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Autore: R e d_V a m p i r e     01/12/2016    1 recensioni
[Cinque incontri + uno per la nascita di una strana amicizia che si evolve nel tempo e nella lontananza, diventando pian piano qualcosa di più. Perché alle volte non serve vedersi tutti i giorni per sapere di tenere a qualcuno || Pitchuri(o)]
Yuri non ha la più pallida idea di chi sia Phichit Chulanont. Per la verità non riuscirebbe neppure a pronunciare correttamente il suo nome, figurarsi ricordare la sua faccia.
E' vero, lo ha visto in televisione durante le qualificazioni per la Coppa Cina, ma era troppo occupato a seguire maniacalmente l'altro Yuri e i suoi programmi per far caso al thailandese. O chiunque degli altri inetti sfidanti in generale, a dirla tutta.
Così quando se lo ritrova davanti tutto occhi scuri brillanti e un grosso sorrisone, che agita il suo cellulare con un'assurda cover a tema di piccoli criceti cartoonizzati chiedendo di fare una foto insieme, si limita a scoccargli una delle sue celebri occhiatacce e smorfiare.
«Non ho tempo per le foto o gli autografi»
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Phichit Chulanont, Yuri Plisetsky
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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« Shall we skate? - Agape Rhapsody








«Ancora una volta!»
La voce rimbomba secca per il palazzetto che, se non fosse per l'uomo e il bambino, sarebbe altrimenti vuoto.
Gli occhi di un brillante azzurro, che stridono con il taglio tipicamente allungato degli orientali ma al contempo lo rendono affascinante da guardare, del piccolo piegato in avanti sulla pista ammiccano privi della fatica che il suo corpo minuto invece dimostra con il fiatone e le gote arrossate; è perfettamente in bilico sulle lame dei pattini bianchi nonostante non paia avere che sette/otto anni scarsi e con quegli arruffati capelli neri sembri più un pulcino spelacchiato che un pattinatore.
Ad ogni modo la cosa non sembra suscitare alcuna tenerezza nel bel viso altero di chi è, invece, fermo dietro il muretto che delimita la pista con le braccia severamente incrociate al torace ampio fasciato da un'aderente polo nera a collo alto che stringe bene sui fianchi sottili e termina poco sopra la cinta chiara che regge i jeans di denim scuro. Ha gambe lunghe e forti, di chi le ha usate nello sport per tutta la vita, ma la sua figura mantiene un che di delicato nei lineamenti gentili del viso nascosto in parte dalle lunghe ciocche bionde che sfuggono dalla coda bassa in cui ha costretto dei capelli che arrivano poco sopra i fianchi. E' più che chiaro che si sforzi notevolmente di cancellare anche quella traccia di dolcezza dietro un'espressione accigliata, le labbra premute fra di loro mentre segue con lo sguardo il bimbo riprendere a pattinare in circolo e prepararsi a provare nuovamente il triplo toe-loop che prima aveva mancato per un soffio.
«Rimani concentrato. Se lo sbagli un'altra volta non avrai i piroshky che ti ho portato»
«Ma-»
«Concentrato!» abbaia di nuovo quello, piegandosi leggermente in avanti, gli occhi verde azzurri che luccicano per un istante di irritazione nel continuare a guardare il piccolo pattinatore.
Il bimbo gonfia le guance e poi quando si sente sicuro spicca il salto, concentrandosi sulla rotazione come gli è stato detto - ordinato - di fare.
Quando torna a toccare terra coi pattini un grosso sorriso brillante si apre sul visetto e solleva le braccia sopra la testa facendo segno di vittoria con entrambe le mani, esultante «Visto? Visto?! Ci sono riuscito!»
Il giovane uomo sospira, scuotendo leggermente il capo, le labbra che fremono appena e l'espressione che si fa ancor più arcigna.
«Hai aspettato troppo per saltare. Devi stare più - oh, ouch. Ok, ok» barcolla, spalancando le braccia, quando si ritrova ingabbiato dalla morsa del nanerottolo che ha ben pensato di fiondarsi su di lui a tutta velocità per abbracciargli i fianchi con una risata. E' tutto suo padre, quel moccioso. «Sei stato bravo.»
Il bambino sorride, strofinando il viso contro lo stomaco dell'adulto, sicuro che anche lui si sia tolto quella faccia da antipatico e stia sorridendo. Lo fa raramente ma sa che è capacissimo di riuscirci. Semplicemente... com'è che dice otets? Qualcosa come ''ha una parte da portare avanti, ne risentirebbe la sua dignità''. Non che comprenda cosa voglia dire, ma suppone che lo faccia soltanto perché altrimenti gli altri lo prenderebbero in giro.
«Quindi ora me li dai i piroshky, dyadya?» chiede, con la sua migliore combo 'voce e occhioni da cucciolo' stile Gatto con gli Stivali.
Il biondo finge di pensarci su, cogliendo con la coda dell'occhio le guanciotte del nipotino gonfiarsi per l'ennesima volta, ma alla fine gli scocca un lieve sorriso e gli scompiglia i capelli facendogli un cenno con il capo ad indicare gli spogliatoi «Vai a cambiarti. Sono nel mio borsone... ma-» lo richiama, vedendolo precipitarsi quasi senza neanche togliersi i pattini «-non più di due. Mi raccomando»

«Stai cercando di rubarmi l'allievo?»
Le spalle del russo si irrigidiscono instantaneamente, mero riflesso residuo di irritazione che negli anni non è andato via, per poi rilassarsi quando voltandosi si ritrova a ricambiare lo sguardo di chi gli ha rivolto la parola.
Nota sempre con piacere come sia rimasto più basso di lui, che con lo sviluppo ha raggiunto il tanto sospirato metro e ottanta nonostante le infauste previsioni, cosa che gli permette di rivolgergli un sorrisetto arrogante mentre infila le mani nelle tasche e fa spallucce.
«E' lui che me lo chiede. Si vede che il suo coach non è poi così bravo»
Il più grande alza gli occhi castani al cielo - non porta più gli occhiali da tempo, optando per le lentine - per poi scuotere il capo e sorridere rassegnato. Non cambierà mai, quel tipo, per quanto tempo possa passare.
«Semplicemente perché sei il suo idolo Yurio. E ti vede, se tutto va bene, tre volte l'anno»
Il russo non sa se incazzarsi per il soprannome che continuano tutti ad usare - anche se, deve ammettere, ormai è da tempo che non gli dà più veramente fastidio - o per l'accusa neanche troppo velata che il trentaquattrenne gli rivolge. Oppure sentirsi lusingato per il fatto che quel pidocchietto lo consideri il suo idolo.
Alla fine opta un po' per tutte e tre.
«Scusami se vivo dall'altra parte del mondo e ho ancora una carriera, io»
Il moro sbuffa, inarcando un sopracciglio e piazzandosi le mani ai fianchi «Vivi in America, non al Polo Sud. E anch'io ho una carriera. Alleno ragazzi perché seguano i loro sogni, proprio come abbiamo fatto noi.»
Un cenno infastidito con la mano da parte del biondo dichiara chiusa, almeno per quanto lo riguarda, la discussione. Nonostante tutto, però, si avvicina all'altro fino ad affiancarglisi ed arricciare leggermente il naso.
«Non è che sia veramente suo zio, Katsuki»
Il giapponese sorride, dandogli una lieve pacca su una spalla incurante dell'espressione cupa che provoca nel vecchio nemico il gesto «Nao ti considera suo zio e perciò lo sei. Questo basta... e non fare il musone, su. Tanto lo so che gli vuoi bene anche tu»
«Papà!»
Yuri si volta, guardando divertito il figlio corrergli incontro con la bocca sporca di briciole ed uno di quei panini russi che tanto gli piacciono stretti in un pugno. Fortunatamente in quanto a costituzione sembra essere più affine al suo padre adottivo che non a lui, altrimenti con tutto quello che mangia a quell'ora sarebbe stato una palla - adorabile, ma pur sempre una palla.
«Sai che sono riuscito a fare il triplo toe-loop?» gli chiede, con la bocca piena, una volta fra le sue braccia.
«Ah sì?» il genitore scocca un'occhiata saputa al russo che, per tutta risposta, distoglie lo sguardo e finge di essere assolutamente interessato al proprio cellulare.
Perlomeno fino a quando a quello - che ha sempre la solita cover leopardata da dieci anni a quella parte - non si illumina lo schermo ed, in contemporanea, anche lo sguardo e l'intera espressione del venticinquenne sembrano farlo nel notare il destinatario del messaggio prima ancora che leggerlo.
Katsuki si sposta il figlio sul braccio opposto, guardandolo con aria curiosa salvo poi capire e sorridere dolcemente «E' arrivato?»
«Uhm uhm»
«Allora vi aspettiamo a casa!» si ritrova ad urlare alla schiena di Plisetsky, la mano vicina alla bocca per farsi sentire. Ma, ovviamente, quello è già corso fuori come una saetta.



L'aeroporto di Hasetsu è sempre un caos, durante le vacanze. Solitamente la cittadina è tranquilla ma nelle festività sembra che tutti si ricordino improvvisamente di dover tornare all'ovile anche solo per un paio di giorni.
Yuri c'è abituato, sarebbe strano il contrario dato il lavoro che fa, ma questo non significa che ami la confusione ed il dover farsi largo a spallate per poter raggiungere gli arrivi.
Fortunatamente è abbastanza alto da non dover uccidere nessuno per poter guardare oltre il cordone umano, cercando con lo sguardo finché una familiare chioma castana non appare in cima alle scale mobili insieme alla pelle brunita del suo proprietario ed un paio di stanchi occhi nocciola impegnati a leggere qualcosa sul suo cellulare - che, come il suo, ha ancora la cover a tema di criceti di quando si sono conosciuti; probabilmente starà postando su instagram qualche foto, quella è un'abitudine che non è riuscito a togliersi neppure ora che di anni ne ha trenta e non è certo più un ragazzino.
Ma il ventenne d'allora torna, quando alzando lo sguardo incontra quello del russo. In quel preciso istante sembra che la stachezza scivoli via dal viso, lavata con un colpo di spugna, e gli occhi prendono a brillare di pura gioia tanto da non trovare neppure strano come non aspetti che le scale facciano il loro dovere ma si precipiti a scendere da sé trascinandosi dietro il trolley e suscitando l'ilarità e lo sconcerto fra quanti aspettano e gli altri passeggeri del suo stesso volo.
«Devi sempre dare spettacolo?» sbotta Yuri, una volta che finalmente sono faccia a faccia - beh, più o meno. Il thailandese è sempre più basso di lui di una decina di centimetri. Ma sono dettagli, in realtà. Tutto è sempre stato solo un dettaglio trascurabile in fin dei conti; ci sono arrivati, c'è arrivato, tardi ma per fortuna lo ha capito.
Il più grande fa spallucce, con aria apparentemente angelica, mollando la valigia unicamente per gettargli le braccia al collo e coinvolgerlo in un bacio che spezza il respiro ad entrambi. Sono stati lontani per quasi due settimane, con Phichit a Ginevra con il suo team, ma sono sembrati due mesi.
Plisetsky non esita più, ormai, nel ricambiare l'abbraccio avvolgendogli le spalle e rispondere al bacio ad occhi chiusi. Appoggiando ancora una, due volte, la bocca sulla sua compagna anche quando il fiatone impedisce loro di continuare a salutarsi in un modo tanto piacevole.
«Mi hai sposato per questo» ridacchia Chulanont, accarezzandogli il viso con la mano su cui brilla la fede d'oro bianco da ormai due anni e mezzo prima che venga coperta dalla gemella del marito che fa mostra dell'identico cerchietto all'anulare. Riscalda sempre il cuore guardare quei piccoli pezzi di metallo e pensare cos'hanno costruito. Dove, nonostante tutto, siano arrivati. Insieme.
«E io che pensavo di averlo fatto per evitarmi un'altra dichiarazione in diretta internazionale...»
Si guardano in silenzio per qualche istante, poi scoppiano a ridere. Ormai parlare di quel disastro che è stato lo Skate America di otto anni prima non è più brutto per nessuno dei due. Anche perché, dopotutto, così male poi non è andata; alla fine non lo ha pur sempre aspettato, fuori nei corridoi del palaghiaccio, sicuro di essere raggiunto soltanto per stampare una bella cinquina sul viso di quell'idiota thailandese e poi baciarlo per fargli capire quale fosse la sua risposta?
«Lo hai fatto perché mi ami» lo ribecca quello, spintonandolo leggermente, divertito dalla sua aria non proprio convinta.
«Hm...»
«E perché io amo te» aggiunge poi, con semplicità, intrecciando le dita della mano libera con le sue. Discretamente, senza prenderla davvero, come di loro consuetudine.
«Smettila di dar fiato alla bocca e muoviamoci. I Nikiforov ci aspettano e non so quanto riuscirei a sopportare le battutine di quel deficiente di Victor senza aver bevuto nulla prima... poi mi spieghi perché ci siamo fatti incastrare anche questo Natale.»



«Ehi»
«Uhm?»
Phichit volta appena il viso, senza distoglierlo dalla strada, mentre scala la marcia e mette la freccia per svoltare; a Yuri non è mai piaciuto più di tanto guidare, così di solito è lui a prendersi l'onere soprattutto se il marito è stato costretto a farlo per forza di cose prima.
Ma il giovane uomo biondo non ha aperto neppure gli occhi, continua a tenere il capo riverso contro il finestrino e apparentemente sonnecchiare con le braccia incrociate al petto. Solo lui lo sa come fa ad essere comodo in quella posizione.
«Ho visto le foto dell'allenamento di Naoki...»
«Ahhn?» finalmente il russo apre un occhio, guardandolo accigliato. Com'è possibile se erano solo...
...Yuri. Quel dannato maiale giapponese. Allora era lì da tutto l'inizio.
Un sospiro è l'unica cosa che risponde il thailandese, mordicchiandosi poi il labbro inferiore con un accenno di nervosismo.
«Ecco... pensavo...»
«Sai farlo?»
Un'occhiataccia e Yuri alza entrambe le mani al petto, in segno di resa, invitandolo ad andare avanti.
Peccato che quello esiti.
«Andiamo, mudak. Non abbiamo tutto il giorno e stiamo arrivando» gli fa notare, con un tono un po' più dolce. Evidentemente è una cosa che vuole che gli altri non sappiano se non ha aspettato di arrivare a casa di quei due per parlargliene. O provare a farlo, visto che sembra davvero combattuto.
Alla fine Phichit prende un bel respiro, rallentando e poi fermando la macchina. Le terme della famiglia Katsuki sono a qualche metro da loro e già si possono sentire gli schiamazzi allegri, nonostante abbiano i finestrini aperti; non mancherà molto prima che qualcuno si accorga di loro.
«Mi... mi piacerebbe se la nostra famiglia si allargasse. Cioè, ne sarei davvero davvero felice»
Il biondo rimane in silenzio a guardare la strada, intrecciando le dita fra le gambe. Non dice nulla per svariati istanti e neppure la sua espressione suggerisce cosa gli passi al momento per la testa.
«Parli di un bambino?» si informa soltanto, alla fine.
Chulanont annuisce, lentamente, ma è già pronto a ritrattare tutto. Solo che si trova a sgranare gli occhi, sorpreso, perché suo marito ha appoggiato la testa sulla sua spalla e chiuso gli occhi - ed è... è strano. In ogni caso non la reazione che si aspettava.
«Voglio ricorrere all'adozione, però. Non come quei due*» non è mai stato troppo d'accordo sulla scelta che hanno preso gli altri due coniugi, ma suppone che a casa sua ognuno possa fare come meglio crede.
L'ex pattinatore thailandese però neanche ci pensa a certe cose. Non può credere alle sue orecchie e la gioia è tanta da rivolgere un timido sguardo stordito al suo compagno.
«E' un sì?»
Yuri riapre gli occhi, guardandolo con l'amore e la dolcezza che di solito non dimostra. Non agli occhi degli altri, perché per loro non è mai stato necessario essere come tutte le altre coppie per dimostrarsi qualcosa. Per sapere quanto l'uno tenga all'altro e sia importante, e prezioso, ciò che hanno coltivato in quegli anni.
«E' un sì»

Ogni loro incontro è sempre stato, del resto, qualcosa per cui valerne la pena.




N.d.a - Otets = papà ; Dyadya= zio ; * = si riferisce al fatto che Victor e Yuri abbiano ricorso all'utero in affitto. Naoki ha sette anni ed è figlio biologico di Yuri e di un'anonima madre surrogata (con gli occhi azzurri, così che potesse assomigliare pure a Victor)

Ok, fatte le dovute precisazioni sul capitolo... eccoci arrivati alla fine. Spero di non aver deluso nessuno e di essermi fatta perdonare per quello precedente - ammetto di aver pensato ad un finale alternativo, ma l'happy ending era d'obbligo
o qualcuno mi avrebbe ucciso. Sono felice di aver portato a termine questo piccolo progetto ed ancor di più di aver fatto conoscere quest'improbabile ma adorabile coppia ed averla fatta amare da qualcun altro ("Phitchuri(o) is love. Phitchuri(o) is life"). Ringrazio di cuore chiunque mi abbia seguito e supportato, e un ringraziamento speciale va a Elena_17 e martinasorrentino per i dolcissimi commenti al precedente capitolo (Grazie ragazze, siete troppo buone. Io non sono chissà che, anche se mi impegno e fa piacere che venga apprezzato. Così come sono felicissima che vi sia piaciuto e che abbiate amato come me la coppia! Spero che questo +1 sia stato una bella - degna - conclusione). E niente, al solito ringrazio in anticipo chi leggerà e chi vorrà lasciarmi due parole.
Qualcuno mi ha chiesto una lemon su questi due... e chissà.
Quindi, alla prossima? Massì. See ya!

Piccolo edit: il bannerino su, creato appositamente per questo capitolo e per la fine della raccolta, è opera mia. Così, giusto per dirlo (?)
   
 
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