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Autore: Giuu13    26/11/2016    0 recensioni
Storia originale ispirata a Battle Royale.
Dal testo:
Doveva uccidere qualcuno per sopravvivere? Doveva affrontare della gente? Era un “gioco” in cui, tra tutti i partecipanti, ne poteva rimanere in vita solo uno?
«No, col cazzo»
Genere: Avventura, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Erano le dieci e trenta, la prof. di italiano stava facendo un ripasso su alcuni poeti in previsione della verifica. Dalla finestra entrava la luce del sole che picchiava sulla schiena di alcune ragazze, stese sui banchi a dormicchiare, mentre un altro gruppetto di ragazzi, nascosti dietro zaini e astucci, giocava con il telefonino o messaggiava con qualche amico lontano. Astrid aveva il viso piegata sul libro di testo, teneva gli occhi socchiusi facendo finta di seguire quello che la prof. stava leggendo, era stanca. Il giorno prima era andata a letto tardi, verso mezzanotte, per poter finire di vedere un programma in televisione; le era sembrata una buona idea, ma in quel momento non ne era più tanto sicura.
Bussarono alla porta e senza aspettare un invito a entrare, due uomini la aprirono e fecero il loro ingresso. Avevano un completo scuro, portavano dei sottili occhiali da sole sul naso e a un orecchio avevano un bluetooth; erano entrambi abbastanza maturi, forse sulla quarantina, ma uno aveva già delle ciocche grigie tra i folti capelli neri. Questo, che sembrava il “capo” da come si muoveva sicuro e da come l’altro seguiva ogni sua mossa, fece un passo avanti guardandosi intorno, osservando ogni alunno presente.
«Avete bisogno di qualcosa?» chiese la prof. alzando le sopracciglia, visibilmente irritata dal loro ingresso poco educato. Quando era infastidita accompagnava sempre ciò che diceva con acidità e con voce quasi stridula.
L’uomo, senza degnare la prof. di uno sguardo, fece un altro passo e si fermò davanti la prima fila di banchi; guardò Clarissa dall’alto, proprio davanti a lui, e storse la bocca in una sorta di ghigno, o sorriso.
«Tra di voi c’è una ragazza di nome Astrid Rizzo, che fa boxe, atletica leggera e frequenta una palestra del suo paese. È la miglior atleta della provincia, detiene tutti i record dei test scolastici femminili e ha qualche record anche in una o due discipline maschili. Nei test attitudinali ottiene sempre il massimo dei punti in logica. Eccelle in storia dell’arte e in inglese e per quanto riguarda le altre materie è nella media. Eccetto matematica, perché è una frana, ha quattro»
Alcuni ragazzi si voltarono verso Astrid, che era più che sveglia, ormai; le ragazze che dormivano avevano alzato la testa e fissavano gli uomini e la compagna di classe. La prof. guardò Astrid e vedendola confusa si avvicinò all’uomo.
«Cosa volete da lei?»
Ignorandola ancora, l’uomo chiese: «Allora, c’è o non c’è? Chi è?»
Astrid alzò la mano.
«Sono io, ma ho smesso boxe qualche tempo fa e per quanto mi faccia piacere essere definita la miglior atleta della provincia, penso che sia un po’ esagerato. E poi non ho quattro in matematica, ma quattro e mezzo»
L’uomo sorrise e tornò accanto al collega, che non aveva fatto un movimento da quando erano entrati.
«Devi venire con noi»
Astrid strizzò gli occhi e arricciò labbra, la cosa le sembrava strana, molto strana. Da quando la gente andava a prelevare studenti a scuola senza avvisi? Non aveva fatto niente di male.
«Scusate un attimo, ma avete qualche ordine per entrare nella mia classe disturbando la lezione? Avete documenti o distintivi per giustificare il vostro disturbo?»
L’acidità e il fastidio ormai erano palesi nella voce acuta della prof.
Il secondo uomo, quello silenzioso, mise una mano in una tasca interna della giacca.
«No, ma abbiamo questa»
Dalla tasca della giacca tirò fuori una Beretta 3032 Tomcat, che puntò subito contro il viso della prof., la quale sbiancò non appena il suo cervello realizzò cosa stava succedendo. Alcune ragazze lanciarono delle urla e una o due scoppiarono a piangere; dei ragazzi si alzarono in piedi per riflesso, facendo cadere le sedie. Una ragazza si alzò mettendo le mani sopra la testa e disse: «Con calma, con calma».
Astrid era rimasta inchiodata alla sedia, non aveva mai visto una pistola dal vivo e il fatto di averla così vicino le metteva paura, soprattutto vedendo contro chi era puntata.
«Ok, ok, va bene. Ma perché devo venire con voi?» la voce le tremava appena, era riuscita a mantenerla piuttosto salda, nonostante tutto. Non pensava di essere così fredda.
L’uomo brizzolato sorrise tirando le labbra sottili.
«Beh, è carino che tu lo chieda. Vuoi davvero saperlo?»
Se voleva davvero saperlo? Che domanda stupida era? Certo che voleva saperlo!
Annuì senza distogliere lo sguardo dalla pistola, ancora puntata contro la prof. che nel frattempo si era appoggiata alla cattedra, non si reggeva più in piedi per la paura.
«Glielo dico o no? In fondo prima o poi dovranno saperlo, gli diamo l’anteprima?» chiese all’altro, che annuì divertito scuotendo un po’ la pistola. Ogni movimento dell’arma faceva sobbalzare la donna, che si teneva le mani al petto, il libro che aveva prima tra le mani era caduto e dimenticato.
«Ritenetevi fortunati, ragazzi! Sto per rivelarvi qualcosa che il resto del mondo saprà solo tra qualche giorno»
Si sporse in avanti e portò una mano alla bocca.
«La vostra carissima compagna Astrid prenderà parte a un programma speciale, insieme ad altri ragazzi. Abbiamo selezionato tutti i partecipanti in base alle capacità fisiche e intellettive, insomma, abbiamo fatto una cernita di tutti i giovani italiani tra i diciotto e i venticinque anni scegliendo solo i migliori»
Le parole non erano poi così brutte, sembrava lodare le qualità dei ragazzi, ma la voce, il tono e il sorriso storto dell’uomo facevano paura, non portavano niente di buono.
«Beh, Astrid, le tue capacità intellettive sono piuttosto nella media» disse con tono deluso, «ma quelle fisiche, ragazza mia, sono spettacolari! Sei una delle migliori, potrei anche puntare su di te»
L’uomo armato, educatamente, avvertì con un colpo di tosse il collega che stava divagando troppo.
Il brizzolato gli lanciò un’occhiata e si sistemò la giacca, il sorriso sparì dal suo volto.
«Conoscete tutti Hunger Games?»
Alcune teste si mossero per far cenno che sì, lo conoscevano.
«Bene, il programma è qualcosa del genere»
Astrid era pietrificata. Nadia, la sua compagna di banco, si voltò a guardarla e scoppiò a piangere, non poteva crederci. Le strinse un braccio e appoggiò la testa contro la sua spalla, ma Astrid era una statua, non si muoveva, non respirava neanche, era sconvolta. La ragione, però tornò in fretta.
«Impossibile, non potete fare davvero una cosa del genere. Nessuno ve lo permetterà»
Un piccolo sorriso le increspò le labbra. Era tutto uno scherzo, spaventoso e poco divertente, data la pistola, ma era uno scherzo. Chi avrebbe permesso qualcosa del genere?
«Noi non abbiamo bisogno del permesso di nessuno. Nessuno sa della nostra esistenza, né del programma, sarà una sorpresa per il mondo intero»
Astrid scosse la testa. «Io non voglio venire con voi»
L’uomo con la pistola abbassò l’arma e la professoressa riacquistò un po’ di colore in viso, fece qualche passo indietro finché non batté le spalle contro la parete dell’aula.
«Hai una sorella minore, se non sbaglio» la voce dell’uomo era bassa, ma piacevole da sentire. «Essendo tua sorella potrebbe avere le tue stesse potenzialità fisiche, possiamo prendere lei nel programma, non c’è problema»
Astrid fu profondamente scossa da quelle parole dette con fredda calma, dal viso inespressivo dell’uomo, che inclinò la testa e alzò le sopracciglia. «Allora?»
Il cuore rallentò, sentiva ogni battito potente che partendo dal petto arrivava a ogni fibra del suo corpo. Appoggiò una mano contro la fronte di Nadia e con delicatezza la spostò. Si alzò facendo strisciare le gambe della sedia, producendo un cigolio fastidioso; serrando la mascella e chiudendo le mani a pugno andò davanti ai due uomini.
«Io ancora non ci credo» disse in un sussurro.
«Oh, ci crederai. Più avanti sarai costretta a crederci» disse l’uomo più vecchio mettendole una mano sulla spalla, con fare paterno. Il gesto disgustò Astrid, ma cercando di scrollarsi di dosso quella fastidiosa presenza sentì la presa farsi più forte.
«Beh, è stato un piacere, buon lavoro e buona giornata» disse infine l’uomo che trascinò la ragazza fuori con sé.
La porta venne chiusa dall’uomo con la pistola, che si sedette sulla cattedra guardando l’insegnante e i ragazzi. Accavallò le gambe, appoggiò l’arma accanto a sé e fece un segno con il mento alla donna ancora contro il muro.
«Continui pure, tra poco me ne vado. Voglio solo assicurarmi che nessuno di voi chiami la polizia, per ora»
La donna scosse la testa, le mani strette al petto e gli occhi lucidi, le tremavano le labbra e il viso non era tornato ancora al suo caratteristico colorito roseo.
«Questa è una giornata come le altre, la pagano per insegnare, quindi insegni»
Mosse una mano e fece ruotare la pistola sulla superficie del tavolo in modo che la canna fosse rivolta verso di lei. La prof. venne scossa da un brivido e con uno scatto si abbassò, prese il libro da terra e lo aprì a casaccio; diede un’occhiata alle parole, ma queste sembravano farsi gioco di lei, tremavano, ruotavano e le lettere ballavano scambiandosi di posto. Si schiarì la voce e guardò i suoi studenti, i suoi tanti bambini, spaventati a morte, in lacrime e con gli occhi sbarrati; Nadia stava ancora piangendo piegata sul banco dell’amica, le sue spalle erano scosse da potenti singhiozzi. Ogni gemito della ragazza era una fitta al suo povero cuore.
«Bene, se volete riprendere i vostri posti» disse guardando i ragazzi ancora in piedi. Si sedettero lentamente, chi guardando la prof. e chi l’uomo in nero.
«Dove eravamo arrivati? Ah, sì, al romanticismo»
Sfogliando il libro alla ricerca della pagina giusta, una lacrima le bagnò il polso. Si ordinò di calmarsi, doveva dare forza e coraggio a questi ragazzi, non disperazione, dannazione!
Lesse il testo con un tono di voce quasi normale, ma la maggior parte dei ragazzi aveva il viso abbassato o piangeva, erano tutti molto pallidi e la presenza dell’uomo non aiutava.
«Sì? D’accordo, ricevuto, scendo subito»
La voce dell’uomo colse tutti di sorpresa, li fece sobbalzare.
«Tranquilli, non voglio farvi del male. Vi siete spaventati?» fece un brutto sorriso, poi si alzò sistemando la sua pistola in tasca, aveva una mano ancora sul bluetooth.
«Adesso vado, buona giornata»
Uscì dalla classe senza dire altro, lasciando tutti di stucco, increduli. Davvero era andato via? Potevano chiamare la polizia quindi?
La professoressa gettò il libro a terra e corse alla borsa, sulla sedia dietro alla cattedra, tirò fuori il cellulare e compose il numero della polizia. Non appena dall’altra parte risposero, cominciò a parlare a raffica raccontando tutto quello che era successo; un ragazzo stava messaggiando freneticamente con il padre per metterlo al corrente, due ragazze piangevano in un angolo stringendosi. Nadia provò per la terza volta a chiamare Astrid, ma il telefonino dell’amica era irraggiungibile e per la frustrazione scagliò il cellulare a terra. 
   
 
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