Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: luxaar    26/11/2016    3 recensioni
Beatrice Macrì è una specializzanda di uno dei più importanti ospedali del Paese. Eppure, nonostante il risultato fino ad ora raggiunto, non è affatto sicura di se stessa, vittima della competizione sprezzante tra colleghi, che la rimproverano di essere troppo debole o comunque troppo poco fredda per quel lavoro così difficile. La passione è ciò che la guida in ogni sua decisione.
Edoardo Della Scala rappresenta, invece, esattamente il contrario di lei, almeno apparentemente.
Cinico, lucido e brillante sul lavoro, è amato da tutti i suoi colleghi e non soltanto perché è il figlio del primario, anche se questo sicuramente non guasta affatto.
Inutile dire che le loro strade si incontreranno e che il tempo dimostrerà loro quanto in realtà, al di là di ogni convinzione e aspettativa, siano inesorabilmente simili.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Universitario
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Siamo solo materia.
Atomi che si aggregano e si disaggregano, determinando la nostra vita o la nostra morte.
Continuavo a ripeterlo, a focalizzarmi su questo concetto epicureo, a cristallizzarlo nella mia mente, ma sapevo che non stavo facendo altro che ingannarmi da sola.
Conoscevo la mia natura: non rappresentavo affatto il canone della donna di scienza convinta che l'unità di base della vita sia la cellula e che una sostanza apolare non possa mai sciogliersi in una polare. Io non ero fredda, scientifica, lucida: ero passionale, impulsiva, fortemente sentimentale. Il cuore mi esplodeva di emozioni, sempre. Che fosse dolore o estrema felicità io l'avrei sentito rimbalzarmi tra cervello e cuore, espandendosi attraverso ogni fibra nervosa. Mi commuovevo per un lieto fine e mi struggevo, versando lacrime fino a disidratarmi, per ogni personaggio, di cui puntualmente mi innamoravo, che moriva. E forse è questa la ragione che portava alcuni miei colleghi a tacciarmi di non essere un bravo medico, a continuare a guardarmi con disprezzo e a rimproverarmi di essere troppo poco fredda.
In quel momento pensai, per la prima volta della mia vita, che avessero ragione.
Ero una specializzanda di Pediatria in uno degli ospedali migliori del Bel Paese, ormai al terzo anno, quindi teoricamente avvezza alla morte.
In pratica, mi trovavo a terra, nel bagno dell'ospedale dello scantinato, a sbattere la testa contro le piastrelle che un tempo furono bianche.
Ormai le lacrime sembravano correre lo stesso cammino inesorabile delle gocce sul finestrino della macchina durante un giorno di pioggia. Quelle che da bambino incitavi affinché corressero più veloci di tutte le altre, con una gioia e una inconsapevolezza tale, di ciò che di brutto c'è oltre quel vetro, che solo da piccolo puoi avere.
Eppure Tobias, già a nove anni con quel male ci aveva fatto i conti. Aveva scoperto di avere la Sindrome di Reye, che purtroppo era ad uno stato ormai troppo avanzato. I danni celebrali così come la dimensione del fegato non lasciavano più spazio ad alcuna speranza. Nonostante la grave condizione, però, sciocca come sono, io continuavo a sperarci, a farmi raccontare dalla mamma la sua passione per le piantine, da quando la maestra di scienze gli aveva fatto fare il solito banale esperimento della piantina di fagiolo; a entusiasmarmi per i disegni che raffiguravano l'astronauta che tanto sarebbe voluto diventare. Così, ogni sera, passavo da lui, tirando di giorno in giorno, un sospiro di sollievo, perché era ancora su quel letto, perché poteva ancora piantare semi di margherite, fidanzarsi con l'amichetta Laura, la biondina di cui era follemente innamorato,così dichiarava lui, e andare sulla Luna. Gli passavo la mano sul viso, sorridendo con tenerezza e sperando che lui sarebbe stato uno di quei meravigliosi ma anche "ahimè" rarissimi miracoli della scienza, che essa stessa ti mette davanti senza alcuna spiegazione. A volte accade che un paziente, dichiarato incurabile dai miei cinici colleghi, piano piano, incominciasse a riprendersi, ogni giorno compiva uno sconvolgente passo in più verso quella così strana vita che fino a qualche momento prima sembrava esser decisa a buttarlo giù, nel precipizio della morte.
Ma la mia speranza per Tobias era stata vana. Ed era per questo che mi trovavo a sbattere la testa contro il muro, ripetendomi quello strano mantra.
Il primario di Pediatria, il capo dei capi, conosciuto per la sua mancanza d'anima, dieci minuti prima, porgendomi una cartella, mi aveva ordinato:
"Avverti la famiglia del decesso"
Quando aprii la cartella e vidi il nome di Tobias non potei far altro che scappare in quel piccolo bagno dimenticato da tutti. I sentimenti ancora una volta avevano avuto la meglio sulla razionalità, che avrei dovuto mantenere. La verità è che non era semplicemente giusto che Tobias fosse morto. Che quel dolce bambino non fosse più spinto dalla passione per le piantine e per i pianeti. Non è vero che siamo fatti solo di materia, solo di molecole, solo di atomi. C'è molto di più.
E quel molto di più continuava sempre a sovrastarmi.
Scrutai l'orologio, erano passati ben più di dieci minuti, così decisi di alzarmi da quelle fredde piastrelle e mi portai davanti allo specchio, asciugandomi le lacrime,  per rendermi presentabile. L'immagine riflessa era terribile, gli occhi rossi erano difficilmente nascondibili, ma il resto poteva essere celato da un po' di trucco. Finita l'operazione, cercai di sorridere alla mia immagine riflessa, per riacquistare un po' di sicurezza. Subito dopo però diedi una leggera testata allo specchio, come a voler distruggere me stessa. Il freddo dato dall'essermi appoggiata allo specchio però mi diede un po' di sollievo e da esso presi un po' di forza. Uscii dal bagno e mi catapultai in ascensore da dove stava uscendo il mio collega più odioso, Edoardo Della Scala, il figlio del primario.
Era lo specializzando dell'ultimo anno più promettente, brillante come pochi; aveva già la strada spianata. L'orgoglio del padre e di tutte le donne che erano riuscite a farsi usare da lui, che le gettava dopo una notte, come fossero anche loro preservativi. Nonostante la sua natura da vero e proprio bastardo tutte le donne di quell'ospedale continuavano a venerarlo e a ricercare la sua attenzione. 
Il suo aspetto di certo lo aiutava. Sembrava la copia sputata di un attore di Hollywood che per ora era molto in voga. Biondo come un angioletto, possidente di un sorriso sghembo da piccolo stronzo, un fisico che non aveva nulla da invidiare a Matteo, lo specializzando che aveva fatto della palestra la sua seconda casa, e degli occhi di un'intensità tale che potevano catturarti come se fossero tutto ciò che avessi sempre desiderato. Quel grigio sembrava comunicare meglio delle parole.
Inoltre si trovava sempre con un labbro spaccato o un occhio nero o comunque sembrava uno che aveva appena finito di picchiarsi con qualcuno. Nessuno sapeva cosa procurasse questi segni e, anche se le teorie erano molte, nessuna sembrava fondata. E ciò lo rendeva ancora più terribilmente affascinante. 
"Finito di piangere, orsacchiotto?" mi disse, afferrandomi il braccio sinistro, con un tono falsamente preoccupato che sfociò in una risata derisoria. Era uno stronzo. E non perdeva un' occasione per dimostrarmi quanto debole fossi e, quindi, quanto non fossi pronta a quel lavoro. Strinsi i pugni e cercando di divincolarmi dalla sua presa ferrea cercai di affermare, decisa "Non stavo piang.." Ma lui fermò l'ultima mia parola, dichiarando sprezzante: "Non sarai mai un medico degno di questo nome". 
E se ne andò, lasciandomi lì, mentre le porte dell'ascensore si chiudevano.
 Non mi chiesi il perché stesse andando nello scantinato, luogo privo di alcuna reale utilità per uno specializzando, dato che conteneva soltanto i registri fiscali dell'ospedale. Nè feci caso al suo aspetto particolarmente consunto, distrutto sicuramente da qualcuno, che questa volta, lo aveva picchiato più di quanto era riuscito a fare lui.
Ero diventata furente dopo quella conversazione e quella rabbia mi caricò moltissimo. Io sarei diventata una pediatra rispettabilissima, checché ne dicesse quel pallone gonfiato di Edoardo Della Scala. 
Strinsi i pugni e spinsi sul pulsante che indicava il piano quinto, dove si trovava il reparto di pediatria.
Quel piano era l'unico ad essere colorato. Cercava con i suoi disegni di Nemo e della Sirenetta sulle pareti di mostrare ai bambini un ambiente un po' più confortevole. I pianti strazianti in realtà stridevano un po' con tutti i giochini e con la varietà di colori presenti, ma era proprio per quello che avevo deciso di specializzarmi in quel ramo della medicina: ogni risata che sostituiva il pianto in un bimbo era quanto di più al mondo potesse riportarti all'armonia con la natura, alla pace interiore: ti riempiva il cuore, ti permetteva di sollevarti un po' da quella terra così arida e matrigna.
Chiesi a Sara, una nuova infermiera, che sembrava dolce e affabile, oltre ad essere così carina da sembrare una Barbie principessa, di convocare i genitori di Tobias.

Dopo un quarto d'ora mi trovavo in una stanza dall'ambiente sobrio e riservato, mentre stringevo nella mano sinistra lo stetoscopio, come ci avevano insegnato. La tensione doveva essere esaurita lì,  mentre sul viso doveva essere mostrata serenità e compartecipazione al loro dolore, ma mai altro. Mai tristezza o dolore, simboli soltanto di debolezza. Arrivarono trafelati e confusi, del resto erano le tre di notte e sicuramente avevano già capito che i figlio era morto, ma continuavano a nascondersi dietro alla convinzione che non potesse essere vero. Speravano che io potessi dare loro una lieta notizia e non quella nefasta che pendeva sulle loro teste come una spada di Damocle. Ma io non potevo aiutarli.
"Ciao" sorrisi di circostanza, mentre loro mi facevano un segno di assenso, erano troppo tesi per rispondere con le parole. Volevano sapere, lo vedevo dai loro occhi che interrogavano la mia figura.
"Sapete che le condizioni di Tobias erano critiche, purtroppo troppo critiche perché noi potessimo fare qualcosa, per questo quando stanotte ha avuto una crisi, abbiamo cercato di aiutarlo, ma non c'è stato nulla da fare. Mi dispiace." dissi, cercando di essere il più delicata possibile. Vidi le lacrime scendere sul viso della madre che sembrò perdere lucidità, come se l' anima fosse scivolata dal suo corpo, cercando di raggiungere quella del figlio. Vidi il padre, incredulo: ancora non era pronto ad accettare la verità. Mi si chiuse lo stomaco e sentii la bile salire attraverso l'esofago, pronta a riversasi in bocca. Ero così impotente davanti al dolore giusto di un mondo così ingiusto.
Capii che era il momento di lasciarli soli, a cercare di elaborare il lutto, così dicevano gli altri medici.
In realtà era semplice codardia: nessuno sapeva come comportarsi di fronte allo strazio della perdita di un figlio.
Mi girai e posai una mano sulla maniglia, eppure una voce mi fermò: "Resta. Puoi?" mi pregò il padre. Annuii e i due coniugi mi abbracciarono, cercarono in me la forza di sopravvivere, forza che probabilmente mancava anche a me. Dopo dieci minuti, si staccarono da me, che li avevo stretti carezzandoli sulla schiena, imbarazzati. Li rassicurai con un sorriso e me ne andai orgogliosa, per una volta, di me stessa.
Lasciai loro in quella stanza, pensando che dopo qualche ora sarei ritornata a trovarli.
E soprappensiero andai a sbattere contro qualcuno.
"Quindi neanche tu resisti al mio fascino, eh?" 
Purtroppo quel qualcuno era Edoardo Della Scala. 
"Ma proprio" risposi acida, allontanandomi da lui e cercando di ritornare al mio lavoro: dovevo andare dal Prof. Russo, a cui ero stata affidata per quel mese e chiedergli cosa avrei dovuto fare.
Il prof. Russo era davvero un bravo insegnante, rigido ma attento ad ogni bisogno degli specializzandi. Inoltre era un medico brillante ed amavo i mesi in cui ero con lui. Potevo veramente imparare qualcosa e non soltanto eclissarmi diventando tutt'uno con la parete, come esigevano la maggior parte dei ‘grandi' dottori.
"Tesoro, non ti preoccupare: da oggi in poi potrai bearti della mia presenza più di quanto in realtà meriti. Sei stata affidata a me dal Prof. Russo." dichiarò il biondino, con quel suo sorriso beffardo. 
Sperai che fosse una cavolata, così mi recai nella "bacheca degli specializzandi'', pronta a smascherare lo scherzo che aveva appena architettato.
Peccato che un avviso troneggiava davanti alla mia vista:
 
ATTENZIONE 
 
      AGLI SPECIALIZZANDI AFFIDATI AL PROF. RUSSO,
 
a causa di un disguido, per questo mese verrete affidati ad uno specializzando dell'ultimo anno, secondo le tabelle qui riportate:
 
Cercai il mio nome e lo ritrovai proprio sotto quello di Edoardo Della Scala.
Ancora non sapevo che quel giorno sarebbe stato l'inizio del mio incubo personale, anche se lo sospettavo, ma anche che la mia vita da quel momento in poi avrebbe preso una piega del tutto inaspettata.
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: luxaar