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Autore: DarkSide_of_Gemini    27/11/2016    1 recensioni
“Hades non era solo il nome dei un locale alla moda di Vienna improntato al gusto dark e gotico, era qualcosa di molto più oscuro, e loro SAINT avevano appena iniziato a grattare la superficie brillante per scoprirne il vero significato”.
Dopo aver arrestato il narcotrafficante Julian Kevines, la squadra dei SAINT deve affrontare una nuova minaccia che stavolta prende il nome dal dio della morte: Hades.
Tra nuove indagini e un avversario più che mai enigmatico i SAINT dovranno riuscire ancora una volta a sconfiggere il crimine del mondo moderno.
Genere: Azione, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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SAINT

 Hades Chapter

8

 

Quella sera Radhamantys aveva assistito ad una delle scene più strane che gli fosse mai capitato di vedere da quando frequentava Hades. Una scena che quasi lo aveva fatto sorridere.

Lui era appena arrivato in taxi al night club e, mentre si stava dirigendo ad uno degli ingressi laterali riservati al personale, aveva assistito ad una zuffa che bloccava la fila.

Di per sé quelle liti lo annoiavano ed era ben felice di lasciare che se ne occupassero i buttafuori, quella volta però era diverso perché era rimasto preso in mezzo uno degli uomini nuovi, quelli su cui lui nutriva tanti dubbi.

Era rimasto a guardare nell’ombra e quando un anziano si era attaccato al braccio gridando “Questo è mio nipote Valerio!” lui aveva capito di averci visto giusto.

L’istinto che lo metteva in guardia contro quella gente era più forte che mai, ed a portata di mano aveva un’occasione d’oro che le norne gli servivano per ottenere le informazioni che gli mancavano per dare certezza ai suoi dubbi.

Non appena vide che i ragazzi della sicurezza allontanavano l’anziano signore sollevandolo praticamente di peso, lui svoltò l’angolo per trovarsi davanti a loro come se fosse arrivato proprio in quel momento.

-Che sta succedendo?-

Chiese con la sua voce più autoritaria.

Gli fu spiegato che quel signore voleva entrare per forza nel locale e che loro non potevano permetterglielo.

Lui capiva perfettamente il tedesco, per cui ricominciò subito a protestare che non era giusto che un galantuomo che aveva lavorato onestamente tutta la vita non fosse libero di spendere la sua pensione dove gli pareva.

Radhamantys capì subito come poteva farselo amico.

-Lasciatelo andare, sono d’accordo con le sue lamentele-

Loro erano abbastanza sorpresi dall’ordine, ma non potevano obbiettare in nessun modo.

Quando se ne furono andati Radhamantys fu più gentile che poteva.

-Mi dispiace per questo increscioso equivoco, signore, mi permetta di spiegarle. La nostra clientela è giovane ed indisciplinata…-

-E irrispettosa-

-Sì, esatto. Non era il caso che entrasse insieme a loro, specialmente da solo…-

-Non ero solo! Quel fedifrago di mio nipote mi sentirà appena mi capita di nuovo a portata di bastone!-

-No, no, per carità… vuole accettare un ingresso gratis a titolo di scusa? Venga, le farò vedere aspetti del nostro locale che normalmente teniamo chiusi alla maggior parte del pubblico perché non sarebbero apprezzati-

Il vecchietto lo scrutò a lungo da sotto le sopracciglia cispose e la coppola piatta, e lo guardava talmente male che Radhamantys per un attimo temette che volesse picchiarlo con il bastone come aveva fatto poco prima con Cancer.

Fortunatamente non successe niente del genere: il vecchietto gli fece un sorriso tutto dentiera e rughe e poi lo afferrò sotto braccio come se fossero amici da sempre.

-Affare fatto, ragazzo mio! Meno male che c’è ancora qualche giovane con un po' di creanza a questo porco mondo!-

Radhamantys era orribilmente imbarazzato, ma per compiere fino in fondo il suo dovere era disposto anche a fare quella pantomima.

Condusse il suo ospite dentro il più velocemente possibile per impedire che troppa gente lo vedesse in quella situazione, solo che una volta nei corridoi non sapeva bene dove portarlo.

Cercò di guadagnare tempo offrendogli un primo bicchiere di scotch nel priveé al secondo piano, quello che normalmente era usato come salottino per incontrare clienti molto particolari.

Era una stanza arredata con un gusto semplice ed elegante.

Il mobile bar era un autentico pezzo di antiquariato degli anni trenta, con le parti in legno di mogano scuro lucidato aa perfezione ed il piano di granito.

I bicchieri avevano un disegno di linee geometriche che finivano in archi acuti lungo il bordo e ricordavano molto un cigno stilizzato, e lo stesso disegno era replicato sulla bottiglia da liquore.

Il tappo della bottiglia era modellato a forma di cigno con le ali spiegate.

Per chi conosceva la simbologia della mitologia del nord alptr era il cigno bianco, una delle forme che assumevano le valchirie per manifestarsi sulla terra.

Radhamantys fece accomodare il suo insolito ospite e gli offrì il primo bicchiere.

-Lei parla un ottimo tedesco, ma mi perdoni, non ho potuto fare a meno di notare il suo accento. Da dove viene di preciso?-

-Dalla terra più bella del mondo, la Sicilia-

-Capisco… quindi è italiano?-

-Sì, dopo quella sciagura di Garibaldi purtroppo si dice così -

Italiano. Poteva essere quello il lieve accento che notava nell’inglese di Cancer? Altro che macedone!

-Dove ha imparato la nostra lingua?-

-Ho lavorato tanti anni in Svizzera, Germania e Litchestein. E poi ho cominciato presto con un insegnante d’eccezione-

-Un amico?-

-Un mio prigioniero-

A Radhamantys quasi andò il wiskey di traverso.

-Oh, è inutile che fai quella faccia! Ora non sono più giovane come allora, ma durante la guerra io ho catturato un soldato tedesco e l’ho tenuto prigioniero per due anni-

E scolò tutto soddisfatto una generosa dose di whiskey.

-Lo so, tu non mi credi. Ti sembro solo un vecchio pazzo che si inventa fandonie che dopo ottant’anni nessuno può più contestare. Ebbene, io ho la prova di quello che dico!-

Si contorse un po' per arrivare a prendere il portafoglio, e quando ebbe finito di armeggiare per disincastrare dalla fodera quello che cercava, Radhamantys si trovò sotto gli occhi un distintivo da fanteria d’assalto dell’esercito nazista.

L’argento era annerito ma il disegno era inconfondibile: una corona ovale di foglie di quercia, una svastica tra le zampe di un’aquila ad ali spiegate ed un fucile che tagliava in diagonale la corona.

Sembrava assolutamente autentico.

Cominciava a sospettare che quel vecchietto fosse molto più di quello che sembrava, e la sua intenzione di avere informazioni su Cancer era passata in secondo piano rispetto alla curiosità.

-Le chiedo scusa. È vero: non le avevo creduto, ma ora… mi racconterebbe la storia di come ha avuto questo?-

-Ah-a! Ci credi adesso? Bene, bene… allora ascolta. Era il 1943. Gli americani arrivavano ed i tedeschi cercavano di scappare. Uno di quei crucchi era rimasto indietro mentre il suo battaglione scappava in fretta dopo una sparatoria. Lui si era nascosto nelle campagne ed è rimasto tre giorni acquattato in un fosso ad aspettare che gli americani se ne andassero.

Peccato per lui che in quella parte di campagna io dovevo portare le mie capre a pascolare. Una volta ne cercavo una che mi era scappata e mentre la cercavo sono inciampato in questo qui che dormiva dietro un cespuglio-

Si interruppe ed indicò con un gesto molto eloquente il bicchiere vuoto.

Radhamantys aveva il dubbio se riempirlo o no, perché era sicuro che un ultraottantenne in coma etilico avrebbe fatto una pessima pubblicità al locale.

Però ormai voleva vedere come finiva quella storia, per cui riprese la bottiglia di scotch e gli servì un altro giro.

-Bene, vedo che comprendi alla svelta. Stavo dicendo?-

-Che ha trovato quel soldato addormentato-

-Ah, sì! Ecco, gli sono caduto addosso ma lui era troppo intontito ed io mi sono ripreso prima. Gli ho preso il fucile e l’ho minacciato ma lui si è messo a ridere. Non capivo che aveva da ridere e così ho tirato il grilletto. Lui ha riso ancora più forte perché quell’arma era scarica. Imbecille, dico io! Che tieni a fare un fucile scarico? Comunque mi aveva fatto arrabbiare e allora l’ho minacciato che chiamavo gli inglesi-

-E come, se non vi capivate?-

-Mi è bastato dire “America” e indicare dall’altra parte della collina. A quel punto se l’è fatta sotto, eheheh!-

-E poi?-

-Avevamo ordine di consegnare i tedeschi che si nascondevano nelle campagne, e gli americani ci davano una ricompensa. Dieci lire. Ah! Dieci lire! Al diavolo loro e l’elemosina delle dieci lire! Io avevo il fucile, ma se consegnavo il tedesco dovevo consegnare anche quello. E allora no, grazie tante, preferivo un fucile tedesco alle dieci lire che poi si trovavano dappertutto. Gli ho fatto capire di stare zitto e che se mi lasciava il fucile io stavo zitto pure e lui poteva restare nella mia campagna. Insomma, abbiamo fatto questo accordo qui. Poi io gli ho portato vestiti vecchi di mio padre, gli ho fatto i capelli neri con la polvere di carbone e l’ho fatto stare al sole per farlo abbronzare. Dopo un poco di tempo non si capiva più che era tedesco, e poi mi aiutava con gli animali perché se voleva stare doveva guadagnarsi il pane-

-Ma poteva consegnarlo lo stesso e tenersi il fucile-

-Ragazzo, non ragionare come quel tonto di mio nipote. Se lui diceva che mi ero tenuto il suo fucile, gli americani avrebbero fatto tutto per trovarlo. Non è che gli americani che arrivavano erano meglio dei tedeschi che andavano via, sai?-

-Capisco-

Ecco un punto a favore della sua teoria secondo cui l’immagine buonista dell’America liberatrice dall’oppressore nazista era tutta propaganda.

Sono sempre i vincitori a scrivere la storia come vogliono loro. O a disegnarla, visto che gli States avevano creato Capitan America nel 1941, in pieno conflitto.

-Come si chiamava? Il soldato, il suo… prigioniero. Se lo ricorda ancora?-

-Certo che me lo ricordo! Non ho ancora tutte le rotelle fuori posto, sai? Si chiamava Bauer. Hans Bauer-

Stavolta il wiskey gli andò davvero di traverso incendiandogli la gola.

-B-... Bauer? Sicuro che fosse propri Hans Bauer?-

Chiese quando potè parlare di nuovo.

-Sì, sì, zucca vuota! Te l’ho detto che io le cose me le ricordo!-

-No, mi scusi, è che… so che è impossibile crederci, ma Hans Bauer era il colonnello a capo del reparto in cui era di stanza mio nonno-

-Ohoh! Questa allora è una rimpatriata! Un altro giro per festeggiare!-

E prima che Radhamantys potesse sottrargli la bottiglia il nonnetto si era servito una generosa dose di superalcolico.

-Aspetti! No, cioè… che fine ha fatto Bauer? Mio nonno non se l’è mai perdonato. Si sono persi di vista durante la sparatoria a causa di una granata e se fossero rimasti lì sarebbero morti tutti, ma lui non se l’è mai perdonato di aver abbandonato il colonnello. Per favore, mi dica che ne è stato di lui!-

-Eh, eh, calma, ragazzo! Stai tranquillo: gli è andata bene che più bene non poteva. Ha conosciuto una ragazza, una che veniva a prendere il latte da me. Era una bella mora, me la ricordo. Appena è finita la guerra e se ne sono andati anche gli americani ha trovato due biglietti per l’America e se ne sono andati insieme-

Radhamantys si sentì sollevato. Aveva sentito parlare tante volte di quel colonnello che gli sembrava di averlo conosciuto di persona.

-Oltre al distintivo e al fucile mi ha lasciato tutto: la sua divisa, la pistola e il portasigarette d’argento. Tutta roba che i miei parenti venderebbero subito, per questo la tengo ben nascosta in un caveaux in Svizzera-

-Quindi alla fine lo ha lasciato libero-

-Libero? Quale libero? L’ho cacciato via perché Rosa piaceva anche a me e me la volevo sposare appena compivo quindici anni. Ma lui ne aveva già ventisette, è arrivato prima. Mannaggia a lui!-

Radhamantys si trattenne dallo scoppiare a ridere.

-Venga, le voglio mostrare una cosa-

In realtà sperava di distogliere l’attenzione del vegliardo dalla bottiglia di alcool, per questo lo guidò nel suo ufficio personale.

Nessuno entrava mai senza il suo esplicito permesso, e lui quel permesso lo dava a pochissime persone.

Non sapeva bene perché ma gli aveva fatto simpatia, ed il suo racconto lo aveva portato indietro ad un tempo che avrebbe voluto vivere di persona.

Lo fece accomodare e poi andò alla cassaforte a muro.

-Anche io come lei sono dell’idea che certi oggetti abbiano un valore che va molto al di là del denaro. Credo che lei sappia apprezzare una cosa come questa-

Gli mise davanti un cofanetto in mogano, e quando l’anziano vide cosa c’era dentro sgranò gli occhi e gli scappò un’esclamazione di sorpresa.

-Che mi prendano tutti gli infarti che i miei parenti mi augurano! Questa è..?-

Radhamanthys sorrise.

-Una Sauer 38H. Era di mio nonno-

La pistola era tenuta in condizioni perfette e lui la faceva controllare periodicamente per assicurarsi che il meccanismo non si inceppasse. Sparava esattamente un caricatore una volta l’anno.

Ovviamente Radhamantys sapeva sparare con tipi di armi diverse, ma quella aveva per lui un significato speciale.

I suoi bisnonni erano emigrati dalle isole Fǽr Øer alla Danimarca e poi alla Germania all’inizio del novecento, ed il loro figlio aveva fatto carriera nella gioventù hitleriana e poi nell’esercito nonostante fosse straniero. Si era conquistato anche lui distintivo e pistola dimostrando il suo valore giorno per giorno.

-È esattamente identica a quella che Hans ha lasciato a me in Sicilia. Sai quanto vale questa pistola?-

-Lo so-

-E non la venderesti?-

-Mai-

-E quella che ho io… non è che vai in giro a denunciarmi? Perché ti avverto che se lo fai ti pelo la zucca a legnate-

Nonostante la minaccia non gli fosse piaciuta per niente Radhamantys poteva capire perfettamente la determinazione nel difendere certi oggetti speciali.

-Lei si è ampiamente guadagnato il permesso di tenere quell’arma. Non credo che molti ragazzini di tredici anni avrebbero avuto il coraggio di minacciare un militare tedesco e di tenerlo prigioniero-

Il vecchietto lo guardava ancora torvo e sospettoso. Era la prima volta che Radhamantys si sentiva a disagio e alla fine fu lui ad abbassare lo sguardo.

Non lo avrebbe mai raccontato a Minos o Aiacos.

-Tu sei leggermente meglio della marmaglia di gente della tua età, te lo concedo. E adesso andiamo agli affari-

-Affari?-

-Certo, ragazzo, affari. Non sono stupido, sai? Mi hai offerto da bere tutta la serata, questo è il tuo ufficio e questa è una pistola d’epoca che dovrebbe stare in un museo. Cosa vuoi in cambio?-

Radhamantys lo guardò da sopra la custodia in legno. Era evidente che non doveva scherzare, per cui decise di giocare a carte scoperte.

-Quello che vorrei è un’altra storia. Mi scusi, ma non ho potuto fare a meno di notare la somiglianza tra lei ed una persona che conosco. È un italiano come lei e diciamo che frequenta questo posto da un po' di tempo. Posso chiederle se la mia supposizione è corretta?-

***

Now I see the light
My darkest views have disappeared
there's a sense that lays beyond this fate
I'll leave it all behind

 

Aveva ragione! Aveva ragione, aveva sempre avuto ragione lui! Adesso era il momento di correre a riparare al danno prima possibile.

Doveva fare un enorme sforzo di autocontrollo per non travolgere le persone che si accalcavano al bordo della pista da ballo e gli impedivano di arrivare subito alla consolle del dee jay.

Orpheé era assorbito dal suo mondo di musica, già in cerca del prossimo brano da mandare, quando lui gli piombò praticamente addosso.

Quello era più importante di qualsiasi canzone.

Gli consegnò un foglio su cui aveva annotato tutti i dettagli più importanti, tutto quello che il suo ospite gli aveva raccontato a proposito dello “sciagurato nipote” come lo definiva lui.

-Lavora su questo. Non farti scoprire da nessuno e poi vieni a riferire solo a me, intesi?-

Per un attimo gli sembrò che il ragazzo volesse aprire bocca per protestare, allora per riportarlo all’ordine gli strinse la spalla e fece un cenno eloquente verso una delle ballerine.

Orpheé capì all’istante ed abbassò la testa con un “sissignore” subito inghiottito dal rimbombo della musica.


Now I feel my life
I'll build a new tomorrow
Caged for all this time
finally free again
free again

***

Orpheé era arrivato al punto di odiare tutto di quel posto. Dall’arredamento, alla clientela e soprattutto ai suoi superiori.

L’unica cosa che riusciva a salvarlo era la musica.

Le richieste dei titolari sui generi musicali rasentavano l’assurdo, e nonostante tutte le limitazioni che gli venivano imposte lui riusciva sempre a scovare quel qualcosa di poco conosciuto ma bello.

Era la sua salvezza e la sua garanzia di poter rimanere lì. Il motivo per restare a tutti i costi in un ambiente che disprezzava era Andrea.

Chi la vedeva ballare la trovava bella, e la sua aria trasognata la faceva apparire ancora più eterea ed affascinante.

Nessuno immaginava le corse in ospedale, gli sguardi di disapprovazione dei medici ed il fatto che i guanti lunghi di lamé nascondessero i segni degli aghi.

Forse lui era più sballato di lei. Non poteva farci niente: la amava e voleva portarla via da Hades come il suo omonimo della mitologia greca aveva portato va dall’Ade la sua Euridice.

Aveva accettato il lavoro da dee jay come un’occasione d’oro per poter guadagnare e mettere da parte dei soldi per portarla via da lì e allo stesso tempo poterla controllare.

Toglierle qualche milligrammo ogni tanto e sperare di disintossicarla in quel modo.

Era disposto a partecipare anche lui a quel gioco folle pur di stare con lei, per questo non si era mai tirato indietro nemmeno quando erano cominciati gli “incarichi”.

Oltre a fare il dee jay doveva fare piccole consegne, passare ordini a gente che si fermava alla sua consolle con l’apparente intenzione di richiedergli un brano musicale o trasmettere messaggi.

Gli incarichi che gli davano erano sempre peggiori, e in ultimo quello: Radhamantys si era permesso di coinvolgerlo in quella specie di operazione di spionaggio per cercare informazioni su un certo Valerio Ferrara nato a Gela, in Sicilia e che aveva studiato medicina legale a Palermo prima di trasferirsi in Grecia ad Atene.

Scoprire tutto ciò che quel Valerio aveva fatto da allora in poi era compito suo.

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Eh, che bello, siamo tornate! Ci scusiamo con coloro che hanno fatto gli esami di Stato e ne avranno fin sopra i capelli della seconda guerra mondiale ancora adesso. Tutta la storia di nonno Peppe ci ha preso la mano mentre la progettavamo, e poi volevamo dargli un po' di carattere e non renderlo solo il giullare di corte. E sì: ha appena messo in grossissimi guai il suo nipotino!

E naturalmente ci scusiamo anche per l’attesa biblica, sperando che almeno il capitolo vi risollevi un po’ l’umore.

Alla prossima, popolo!

 

  
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