Terza classificata al contest "Donne assassine" indetto da bambi88 e kalanchoe.
Ringrazio prima di tutto le
giudici per l'ottimo lavoro svolto e per la cordialità e
disponibilità dimostrate fin dall'apertura delle iscrizioni.
Poi, le partecipanti, perchè il clima non è stato
una sola volta pesante o oppressivo, ma da ogni frase trapelava sempre
la voglia di partecipare e confrontarsi, prima ancora della giusta e
santa voglia di un buon risultato.
Federica e Erica sono
solo parzialmente conscie dell'importanza che hanno per me, e questa
pubblicazione vuole ricordare loro che, al di sopra di tutte
le cavolate fatte e dette, sono felice di conoscerle.
Always
in Me
Hanabi passò delicata una
mano sul viso del giovane, gli
occhi chiusi, assorbendo l’infinito piacere di quella pelle
liscia sotto le
dita. Accarezzandogli il volto, ricostruì nella sua mente la
fronte alta, la
pelle candida e perfetta, la curva ben delineata della mascella ed il
profilo
nobile delle labbra appena dischiuse.
Sospirò.
Così era giusto.
Il movimento, la foga non si addicevano a quel corpo. Il
calore disperdeva irrimediabilmente lo splendore assoluto della sua
figura.
Invece così andava bene: l’immobilità,
la fredda
compostezza…gli donavano.
Neji era perfetto, davvero perfetto, ora che non si muoveva
più, che le sue labbra non si animavano ed emozioni quali
rancore e impotenza
non deformavano più i suoi lineamenti.
Sorrise, un po’ abbattuta. Non avrebbe voluto arrivare a
questo. Le sarebbe piaciuto poter avere la perfezione vicina, senza
dover per
forza arrivare a togliergli la vita.
Ma a lei serviva quell’immagine composta, le serviva per
andare avanti, per trarne la forza necessaria a difendere la propria
identità
contro quel padre che non la voleva e che da lei pretendeva sempre e
solo eccellenza,
del quale si sentiva, malgrado tutto, irrimediabilmente succube. Ma non
era mai
abbastanza brava, forte; mai abbastanza speciale per lui.
Non voleva essere un errore, non voleva che la guardasse
solamente per mettere in evidenza i suoi difetti. Lei voleva essere
Hanabi, e
basta. E aveva bisogno della perfezione dalla sua parte,
perché sentiva che
senza non ce l’avrebbe mai fatta, che sarebbe stata
schiacciata da quella
condizione di perenne umiliazione e sarebbe stata piegata, come sua
sorella
prima di lei, dal peso delle delusioni del genitore.
Aveva bisogno di Neji, ed era stato davvero un peccato che
lui non l’avesse capito. Ma d’altronde lui era
sempre stato un egoista, sempre
concentrato sulle proprie sofferenze, sul proprio isolamento. Hanabi lo
sapeva,
conosceva il cugino e il suo carattere, e aveva sempre nel profondo
temuto che
Neji se ne andasse, che trovasse una via di fuga.
Per questo se n’era accorta subito, quando lui aveva
iniziato ad allontanarsi da quella casa, a liberarsi dal peso di quella
condizione. Ne era stata spaventata. Lui la stava lasciando indietro da
sola,
ma senza l’appoggio dato dalla consapevolezza di non essere
isolata in quella casa
troppo bianca e troppo vuota, che cosa avrebbe potuto fare. Non sarebbe
riuscita
a sopravvivere sapendo che l’unica persona che condivideva
con lei quella
sorte, che avrebbe potuto capirla, l’aveva abbandonata.
L’aveva visto, con i suoi amici. Lo aveva spiato
battibeccare con il giovane matto e sorridere di nascosto, quando la
ragazza
con gli chignon si era schierata dalla sua parte.
Aveva odiato tutte quelle emozioni che trasparivano dal suo
viso. Erano sbagliate, non se ne rendevano conto? Era sbagliato che lui
potesse
provarle, quando lei era ancora invischiata nell’oppressione
di quella casa. La
sua perfezione era sfumata, e Hanabi si era sentita cedere il terreno
sotto i
piedi. Così preda di emozioni, così libero, Neji
non aveva più il potere di
aiutarla. Era troppo lontano, troppo sfuggevole.
No. Neji non doveva scappare, non poteva. Non mentre lei si
avvicinava ogni giorno di più al punto di rottura. Doveva
restare al suo
fianco, insegnarle come difendersi da quella maschera di perfezione
falsa e
superficiale che sembrava volerle divorare il viso.
Tornò ad osservare il corpo freddo e immoto sdraiato nel
letto, con affetto. Lo aveva legato a sé indissolubilmente,
alla fine. Con
fatica, ma ce l’aveva fatta.
Amava la pulizia e precisione delle siringhe: avevano un che
di così innocente, asettico, così totalmente
privo di violenza…Neji non aveva
neanche gridato, mentre l’endovena d’aria lo
soffocava. Poi era bastato
distendere i muscoli contratti del volto perché la sua
immagine apparisse
intatta. Non c’erano ferite, non c’era
crudeltà. Sarebbe potuto sembrare che
stesse dormendo.
La ragazzina alzò gli occhi sulle tapparelle mezze alzate
alla finestra, osservando con occhio critico il cielo sempre
più chiaro, che
permetteva ore di riconoscere con chiarezza i contorni degli edifici e
il
colore spento della cappa d’inquinamento che gravava sopra la
città.
Mancavano solo poche ore all’alba, pensò con
rammarico. A
breve avrebbe dovuto lasciarlo, o avrebbe rischiato di essere presa.
Peccato: sarebbe rimasta ancora giorni interi ad ammirare le
proporzioni eleganti, i dettagli impeccabili, la splendida
inespressività di quel volto da dio.
Sentì che quella bellezza le era penetrata dentro nel
profondo, che in quella notte era davvero riuscita a crescere, ad
arricchirsi e
colmare quel buco che aveva sempre sentito dentro, giù
giù nei recessi della
propria identità.
Ora era completa, davvero. Poteva affrontare qualsiasi cosa,
anche senza Neji, perché ormai la perfezione che aveva
sempre cercato in lui
aveva impregnato anche lei fino in fondo.
Sorrise, mentre le prime luci dell’alba facevano risaltare
nella penombra l’identico pallore della loro carnagione.
Sì, era stata davvero una notte produttiva.