ore. La sua gola è riarsa dalla sete, e il dolore alla schiena si somma al formicolio alle mani, alla mancanza di sonno, rendendolo un fascio di nervi. È irritato, Aris, ma soffia un sospiro spezzato. Calma.
Deve essere una specie di punizione per la fuga, come se bastasse questo a farlo demordere.
Poi arriva l'improvvisa intuizione. Oh, il suo principio, lo “scambio equivalente”. Una volta lo aveva spiegato, ad un dottore. Devono esserselo appuntato.
Le sue labbra si arricciano in un amaro sorriso mentre scivola a terra, appoggiando stancamente la testa al palo. Il suo ultimo pensiero, prima di cadere nel sonno, è per Aletha.

Traditrice.

 

* * *
 

Wiktor si guarda allo specchio, forse per la quinta volta, e, dopo un lunghissimo istante di attenta analisi, esprime il proprio assenso con un sorrisetto.
Insomma, è un figlio di Afrodite, è praticamente un suo dovere tenere alto il nome di famiglia. Poi, nell'abbinamento dei vestiti è piuttosto allenato, sarebbe irritante non riuscire ad apparire come vuole.
Si sistema un fermaglio d'argento fra i capelli, poi si allontana, per ammirare il risultato. Non è assolutamente vanità, la sua, Wiktor lo ha specificato tante volte, solo, crede di essere in diritto di vendersi al meglio che può. Un'amara rivincita, vista la situazione.
È estremamente soddisfatto di ciò che vede, e quel fermaglio gli piace proprio. Lo ha preso in prestito dal compagno che c'era prima, un antipaticissimo figlio di Eolo. Era così arrogante, così presuntuoso, era bastata una volta, una sola volta, perchè finisse sulla lista nera.
Non parli bene l'inglese.” Certo, lo sapeva benissimo da solo, ciò che invece il semidio non conosceva, era la sua indole subdola.
Aveva sicuramente pensato di non avere più niente da perdere.
Wiktor, davanti allo specchio, sorride, maligno. Oh, di cose da perdere ne aveva, ne aveva eccome.

Sesso. Era solo questo. E dire che almeno gli era capitata una bella donna. Anche se forse avrebbe preferito farlo con il suo Escluso.
L'aristocratica, nel sonno, allunga una mano a sfiorarlo. Wiktor non si ritrae, non gli dà più fastidio da un po'. Oh, l'hanno addestrato bene. Praticamente ha scritto sulla faccia “Prostituta”. Nemmeno quello gli dà più fastidio, almeno è vivo.
Si alza dal letto, dove aveva lasciato i pantaloni, e li ripone, insime al resto del precedente abbigliamento, su di una poltrona di pelle.
Si sta già immaginando il cliente dell'ora successiva quando una serie di rumori spezza il silenzio oltre la porta. Lancia una veloce occhiata alla donna nel letto, e dato che non si è ancora svegliata decide di andare a controllare.
Si sporge esitante verso l'ingresso, e soffia involontariamente un -Oh...- di comprensione, perchè, davvero, può facilmente immaginare cosa sia successo.
-Impara qual è il tuo posto, Escluso-
Il tono del suo Master è graffiato di stizza e dura crudeltà. Il figlio di Bacco sputa saliva e sangue sul pavimento ad ogni pugno del figlio di Efesto.
-Cosa diavolo...- la Master deve essersi svegliata -Fallo subito togliere!- urla, appena vede il proprio Escluso a terra.
-Ha osato respingermi!- replica il suo Master, e lo dice con un tono così offeso, che Wiktor fatica a trattenersi dal ridacchiare, e forse lui lo nota, perchè gli scocca un'occhiata durissima.
-Sarebbe questo il tuo animale ubbidiente?- Repilca gelido.
-Non era nei patti- sibila la donna.
La gola del suo Master vibra in una roca risata -Non era specificato niente, nei patti-
Lo sguardo di Harada Kree dardeggia al suo Escluso, arrancante sul pavimento mentre vomita sangue, e i suoi occhi si fanno infuocati -Me lo hai rovinato- sentenzia, accusatrice, con malcelato fastidio nella voce.
-Suvvia...- replica lui -credi che, mentre sarai impeganata a spogliarlo, nel buio della tua stanza, ti importerà delle cicatrici sul suo viso? Neanche le vedrai, tanto sarai occupata...-
-Stai esagerando, ti avverto-
-E comunque non rimarrà giovane per sempre. Un giorno ti sveglierai e scoprirai che non ti serve più-
Le ultime parole, Getër, le pronuncia con disumana crudeltà, ed è nella sua direzione che guarda.

 

 

 

 

 

Angolo autrice:

 

Non so neanche con che coraggio mi presento adesso, dopo tutti questi mesi, con un capitolo. Non sapevo neanche più se pubblicarlo, poi mi sono detta che, dalla parte di una lettrice, avrei preferito un capitolo un ritardo piuttosto che il nulla più assoluto.

Il fatto è che verso giugno ho avuto un blocco totale riguardo la trama della storia, ed è durato tutta l'estate. Poi, questo capitolo è stato un vero parto.

Quindi, vorrei dedicarlo a tutti voi, che siete ancora vivi dopo tutto questo tempo, e ancora disposti a leggere i miei scleri. Grazie.

 

Kyem

  
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