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Autore: misslittlesun95    01/12/2016    1 recensioni
Antefatto: il brano è immaginato come missing moment di un gioco di ruolo che faccio online nel quale tempo fa uccisi il mio personaggio, Sabina.
Pochi giorni dopo morì (per finta, ma è un'altra storia) un altro pg, suo amico.
Il racconto è quello di un viaggio in treno del marito di Sabina, Francesco, che si muove per andare al funerale di questa terza persona ma non può fare a meno di pensare a ciò che ha perso.
Genere: Angst, Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Antefatto: il brano è immaginato come missing moment di un gioco di ruolo che faccio online nel quale tempo fa uccisi il mio personaggio, Sabina.
Pochi giorni dopo morì (per finta, ma è un'altra storia) un altro pg, suo amico.
Il racconto è quello di un viaggio in treno del marito di Sabina, Francesco, che si muove per andare al funerale di questa terza persona ma non può fare a meno di pensare a ciò che ha perso.


Per il tuo lungo viaggio


Fine febbraio, freccia bianca Roma-Trieste.
Al mio amore, per il suo lungo viaggio

Vorrei stare seduto al tuo fianco ora, mentre con gli occhi tristi mi guardi pensando al funerale a cui ci staremmo recando.
Forse anche se fossi viva sarei solo; stavi male, sedici ore di viaggio in due giorni sarebbero state troppo, i tuoi pochi globuli rossi ti avrebbero stancata, le tue poche piastrine avrebbero reso ogni graffio uno spavento, la tua mancanza di anticorpi ogni starnuto un motivo per tremare.
Che poi mi hai lasciato proprio così, hai starnutito, hai tossito, hai tremato per la febbre, hai smesso di respirare.
Di colpo.
Senza dirmi ciao, senza dirmi addio.
Senza baciare un'ultima volta i tuoi bambini, senza rassicurare tuo padre.
Ti avevamo portato a casa in attesa, attesa del ricovero che serviva a prepararti al trapianto che ti avrebbe ridato la tua vita, che ci avrebbe ridato la nostra vita, e invece il tuo ultimo ricovero ha posto fine ai tuoi giorni e si è portato via tutta la mia felicità.
Tanti anni fa mi avevi chiesto, in un giorno freddo di Gennaio in cui per caso ci trovavamo al nord, di prendere un treno e andare a Genova.
Mi avevi detto che non facevi mai queste pazzie, ma che volevi lasciare un fiore sulla lapide che commemorava un operaio morto ammazzato nel '79, prima ancora che noi nascessimo.
“Non so molto di questa storia”, avevi confessato “ma sua figlia si chiama Sabina, per questo me ne sono interessata. Sarà futile, ma forse, se avessi avuto un altro nome, non l'avrei neanche mai scoperto.” Io non avevo commentato in nessun modo, ti avevo seguita su quel treno e poi perle vie di Genova, esattamente come una settimana fa avrei voluto seguirti in quel “dopo” che forse neanche esiste.
Sul treno di ritorno, quel giorno, mi avevi parlato della cosa che più ti angosciava di quell'omicidio e di tutti gli omicidi in generale.
“Pensati, seduto una sera a cena con la tua famiglia; sei in mezzo alla settimana, pensi a cosa fare nel weekend, pensi al lavoro. Organizzi, progetti, controlli il frigo per vedere se c'è cibo o dovrai fare la spera. E poi tac. Più niente, neanche dodici ore e non ci sei più. E non c'è più il lavoro, il weekend, il frigo, il cibo. C'è solo chi rimane, c'è solo il vuoto.” Ti avevo detto che sì, era angosciante, ma non dovevi pensarci troppo.
Quando ti sei ammalata mi è venuto in mente quel discorso, perché due giorni prima ridevamo e scherzavamo, due giorni dopo arrivava quella diagnosi maledetta.
Subito dopo, però, il mio approccio all'idea di morte è cambiato; per me saresti guarita sicuro, pensare di vederti andare via mi massacrava, ma quando ci pensavo – perché poi tu stavi male e io avevo paura- immaginavo lunghi abbracci nel tuo letto, il tuo sorriso che si spegneva, una sensazione di impotenza assurda e terribile unita alla consapevolezza che stava finendo tutto, una consapevolezza che i morti di omicidio o di incidente non hanno.
E invece la vita, bastarda, ha capovolto tutto, ha peggiorato le tue condizioni di colpo, proprio mentre speravamo in un lieto fine, ti ha resa pari a chi il giorno prima programmava la sua vita e il giorno dopo non viveva più.
Come mi manchi, amore.

Come manchi ai tuoi figli, che hanno i tuoi occhi e le tue labbra, ma non li usano più per esprimere quella gioia che gli trasmettevi.
Non sono con me neanche loro, oggi.
Sono tra le braccia di tuo papà di tuo fratello, di tua cognata.
Sono chiusi tra i ricordi, tra ciò che resta.
Cosa resta, però? I tuoi abiti, il tuo profumo, i tuoi libri.
Cosa è andato via? I tuoi baci, i tuoi abbracci, la tua voce.
E il resto? Che ne è stato dei tuoi pensieri, delle tue parole, del tuo amore per noi? Forse è questo il grande mistero della morte; ciò che è oggetto resta, ciò che è fisico muore, ciò che è pensiero non lo sapremo mai.
Non riesco a credere a tutte quelle palle dette al tuo funerale da chi crede in Dio; “È con voi”, “È in cielo”.
Tua figlia Iris ha imparato tre mesi fa che quando disegna il cielo non deve fare una linea azzurra in alto ma sfumare lo steso colore per tutto il foglio, come se fosse cielo tutto ciò che non è terra.
Ma non sei lì, non sei là dove non si tocca per terra, non ci credo.
Non sei e basta, ecco il dramma.
Non esiste più il tuo amore, esiste soltanto il nostro amore per te.
Vale abbastanza? Non lo saprò mai, non me lo dirai mai.
Prima di partire ho preso il tuo iPod, perché per quanto potessi non essere materialista io solo quello ho di te, solo gli oggetti, i frutti di una vita passata a guadagnare per spendere, a lavorare per vivere.
La riproduzione casuale racconta più cose di tutte quelle che non potrei dire di te, e quando ogni tanto passano le canzoni per bambini provo a ricordarti in viaggio coi tuoi figli mentre gliele fai ascoltare.
Sono stati il tuo ultimo pensiero? L'ultima immagine davanti ai tuoi occhi? Mi sono convinto di sì per dire loro che li hai amati fino alla fine, per convincerli che finché sei stata qualcuno sei stata la loro mamma, per rassicurarli quanto posso, anche se hanno ormai perso il centro di ogni sicurezza.
Questo treno, intanto, corre.
Corre verso un altro funerale, un'altra vita spenta.
Chissà se qualche cattolico dirà che vi siete rincontrati.
Il treno è una bella metafora della vita; c'è chi sale, chi scende, a volte si rallenta, a volte si è più veloci.
Però al capolinea del treno qualcosa c'è quando arrivi alla fermata finale qualcosa trovi, nella vita no.
Anche la canzone che sto ascoltando ora parla -anche- di un treno.

È Ninnananna dei Modena, parla di qualcuno lontano, e dice “Forse ti stai cullando al suono di un treno” e magari è vero, ti culla il rumore dei treni delle nostre vite che continuano tra stazioni, rallentamenti, fermate che non sono le nostre.
Forse, se c'è qualcosa dopo, se sei qualcosa ora.
Poi però dice anche
se sei persa in qualche fredda terra straniera ti mando una ninnananna per sentirti più vicina.”
C'è un film che non conosco e non ho mai visto che si chiama
"Il passato è una terra straniera” e magari lo è anche la morte.
Inesplorata, lontana, incomprensibile per noi che non vi ci possiamo avvicinare.
Farò finta di crederci, finché questa canzone non termina.
Farò finta di credere che sei lontana, in questa terra così distante, così aliena per me non vi ci cammino.
Farò finta che tu sia in viaggio, proprio come me.
E allora queste parole a caso su un foglio bianco saranno un po' una dedica per il tuo lungo viaggio.
Se ci sei, se esiste, se esisti, un senso alle emozioni che riverso su carta lo troverai sicuro, come trovavi un senso a ogni cosa che facessi per te, per noi.
Insieme a questi spero ti arrivi, se ci sei, se esisti, questa canzone.
Ma la ninnananna non tenerla per sentirti vicina me, per quello basteranno le mie parole insensate su questa pagina.
Rimandala indietro, dai tuoi figli.
Saranno un canto da una terra lontana, saranno un canto per sentirti più vicina.
E fai buon viaggio, e arriva presto.
Che un giorno scenderò dal treno, e dovrai essere in stazione ad attendermi.



   
 
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