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Autore: Agapanto Blu    01/12/2016    10 recensioni
Ricorda di esserseli sempre tagliati da solo, da lì in poi; di averli sempre tenuti corti, così corti, perché non fossero più un appiglio, un guinzaglio per tirarlo in ginocchio un’altra volta.
Quindi sì, è solo un centimetro, ma è abbastanza perché suo padre lo afferri di nuovo.

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Da un flashback inaspettato di un brutto ricordo, Viktor inizia a pensare a cosa possa succedere tra lui e Yuuri ora che la loro relazione ha preso una piega così definita, ma il Grand Prix che si avvicina, lo stress di essere di nuovo in Russia per la Rostelecom Cup e poi anche Makkachin gli pesano addosso fino a schiacciarlo.
Non vuole tornare indietro.
***
[Temporalmente tra la fine dell'episodio 8 e la fine del 9 - Viktor's POV - Menzione di Omofobia e Abusi su minore]
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hiroko Katsuki, Victor Nikiforov, Yuuri Katsuki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'La densità del sangue'
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Un centimetro è troppo

 

È solo un centimetro. 

Se lo ripete mentre forza le labbra in una piega sottile, un sorriso appena accennato così da non risultare forzato; e mentre inforca gli occhiali da sole ed è notte, Viktor. Mentre si mette la giacca, mentre paga il caffè, mentre sorride a giornalisti che vorrebbe solo insultare; mentre indica Yurio, mentre cena con Yuuri, mentre tornano in camera.

È solo un centimetro.

“Viktor?”

Si volta, e il sorriso sulle sue labbra questa volta è reale. Yuuri lo guarda da nascosto dietro le lenti degli occhiali, una lieve tinta rosa sulle guance e il collo, mentre giocherella con la zip della sua giacca per nascondere il modo in cui i suoi occhi scappano al letto matrimoniale giusto alla loro sinistra. Dopo il bacio alla Coppa di Cina, condividere la stanza nell’hotel che li ospita per la durata della Rostelecom Cup avrebbe dovuto essere niente, specialmente con la loro risoluzione a non nascondersi di fronte alle leggi locali, ma a Yuuri piaceva pensare troppo e perdersi in lunghi viaggi mentali dove lui sbagliava tutto e Viktor finiva per andarsene.

“Come se potessi, Yuuri,” gli aveva risposto Viktor la prima volta, lasciandogli un bacio gentile sulla tempia che gli aveva attirato addosso per un attimo gli occhi del loro autista. “Devi ancora pagarmi per il servizio da coach, no?” Yuuri gli aveva tirato un pugno sul petto, ma aveva riso, rassicurato dal modo in cui le loro mani si erano intrecciate e dal solletico di ribelli capelli grigi contro la sua guancia.

Adesso, Viktor si piega in avanti a ruba un bacio, sorridendo un po’ malignamente quando la bocca di Yuuri insegue la sua appena prova a ritrarsi. “Hai una gara, domani,” ricorda, ma la sua voce è bassa, tentatrice, e Yuuri si arrende con un mezzo grugnito e mezzo lamento, senza nemmeno provare ad opporre resistenza.

“Sei tremendo,” si lamenta mentre Viktor si porta in avanti, gli cinge la vita con le braccia e seppellisce in viso nel lato del suo collo, correndo dritto alla giugulare per morderla appena. “Non è così che si comporta un allenatore responsabile.”

Ormai, Viktor ha visto abbastanza da sapere che Yuuri è tutto meno che l’innocente agnellino che sembra con i capelli scarmigliati e i grossi occhiali sul naso, perciò sfila questi ultimi delicatamente e li posa sulla cassapanca ai piedi del letto prima di infilare le mani tra le ciocche corvine per spostarle indietro, liberando la fronte.

Gli occhi castani di Yuuri lo guardano con un misto di curiosità e malizia adesso. Viktor potrebbe giurare che quegli occhiali sono, come direbbe Yurio, un buon ottanta percento dell’autocontrollo di Yuuri. Senza di essi, il pattinatore non esita a spingere con i fianchi contro i suoi, mandandolo indietro di un paio di passi fino a cadere seduto sul letto.

“Quando mai sono stato responsabile?” Viktor si sforza di dire, un sorriso sulle labbra che minaccia di lasciare posto ad un’espressione oscena nel vero istante in cui Yuuri gli afferra una spalla e lo spedisce a sdraiarsi sulla schiena.

Finge indifferenza nel tirarsi più in su, così che metà delle sue gambe non resti piegata fuori dal materasso, ma la maschera diventa pesante quando il corpo dell’altro gli appare sopra a gattoni, una gentile gabbia di carne racchiusa in una stupida tuta da ginnastica che Viktor progetta di bruciare, insieme con una certa cravatta. A dire il vero, ha un’intera lista di vestiti di Yuuri che vorrebbe — dovrebbe — fare sparire e se la ripete mentalmente per non iniziare a gemere vergognosamente per la sola sensazione della bocca dell’altro sul suo petto, al docile inseguimento delle dita che gli stanno sbottonando la camicia.

“In effetti,” Yuuri soffia contro il suo stomaco, e Viktor fatica a ricordarsi di cosa stessero parlando. “Dovresti prenderti meglio cura del tuo pattinatore,—” La lingua gioca nel suo ombelico prima di scendere. La sua cintura e la zip dei pantaloni tintinnano mentre questi vengono sfilati, con poco riguardo per il nome cucito sull’etichetta, “—prestargli più attenzione.

Viktor ride, a dispetto del viso che gli si strofina contro i boxer, ma è una risata ricca e affettuosa, con una nota profonda di desiderio ed eccitazione giusto alla fine. “Ancora di più?,” chiede, una mano che afferra le lenzuola e l’altra che scivola giù, tra le ciocche nere che decisamente non sono sue. “Non te ne presto già abbastanza?”

Yuuri si raddrizza quasi di scatto. In un attimo la sua fronte preme contro quella dell’altro e i suoi occhi sono tutto il mondo di Viktor. Il gesto è familiare e fa sorridere un po’ il russo. “No,—” dice, “—la voglio tutta. Voglio che guardi solo me.”

Viktor geme questa volta. Un po’ per le parole e un po’ per la mano che gli sta abbassando i boxer. Non si è nemmeno preoccupato di svestirlo del tutto, ha ancora i pantaloni e ora anche l’intimo alle caviglie, ma non sembra che il moro abbia alcuna intenzione di permettergli di finire di spogliarsi. Di suo, Yuuri è ancora completamente vestito e il solo pensiero di come devono apparire, lui disfatto e con un’erezione nascente sotto le mani del suo pattinatore con la stessa gelida aura del ghiaccio su cui compete, lo fa arrossire e irrigidire ancora di più.

Un brivido di piacere gli parte dal cervello per correre all’inguine e gli fa inarcare la schiena. Il misto di vergogna ed eccitazione è un qualcosa che non aveva mai osato provare prima di incontrare Yuuri, ma questi ora glielo riserva senza esitazione, conducendolo con la mano ferma di Eros e tutto l’amore di On Ice.

Yuuri lo conosce e si avventa sulla sua bocca, mordendo le labbra soffici e umide con appena un po’ troppa forza, giusto abbastanza da far arricciare le dita dei piedi di Viktor, da farlo sobbalzare per un secondo. Il corpo del coach è perfetto sotto le sue gambe aperte e quando nel movimento preme il ventre contro il suo cavallo dei pantaloni, il moro deve tirarsi indietro.

Gli occhi di Viktor brillano della consapevolezza del potere che, anche in questa situazione, anche con i loro ruoli già stabiliti per la scena, anche nel loro gioco, ha ancora sull’altro.

Con un briciolo di stizza e un po’ di esasperazione, Yuuri abbandona la sua erezione, scatenando un mugolio di protesta, e invece porta la mano già umida di fluidi pre orgasmo alla frangia di Viktor.

Strattona le ciocche senza troppa forza, solo abbastanza da sollevare il volto dell’altro verso l’alto, ma il sorriso svanisce immediatamente dalle labbra del biondo.

È solo un centimetro!

Viktor grida "No".

 

***

 

Ricorda il dolore alla cute come migliaia di spilli premuti nella pelle della sua testa, come fulmini che gli attaccano il cervello.

Ricorda il dolore alle mani come le sue unghie che si spezzano contro le nocche callose, il giubbotto di pelle pesante, il muro di rifiuto; come il sangue che cola sulle sue dita e le rende scivolose e incapaci di aggrapparsi a niente se non il bordo del tavolo della cucina mentre viene spinto giù, giù, più giù, in ginocchio sul pavimento.

Ricorda il dolore al petto come la paura folle del riflesso di luce sulle forbici, della voce tonante di suo padre che gli urla contro vieni qui vieni qui vieni qui subito ho detto obbediscimi! e come l’odore secco della vodka mescolato all’alito pesante di un lavoratore che prima di tornare a casa ha pensato di fermarsi a bere con i colleghi.

Ricorda il tradimento come gli occhi di sua madre che non guardano lui, ma le scale verso il piano di sopra, là dove dorme suo fratello che invece è la speranza della loro famiglia, lui che è all’Università di legge, lui che sarà un brillante avvocato, lui che non perde tempo con degli stupidi pattini a vincere stupidi premi a livello mondiale che fanno solo montare la rabbia di suo padre.

Ricorda la vergogna e il senso di colpa non come le ciocche argentee che cadevano tutto intorno a lui, schegge di un’aureola dipinta sul pavimento scuro di casa sua, né come lo sguardo di Yakov il giorno dopo quando lo ha visto arrivare alla pista con i capelli corti, un nuovo look hai visto? sono troppo grande per puntare sull’androgino ormai; ma le ricorda, invece, come i singhiozzi soffocati in gola, come la lingua stretta tra i denti per non attirare suo fratello e come il collo rigido nel tentativo di non fare un movimento sbagliato che avrebbe potuto sfregiargli il volto. Le ricorda come la sua stessa inerzia mentre piangeva in silenzio e si lasciava tagliare i capelli da suo padre ubriaco.

Non si era nemmeno degnato di finire il lavoro, o forse non aveva abbastanza coordinazione per farlo, così dopo un po’, quando era certo che quel disastro di suo figlio avesse imparato la lezione questa volta, aveva semplicemente gettato le forbici a terra, lasciando Viktor con una testa disastrata, ciocche lunghe a caso e intere porzioni di cute perfettamente visibile, buchi nel suo scalpo, accucciato sul pavimento come un cane preso a calci.

“Che non ti veda mai più provare a baciare un ragazzo, Viktor,—” gli aveva sibilato contro, velenoso e quasi più terribile che nella sua rabbia più esagerata e violenta, “—altrimenti che Dio ti aiuti perché ti ammazzo con queste mani.”

Non ricorda né il nome né il volto del ragazzo che lo aveva accompagnato a casa dopo l’allenamento quella sera. Dopo che suo padre, di ritorno a casa proprio nel momento peggiore, li aveva visti e aveva trascinato Viktor in casa, si era trovato un altro coach, da qualche altra parte dello stato, e aveva lasciato Yakov, Mosca e il ragazzo a cui aveva detto ‘Mi piaci’ neanche un giorno prima.

Viktor ricorda tutto il resto, però, e ricorda quanto corti erano i suoi capelli un anno dopo, quando aveva chiuso la sua valigia per l’ultima volta ed era uscito da quella casa diciottenne, stanco e con una lettera di suo fratello, quello stesso fratello che ora studiava arte a Cambridge, in valigia. Vattene, Vitya. Fallo appena puoi.

Ricorda di esserseli sempre tagliati da solo, da lì in poi; di averli sempre tenuti corti, così corti, perché non fossero più un appiglio, un guinzaglio per tirarlo in ginocchio un’altra volta.

Quindi sì, è solo un centimetro, ma è abbastanza perché suo padre lo afferri di nuovo.

 

***

 

Viktor torna lentamente al presente, e solo dopo essere riuscito a cancellare il ricordo di quel giorno con quello di quando se n’era andato. Può ancora sentire il suono della porta che gli si chiude alle spalle, non una parola da sua madre e un soffocato “meglio così” da suo padre che lo accompagnano nell’aria fredda di un Natale che lui aveva festeggiato uscendo dalla sua gabbia, accettando la neve che lo aveva inzuppato lungo la strada verso l’appartamento che suo fratello aveva affittato per lui.

Certi giorni, Viktor odia Alexander. Lo odia tanto forte quanto avrebbe voluto urlare contro la sua porta ogni volta che questi la chiudeva per non sentire, per non vedere, per far finta che nulla stesse succedendo in salotto. Lo odia di un odio nero e corrosivo, potente e senza perdono. 

Certi giorni, Viktor fissa il proprio cellulare come se così facendo il numero di suo fratello potesse comparire dal nulla. Vuole chiamarlo e parlargli e sentirlo borbottare in russo con quelle sue parole troppo grosse per una conversazione casuale; chiedergli scusa per aver pensato di essere stato abbandonato. Vuole restituirgli i soldi dell’appartamento e dirgli che pensa di lasciarlo e trasferirsi in Giappone. Vuole presentargli Yuuri.

Yuuri.

Solo quando prova a chiamare il suo nome, Viktor si accorge di stare ansimando, di avere i capelli lunghi lunghi lunghi attaccati alla fronte dal sudore e di avere il volto seppellito in qualcosa di buio, soffice e caldo. Se chiude gli occhi, può sentire il battito di un cuore contro il proprio zigomo.

Vitya?”

Viktor lascia andare il respiro che gli si è aggrappato alla gola e le sue spalle si rilassano, lasciandogli come ricordo una fastidiosa rigidità dei muscoli. Non gli importa. Stare così, rannicchiato su un fianco contro il petto di Yuuri ad ascoltare ripetere il suo nomignolo in quel suo russo sghembo dall’accento pesante, lo fa sentire bene. Se fosse per lui, non si muoverebbe mai più da quel letto.

Vitya? Mi senti? Capisci cosa ti sto dicendo? Viktor?”

Sospira, pesantemente, ma strofina il naso contro il petto dell’altro e mugola un assenso. “Yuuri…” Non si ricorda bene cosa volesse dire; la sua voce è così roca e gli si spezza tra i denti già in quelle poche sillabe, e lui si distrae ad ascoltarla senza finire la frase.

Anche Yuuri sospira, ma è più un gesto di sollievo. Il suo respiro arruffa qualche ciocca sulla nuca di Viktor, là dove i capelli si stanno assottigliando — e lui lo sa, per quanto Yuuri lo neghi —, e poco dopo una mano sale a rimetterli a posto. La carezza continua per un po’ prima che le dita si fermino sulla nuca, come tenendo un bambino.

“Sto bene,” Viktor sa di mentire perché vecchi sentimenti si stanno aggrovigliando nel suo petto, ma lo fa lo stesso, anche sapendo che Yuuri lo scoprirà subito, anche sapendo che ogni tanto qualche spasmo lo fa ancora tremare. Forse è un bugiardo compulsivo, a questo punto.

Vitya.” La voce di Yuuri è quella di un genitore ad un passo dalla sgridata, un ultimo avvertimento, e se pensa che fino all’anno prima questo piccolo Katsudon lo venerava e ora lo tratta come un bambino capriccioso, Viktor non può impedirsi di ridere appena. Anche la sua risata è acuta e incerta, e la presa del braccio attorno alla sua vita si stringe ancora di più. “Sono qui.”

Viktor si tira indietro dall’abbraccio per posare la testa sul cuscino, si domanda per un attimo come Yuuri sia riuscito a girarlo sul materasso e ad aggiustargli i vestiti che si sente più o meno addosso, e infine guarda agli occhi dell’altro. Marroni, caldi, sempre lucidi e avvolgenti, che sia un giorno da timido o da intraprendente; completamente diversi dall’azzurro grigio pieno di rabbia che Viktor ricorda nella sua adolescenza, quell’azzurro stesso che vede allo specchio ogni giorno.

Yuuri ha la fronte aggrottata e lo studia come avesse un indovinello scritto in fronte. Si sta mordendo il labbro inferiore per trattenere qualcosa che gli sta sulla punta della lingua, che vorrebbe dire ma non è certo di potere, e non accenna a smettere di toccare Viktor in alcun modo, ma anzi muove la mano perché gli resti sulla nuca e sposta l’altra al suo fianco. Non accenna ad allontanarsi, ma nemmeno a prevaricare il piccolo spazio che l’altro ha messo tra loro.

“Sono qui,” ripete e Viktor annuisce.

Questo è uno di quei giorni in cui odia suo fratello, perché lui non c’è, non c’è mai stato, non quando contava veramente. Yuuri c’è ed è un’altra cosa, un’altra vita completamente.

“Voglio tagliarmi i capelli,” dice. Presto racconterà al suo compagno cosa è successo, probabilmente appena starà meglio, magari appena quel centimetro di troppo sarà sparito. Per ora gli rivela solo quello e apparentemente è abbastanza.

“L’unico barbiere in Hasetsu è un po’ lontano dall’onsen,” Yuuri ammette, arrossendo appena come se si sentisse imbarazzato a nome del suo paese. È adorabile. “A me li hanno sempre tagliati mia madre o mia sorella.” Sgrana gli occhi all’improvviso, come terrorizzato dalla realizzazione di ciò che ha appena detto. “Non devi farteli tagliare da loro se non vuoi, ovviamente! Non è un problema andare a un negozio qui, assolutamente, non intendevo quello! Oh, che imbarazzo, sembro un ragazzino, ahhh…”

Yuuri non cambierà mai troppo, Viktor se n’è fatto una ragione. Può diventare Eros quando vuole, ma una parte di lui rimarrà sempre quel ragazzo insicuro, un po’ imbranato. Fa parte del suo fascino, però, quindi va bene così.

Si prende un attimo per immaginare Hiroko, la mamma di Yuuri, che gli si avvicina con le forbici in mano. Il sorriso gentile sul suo viso è l’unico modo in cui riesce a ricordarla, al massimo con un’espressione sorpresa, e anche volendo non è in grado di immaginarla con la furia di suo padre. Se ci prova, tutto ciò che gli viene in mente è il giorno in cui Yuuri ha annunciato di essere innamorato di lui in diretta TV e lei ha appoggiato una guancia sulla mano e si è messa a sorridere da sola, prima di alzarsi e andare a preparare il tè canticchiando soddisfatta.

“Se per tua madre non è un problema, mi farebbe un favore se me li tagliasse lei quando torniamo a casa.” Un favore enorme. Non lo dice, ma Yuuri lo ha appena visto avere un attacco di panico in mezzo al loro letto quindi probabilmente ha intuito che per lui non è facile lasciar fare una cosa del genere a chiunque. Una volta se lo faceva fare da Yakov, di lui si fidava, ma non crede di poterlo fare adesso che sono rivali; né di volere.

Yakov non vive in Giappone e lui non potrà sempre volare in Russia per farsi tagliare i capelli. È ora di trovare un’altra soluzione.

Yuuri si piega in avanti a baciargli l’angolo della bocca, non la guancia e non le labbra, lì a cavallo tra l’amante e l’amico, dove sta come un pilastro a promettergli sostegno incondizionato, senza domande. Quando si stacca, toglie le mani dal suo corpo per girarsi a recuperare gli occhiali dal comodino. Viktor lo guarda inforcarli e tornare alla sua versione più tiepida, gentile piuttosto che sensuale, prima di voltarsi di nuovo verso di lui.

“Sicuro di voler aspettare così tanto?” chiede, scrutandolo alla ricerca di segni che tradiscano una bugia. “Resteremo qui almeno tre giorni ancora…”

“Va bene così,” Viktor scuote la testa, ma sorride un po’ ora. Respira piano, il battito è un suono soffocato nel suo petto, e quando si muove un po’ lascia che i bottoni mal appaiati della sua camicia espongano parte della pelle sul suo petto. “Posso resistere tre giorni, Yuuri.”

Yuuri lo guarda come se non ne fosse convinto, e per questo Viktor si solleva su un braccio a baciargli la bocca. Tutto amante e niente amico, come al solito. A lui non piace farsi da parte, rinunciare alle cose. Ciò che vuole, Viktor se lo prende; e ora non vuole un barbiere, ora lui vuole Yuuri, completamente e totalmente, nel modo più umiliante e cancellante che esista. Vuole sparire di fronte a lui, sotto le sue mani, e vuole tornare indietro solo per lui.

Vuole anche un orgasmo, perché la sua erezione sarà anche scomparsa nel suo panico, ma la sensazione di frustrazione nella mente ora torna alla vista del giacchette aperto della tuta di Yuuri.

Il suo compagno fa un suono che sembra uno sbuffo esasperato contro la sua lingua quando lui gli si struscia contro languidamente, ma ricambia il gesto. Solo quando Viktor cerca di sdraiarsi di nuovo sulla schiena, Yuuri si stacca appena.

“Cosa l’ha fatto scattare?” chiede, la fronte aggrottata. Passa una mano sul petto di Viktor, riaprendo la camicia, ma non fa gesto di spostarsi di nuovo sopra di lui. “Non voglio vederti così di nuovo. Erano solo i capelli? Qualcos’altro?”

“Solo i capelli.” Viktor intreccia le mani dietro il collo di Yuuri e le usa per tirarselo sopra, ancora a gattoni, per poi avvinghiare le gambe attorno alla sua vita. Si sente un po’ un bradipo o un panda, così, ma Yuuri ride e scuote la testa, quindi va bene. “Non è un problema se li tocchi, solo non…non tirarli, va bene?”

“Quando te l’ho fatto in pista…” Yuuri esita, si morde il labbro. “Quando ti ho toccato i capelli in pista ad Hasetsu e poi a Pechino, ti ha dato fastidio? Onestamente.”

“No,—” Viktor getta una mano sul proprio viso, il dorso contro la fronte in un gesto drammatico, “—l’unica ferita che hai aperto in quei casi è stato nell’orgoglio, Yuuri. Il passare del tempo mi sta sciupando!”

“Idiota.” Sì, Viktor è un idiota, dev’essere per quello che Yuuri lo bacia, per tenerlo zitto. Non gli dispiace, non finché l’altro fatica ad usare la propria lingua perché continua a ridacchiare.

Stare con Yuuri è così naturale da rendere impensabili tutte le cose che suo padre usava urlargli contro.

Viktor fatica a dimenticarsi di suo padre, ogni volta che gli torna in mente. Non ha flashbacks spesso, ma si è allenato a riprendersi in fretta quando arrivano, a fingere che non gli siano penetrati nelle ossa come il vento gelido dell’inverno. Non può impedirsi di avere la sua famiglia nella mente per giorni dopo una brutta ricaduta, ma ha imparato a metterli da una parte, a concentrarvisi con un angolo della propria mente e ad andare avanti con il resto, a ignorare i paragoni che gli vengono naturali e le immagini che sorgono non invitate. È diventato bravo a farlo.

La bocca di Yuuri sul cavallo dei suoi boxer, i pantaloni ancora aperti da prima, è un’ottima distrazione. Non è la prima volta che Viktor usa il sesso per cancellare le memorie della sua famiglia, ma è la prima in cui gli importi davvero qualcosa della persona con cui è, la prima volta in cui sente che c’è qualcosa di più di un semplice usare qualcuno con un secondo fine. L’orgasmo e l’oblio sono compagni che ha cercato spesso; l’amore è una cosa nuova anche per lui, e pertanto scintillante e attraente.

Porta le mani alla testa di Yuuri per spingerlo a guardarlo un po’ in su e sorride quando incrociano gli sguardi.

Il castano cancella l’azzurro, il calore spazza via il freddo e il piacere chiude di nuovo la porta del passato, almeno per un po’.

 

***

 

Viktor pensa a suo padre ancora, spesso, il giorno dopo. 

Quando si inginocchia a legare i pattini di Yuuri e sente il suo sguardo serio, scrutante, addosso e gli deve sorridere perché altrimenti chissà come farà sul ghiaccio. Quando viene tirato per la cravatta, ma la voce del suo compagno è così sensuale e carica di promesse che non c’è gara contro gli urli incoerenti nella sua testa: Yuuri gli promette di mostrare il loro amore a tutta la Russia e lo fa, non gli dice di nascondersi, e Viktor sa che non scapperà dall’altra parte del mondo in un giorno fingendo che tra loro non ci sia stato nulla. Yuuri è così infantile e possessivo, quando si tratta di lui: sotto gli occhi dei giudici gli scocca un bacio da in mezzo alla pista, di fronte alle telecamere, e se questi sono scioccati lui ne sembra solo contento. Urla al mondo Viktor è mio senza un briciolo di vergogna, e così cancella anche tutti i suoi dubbi. 

Non vorrebbe, ma Viktor pensa a suo padre anche quando si inginocchia a baciare il pattino di Yuuri dopo la performance. Pensa a quando in ginocchio ci è stato costretto, quando non aveva scelta, pensa alle grida e non permetterò che mio figlio diventi una puttana che si inginocchia di fronte a qualsiasi cazzo purché sia grosso, ma il paragone finisce quando sente Yuuri urlare il nome di Yurio. Si lascia trascinare dall’entusiasmo e il desiderio di vedere l’altro suo “allievo” fare bene lo spinge a mettere da parte anche il ricordo di quelle parole.

Makkachin spazza via tutto, ma nel modo peggiore possibile.

 

***

 

Viktor si fida di Yakov e si fida di Yuuri. Non si fida di se stesso, di riuscire a rimanere serio e professionale e lucido, se dovesse perdere il suo cane.

Makkachin glielo aveva portato suo fratello, prima di partire per l’Inghilterra. A suo padre non era mai piaciuto, ma probabilmente perché quella bestia non era come Alexander o sua madre e quando qualcuno si avvicinava a Viktor digrignava i denti e ringhiava e abbaiava e non lo permetteva. Viktor non era più stato toccato con un dito, da quando Makkachin era arrivato; voleva bene a quel cane più che a chiunque altro nella sua famiglia, in tutto il suo mondo ad eccezione di Yuuri e ormai anche Yurio.

Yuuri non sa nulla, come al solito perché a Viktor non piace raccontare, ma è come se lo sapesse comunque. L’urgenza con cui gli ordina di tornare in Giappone, di lasciarlo da solo in Russia, è la stessa forza impressionante di uno tsunami. Yakov invece è il supporto brontolante di una vecchia roccia.

Viktor è non poco preoccupato nel lasciare quei due insieme, incapace di togliersi dalla testa l’idea che si possano distruggere a vicenda.

 

***

 

Da quando atterra, tutto è confuso. Arrivare dal veterinario, scoprire che mentre era sull’aereo la cura di Makkachin ha iniziato a fare effetto e che adesso il suo amico sta bene, sta bene Viktor, essere portato indietro a Yu-topia da Mari con i suoi grugniti esplicativi, è tutto un flash che gli accade intorno quasi senza che lui ne faccia parte.

Si trova seduto dentro l’onsen a fissare lo schermo del portatile di Minako, in attesa che passino le ore fino all’esibizione e sentendosi completamente inutile. Dovrebbe essere in Russia adesso, con Yuuri, perché quello è il suo posto e qui lui non serve proprio a nessuno: la sensazione è così violenta da schiacciarlo. Non ha dormito un minuto sull’aereo, e certo non dormirà ora.

“Vicchan?” Viktor alza lo sguardo lentamente, a malapena registrando la voce che lo chiama, ma Hiroko risponde alla sua espressione persa con un sorriso gentile. “Due giorni fa, Yuuri mi ha scritto che avresti bisogno di tagliarti i capelli. Ti andrebbe se lo facessi mentre aspettiamo il suo turno?”

Aspettiamo. Noi. Viktor non dovrebbe essere sorpreso che Hiroko voglia guardare il figlio a sua volta, ma per qualche motivo non se lo era aspettato comunque. Si costringe a non mostrarlo. Vuole trovare una nuova soluzione in fondo, no? 

Sii uomo per una volta Viktor! Non avrebbe mai voluto trovarsi d’accordo con suo padre.

“Se non è troppo disturbo,” dice, sforzandosi in una delle sue peggiori interpretazioni di un sorriso ammaliante, ma Hiroko gli batte solo una mano gentile sulla spalla mentre si alza, probabilmente per andare a prendere le forbici.

E poi gli lascia cadere addosso una bomba che Viktor non era pronto a incassare. “Tu non sei mai un disturbo, Vicchan, lo sai.” Sorride, come se avesse detto la cosa più normale del mondo. “E chissà, magari porterà fortuna a Yuuri! Come un’offerta per la buona sorte!”

Viktor è pressoché certo che le offerte di capelli siano una cosa che fanno le donne, per i fratelli o i mariti o quello che sia. In ogni caso, è un gesto senza dubbio intimo e Hiroko glielo attribuisce senza esitazione, con l’ingenuo divertimento di una ragazzina che parli della prima cotta di un’amica.

Si passa una mano tra le ciocche argentee quasi senza pensare, troppo lunghi troppo lunghi troppo troppo troppo, e immagina l’offerta che farebbero se fossero ancora come li usava portare a quindici anni. Sorride per non piangere.

“Magari,” concede nel vedere Hiroko tornare, un paio di vecchie forbici di metallo tra le dita. Brillano per un attimo, e per un secondo sono spaventose, poi la donna che le brandisce porta una mano a coprirsi le labbra e lo guarda con occhi divertiti.

“Non dire a Yuuri che te l’ho detto, ma ci è rimasto così male quando ti sei tagliato i capelli corti la prima volta!” La donna si inginocchia alle sue spalle e Viktor si irrigidisce quando le punte delle sue dita gli carezzano il collo nel raccogliere le ciocche da tagliare. Lei continua a parlare, senza notare i muscoli che tirano nelle sue spalle. “Era disperato! Diceva che sembravi tanto triste senza i capelli lunghi! E ‘tanto grande’! Ha continuato a ritagliare qualsiasi articolo ti riguardasse comunque, ma i suoi preferiti credo siano ancora quelli con le tue foto di prima. Mi è dispiaciuto quasi che le abbia tolte tutte, ne aveva i muri della camera tappezzati!”

Questo cattura l’interesse di Viktor. L’idea di un piccolo Yuuri triste quanto lui a quella perdita forzata, che ritaglia foto dai giornali e li appende nella sua cameretta, che parla così tanto di lui che i suoi genitori perfino dopo anni si ricordano di quella sua fissa.

“Davvero?” chiede, fingendo indifferenza. Ha un sorrisetto che gli sorge sulle labbra nonostante la stanchezza al solo pensiero della faccia di Yuuri quando scoprirà che lui è venuto a sapere di quel suo piccolo segreto.

“E so che li ha tenuti tutti! Solo che non mi vuole dire dove,” Hiroko suona come una bambina con il broncio mentre continua a parlare, e Viktor si perde tra il suono della sua voce e le immagini inviate al suo computer dall’ufficio stampa della Rostelecom Cup. Spezzoni delle gare di ieri, Yuuri che compare ogni tanto — spesso, molto spesso, perché è stato grandioso — solo per stuzzicarlo e farlo sentire ancora più in colpa per non essere al suo fianco. “Volevo qualcuna delle tue foto da giovane da incorniciare, ora che vivi qui, ma Yuuri schizza via ogni volta che provo a chiedergliele.”

Per un momento, Viktor sobbalza, fermandosi a metà nel gesto di voltarsi verso la donna con gli occhi dilatati e la bocca aperta, quando si ricorda delle forbici. Che curioso, pensa, perché per un attimo si era scordato di loro.

Si sforza di fissare le immagini sullo schermo — un’immagine un po’ poco elegante ma simpatica, di lui e Yuuri che inneggiano Yurio prima della sua performance — mentre chiede: “Una mia foto?”

“Vicchan,—” Hiroko quasi canticchia il suo nome, in un modo un po’ divertito e un po’ esasperato, “—vivi qui da mesi ormai. Sei parte della famiglia di Yuuri e quindi della nostra. Tu lo sai che io non capisco molto di pattinaggio e di gare, quindi non so quanto rimarrai qui, sia per allenarti o sia per scelta tua. Ma finché vorrai restare, lo sai che qui avremo sempre una stanza per te.” Viktor la colse sporgersi sulla sua spalla, per rubare uno sguardo al suo viso. “Quella di Yuuri, ad esempio, è grande abbastanza per due.”

Viktor ride, una risata che gli si strozza in gola per la stanchezza e i nervi ancora a fior di pelle ma una risata comunque. Si immagina la faccia di Yuuri se tornato a casa trovasse le sue cose nella loro camera e le sue spalle si ammorbidiscono un po’.

“E poi sarebbe così carino mettere vicine le foto dei due Vicchan!”

Viktor si trova trascinato via dal chiacchiericcio di Hiroko. Scopre del primo cane di Yuuri, scopre cosa è successo allo scorso Grand Prix, capisce perché ha insistito così tanto che lui tornasse a casa. Scopre di come Yuuri all’inizio volesse fare danza e come Minako lo avesse spinto a provare il pattinaggio. Scopre di aver deluso Yuuri prima ancora di conoscerlo per davvero, in quell’aeroporto, e quello lo fa stare male, ma la donna alle sue spalle scoppia a ridere raccontandogli della reazione del figlio quando lui è apparso dal nulla nel loro onsen e le forbici siedono sul tavolo e lui sbatte le palpebre.

“Finito,” Hiroko dice, la voce soffice e gentile. Viktor ha l’impressione che tutte quelle storie così particolari, così importanti per lui, non siano state davvero ingenuamente gettate a lui solo per caso.

La donna gli porge gentilmente un piccolo specchio e se ne va con le forbici ed un sorriso un po’ enigmatico. Viktor la guarda andare via e pensa che ora sa da dove è nato quello spirito particolare che è Yuuri. Makkachin mugola contro le sue cosce e Viktor abbassa lo sguardo finendo per incrociare il proprio riflesso nello specchio ancora in mano.

La frangia sul suo viso è appena un po’ più corta di come la portava prima, ma non gli sta male. Il taglio è ben fatto, con una certa praticità, e quel centimetro di troppo non c’è più.

Viktor si sente come se potesse finalmente respirare ancora.

 

***

 

Yuuri si piazza quarto. È nel Grand Prix, sì, ma si può leggere la delusione nei suoi occhi nelle riprese post-gara.

Viktor deve abbracciarlo. Il prima possibile. 

Allora lo aspetta all’aeroporto e suo padre è nella sua mente, ma in un modo diverso. Suo padre sta di fianco a Hiroko nella sua testa e la scelta è facile; Alexander accanto a Mari non regge il confronto, Yakov per fedele che sia non può competere con l’entusiasmo di Minako, il suo appartamento vuoto non sembra più il paradiso se confrontato con il calore fervente di attività di Yu-topia.

La scelta è così, così, facile.

 

***

 

Per favore, resta al mio fianco finché non mi ritirerò*.

Viktor non si aspettava questo. Viktor doveva dire a Yuuri delle cose, tante. Doveva chiedergli dove sono le sue foto, dirgli che ne voleva una assieme alle sue e a quella del suo cane; voleva dirgli che l’appartamento a Mosca si poteva anche vendere perché non sarebbe riuscito a tornarci dopo aver visto Hasetsu, e che la Russia ormai gli sembrava troppo fredda; voleva dirgli che voleva insegnare alle tre gemelle a pattinare nel tempo libero e voleva dirgli che non voleva mai più guardarlo da attraverso uno schermo, da lontano, che lui stesse festeggiando o piangendo, di fronte a una sconfitta o alla vittoria, che pattinasse o anche no.

Invece prende la mano di Yuuri, se la porta alla bocca e bacia l’anulare. Spera che Yuuri capisca, perché spesso le sue insicurezze lo rendono così cieco da portare all’esasperazione.

Sembra quasi una proposta di matrimonio.**” Lo dice senza malizia, con calma e tanta speranza, e quando Yuuri lo abbraccia non riesce a trattenersi. Vorrei non ti ritirassi mai.***

Le lacrime di Yuuri gli bagnano la spalla mentre si stringono a vicenda e questa volta, finalmente con certezza, sa che il messaggio è arrivato.

Adesso, non c’è neanche un centimetro tra loro.

 

 

 


Note Autrice:
Perché non avevo niente di meglio da fare nelle ore di lezione di Inglese e il nuovo episodio mi ha riempita di emozioni e Viktor con i capelli ce l'ho ancora qui, nel mio piccolo cuoricino pieno di Angst,  e il fatto che la sua famiglia non sia mai spuntata
ovviamente mi doveva far partire le idee tristi tristi che più tristi non si può. E se mi date un ragazzo coi capelli lunghi e un uomo coi capelli corti in un paese con leggi Anti-LGBT, eh, cosa vi aspettate?
Io voglio davvero tanto, tanto bene a Viktor e Yuuri, sapete? Ma tanto tanto.
Come al solito, se volete farmi qualche domanda o anche solo chiacchierare, il mio Tumblr è QUESTO: sempre aperto e ad Anon-On.
A presto,

Agapanto Blu

  
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