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Autore: Violet Tyrell    30/11/2016    0 recensioni
"Cosa sappiamo di questo nostro nemico?" si affretto a chiedere il mago, prendendo posto attorno al tavolo rotondo, trovando la poltrona particolarmente invitante in quel momento per riprendere parte delle energie. Anche i tre colleghi non avevano un aspetto particolarmente ordinato, ma era anche normale. Di fronte a lui, separato solo dal tavolo, c'era proprio Salzar, il più disinteressato da quello che mostrava, ai lati erano invece sedute Helga - con ancora la veste sporca di sangue e fango - e Rowena, anche lei non al meglio. Tutti però perfettamente lucidi.
Storia a quattro mani (Violet e Lisa ) - ambientata ai tempi dei Fondatori, particolarmente incentrata sui figli di Salazar Slytherin personaggi originali) e un grosso segreto.
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I fondatori, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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prologo - i semi della grandezza
 

Prologo


Un sole tiepido filtrava attraverso le strette finestre del maniero di lord Slytherin, creando una pozza dorata ai piedi di due ragazzini, similmente bruni e pallidi con gli stessi volti rotondi e occhi del colore delle paludi che circondavano la zona. Un vecchio esemplare di Crup vagava tra i due, agitando la coda biforcuta, con la quale spazzava il pavimento di pietra; alternativamente protendeva il muso sempre in affanno, dal quale penzolava una lingua rosea, verso Bloem o verso Eskil. La ragazzina era impegnata a sfogliare alcuni rotoli di pergamena con aria annoiata; muoveva pigramente l’indice verso le parole vergate con l’inchiostro, cambiandone il colore dal classico nero al lilla o al ceruleo. Nonostante non si trattasse di un’attività chissà quanto coinvolgente, Bloem era comunque abbastanza assorta da non prestare troppa attenzione al Crup – che anni addietro Eskil aveva chiamato Buck, con orrore di sua sorella. La coda della creatura magica, così ignorata o forse per stanchezza, smorzò quindi le sue sferzate, poi il Crup tornò a rivolgersi a Eskil, che protese una mano verso il suo testone e iniziò a grattarlo dietro l’orecchio.

Le giornate trascorrevano tutte nella pressoché totale monotonia e, anche se il ragazzino sollevava il mento e spingeva lo sguardo oltre l’apertura della finestra, non riusciva a immaginare niente di interessante da fare, né all’aperto, né all’interno del castello. Lui e sua sorella conoscevano a menadito ogni stanza, ogni passaggio segreto, ogni scala a chiocciola della struttura in cui erano cresciuti e vivevano, e persino i dintorni non avevano segreti per loro. Si trattava perlopiù di paludi inospitali, dalle quali si sollevavano nugoli di zanzare e di Chizpurfle e nelle quali, secondo la leggenda, più di un Babbano aveva perso la vita, ingoiato dalla melma. Era usuale che favole e leggende sorgessero intorno a una dimora isolata e ammantata dalla fama sinistra del suo abitante principale, lord Salazar Slytherin, ma i suoi figli sapevano che spesso quelle fiabe avevano più di un fondo di verità. Avevano saputo delle vittime fatte dalla palude dallo stesso genitore, il quale non aveva nascosto che quel confine costituiva uno dei principali mezzi a difesa della loro proprietà. Come a dire che alcuni prediligevano i fossati, lord Slytherin le paludi. Naturalmente non mancavano incantesimi di protezione, e gli stessi acquitrini erano impregnati da magia antica e potente. Sembrava che ogni cosa sulla quale il fondatore di Hogwarts posasse il suo indice o il suo sguardo si coprisse di una patina traslucida, quasi invisibile agli occhi, ma percepibile con gli altri sensi.

Gli stessi Eskil e Bloem, le sue creature, portavano sulla pelle il suo sigillo: avevano gli stessi capelli scuri e occhi penetranti. Ma avevano ereditato dal padre molto più di quanto non fosse visibile allo sguardo.
Per quanto Salazar tenesse in una certa considerazione i due ragazzi, nonostante la giovane età e nonostante avessero dimostrato fin dai primi giorni di vita di avere un notevole potenziale magico, non consentiva loro ancora di seguirlo quando lasciava il castello, né forniva grandi spiegazioni su dove andasse e su cosa facesse. Più di una volta Eskil aveva provato il desiderio di seguire il padre, ma solo in un’occasione aveva tentato di balbettare una richiesta di accompagnarlo. Era bastata un’occhiata di Salazar per farlo desistere.
Per certi versi, sembrava che Bloem subisse meno l’influenza di lord Slytherin rispetto al fratello, ma anche lei provava una certa soggezione nei confronti del padre. Il signore del castello aveva disposto che dovevano restare nella loro dimora e così sarebbe stato. Negli ultimi giorni non aveva fatto che piovere, almeno ora era sorto il sole, anche se era ancora pallido. Forse avrebbe fornito loro l’occasione di aggirarsi tra le terre del padre, ma per fare cosa? Di sicuro le paludi erano gonfie a causa delle recenti piogge, il che rendeva i luoghi ancora più inospitali.
La porta della stanza in cui si trovavano Eskil e Bloem risuonò di un leggero bussare, in risposta il Crup andò ad annusare la soglia.
“Avanti” disse il ragazzino.
Un attimo dopo apparve una giovinetta con una folta zazzera di capelli rossi lunghi quasi fino alla vita e il naso spruzzato di lentiggini, che doveva avere l’età di Eskil. Alla sua vista, un lieve sorriso illuminò appena il volto del ragazzo, al quale Alyssa rispose debolmente.
“Perdonate il disturbo. Lord Slytherin è al castello e desidera vedervi.”
Bloem rispose con un distratto cenno delle dita, senza sollevare la testa dalla sua pergamena e, a quel gesto, Eskil ebbe l’impressione che una delle punte della coda del Crup avesse assunto una tinta tendente al magenta.
Alyssa viveva al castello da quando i due ragazzi ne avevano memoria, figlia di una maganò che serviva al castello, trattata al pari degli Elfi Domestici. A sentire lord Slytherin, chiunque privo di poteri magici era nato per servire gli stregoni e per Eskil quello era un ragionamento più che convincente: era nella natura stessa delle cose. La figlia data alla luce dalla maganò tuttavia possedeva quei poteri, così Salazar aveva acconsentito a che restasse al maniero, né aveva mosso troppe rimostranze quando la piccola si azzardava a giocare con i suoi figli. Naturalmente Alyssa era trattata comunque come un’inferiore e, ora che era cresciuta, lavorava al castello come servetta.
“Va bene… grazie” rispose Eskil. Alyssa chinò la testa nella sua direzione e le ciocche di folti capelli che piovvero davanti al suo viso dissimularono il suo rossore, poi sparì di nuovo oltre la porta.
I due ragazzi si alzarono, Bloem ripose la pergamena che stava leggendo e precedette il fratello dabbasso, dove il genitore li stava aspettando.
Salazar indossava un mantello da viaggio impolverato, verde bosco; scostò il cappuccio dai corti capelli scuri e scarmigliati e strinse le labbra pallide e riarse alla vista dei suoi figli.
“Padre!” lo salutarono entrambi, spiccando una rapida corsa verso di lui, ma arrestandosi prima di gettargli le braccia al collo: simili manifestazioni di affetto non lo conquistavano affatto.
Salazar concesse poche laconiche parole relative ai suoi affari, più che altro si informò su ciò che era accaduto in sua assenza. Eskil gonfiò un po’ il petto mentre lui e Bloem facevano il loro resoconto: non c’era nessun castellano che si occupasse del maniero in assenza di lord Slytherin, e lui si sentiva gratificato quando il padre si informava direttamente da loro; era la conferma che contava sui suoi figli in sua assenza.
“Devo comunicarvi una decisione” disse a un tratto Salazar con tono apparentemente casuale. “Come saprete, tra due settimane cominceranno le lezioni a Hogwarts. Quest’anno voi verrete con me.”
A quelle parole, Eskil cercò immediatamente lo sguardo di Bloem e non fu affatto stupito di trovarlo luminoso come sapeva essere anche il suo.
Finalmente, pensò.
Hogwarts era un castello che sorgeva tra le nebbie, un luogo costruito da Salazar Slytherin insieme all’altro mago e alle altre streghe più dotati dell’epoca: Godric Gryffindor, Helga Hufflepuff e Rowena Ravenclaw. Sia Eskil che Bloem avevano avuto modo di conoscerli, tutti e tre, sebbene le visite da parte loro al maniero Slytherin non fossero così frequenti. Tuttavia i ragazzini conoscevano molti dettagli della collaborazione di suo padre insieme agli altri. In particolare, quando era più piccolo, Eskil bramava farsi raccontare ogni cosa circa le avventure vissute da quei maghi, i duelli più avvincenti, le lotte con pericolose Creature Magiche. Non c’era da stupirsi che quattro potenziali magici così spiccati avessero da subito trovato delle affinità tra di loro.
I due maghi e le due streghe avevano deciso di fondare Hogwarts e di renderlo il fulcro dell’istruzione magica. Capitava spesso che, nel loro girovagare tra i regni, i Fondatori si imbattessero in giovani maghi e streghe promettenti, ma ancora rozzi nelle loro capacità magiche. Decidevano allora di istruirli loro stessi, in modo da plasmare tutto quel potenziale ancora inespresso. Era stato quando il numero dei loro allievi era aumentato così tanto da non consentire più a ognuno di loro di seguirli tutti personalmente che avevano deciso di costruire la scuola. Lì conducevano i loro allievi, che si apprestavano a ricevere un’istruzione più organizzata e completa. I Fondatori non avevano perso l’abitudine di invitare personalmente i ragazzi a seguirli quando si imbattevano in maghi e streghe dotati, e questi mostravano una fedeltà più spiccata per il Fondatore che li aveva scovati. Questi infatti tendevano a scegliere i loro allievi in base alle doti che ritenevano più importanti – il coraggio e la cavalleria per Godric, l’astuzia e l’ambizione per Salazar, la pazienza e la perseveranza Helga, l’intelligenza e la creatività Rowena -, e gli studenti tendevano a rivedersi nel proprio Capocasa. Tuttavia essi venivano divisi in classi in base alla loro maturità, e venivano istruiti da tutti e quattro i Fondatori secondo le loro specialità.
Ormai Eskil non faceva che chiedersi quando sarebbe arrivato il momento di andare a Hogwarts, ma Salazar non parlava mai dell’argomento. Certo, il fatto di essere figlio di uno dei Fondatori, nonché uno dei maghi più brillanti in circolazione, aveva i suoi vantaggi, e né Bloem, né suo fratello erano completamente sprovvisti di istruzione magica. Salazar aveva insegnato qualcosa, ma si trattava veramente di pochissime nozioni: nulla di paragonabile a ciò che i ragazzi avrebbero potuto apprendere a Hogwars. Eskil ne era convinto: era quella la via che li avrebbe condotti alla grandezza, proprio come lord Slytherin ripeteva ai suoi allievi.
Che il giovane mago sognasse in grande e aspirasse all’eccellenza non era un mistero per i suoi familiari – specialmente per sua sorella – né una sorpresa, considerato chi era suo padre. Sembrava che per Salazar nulla al di sotto dell’eccelso fosse degno di nota.
Eskil ne era abbastanza convinto nell’intimo del suo animo: prima o poi avrebbe fatto qualcosa per cui la storia lo avrebbe ricordato. Avrebbe lasciato un segno, un’impronta, qualcosa di sé che non sarebbe scomparso nonostante il trascorrere dei secoli. Salazar aveva fondato Hogwarts, costruendo il suo lascito con la pietra; suo figlio non sapeva ancora di cosa sarebbe stato capace, ma sperava – anzi no, voleva – essere all’altezza del genitore.
Con quelle brevi parole, lord Slytherin sembrò aver esaurito l’argomento. Le domande di Eskil e Bloem furono pochissime: sapevano già tutto su Hogwarts, la sua organizzazione, la durata dell’apprendimento, la suddivisione delle lezioni. I due ragazzini seppero che di lì a tre settimane sarebbero partiti alla volta del castello insieme al genitore, e tanto bastava.
Salazar li accomiatò e i due uscirono dalla stanza per lasciarlo alle sue incombenze, sempre di corsa. Bloem, di due anni più piccola di suo fratello, appariva particolarmente esuberante: non riusciva a stare ferma per più di un secondo e, una volta fuori dal campo visivo del padre, improvvisò una piccola danza. Eskil condivideva il suo entusiasmo: finalmente sarebbero usciti dalla routine del maniero Slytherin.
Mentre procedevano verso la stanza che avevano lasciato quando erano stati chiamati da Alyssa, il ragazzino si chiese come mai Buck non stesse venendo loro incontro. Era un vecchio Crup che preferiva passare il suo tempo sdraiato su un tappeto piuttosto che ad andare in giro a stanare gnomi, ma di solito quando i due fratelli erano così al settimo cielo tirava fuori la sua testa dalla cuccia.
Bloem si era già lanciata nella descrizione di ciò che avrebbe fatto una volta arrivata a Hogwarts: sembrava avere le idee già molto chiare sia sul fatto che sarebbe stato bellissimo, sia circa la loro superiorità rispetto agli altri coetanei. Così Eskil smise di preoccuparsi di Buck e si fece coinvolgere dalle fantasie della sorella. Era contento che sarebbero andati a scuola insieme; Bloem era sì poco più piccola di lui, ma i due fratelli erano davvero molto simili e avevano sostanzialmente le stesse conoscenze, inoltre Eskil non era abituato a stare lontano dalla ragazzina e non pensava che gli sarebbe piaciuto andare a Hogwarts senza di lei. Molto meglio così, in definitiva.
“Buck!” chiamò, spingendo via la porta. “Dove sei, vecchio…”
Il Crup era nella sua cuccia, il testone appoggiato su un vecchio cuscino mordicchiato. Eskil gli andò vicino, troppo contento per la novità per permettergli di sonnecchiare ancora.
Solo che Buck non stava dormendo.

Era stato il primo animale domestico di Eskil. Lo aveva trovato nella brughiera che era un ammasso di pelo bagnato e latrante. Quando lo aveva portato al castello, nessuno aveva mostrato troppo entusiasmo per la sua presenza, men che meno lord Slytherin, che tra le varie creature mostrava una certa predilezione per i rettili e nient’altro. A Eskil non era importato che con lui non potesse parlare in serpentese: aveva comunque insistito per tenerlo, ed era stata l’unica volta nella sua vita – forse – che aveva puntato i piedi per qualcosa. Alla fine Buck era rimasto. Che nome stupido, si era lamentata Bloem, ma poi anche lei si era affezionata al Crup. Non tanto quanto suo fratello, comunque.
Il naso umido e gli occhi arrossati, Eskil rimase a guardare fuori dalla finestra senza vedere realmente il paesaggio circostante, chiuso in un ostinato mutismo. Era addolorato, ma era soprattutto arrabbiato. Ce l’aveva con tutti e con nessuno in particolare, tutto ciò che sapeva era che non doveva andare così, che lui non voleva.
Ma, come gli aveva detto Salazar, il suo Crup era morto e alla morte non c’era rimedio.
Lo vedremo, pensò il ragazzino sollevando improvvisamente la testa.
Un lascito, un’impronta di sé, un motivo per essere ricordato. Eskil aveva appena deciso che avrebbe imparato come sconfiggere la morte.



Angolo Autrici -

Un salutone da me e Lisa (autrice del banner, per altro u.u) che vi proponiamo questa nuova storia. Ci abbiamo lavorato sopra parecchio e speriamo vi possa interessare: trattandosi di un'epoca di cui si conosce poco, molte cose saranno elaborae secondo il nostro gusto e cercando di non uscire troppo dal canon.
I due figli di Salazar sono inventati da noi e speriamo che possano in qualche modo interessarvi ^__^ se avete tempo e voglia fateci sapere, grazie per avere letto intanto :D

 

   
 
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