SAINT
Hades Chapter
8
Quella
sera Radhamantys aveva assistito ad una delle scene più strane che gli fosse
mai capitato di vedere da quando frequentava Hades. Una scena che quasi lo
aveva fatto sorridere.
Lui
era appena arrivato in taxi al night club e, mentre si stava dirigendo ad uno
degli ingressi laterali riservati al personale, aveva assistito ad una zuffa
che bloccava la fila.
Di
per sé quelle liti lo annoiavano ed era ben felice di lasciare che se ne
occupassero i buttafuori, quella volta però era diverso perché era rimasto
preso in mezzo uno degli uomini nuovi, quelli su cui lui nutriva tanti dubbi.
Era
rimasto a guardare nell’ombra e quando un anziano si era attaccato al braccio
gridando “Questo è mio nipote Valerio!”
lui aveva capito di averci visto giusto.
L’istinto
che lo metteva in guardia contro quella gente era più forte che mai, ed a
portata di mano aveva un’occasione d’oro che le norne gli servivano per
ottenere le informazioni che gli mancavano per dare certezza ai suoi dubbi.
Non
appena vide che i ragazzi della sicurezza allontanavano l’anziano signore
sollevandolo praticamente di peso, lui svoltò l’angolo per trovarsi davanti a
loro come se fosse arrivato proprio in quel momento.
-Che
sta succedendo?-
Chiese
con la sua voce più autoritaria.
Gli
fu spiegato che quel signore voleva entrare per forza nel locale e che loro non
potevano permetterglielo.
Lui
capiva perfettamente il tedesco, per cui ricominciò subito a protestare che non
era giusto che un galantuomo che aveva lavorato onestamente tutta la vita non
fosse libero di spendere la sua pensione dove gli pareva.
Radhamantys
capì subito come poteva farselo amico.
-Lasciatelo
andare, sono d’accordo con le sue lamentele-
Loro
erano abbastanza sorpresi dall’ordine, ma non potevano obbiettare in nessun
modo.
Quando
se ne furono andati Radhamantys fu più gentile che poteva.
-Mi
dispiace per questo increscioso equivoco, signore, mi permetta di spiegarle. La
nostra clientela è giovane ed indisciplinata…-
-E
irrispettosa-
-Sì,
esatto. Non era il caso che entrasse insieme a loro, specialmente da solo…-
-Non
ero solo! Quel fedifrago di mio nipote mi sentirà appena mi capita di nuovo a
portata di bastone!-
-No,
no, per carità… vuole accettare un ingresso gratis a titolo di scusa? Venga, le
farò vedere aspetti del nostro locale che normalmente teniamo chiusi alla
maggior parte del pubblico perché non sarebbero apprezzati-
Il
vecchietto lo scrutò a lungo da sotto le sopracciglia cispose e la coppola
piatta, e lo guardava talmente male che Radhamantys per un attimo temette che
volesse picchiarlo con il bastone come aveva fatto poco prima con Cancer.
Fortunatamente
non successe niente del genere: il vecchietto gli fece un sorriso tutto
dentiera e rughe e poi lo afferrò sotto braccio come se fossero amici da
sempre.
-Affare
fatto, ragazzo mio! Meno male che c’è ancora qualche giovane con un po' di
creanza a questo porco mondo!-
Radhamantys
era orribilmente imbarazzato, ma per compiere fino in fondo il suo dovere era
disposto anche a fare quella pantomima.
Condusse
il suo ospite dentro il più velocemente possibile per impedire che troppa gente
lo vedesse in quella situazione, solo che una volta nei corridoi non sapeva
bene dove portarlo.
Cercò
di guadagnare tempo offrendogli un primo bicchiere di scotch nel priveé al secondo piano, quello che normalmente era usato
come salottino per incontrare clienti molto particolari.
Era
una stanza arredata con un gusto semplice ed elegante.
Il
mobile bar era un autentico pezzo di antiquariato degli anni trenta, con le
parti in legno di mogano scuro lucidato aa perfezione ed il piano di granito.
I
bicchieri avevano un disegno di linee geometriche che finivano in archi acuti
lungo il bordo e ricordavano molto un cigno stilizzato, e lo stesso disegno era
replicato sulla bottiglia da liquore.
Il
tappo della bottiglia era modellato a forma di cigno con le ali spiegate.
Per
chi conosceva la simbologia della mitologia del nord alptr
era il cigno bianco, una delle forme che assumevano le valchirie per
manifestarsi sulla terra.
Radhamantys
fece accomodare il suo insolito ospite e gli offrì il primo bicchiere.
-Lei
parla un ottimo tedesco, ma mi perdoni, non ho potuto fare a meno di notare il
suo accento. Da dove viene di preciso?-
-Dalla
terra più bella del mondo, la Sicilia-
-Capisco…
quindi è italiano?-
-Sì,
dopo quella sciagura di Garibaldi purtroppo si dice così -
Italiano.
Poteva essere quello il lieve accento che notava nell’inglese di Cancer? Altro
che macedone!
-Dove
ha imparato la nostra lingua?-
-Ho
lavorato tanti anni in Svizzera, Germania e Litchestein.
E poi ho cominciato presto con un insegnante d’eccezione-
-Un
amico?-
-Un
mio prigioniero-
A
Radhamantys quasi andò il wiskey di traverso.
-Oh,
è inutile che fai quella faccia! Ora non sono più giovane come allora, ma
durante la guerra io ho catturato un soldato tedesco e l’ho tenuto prigioniero
per due anni-
E
scolò tutto soddisfatto una generosa dose di whiskey.
-Lo
so, tu non mi credi. Ti sembro solo un vecchio pazzo che si inventa fandonie
che dopo ottant’anni nessuno può più contestare. Ebbene, io ho la prova di
quello che dico!-
Si
contorse un po' per arrivare a prendere il portafoglio, e quando ebbe finito di
armeggiare per disincastrare dalla fodera quello che cercava, Radhamantys si
trovò sotto gli occhi un distintivo da fanteria d’assalto dell’esercito
nazista.
L’argento
era annerito ma il disegno era inconfondibile: una corona ovale di foglie di quercia,
una svastica tra le zampe di un’aquila ad ali spiegate ed un fucile che
tagliava in diagonale la corona.
Sembrava
assolutamente autentico.
Cominciava
a sospettare che quel vecchietto fosse molto più di quello che sembrava, e la
sua intenzione di avere informazioni su Cancer era passata in secondo piano
rispetto alla curiosità.
-Le
chiedo scusa. È vero: non le avevo creduto, ma ora… mi racconterebbe la storia
di come ha avuto questo?-
-Ah-a!
Ci credi adesso? Bene, bene… allora ascolta. Era il 1943. Gli americani
arrivavano ed i tedeschi cercavano di scappare. Uno di quei crucchi era rimasto
indietro mentre il suo battaglione scappava in fretta dopo una sparatoria. Lui
si era nascosto nelle campagne ed è rimasto tre giorni acquattato in un fosso
ad aspettare che gli americani se ne andassero.
Peccato
per lui che in quella parte di campagna io dovevo portare le mie capre a
pascolare. Una volta ne cercavo una che mi era scappata e mentre la cercavo
sono inciampato in questo qui che dormiva dietro un cespuglio-
Si
interruppe ed indicò con un gesto molto eloquente il bicchiere vuoto.
Radhamantys
aveva il dubbio se riempirlo o no, perché era sicuro che un ultraottantenne in
coma etilico avrebbe fatto una pessima pubblicità al locale.
Però
ormai voleva vedere come finiva quella storia, per cui riprese la bottiglia di
scotch e gli servì un altro giro.
-Bene,
vedo che comprendi alla svelta. Stavo dicendo?-
-Che
ha trovato quel soldato addormentato-
-Ah,
sì! Ecco, gli sono caduto addosso ma lui era troppo intontito ed io mi sono
ripreso prima. Gli ho preso il fucile e l’ho minacciato ma lui si è messo a
ridere. Non capivo che aveva da ridere e così ho tirato il grilletto. Lui ha
riso ancora più forte perché quell’arma era scarica. Imbecille, dico io! Che
tieni a fare un fucile scarico? Comunque mi aveva fatto arrabbiare e allora l’ho
minacciato che chiamavo gli inglesi-
-E
come, se non vi capivate?-
-Mi
è bastato dire “America” e indicare dall’altra parte della collina. A quel
punto se l’è fatta sotto, eheheh!-
-E
poi?-
-Avevamo
ordine di consegnare i tedeschi che si nascondevano nelle campagne, e gli
americani ci davano una ricompensa. Dieci lire. Ah! Dieci lire! Al diavolo loro
e l’elemosina delle dieci lire! Io avevo il fucile, ma se consegnavo il tedesco
dovevo consegnare anche quello. E allora no, grazie tante, preferivo un fucile
tedesco alle dieci lire che poi si trovavano dappertutto. Gli ho fatto capire
di stare zitto e che se mi lasciava il fucile io stavo zitto pure e lui poteva
restare nella mia campagna. Insomma, abbiamo fatto questo accordo qui. Poi io
gli ho portato vestiti vecchi di mio padre, gli ho fatto i capelli neri con la
polvere di carbone e l’ho fatto stare al sole per farlo abbronzare. Dopo un
poco di tempo non si capiva più che era tedesco, e poi mi aiutava con gli
animali perché se voleva stare doveva guadagnarsi il pane-
-Ma
poteva consegnarlo lo stesso e tenersi il fucile-
-Ragazzo,
non ragionare come quel tonto di mio nipote. Se lui diceva che mi ero tenuto il
suo fucile, gli americani avrebbero fatto tutto per trovarlo. Non è che gli
americani che arrivavano erano meglio dei tedeschi che andavano via, sai?-
-Capisco-
Ecco
un punto a favore della sua teoria secondo cui l’immagine buonista dell’America
liberatrice dall’oppressore nazista era tutta propaganda.
Sono
sempre i vincitori a scrivere la storia come vogliono loro. O a disegnarla,
visto che gli States avevano creato Capitan America
nel 1941, in pieno conflitto.
-Come
si chiamava? Il soldato, il suo… prigioniero. Se lo ricorda ancora?-
-Certo
che me lo ricordo! Non ho ancora tutte le rotelle fuori posto, sai? Si chiamava
Bauer. Hans Bauer-
Stavolta
il wiskey gli andò davvero di traverso incendiandogli
la gola.
-B-...
Bauer? Sicuro che fosse propri Hans Bauer?-
Chiese
quando potè parlare di nuovo.
-Sì,
sì, zucca vuota! Te l’ho detto che io le cose me le ricordo!-
-No,
mi scusi, è che… so che è impossibile crederci, ma Hans Bauer
era il colonnello a capo del reparto in cui era di stanza mio nonno-
-Ohoh! Questa allora è una rimpatriata! Un altro giro per
festeggiare!-
E
prima che Radhamantys potesse sottrargli la bottiglia il nonnetto si era
servito una generosa dose di superalcolico.
-Aspetti!
No, cioè… che fine ha fatto Bauer? Mio nonno non se
l’è mai perdonato. Si sono persi di vista durante la sparatoria a causa di una
granata e se fossero rimasti lì sarebbero morti tutti, ma lui non se l’è mai
perdonato di aver abbandonato il colonnello. Per favore, mi dica che ne è stato
di lui!-
-Eh,
eh, calma, ragazzo! Stai tranquillo: gli è andata bene che più bene non poteva.
Ha conosciuto una ragazza, una che veniva a prendere il latte da me. Era una
bella mora, me la ricordo. Appena è finita la guerra e se ne sono andati anche
gli americani ha trovato due biglietti per l’America e se ne sono andati
insieme-
Radhamantys
si sentì sollevato. Aveva sentito parlare tante volte di quel colonnello che
gli sembrava di averlo conosciuto di persona.
-Oltre
al distintivo e al fucile mi ha lasciato tutto: la sua divisa, la pistola e il
portasigarette d’argento. Tutta roba che i miei parenti venderebbero subito,
per questo la tengo ben nascosta in un caveaux in Svizzera-
-Quindi
alla fine lo ha lasciato libero-
-Libero?
Quale libero? L’ho cacciato via perché Rosa piaceva anche a me e me la volevo
sposare appena compivo quindici anni. Ma lui ne aveva già ventisette, è
arrivato prima. Mannaggia a lui!-
Radhamantys
si trattenne dallo scoppiare a ridere.
-Venga,
le voglio mostrare una cosa-
In
realtà sperava di distogliere l’attenzione del vegliardo dalla bottiglia di alcool,
per questo lo guidò nel suo ufficio personale.
Nessuno
entrava mai senza il suo esplicito permesso, e lui quel permesso lo dava a
pochissime persone.
Non
sapeva bene perché ma gli aveva fatto simpatia, ed il suo racconto lo aveva
portato indietro ad un tempo che avrebbe voluto vivere di persona.
Lo
fece accomodare e poi andò alla cassaforte a muro.
-Anche
io come lei sono dell’idea che certi oggetti abbiano un valore che va molto al di
là del denaro. Credo che lei sappia apprezzare una cosa come questa-
Gli
mise davanti un cofanetto in mogano, e quando l’anziano vide cosa c’era dentro
sgranò gli occhi e gli scappò un’esclamazione di sorpresa.
-Che
mi prendano tutti gli infarti che i miei parenti mi augurano! Questa è..?-
Radhamanthys
sorrise.
-Una
Sauer 38H. Era di mio nonno-
La
pistola era tenuta in condizioni perfette e lui la faceva controllare
periodicamente per assicurarsi che il meccanismo non si inceppasse. Sparava
esattamente un caricatore una volta l’anno.
Ovviamente
Radhamantys sapeva sparare con tipi di armi diverse, ma quella aveva per lui un
significato speciale.
I
suoi bisnonni erano emigrati dalle isole Fǽr Øer
alla Danimarca e poi alla Germania all’inizio del novecento, ed il loro figlio
aveva fatto carriera nella gioventù hitleriana e poi nell’esercito nonostante
fosse straniero. Si era conquistato anche lui distintivo e pistola dimostrando
il suo valore giorno per giorno.
-È
esattamente identica a quella che Hans ha lasciato a me in Sicilia. Sai quanto
vale questa pistola?-
-Lo
so-
-E
non la venderesti?-
-Mai-
-E
quella che ho io… non è che vai in giro a denunciarmi? Perché ti avverto che se
lo fai ti pelo la zucca a legnate-
Nonostante
la minaccia non gli fosse piaciuta per niente Radhamantys poteva capire
perfettamente la determinazione nel difendere certi oggetti speciali.
-Lei
si è ampiamente guadagnato il permesso di tenere quell’arma. Non credo che
molti ragazzini di tredici anni avrebbero avuto il coraggio di minacciare un
militare tedesco e di tenerlo prigioniero-
Il
vecchietto lo guardava ancora torvo e sospettoso. Era la prima volta che
Radhamantys si sentiva a disagio e alla fine fu lui ad abbassare lo sguardo.
Non
lo avrebbe mai raccontato a Minos o Aiacos.
-Tu
sei leggermente meglio della marmaglia di gente della tua età, te lo concedo. E
adesso andiamo agli affari-
-Affari?-
-Certo,
ragazzo, affari. Non sono stupido, sai? Mi hai offerto da bere tutta la serata,
questo è il tuo ufficio e questa è una pistola d’epoca che dovrebbe stare in un
museo. Cosa vuoi in cambio?-
Radhamantys
lo guardò da sopra la custodia in legno. Era evidente che non doveva scherzare,
per cui decise di giocare a carte scoperte.
-Quello
che vorrei è un’altra storia. Mi scusi, ma non ho potuto fare a meno di notare
la somiglianza tra lei ed una persona che conosco. È un italiano come lei e
diciamo che frequenta questo posto da un po' di tempo. Posso chiederle se la mia
supposizione è corretta?-
***
Now I see
the light
My darkest views have disappeared
there's a sense that
lays beyond this fate
I'll leave it
all behind
Aveva ragione! Aveva
ragione, aveva sempre avuto ragione lui! Adesso era il momento di correre a
riparare al danno prima possibile.
Doveva fare un enorme
sforzo di autocontrollo per non travolgere le persone che si accalcavano al
bordo della pista da ballo e gli impedivano di arrivare subito alla consolle
del dee jay.
Orpheé era assorbito dal suo
mondo di musica, già in cerca del prossimo brano da mandare, quando lui gli
piombò praticamente addosso.
Quello era più
importante di qualsiasi canzone.
Gli consegnò un foglio
su cui aveva annotato tutti i dettagli più importanti, tutto quello che il suo
ospite gli aveva raccontato a proposito dello “sciagurato nipote” come lo
definiva lui.
-Lavora su questo. Non
farti scoprire da nessuno e poi vieni a riferire solo a me, intesi?-
Per un attimo gli
sembrò che il ragazzo volesse aprire bocca per protestare, allora per
riportarlo all’ordine gli strinse la spalla e fece un cenno eloquente verso una
delle ballerine.
Orpheé capì all’istante ed
abbassò la testa con un “sissignore” subito inghiottito dal rimbombo della
musica.
Now I feel my
life
I'll build a new tomorrow
Caged for all this
time
finally free again
free again
***
Orpheé
era arrivato al punto di odiare tutto di quel posto. Dall’arredamento, alla
clientela e soprattutto ai suoi superiori.
L’unica
cosa che riusciva a salvarlo era la musica.
Le
richieste dei titolari sui generi musicali rasentavano l’assurdo, e nonostante
tutte le limitazioni che gli venivano imposte lui riusciva sempre a scovare
quel qualcosa di poco conosciuto ma bello.
Era
la sua salvezza e la sua garanzia di poter rimanere lì. Il motivo per restare a
tutti i costi in un ambiente che disprezzava era Andrea.
Chi
la vedeva ballare la trovava bella, e la sua aria trasognata la faceva apparire
ancora più eterea ed affascinante.
Nessuno
immaginava le corse in ospedale, gli sguardi di disapprovazione dei medici ed
il fatto che i guanti lunghi di lamé nascondessero i segni degli aghi.
Forse
lui era più sballato di lei. Non poteva farci niente: la amava e voleva
portarla via da Hades come il suo omonimo della mitologia greca aveva portato
va dall’Ade la sua Euridice.
Aveva
accettato il lavoro da dee jay come un’occasione
d’oro per poter guadagnare e mettere da parte dei soldi per portarla via da lì
e allo stesso tempo poterla controllare.
Toglierle
qualche milligrammo ogni tanto e sperare di disintossicarla in quel modo.
Era
disposto a partecipare anche lui a quel gioco folle pur di stare con lei, per
questo non si era mai tirato indietro nemmeno quando erano cominciati gli
“incarichi”.
Oltre
a fare il dee jay doveva fare piccole consegne,
passare ordini a gente che si fermava alla sua consolle con l’apparente
intenzione di richiedergli un brano musicale o trasmettere messaggi.
Gli
incarichi che gli davano erano sempre peggiori, e in ultimo quello: Radhamantys
si era permesso di coinvolgerlo in quella specie di operazione di spionaggio
per cercare informazioni su un certo Valerio Ferrara nato a Gela, in Sicilia e
che aveva studiato medicina legale a Palermo prima di trasferirsi in Grecia ad
Atene.
Scoprire
tutto ciò che quel Valerio aveva fatto da allora in poi era compito suo.
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Eh, che bello, siamo tornate! Ci scusiamo con coloro che hanno
fatto gli esami di Stato e ne avranno fin sopra i capelli della seconda guerra
mondiale ancora adesso. Tutta la storia di nonno Peppe ci ha preso la mano
mentre la progettavamo, e poi volevamo dargli un po' di carattere e non
renderlo solo il giullare di corte. E sì: ha appena messo in grossissimi guai
il suo nipotino!
E naturalmente ci scusiamo anche per l’attesa biblica, sperando
che almeno il capitolo vi risollevi un po’ l’umore.
Alla prossima, popolo!