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Autore: Letizia25    03/12/2016    0 recensioni
A volte, la discesa verso l’inferno comincia senza rendersene conto, fino a che non è troppo tardi.
Troppo tardi per tornare indietro, per cambiare le cose, per salvare qualcosa di ciò ch’è rimasto.
O almeno, la nostra è iniziata così.
Si cerca una luce per salvarsi, o anche solo per non perdere del tutto la speranza.
Eppure ogni sforzo sembra comunque vano, perché le cose non cambiano, mai.
Restano immutabili, almeno fino a che due universi opposti non si scontrano.
Perché quando due universi opposti si incontrano all’improvviso, cambia tutto, radicalmente.
Le certezze che c’erano prima svaniscono, sommerse da quel qualcosa che accomuna quei mondi.
Tutto scompare; dubbi, paure, sogni, maschere, muri. Resta una sola certezza: quella di non cadere.
*
Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=evr4rKlJ1RA
*
ATTENZIONE: La storia tende al rating rosso e contiene alcune scene descritte in maniera molto approfondita (guardare trailer per capire). Quindi, se siete deboli di cuore o se potrebbe darvi fastidio in qualsiasi caso, non leggete, dato che l’ultima cosa che voglio è far star male qualcuno.
Genere: Angst, Drammatico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Calum Hood, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Be my home'
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Quaranta
 
 
 
Quelle stesse stelle che, nella nostra vita, si ritrovano nelle persone che amiamo.
Quelle persone che, ogni giorno, rendono la nostra vita bella da morire.
Quelle persone che si rivelano essere il miracolo che aspettavamo per amare e vivere davvero.


 
23 aprile 2017
 
Quella mattina, Ashton si sveglia con addosso il sorriso. Non riesce a farne a meno: è un giorno importante, quello che sta per affrontare, per se stesso e per le persone a cui vuole bene. Un giorno che – ne è sicuro – nessuno di loro potrebbe dimenticare, neppure volendo. Un giorno per cui ha sperato tanto, negli ultimi tre anni, ma che mai avrebbe creduto che sarebbe arrivato sul serio, così, quasi dal nulla, pronto a dare un nuovo inizio, a dare qualcosa in cui poter credere davvero, senza più alcuna paura di cadere e farsi male.
Perché, in quegli ultimi mesi, sia lui che chi ama hanno imparato a proprie spese che non è possibile andare contro la vita stessa o cercare di controllarla; che più si prova ad allontanare il dolore, più questo aumenterà i danni che riuscirà a fare; che tenersi tutto dentro non fa altro che peggiorare la situazione, allargando le ferite e il senso di vuoto. Sa che, adesso, lui e i suoi amici hanno imparato la lezione. Per questo motivo non vede l'ora di incontrarli: hanno un appuntamento importante a cui nessuno di loro vuole tardare.
Si alza dal letto e va in bagno. Si fa la doccia con calma, lasciando che l'acqua lo svegli del tutto, rilassandogli i muscoli e dando un minimo di ordine nel turbine di pensieri che gli sta invadendo la mente. Un turbine composto anche dai ricordi degli ultimi nove mesi, che compaiono uno dopo l'altro, ampliandogli il sorriso sulle labbra e riempiendogli il cuore di quella gioia che gli ha sempre fatto compagnia, fin da quando Calum si è svegliato.
Ricordi che gli fanno rivivere tutto: ogni sorriso, ogni lacrima, ogni preghiera detta in silenzio, ogni promessa fatta e mantenuta fino alla fine, ogni bacio dato e ogni abbraccio ricevuto; ogni momento in cui si è ritrovato a ringraziare il cielo per avergli fatto incontrare quelle persone che, col tempo, si sono rivelate le più importanti di tutte.
Dopo che il moro aveva deciso di entrare al centro di recupero, Ashton, come gli altri, si era sentito spaesato: era come se la libertà dal passato, dai pesi, dalla paura, l’avesse privato di tutto ciò sui cui aveva costruito la propria vita negli ultimi tre anni, durante i quali aveva imparato a convivere con ogni cosa gli procurasse dolore, senza cadere sotto i colpi, senza permettere alle insicurezze di prendere il sopravvento.
Poi però, piano piano, si era abituato a quella nuova quotidiana, piena di luce, piena di un qualcosa che non provava da tempo: una sensazione indescrivibile, dolce, che si irradiava dentro di lui ad ogni passo, accarezzandogli l’anima, riscaldandogli il cuore, facendogli capire che poteva andare avanti senza più doversi preoccupare.
Per questo aveva ripreso gli studi con più voglia di fare e con la mente più tranquilla – spronato anche dai suoi genitori a continuare ciò per cui si era impegnato con ogni grammo di sé –, continuando ad alternarne le lezioni in facoltà e il tirocinio all’ospedale. Si era sentito bene, sul serio, nel fare ciò che più lo appassionava, ciò per cui non aveva mai smesso di mettersi in gioco pur di farlo diventare realtà: studiare per diventare medico, per realizzare il suo sogno, riusciva in parte a dare alla sua vita quell’ordine che, negli ultimi tre anni, era mancato.
Però non era stato solo lo studio ad aiutarlo ad rimettersi in sesto.
Ciò che più di tutto gli aveva dato modo di riprendersi completamente, che più gli aveva fatto capire che non c’era più niente per cui doversi angosciare, erano state le ore trascorse in compagnia dei suoi amici. Ore passate a ridere, a scherzare, godendosi completamente quei piccoli attimi di felicità che non viveva da tempo. Era stato grazie a quelle persone fatte tutte a modo loro, se si era reso davvero conto di quanto l’amicizia potesse essere una medicina potente, forte come l’amore, capace di allontanare definitivamente il buio e il dolore, di annientare il senso di vuoto e di vergogna, di sanare anche la più piccola ferita e cancellare ogni cicatrice rimasta.
Perché, prima che Calum si risvegliasse – benché cercasse di nasconderlo, di non pensarci –, Ashton non era ancora riuscito a perdonare se stesso. Più volte si era incolpato per ciò che stava succedendo al suo ragazzo e al suo migliore amico, per il fatto che le due persone a cui teneva di più non riuscissero a parlarsi a causa di un qualcosa che nessuno era stato capace di prevedere. Più volte il senso di colpa aveva preso il sopravvento su tutto il resto, divertendosi a veder il ragazzo lottare per non cadere, per non perdersi come invece era accaduto a Calum. Un senso di colpa che Ashton avrebbe tanto voluto estirpare, per avere le forze di fare la cosa giusta. Perché lui sapeva fin dall’inizio che avrebbe dovuto agire, che avrebbe dovuto fare qualcosa per cambiare la situazione, per sanare ogni strappo. Eppure… Non ci era riuscito, non ce l’aveva fatta: aveva avuto paura di sbagliare, di peggiorare ulteriormente le cose. All’improvviso, si era ritrovato bloccato dalle sue stesse paure. Ed era stato in quel momento che aveva compreso parte del peso che Calum si portava dietro da tempo. Un peso che – Ashton aveva imparato a proprie spese – nessuno può portare troppo a lungo da solo sulle proprie spalle.
Un peso che, tuttavia, proprio grazie ai suoi amici, il riccio è stato capace di lasciar andare una volta per tutte, senza doversi preoccupare, senza la paura di star commettendo un errore. Si era liberato, e non avrebbe potuto chiedere niente di meglio di quel senso di benessere che, quasi all’improvviso, aveva cominciato a scaldargli l’anima. Un benessere che tutt’ora sente scorrergli nelle vene, soprattutto grazie a quella persona che gli è sempre rimasta vicina, in ogni momento.
Michael.
Perché, ogni singolo giorno,  il suo ragazzo si era dimostrato essere il motivo per cui lui non aveva smesso di sperare, per il quale non aveva rinunciato a niente, neppure per un istante; per il quale aveva messo in gioco tutto se stesso. Si era dimostrato la cura migliore, l’unica capace di dargli quella tranquillità che aveva sempre cercato e che solo stando con il giovane Clifford riusciva a trovare.
In quegli ultimi nove mesi, Michael si era dimostrato essere la sua forza: in silenzio, quasi di soppiatto, come se non avesse voluto essere scoperto, era riuscito a fargli tornare del tutto il sorriso, a fargli accettare i propri errori per poi voltare pagina, a fargli tornare a battere il cuore a pieno ritmo, senza più alcun peso a trascinarlo giù.
E il riccio, da cinque anni ormai, non riesce a smettere di ringraziare il cielo per avergli fatto conoscere quel ragazzo che, col tempo, è diventato la parte più importante di tutta la sua vita, senza la quale non potrebbe stare.
Quello stesso ragazzo che, a causa di una delle loro migliori amiche, è cambiato moltissimo.
E mentre prende le poche cose che gli serviranno quel giorno, Ashton non riesce a sorridere, ripensando a Letizia e all’immenso regalo che ha fatto a tutti loro due settimane prima.
Un dono che, quando la mora gli aveva dato la notizia di persona, gli aveva fatto diventare gli occhi lucidi per l’emozione e, soprattutto, per quello strano senso di sollievo che quelle parole gli avevano fatto provare.
«Ash, ti prego, non piangere pure tu!» aveva commentato Letizia, ridendo allegra. «Penso che Madison abbia fatto abbastanza per tutti noi.»
Lui aveva riso e l’aveva stretta forte a sé, ringraziando in silenzio il cielo per aver fatto ai suoi due migliori amici un regalo simile. Un regalo che – lui lo sa bene, ogni volta che passa per i corridoi dell’ospedale e nota le espressioni che hanno le altre persone a causa di quella stessa circostanza – avrebbe presto rivoluzionato completamente la vita di ognuno di loro.
E mai avrebbe immaginato la piega che avrebbero preso le cose proprio a causa della gravidanza della mora. Mai avrebbe creduto che quella situazione avrebbe potuto essere un’occasione per conoscere di più cosa gli occhi scuri della sua migliore amica nascondessero. Occhi scuri che, in una sera di fine ottobre, si sono aperti a lui, mostrandogli tutta la verità, tutta la storia che Letizia si è portata dietro per anni e che, finalmente, era riuscita a cambiare, a migliorare. Una storia che l’aveva lasciato senza parole, incapace di fare qualsiasi cosa, anche il più singolo gesto, per farle capire che lei ormai non aveva più niente di cui doversi preoccupare.
La mora aveva sorriso, vedendolo in difficoltà, mostrando quel sorriso dolce che Ashton ancora non riesce a descrivere: un sorriso capace di alleggerire ogni peso, di curare il cuore in un attimo.
«Non serve che tu dica niente, Ash.» aveva sospirato, accarezzandosi distrattamente il ventre con gesti così delicati da sembrare impalpabili. «Ora è tutto a posto. La sola cosa che mi restava da affrontare era trovare il coraggio di raccontare cosa mi è successo a chi di voi ancora non lo sapeva.» aveva spiegato con gli occhi lucidi, prima di abbracciarlo all’improvviso, stringendolo a lungo. «E ora sono felice, davvero. Perché ci sono riuscita. Da sola.»
Lui non aveva risposto. Si era limitato a rispondere a quell’abbraccio, a quel gesto d’affetto che tutt’ora conserva nel cuore come uno dei suoi tesori più grandi. Perché si sente fortunato ad avere nella propria vita una persona come Letizia: unica in ogni sua più piccola parte, forte e coraggiosa più di quanto serva per restare in piedi.
È anche per lei se, adesso, sta guidando un po’ più veloce per le strade di Sydney. Perché quell’appuntamento che tutti loro aspettano con ansia riguarda anche lei. Soprattutto lei.
 
È lì da quasi un’ora, seduto sul letto ancora da rifare, con gli occhi puntati sulla chitarra che ha davanti sé.
È a pezzi: non è riuscito a chiudere occhio neppure per un minuto quella notte, a causa dei pensieri che gli frullavano per la testa, impedendogli di trovare un attimo di pace. Eppure, non se ne preoccupa più di tanto, Michael, mentre si ritrova a sfiorare le corde dello strumento con le dita, senza riuscire a trattenere un sorriso.
Era da anni che non toccava più la sua chitarra. Dopo che Rachel era morta, l’aveva nascosta nell’armadio per non doverla più tirare fuori. Perché quello strumento gli ricordava troppo bene le ore passate in compagnia della sorella e dei suoi amici, trascorse a suonare, a scrivere canzoni, mettendo l’anima in ogni strofa e in ogni prova che facevano nel garage di casa Irwin. Momenti che, dopo la scomparsa di lei, per tutti loro sembravano essere perduti per sempre. Perché lo spazio vuoto lasciato da Rachel faceva ancora troppo male. E nessuno dei sui amici, senza di lei, se l’era sentita di continuare.
Eppure, adesso lui è lì, a suonare la sua chitarra come sempre, come se non fosse passato neppure un secondo dall’ultima volta che l’ha presa in mano. Suona, lascia che la musica gli entri dentro l’anima, accarezzandone ogni angolo, ogni parte rimasta al buio per troppo tempo. Suona, canta, lascia che le dita si muovano da sole sulle corde tese, riempiendo la stanza di quel suono che ai signori Clifford è sempre piaciuto.
E si ritrova a sorridere ancora più ampiamente, Michael, ripensando ai suoi genitori.
Sorride, mentre gli occhi gli diventano lucidi, perché in quegli ultimi nove mesi è riuscito a realizzare uno dei suoi più grandi desideri. E sa che deve ringraziare il suo ragazzo e i suoi migliori amici per avercela fatta. Perché senza di loro, senza il loro aiuto, non avrebbe mai trovato la forza di cui aveva bisogno. Soprattutto, senza Letizia non sarebbe mai stato capace di buttarsi per sistemare tutto quanto.
Dopo la morte di Rachel, era stato come se all’improvviso Karen e Daryl avessero perso completamente la voglia di vivere. Si erano chiusi in se stessi, a mala pena si rivolgevano qualche parola, ed era come se si fossero completamente dimenticati di Michael. Soltanto quando era rimasto vittima di quell’incidente, si erano allarmati per lui, così tanto che il ragazzo aveva cominciato a preoccuparsi a sua volta per loro. Perché sapeva bene che, in fondo, i suoi genitori avevano avevano paura di perdere anche lui. Però… Dopo alcune settimane, i signori Clifford erano nuovamente caduti preda dell’apatia, del silenzio, lasciando Michael da solo.
Ed era stato proprio in quel periodo che Letizia era piombata nella sua vita.
Ricorda ancora quel giorno come se fosse accaduto soltanto la mattina precedente.
Era steso sul letto a causa della gamba ancora ingessata e stava guardando un po’ di televisione, pur di tenere la mente occupata, pur di non pensare a tutto quello che, negli ultimi due anni aveva perduto, quando all’improvviso qualcuno aveva bussato, prendendolo completamente alla sprovvista.
«Avanti.» aveva detto; gli occhi fissi sulla porta, il cuore che batteva per un motivo che tutt’ora non sa spiegarsi.
Una ragazza mora con addosso un paio d’occhiali da vista dalla montatura nera era apparsa sulla soglia.
Michael l’aveva guardata a lungo, incuriosito, chiedendosi come mai fosse venuta proprio da lui. Aveva forse confuso la sua camera con quella di qualcun altro?
«Sei tu Michael Clifford, giusto?» gli aveva chiesto lei, invece, spezzando il silenzio che si era creato nella stanza e prendendolo ulteriormente di sorpresa.
«Sì, sono io.» aveva risposto titubante, non capendo che cosa stesse succedendo di preciso.
La ragazza aveva sorriso ed era entrata nella stanza, posando le proprie cose sulla sedia più vicina al letto.
«Letizia Lewis, tanto piacere.» si era presentata, tendendogli la mano, che lui aveva stretto piano, sospettoso, senza riuscire a staccare lo sguardo da quegli occhi scuri, in cui era sicuro di aver scorto un’ombra che, per certi versi, gli risultava anche troppo familiare.
«Michael.»
L’altra aveva annuito tranquilla e si era accomodata sulla sedia, piano, cercando di non far rumore, come se avesse voluto diventare invisibile, come se avesse voluto nascondersi agli occhi di chiunque.
«Io… Ehm… Sono qui per il progetto dell’ospedale…» aveva cominciato a spiegare, imbarazzata, con la voce insicura e gli occhi che non riuscivano ad alzarsi dalle punte dei suoi piedi.
Michael si era ritrovato a sorridere, nel vedere quanto timida fosse, e aveva deciso di darle una mano.
«Quello delle visite ad alcuni pazienti?» aveva chiesto, già intuendo il perché lei fosse lì.
La mora aveva annuito, riportando gli occhi allo stesso livello di quelli del ragazzo. «Però se non vuoi che resti, dimmelo. Io… Non voglio disturbare, sul se–»
«Guarda che sei la benvenuta.» aveva ribadito lui, fermandola e sorridendole. «E poi, è bello vedere gente nuova ogni tanto. Gli infermieri di questo piano sono sempre gli stessi e non si possono fermare troppo a lungo per chiacchierare un po’.»
Aveva detto così perché sperava che lei accettasse, che gli facesse compagnia in quelle giornate monotone, prive di colore; che lo distraesse almeno per qualche ora dal caos che non sapeva come poter affrontare una volta uscito da quel posto. Aveva bisogno di stare con qualcuno, di avere un qualsiasi tipo di contatto con le altre persone. Non ce la faceva più a vivere in quelle quattro mura fatte di solo assordante silenzio.
«Allora forse qualcuno potrebbe rimediare venendo più spesso a trovarti.» aveva proposto l’altra, capendo a che gioco Michael stesse giocando.
Lui aveva sorriso; il cuore più leggero, l’anima serena. «Vuoi essere tu ad avere l’esclusiva di farmi compagnia?»
Letizia aveva piegato le labbra in un sorriso, quel tipo di sorriso che il giovane Clifford non avrebbe mai potuto dimenticare, neppure volendo: pieno, luminoso, vero, sincero, capace di riscaldargli il cuore in un istante.
«Mi farebbe molto piacere.» aveva risposto poi.
E Michael ogni giorno non fa che ringraziare quell’incontro, per avergli fatto conoscere quella persona fantastica che, col tempo, si è rivelata essere una delle più importanti della sua vita, una delle sue migliori amiche. Quella stessa persona che, in quell’ultimo anno – insieme a tutti gli altri – è stata capace di migliorargli le giornate, rendendole più luminose, facendogli trovare la speranza che credeva di aver perso per sempre. Quella stessa persona per cui farebbe letteralmente qualsiasi cosa pur di renderla felice, soprattutto adesso che sta affrontando una delle sfide più difficili di tutte.
Posa la chitarra sul letto e prende il telefono per cercare quella foto che la mora gli ha invitato una mattina di due settimane prima. Una foto che, anche adesso, riesce a riempirgli il cuore di una felicità che non provava da tempo.
Una felicità che riguarda anche il fatto che, finalmente, i suoi genitori sono tornati quelli di una volta, realizzando il suo desiderio di vederli nuovamente felici e, soprattutto, vivi, in ogni loro più piccola parte. Perché, dopo tutti gli sforzi fatti, finalmente è riuscito a far loro capire che non serve a niente ancorarsi al passato per evitare di affrontare il dolore; che non serve a niente annullarsi perché non si riesce a sopportare il senso di colpa; che provare dolore non è così negativo come potrebbe sembrare in realtà.
E adesso che la sua vita è completa, non potrebbe chiedere niente di meglio.
Perché gli ultimi nove mesi si sono dimostrati essere pieni di talmente tante cose, che ancora fatica a credere a come tutto quanto sia potuto accadere.
È riuscito a mettersi in pari con le lezioni e gli esami che gli mancavano all’università per poi iniziare il terzo anno alla facoltà di arte, quella che lui e sua sorella avrebbero voluto frequentare insieme.
Ha continuato a vedersi con i suoi amici, ogni volta che ne aveva la possibilità, ogni volta rendendosi sempre più conto di quanto il loro rapporto stesse diventando sempre più importante, sempre più forte, sempre più necessario per tutti loro che, soltanto grazie all’amicizia che li lega, sono ancora lì, in piedi, nonostante i colpi ricevuti.
Soprattutto, non ha potuto non notare quanto Ashton stesse diventato sempre più essenziale per lui.
Ogni volta che falliva nel provare ad aiutare i suoi genitori, il riccio era sempre al suo fianco, pronto a dargli una mano, a rimetterlo in piedi, a spronarlo a continuare senza arrendersi. Ogni volta che aveva bisogno di qualcuno su cui contare, Ashton era sempre in prima linea, pronto a fare persino l’impossibile pur di farlo stare bene.
Nonostante tutto, Michael non avrebbe mai creduto che quei cinque anni insieme al riccio si sarebbero rivelati i migliori della sua vita, pieni d’amore e di una felicità che tutt’ora non riesce a spiegarsi, a descrivere fino in fondo. Non avrebbe mai immaginato che Ashton avrebbe potuto stravolgere il suo mondo così tanto in profondità.
E sorride, lui, mentre percorre il vialetto di casa sua per salire sulla macchina del suo ragazzo.
Perché quello è un giorno speciale. Soprattutto per Michael che, adesso, non vede l’ora di arrivare alla meta.
 
Sta cercando di pulire la macchina da una mezz'ora buona, per far posto a Madison, a Letizia e a ciò che la mora deve portarsi dietro da due settimane – e a lui, nonostante fosse lì, sembra ancora impossibile. Ma è come se, non appena butta via qualcosa, altri oggetti sbucassero fuori all'improvviso, rendendo quel compito più stressante di quanto non sia in realtà.
Però a Luke non importa più di tanto: ha cose ben più importanti a cui pensare quel giorno, per le quali ha sperato talmente tanto in quegli ultimi nove mesi che, adesso che si sono realizzate, quasi non riesce a crederci.
Butta via l'ennesimo fazzoletto usato e sorride, non appena si ritrova in mano il foulard beige che Maison credeva di aver perso tempo prima. Lo stesso foulard che le aveva regalato per il suo compleanno e che, qualche settimana dopo, le aveva tolto dal collo in quella stessa macchina, con le mani che gli tremavano mentre facevano l'amore per la prima volta. Lo stesso foulard che, adesso, si ritrova a sfiorare piano con la punta delle dita, come a voler sentire la pelle morbida della sua ragazza sotto le mani.
Scuote piano la testa e lo mette da parte, appuntandosi mentalmente di darglielo non appena si vedranno.
E mentre torna a pulire la macchina, il ricordo della notte passata con Madison viene seguito da tutto ciò che è successo in quegli ultimi nove mesi: un susseguirsi di novità, di soddisfazioni, di piccoli sogni pian piano realizzati e piccole speranze avverate, di lunghe ore passate con i propri amici, con sua madre e, soprattutto, con Madison.
Ripensa a quel primo anno all'accademia di fotografia da poco concluso; un anno andato molto meglio di quanto si fosse aspettato: aveva iniziato quella scuola su consiglio della madre, che «Oltre alla musica, ti è sempre piaciuto fare fotografie. Prova e vedi come va.» gli aveva detto. Lui aveva seguito il consiglio e, deve proprio ammetterlo: non avrebbe potuto fare scelta migliore di quella. Perché quella scuola si è rivelata essere il luogo in cui ha finalmente ritrovato la persona che vuole essere: qualcuno che mette tutto se stesso in ogni progetto, in ogni sogno, in ogni speranza, senza preoccuparsi delle difficoltà, senza cadere davanti ai fallimenti.
Ripensa a come il rapporto tra lui, Ashton e Michael, in quei mesi, sia ritornato come quello di una volta: basta uno sguardo per capirsi, la canzone giusta in macchina per un’improvvisata gita fuori porta, le parole adatte per sfondare i silenzi e i silenzi per combattere le paure. È come se la loro amicizia non se ne fosse mai andata, è come se fosse sempre rimasta lì, dentro di loro che, senza rendersene conto, l’avevamo relegata in un angolo per non rovinarla ulteriormente.
Ripensa a come sua madre sia tornata ad essere del tutto la persona che era un tempo, a come il passato non le faccia più male, a come si sia ripresa la sua rivincita sotto ogni punto di vista, dando il massimo in ogni cosa che ama fare e che la aiuta a sentirsi se stessa, senza limiti, senza catene, senza pesi. Ripensa a come Liz abbia fatto di tutto pur di sanare il loro rapporto, per chiedergli scusa di tutti i pesi che ha dovuto portare da solo. Ripensa ai suoi fratelli maggiori che, in quegli ultimi mesi, sono venuti più spesso a casa per dargli una mano, per stare un po’ insieme, come quella famiglia che, nonostante tutto, sono sempre stati: una famiglia che non è mai crollata.
Ripensa a Letizia, a come quegli ultimi nove mesi le abbiano stravolto la vita, a come si sia impegnata giorno dopo giorno, a come abbia messo in gioco tutta se stessa ancora una volta, dando il massimo pur di fare meno errori possibili. Ripensa ad ogni volta in cui l’ha vista con lo sguardo assente, gli occhi lucidi e le labbra piegate in un sorriso; a quanto si sia dimostrata coraggiosa e forte, più del solito; a quanto bene le voglia; a quanto speri che tutto vada per il meglio, specialmente per ciò con cui, da adesso in poi, avranno a che fare.
Ripensa, soprattutto, a Madison. A quella persona che è il centro costante di tutti i suoi pensieri, che è il motivo che l’ha spinto a dare il massimo, a non darsi per vinto, a continuare a sperare. Ripensa a come quella ragazza si sia rivelata essere la parte che mancava alla sua vita per essere completa. Quella parte che ha cercato a lungo, sorprendendosi nel trovarla proprio in quella sconosciuta dai grandi occhi castani, che l’hanno attirato come calamite potentissime fin dalla prima volta che li ha incrociati con i propri. Quegli occhi per i quali ha fatto di tutto pur di privarli di quell'ombra che vi aveva scorto fin da subito. Quegli stessi occhi che, adesso, ogni volta che lo guardano, lo fanno sentire bene, a proprio agio, riempiendogli il cuore e cullandogli l'anima, mostrandogli sempre quanto amore nascondano e abbiano da dare, ricordandogli i motivi per cui non ha mai smesso di combattere. Quegli occhi che, da poco più di un anno, sono diventati la cosa più importante che ha e per la quale ringrazia sempre il cielo per avergliela fatta incontrare.
Perché Luke sa che, se non ci fosse stata Madison, le cose sarebbero andate in maniera del tutto diversa. Sa che, senza quella bionda che ama con ogni grammo di sé, la sua vita sarebbe andata in pezzi, senza possibilità di tornare indietro. E forse non ci sarebbe stato alcun modo per rimetterla in sesto e farla ripartire da zero, per darle una seconda possibilità. Sa che, se non ci fosse stata lei, avrebbe perso la speranza molto prima; che non avrebbe saputo cosa fare per non mandare tutto all'aria. Sa soprattutto che, se non l'avesse conosciuta, non avrebbe mai capito cosa voglia dire innamorarsi di qualcuno così intensamente da mettere in gioco tutto quello che si ha e che si è.
Sorride, mentre ripensa a tutto quello che Madison gli ha dato fin da quando si sono conosciuti. Un tutto a cui, a volte, fatica ancora a credere. Perché è lei e la loro storia sono ciò che più per lui conta, così belle da sembrare un sogno, per il quale ha intenzione di dare ogni parte di sé pur di non perderlo.
E quasi non rende conto di aver finito di mettere in ordine, fino a che no si ritrova soltanto con una camicia di jeans in mano, che lascia cadere sulla poltrona del garage, per poi lavarsi le mani, salire in macchina e partire, sperando seriamente di non trovare traffico per le vie del centro. Vuole arrivare da Letizia in orario, dato che una delle due tappe di quel giorno è proprio casa della mora.
Guida con calma, gli occhiali da sole addosso, la radio accesa, la nuova canzone degli All Time Low che si diffonde nell'auto e che gli fa battere a ritmo il piede sul pedale e le dita sul volante, i finestrini abbassati per rinfrescare l'aria calda di quell’autunno che, benché sia quasi a metà, non dà segno di voler far arrivare l’inferno tanto presto quell’anno.
Guida e si lascia trasportare dal ritmo di Sydney, a volte placido, altre frenetico, capace in ogni caso di catturare chiunque; lascia che le strade lo catturino per portarlo dove vogliono, tra vicoli stretti e viali alberati, tra quartieri tranquilli e altri preda del caos. Soprattutto, lascia che il proprio cuore si tranquillizzi, che palchi i battiti e che gli dia modo di mettere i pensieri in ordine. Vuole essere pronto per quell’avvenimento davvero speciale.
 
Osserva attentamente la foto che ha sul comodino accanto al letto, scattata ormai quasi cinque mesi prima, nel giorno in cui lei e i suoi amici si sono diplomati. Una foto che la ritrae in mezzo ai suoi genitori, sorridente, allegra, viva, come mai prima di allora si era sentita. Una foto che fa da prova al fatto che il passato non ha più alcun potere, su nessuno di loro.
Ricorda bene quel giorno.
Aveva indossato la toga nera sopra al vestito rosso che sua madre Helen le aveva dato la sera prima proprio per quell’occasione speciale. «L’ha scelto tuo padre. E devo dire che ha stupito anche me.» le aveva detto, mentre lei si osservava allo specchio di camera sua – quello stesso specchio che, da mesi, non era più il suo nemico peggiore.
Senza rendersene conto, aveva sorriso alla sua immagine riflessa sulla superficie liscia. Perché non avrebbe mai immaginato di trovarsi così bella – almeno una volta – proprio come in quel momento, con addosso un vestito simile e i calzini spaiati ai piedi infilati in un paio di scarpe da ginnastica da buttare. Si era vista bellissima nei suoi pregi, nei suoi difetti, in tutto quello che la rende la persona che è. Si era vista bellissima nell’essere se stessa, senza più maschere. E non avrebbe potuto chiedere niente di meglio.
Il giorno seguente era stato uno dei migliori della sua vita. Perché le aveva fatto notare che, finalmente, ogni cosa aveva cominciato ad andare per il verso giusto; che lei non aveva più niente da temere, che il rapporto con i suoi genitori aveva ripreso il proprio corso esattamente dallo stesso punto in cui si era interrotto. Un rapporto uscito più forte dopo aver chiuso definitivamente le porte del passato. Un rapporto che, in quegli ultimi nove mesi, Madison ha capito di non voler perdere per niente al mondo, non quando sia lei che i suoi genitori hanno fatto letteralmente di tutto pur di sanare la situazione.
Sospira accarezzando la cornice chiara della foto, sentendo le labbra piegarsi in un sorriso. Poi si alza dal letto e finisce di vestirsi, controllando per l'ennesima volta se nella borsa abbia messo tutto ciò che, in una telefonata durata più di un'ora, Letizia le ha chiesto di portare con sé quella mattina.
«Per ogni evenienza. Non si può mai sapere!» aveva esclamato la mora – quando lei le aveva chiesto perché –, facendola sorridere. Perché è da due settimane che la sua migliore amica si comporta in quel modo: apprensiva, tesa più di una corda di violino e pronta ad ogni eventualità.
E, in fondo, Madison la capisce. È sempre stata al suo fianco in quegli ultimi nove mesi, sa quante l'altra ne abbia dovute passare, tra momenti d'ansia, insicurezza e rabbia che si alternavano in continuazione, facendo camminare tutti loro sul filo del rasoio, dato che non avevano la benché minima idea di come o cosa fare.
Per questo ringrazia ancora il fatto che, oltre ad Azura e a sua madre Helen, anche le mamme dei ragazzi abbiano deciso di dare una mano alla mora per aiutarla ad affrontare una delle tappe più importanti e più difficili della vita, formando quella grande famiglia in cui la zia di Letizia e sua madre sono state accolte con un calore che né loro né le ragazze si sarebbero mai aspettate.
Tutte loro hanno consigliato la mora a lungo, partendo dal fatto che avrebbe dovuto mettere da parte l’ansia fin da subito, perché non avrebbe portato assolutamente a niente, se non a sobbarcarsi di «preoccupazioni del tutto inutili» – così le aveva chiamate Joy Hood, quando aveva invitato le ragazze a passare un pomeriggio insieme, soprattutto per avere l’opportunità di parlare con Letizia, di cose che la giovane King non ha mai voluto sapere.
«Le chiacchiere tra nuora e suocera devono restare tra nuora e suocera.» aveva spiegato alla sua migliore amica, quando quest’ultima le aveva chiesto il perché.
Letizia aveva riso, di quella risata piena e viva che solo lei è sempre stata capace di fare. Quella risata che, fin da quando erano bambine, ha fatto sempre sentire Madison al sicuro, in ogni momento buio.
«Ma io e Cal non siamo sposati!» aveva ribadito; le guance lievemente più rosee e le mani che si stringevano nervosamente tra loro, così tanto da far sbiancare le nocche.
La bionda aveva sorriso e le aveva arruffato i capelli. «Scema, non preoccuparti.» le aveva detto, sperando di riuscire a calmarla in qualche modo. «Tanto sai che prima o poi accadrà in ogni caso.»
«Maddie!»
«E io sarò la tua testimone di nozze. O forse la damigella d’onore?» aveva proseguito, scherzando, capendo con un’occhiata che l’amica aveva intuito il suo gioco. «Posso essere entrambe?»
L’altra aveva sorriso. Ed anche l’ultimo briciolo d’ansia se n’era andato, in silenzio, esattamente com’era arrivato.
«Ti rispondo già di sì. Perché so che tanto farai come vuoi in ogni caso.»
Madison aveva ridacchiato e l’aveva abbracciata forte. «Sei la migliore!»
E si ritrova a sospirare piano, adesso, mentre cerca in tutti modi di tenere a bada la felicità che prova da quando si è svegliata quella mattina. Una felicità che riguarda se stessa e tutte le persone che, in quell’ultimo anno, hanno cominciato a far così talmente parte della sua vita che, adesso, lei non potrebbe in alcun modo pensare alle sue giornate senza di loro. Una felicità che ben le tiene a mente il fatto che, finalmente, ogni cosa storta è tornata al proprio posto, per rimanerci fino alla fine, senza più creare danni, senza più portare dolore.
Aveva agognato tanto la libertà, aveva provato a cercarla in ogni dove. Ma si era arresa: aveva deposto troppo presto le proprie armi; non aveva continuato a combattere come invece avrebbe dovuto. E sa che, se non fosse stato per le persone che ama, non sarebbe dov’è adesso.
Sarà riconoscente ad ognuno di loro per sempre, con tutto il cuore. È l’unica cosa che sa di poter fare per ringraziarli per ogni singola cosa che hanno fatto per lei, per farla tornare a sorridere, a camminare sulle proprie gambe, per aiutarla a prendersi la sua rivincita, liberandola dalle proprie catene e dal proprio inferno.
Soprattutto, non sarà mai in grado di ringraziare abbastanza Luke che, da quando si sono incontrati, ha sempre cercato in ogni modo di renderla felice. Luke, quell’angelo che le ha mostrato che ha ancora tanto da donare, a se stessa, ai suoi genitori, ai suoi amici. È stato grazie a quel biondo se, pian piano, ha ricominciato ad amarsi, a non vedersi più come un errore, a vedersi per quella ragazza che è sempre stata, semplice, con tanti sogni nel cassetto e una voglia matta di sfogare la propria anima con la musica.
Cosa che, in quegli ultimi nove mesi, ha effettivamente fatto. Perché, dopo lunghi ripensamenti, dopo aver messo da parte ogni insicurezza, ogni dubbio, aveva deciso di iscriversi all’accademia di musica. Non sapeva suonare uno strumento, al contrario di tutti gli altri studenti del suo corso, e l’inizio dell’anno scolastico non era stato dei migliori. Però non aveva mollato: si era impegnata al massimo, mettendo in gioco ogni più piccola parte di sé per realizzare quel sogno che, finalmente, aveva la possibilità di far diventare realtà. E non avrebbe mai creduto di poter ottenere risultati simili: in poco tempo, era diventata una dei migliori allievi del corso di chitarra, strumento in cui aveva deciso di specializzarsi – e non soltanto a causa di Luke.
Luke, che è sempre stato lì, al suo fianco, pronto a condividere con lei le vittorie e le sconfitte, pronto a sorreggerla se mai qualcosa fosse andato storto, a riempirle la vita di luce, in quel modo che soltanto lui è in grado di fare; quel modo da cui Madison si è ritrovata ad essere sempre più dipendente.
Perché non riesce a fare a meno del biondo, neppure volendo. Non riesce a stargli lontana, a pensare ad un futuro in cui lui non è presente. Semplicemente, non riesce più a nascondere il proprio amore che, in quell’ultimo anno, sembra essersi preso così tante libertà, che ormai la ragazza ha rinunciato a cercare un modo per migliorare le cose.
All’improvviso, il suono di un clacson la riporta con i pensieri al presente.
Prende ciò che le serve e corre fuori, dopo aver salutato velocemente sua madre.
E sorride. Perché la macchina di Luke è davanti casa sua. E lei non vede l’ora di essere con gli altri.
 
Si tira su la zip della felpa e si siede sul letto, chiudendo gli occhi e lasciandosi cadere piano sul materasso morbido. Sospira, mentre si passa una mano tra i capelli scuri tagliati da poco, provando a non pensare in alcun modo a ciò che succederà tra qualche ora, cercando di tranquillizzare i battiti del proprio cuore che, quella mattina, sembra esserle impazzito dentro al petto, incapace di contenere il turbine di emozioni che l’ha invasa non appena si era svegliata. Emozioni contrastanti tra loro, in grado di farla andare in confusione, di farle perdere la calma, di farla tornare nuovamente a preoccuparsi per ogni più piccola cosa.
Ecco perché, qualche ora prima, aveva chiamato Madison per chiederle di portare qualcosa con sé. In fondo, non sa mai di cosa potrebbe avere bisogno quindi, per evitare il problema, meglio portarsi tutto dietro. Giusto?
Sospira di nuovo, mentre si massaggia piano le tempie, spostando lo sguardo verso destra e ritrovandosi a sorridere, lentamente. E intanto, sente gli occhi diventarle lucidi, mentre osserva ciò che in quegli ultimi nove mesi le ha stravolto la vita, come se non ne avesse già passate a sufficienza l’anno precedente.
Guarda ciò che l’ha spronata a prendere coraggio per affrontare quella sfida che le si è presentata davanti all’improvviso, senza che lei l’avesse prevista o desiderata così presto. Guarda ciò che le ha fatto capire che le cose, con calma, sarebbero andate per il meglio; che non avrebbe dovuto preoccuparsi di niente perché tutto, in un modo o nell’altro, si sarebbe risolto. Guarda ciò che le fa compagnia ogni giorno da due lunghe settimane, le migliori e le più difficili della sua vita; settimane che ha aspettato per nove mesi, durante i quali si sono susseguite così tante novità che, a pensarci adesso, ancora non riesce a spiegarsi come abbia fatto ad uscirne tutta intera.
Ha finito il primo anno della facoltà di Lettere con il massimo dei voti, nonostante le nottate insonni e gli sbalzi d’umore. Primo anno che le ha dato la possibilità di immergesi completamente in quel mondo che ha sempre amato e di finire quella storia su cui stava lavorando da tempo e che, senza rendersene conto, all’improvviso si era ritrovata tra le mani sotto forma di libro vero e proprio edito da una delle più importanti case editrici del Paese, che era andato a ruba in ogni libreria d’Australia nel giro di neppure un mese.
E per lei, il fatto di aver realizzato uno dei suoi tanti sogni, di essere riuscita a pubblicare un libro, continua a sembrare tutt’ora incredibile. Per lei, che aveva sempre sperato di far provare agli altri qualcosa di forte con le proprie parole, è ancora impossibile capacitarsi del fatto che molti lettori le mandino costantemente lettere e mail, per farle i complimenti, per farle sapere la loro opinione e – la parte migliore di quella novità – per ringraziarla di aver scritto proprio quella storia.
Quella stessa storia che è parte di lei in ogni parola, in ogni pagina. Quella storia in cui ha messo ogni più piccolo grammo di se stessa, sfogandosi, aprendosi, scrivendo di quel dolore di cui non è mai riuscita a parlare bene a voce alta, lasciando che la vera versione di se stessa venisse fuori, con tutti i pesi, tutte le lacrime, tutti i silenzi e i momenti pieni di luce, arrivati dopo che Calum aveva fatto cadere i suoi muri e le sue maschere una volta per tutte.
Quella stessa storia che tocca ogni persona che, in quell’ultimo anno, le ha cambiato la vita, migliorandola, facendola tornare a splendere completamente, senza più alcuna ombra da dover combattere.
Ricorda ancora le espressioni attonite dei suoi amici, quando erano arrivati a casa sua per parlare proprio del libro e del fatto che i personaggi secondari erano molto simili a loro sotto parecchi punti di vista. Espressioni che avevano ripreso un po’ di colore alla risposta che lei aveva dato ai loro perché.
«Volevo raccontare di noi, di quello che abbiamo passato e che ci ha portati fino a qui.»
I ragazzi l’avevano osservata sbalorditi, senza dire una parola – più tardi l’avrebbero riempita di complimenti e vari «Non mi aspettavo che fossi così brava a scrivere», a cui lei avrebbe risposto sorridendo.
Madison, invece, era stata la prima a riscuotersi dal torpore in cui era caduta; la prima a stringere forte a sé Letizia; la prima a piangere per quella storia che l’aveva messa davanti a tutta la sua vita, mostrandole gli errori commessi, le scelte sbagliate prese sempre all’ultimo istante, gli attimi di puro inferno che aveva evitato per un soffio.
«Grazie.» si era limitata a dirle la bionda, mentre cercava di asciugarsi le lacrime.
L’altra aveva sorriso e l’aveva continuata a tenere stretta, mentre il cuore non faceva altro che traboccarle di gioia.
Una gioia che non l’ha mai abbandonata, da quando il suo rapporto con Azura è tornato ad essere quello di un tempo, soprattutto grazie al fatto che la donna l’ha aiutata in ogni passo della gravidanza, tenendola per mano, mostrandole i passi giusti da compiere, consigliandola su cosa fare dopo.
E tutto questo con anche l’aiuto delle madri di Madison e dei ragazzi, che spesso venivano a casa sua per chiacchierare e stare insieme, per condividere le proprie esperienze  e le lezioni che ne sono derivate.
Letizia non si sarebbe mai immaginata un appoggio simile dai genitori dei suoi amici. Mai avrebbe creduto che la famiglia che lei e gli altri avevano costruito in quell’ultimo anno si sarebbe allargata così presto. Mai avrebbe pensato che Azura avrebbe potuto trovare delle amiche tra persone così diverse da lei, con un cuore talmente grande da avere spazio per chiunque. Uno spazio che sua zia si era meritata fin da subito, per essersi aperta, per essersi lasciata andare con loro, per aver tirato fuori tutto il dolore che aveva represso dalla morte di Elizabeth, per aver condiviso la sua storia con quelle persone che l’hanno accolta senza dire niente in contrario.
Come mai avrebbe immaginato che la gravidanza si sarebbe rivelata tanto dura.
I primi mesi erano stati i peggiori: aveva passato le notti chiusa in bagno, con la testa china sul water e il corpo scosso dai conati e stancato dalla nausea; notti trascorse in compagnia dei propri amici, che si alternavano costantemente nelle visite e nelle veglie, per farle compagnia, per darle il loro sostegno, per aiutarla in ogni modo. Notti di nove mesi che si erano rivelate fonti di lunghe chiacchierate e ristate trattenute per non svegliare i vicini; notti di lacrime causate dallo stress e dall’ansia, di confessioni di ogni tipo, di speranze sussurrate con gli occhi rivolti al cielo che vedevano dalla finestra, di sogni fatti avverare giorno dopo giorno.
Con l’entrata nel quarto mese, la nausea si era lentamente affievolita, dando però spazio alla pancia, dalla pelle sempre più tesa e sempre più scossa dai piedini del piccolo. Una pancia che spesso Letizia si era ritrovata ad accarezzare, piano, quasi avesse paura di rompere quell’angelo che le stava crescendo dentro, beandosi di quel calore che sentiva correrle dentro le vene, capace di scaldare ogni sua più piccola cellula. Un calore che le faceva rendere conto che ciò che stava vivendo era molto più che reale.
«Avremo a che fare con un bambino molto vivace.» aveva commentato Ashton una di quelle notti, indicando con un cenno la pancia che si muoveva a scatti piccoli, quasi impercettibili.
Lei aveva ridacchiato piano. «Dovremo avere tanta pazienza.»
Il riccio aveva annuito, non riuscendo a trattenere il sorriso.
E Letizia si era ritrovata a pensare a quanto diversamente i suoi amici stessero affrontando la cosa.
Luke sussultava intimorito ogni volta che notava la pancia muoversi, quasi come se si sentisse molto più piccolo di quell’esserino che, piano piano, cresceva dentro di lei.
Ashton si era rivelato essere quello più lucido di tutti: in veste di aspirante medico, sapeva come affrontare le varie fasi, come agire in determinati momenti; in veste di «zio acquisito» – come ama definirsi – si lasciava scappare soltanto ampi sorrisi, in cui la mora ha sempre visto una tenerezza ed una felicità disarmati, così intense e vere da lasciarla sempre senza parole.
Madison e Michael, invece, facevano costantemente a gara per vedere tra chi dei due sarebbe diventato lo zio migliore, discutendo su ogni più piccola cosa: il nome; il colore della futura stanza, della culla, i tipi di giochi da regalare, i vestiti, l’asilo. Persino su chi, nel gruppo, sarebbe dovuto essere il padrino e la madrina.
Alla fine, Letizia era riuscita a placare la situazione, svelando quella sorpresa che lei e Calum avevano deciso di dire soltanto quando ogni cosa si fosse sistemata una volta per tutte.
«In realtà, Hood e io avevamo pensato proprio a voi due come madrina e padrino del bambino.»
A quella rivelazione improvvisa, i due avevano immediatamente smesso di litigare e si erano ritrovati stretti in un abbraccio che aveva fatto scuotere la testa della mora, seduta proprio davanti a loro.
Sospira piano, lei, nel ricordare quei momenti, nel ripensare a quelle persone che sono diventate parte della sua vita, la fonte della sua felicità. Quelle stesse persone che sono rimaste al suo fianco nonostante tutto; che, durante quei mesi, sono diventate parte di quella forza di cui aveva bisogno per non cedere più alla paura di sbagliare.
E intanto, continua a guardare ciò che la vita le ha regalato, che tanto le ricorda la parte più importante di lei, quella persona che le manca da morire e che non vede l'ora di rivedere.
Calum.
Quei nove mesi di distanza tra loro, nonostante gli impegni e tutte le altre cose a cui pensare, sono stati duri, molto più di quanto si fosse immaginata.
Aveva appoggiato l'idea del moro fin da subito. Voleva che stesse bene, che riuscisse a perdonarsi, a chiudere definitivamente ogni ponte col passato senza più sensi di colpa. Aveva sperato che tutto andasse per il meglio.
L'inizio era stata la parte più difficile: si era dovuta abituare al fatto di non poter avere vicino Calum nel modo in cui avrebbe voluto, soprattutto per affrontare insieme quella novità che li lega ancora più in profondità; si era dovuta ricordare ogni mattina che, ogni giorno passato lontani, equivaleva ad una piccola vittoria di entrambi su tutto il resto, soprattutto sul dolore che non era riuscito ad arrivare fino in fondo.
Poi le cose erano migliorate, passo dopo passo, a partire da un pomeriggio in cui, nella casella di posta elettronica, si era ritrovata una mail di Calum, in cui il moro le scriveva di come stessero andando le cose, di come stesse lui, in cui le chiedeva degli altri e, soprattutto, del piccolo. Una mail che aveva avuto il potere di farla piangere dalla gioia, che le aveva dato modo di sentirsi più vicina al suo ragazzo e che le aveva ricordato che loro due avevano ancora tante cose da fare e da costruire insieme.
Una mail che era stata l'inizio di tutto. Perché non hanno fatto altro che scriversi, costantemente, inondando l’altro di mail alle ore più improbabili del giorno – e anche della notte – parlando del più e del meno, facendo progetti, pensando al futuro. Era stato così che avevano vissuto quei nove mesi, tra mail, lettere e foto di lei e del pancione che Calum le chiedeva sempre. Non molto, ma sicuramente meglio di niente. Era ciò che le serviva per continuare a sperare, per convincersi che le cose sarebbero andate per il meglio.
E per lei, quel poco che sono riusciti a ritagliarsi, vale tutt’ora molto più di qualsiasi altra cosa.
Perché quei momenti, quelle mail sono state il solo modo che lei e il moro hanno avuto per continuare a farsi forza, a sperare; l’unico modo che li ha aiutati a non perdere niente di ciò che avevano costruito insieme.
Il suono di un clacson che rompe il silenzio la riporta alla realtà, facendole spuntare il sorriso sulle labbra.
Prende tutto ciò di cui ha bisogno ed esce dalla porta d'ingresso di quell'appartamento che, finalmente, ha imparato a chiamare casa.
Scende piano le scale, facendo attenzione a non fare mosse troppo avventate, cercando di restare tranquilla.
Poi è un attimo, e tutti i suoi amici sono davanti a lei, col sorriso sulle labbra alla vista di ciò che la mora ha con sé, pronti ad affrontare ciò che succederà a breve.
 
Non riesce a crederci.
Dopo nove lunghi mesi, sta finalmente preparando le sue cose per uscire dal centro di recupero.
E ancora non gli sembra vero.
È come se, all’improvviso, ogni giorno passato in quelle quattro mura avesse acquistato la durata di una frazione di secondo, come a voler scomparire, come a volersi nascondere in qualche modo per non tornare più. È come se le ansie e i dubbi che aveva provato fino alla notte prima si fossero dissolti nel nulla, lasciandogli il cuore e l’anima sensibilmente più leggeri. È come se il suo vecchio se stesso avesse all’improvviso varcato quella porta da cui non potrà mai fare ritorno, per permettere al nuovo Calum di entrare e vivere davvero la propria vita.
Finisce di mettere gli ultimi vestiti nella borsa. Poi se la mette in spalla e si avvia verso la porta, lasciata aperta dall’infermiera che quella mattina è venuta per fargli firmare gli ultimi documenti. E fa quasi per uscire dalla stanza, per lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare completamente da zero. Eppure… Una strana sensazione richiama indietro il suo sguardo, facendo sì che si posi prima sul letto e poi sulla scrivania, sulla cui superficie campeggia un vecchio modello di un computer.
E si ritrova a sorridere, mentre gli tornano alla mente gli ultimi nove mesi della sua vita.
Mesi trascorsi interamente in quel centro di recupero in cui ha deciso di andare per cambiare, per essere una persona nuova, migliore; per curare una volta per tutte la sua anima ancora ancorata a pesi che hanno avuto bisogno di tempo e aiuto per scomparire; per medicare il proprio cuore, chiudendo le ferite ancora aperte e facendo scomparire le cicatrici appartenenti ad un passato ormai lontano.
Per tutto quel tempo, non ha fatto altro che combattere costantemente contro se stesso, contro la vergogna che provava e che all’inizio della terapia era diventata insostenibile; contro la rabbia e il risentimento che, pian piano, aveva cominciato a capire e a gestire, per quanto fosse possibile; contro la scarsa autostima che, giorno dopo giorno, aveva vinto trovando sempre qualcosa di nuovo su cui lavorare.
Ha combattuto contro i ricordi, contro quelle immagini che aveva relegato in un angolo della mente molto tempo prima, proprio per non doverle vedere mai più. Quelle stesse immagini che, ora, non fanno più male, alle quali adesso riesce a pensare senza sentirsi più in colpa, provando soltanto una grande nostalgia per chi non c’è più.
Ha lottato con ogni grammo della propria anima, senza risparmiarsi, senza ripensamenti di alcun tipo, senza preoccuparsi delle cadute, senza dare al dolore o allo sconforto la possibilità di agire di nuovo.
L’unica cosa di cui gli importava davvero era il suo obiettivo: diventare una persona migliore per crescere insieme a Letizia il loro bambino. Un obiettivo che non ha mai dimenticato, che si è fin da subito dimostrato essere la sola cosa capace di aiutarlo a rimettersi in piedi dopo ogni caduta; di fargli trovare il coraggio che gli era mancato fino a quel momento e che, da quando è uscito fuori, Calum non ha mai tentato di fermare. Perché quel coraggio è stata l’unica forza su cui ha potuto contare durante quei nove mesi, a cui si è ancorato per non cadere, per non mandare in fumo tutti gli sforzi fatti.
Perché non poteva fare affidamento sui suoi amici, sulla sua ragazza: nonostante si scrivessero spesso, nonostante cercassero di restare in contatto il più a lungo possibile nell’arco di una giornata, loro non erano lì, con lui.
Era da solo, Calum. Solo davanti alle proprie paure, alle proprie insicurezze, ai propri dubbi.
Ed era stato così che aveva capito quanto valore potessero avere un abbraccio, una mano tesa, un sorriso di comprensione e di incoraggiamento, uno sguardo d’intensa. Erano piccole cose, eppure… Solo allora si era reso davvero conto di quanto aiuto potessero dare in una situazione simile alla sua. Piccoli gesti capaci di rendere ogni difficoltà meno dura, capaci di aiutare gli altri a non mollare mai, a trovare sempre qualcosa per cui vale la pena lottare con ogni mezzo che si ha a disposizione.
Si era ritrovato solo a combattere la propria guerra. Una guerra che, alla fine, è riuscito a vincere una volta per tutte perché, anche se le persone che ama non erano con lui, riuscivano sempre a trasmettergli il loro sostegno e a spronarlo a fare sempre meglio.
Ed ora che si rende conto di avercela fatta sul serio, non riesce a crederci.
Sospira piano, mentre lascia che le dita scorrano lievi sulla tastiera impolverata del computer. Quella tastiera su cui ha poggiato tante volte la punta delle dita per scrivere a Letizia che, nonostante la situazione, non ha mai mollato, non gli ha mai voltato le spalle. Quella ragazza che, ogni secondo, non ha fatto altro che continuare a dimostrargli i propri sentimenti, il proprio amore, rendendolo più forte, più sicuro di se stesso e pronto a rimettersi in sesto definitivamente.
Non averla accanto è stata dura. Avrebbe voluto svegliarsi la mattina accanto a lei, avrebbe voluto cominciare la giornata dando un bacio sul ventre sempre più grande della mora, di cui lei gli ha inviato tante, forse troppe foto, per fargli sapere che le cose stavano andando bene, che il bambino stava bene.
È stata dura perché avrebbe voluto essere con lei, per aiutarla, sostenerla. Avrebbe voluto essere presente in ogni fase, in ogni momento, in ogni scatto di rabbia, in ogni istante di frustrazione. Avrebbe voluto vivere quegli attimi tremendamente importanti con la sua ragazza, per ricordarli, per sapere che cosa si prova in momenti simili. Avrebbe voluto esserci, per ricordarle che non era sola, che lui sarebbe sempre rimasto, che lei non aveva niente di cui doversi preoccupare, che sarebbe andato tutto bene. Avrebbe voluto fare qualcosa, qualunque cosa.
Adesso, l’unica cosa che gli resta sono gli ultimi giorni di gravidanza. Quelli più cruciali, a detta di Ashton che, insieme a Luke e Madison, l’hanno tenuto costantemente informato.
Si passa stancamente una mano tra i capelli e si volta verso il letto, senza riuscire a smettere di pensare al fatto che, a breve, diventerà davvero padre; al fatto che uno come lui, nonostante tutto, sia riuscito a realizzare il suo sogno più grande; al fatto che, nonostante abbia sul serio paura di sbagliare ancora, non vede l’ora di cominciare quella nuova avventura.
E fa per sedersi un attimo sul materasso, per rilassarsi e mettere in ordine le idee prima di andarsene davvero. Ma un libro posto sul comodino attira la sua attenzione. Lo prende e, per un attimo, il cuore smette di battergli dentro al petto, mentre ripensa a quando gli era arrivato.
Ricorda bene quella mattina in cui, non appena si era svegliato, aveva visto un pacco sulla scrivania. Preso dalla curiosità, l’aveva aperto, e subito i suoi occhi erano corsi al biglietto color crema posto sopra tutto il resto.
Sorpresa! Spero ti piaccia.
Così diceva, senza firma, scritto nella grafia ordinata di Letizia che Calum saprebbe riconoscere ovunque.
Il suo sguardo era caduto sul contenuto: un libro, su cui il nome della mora e il titolo Burn with you spiccavano come fiamme nella notte sullo sfondo nero.
Calum non aveva perso tempo: si era subito immerso nella lettura, lasciandosi travolgere dalle parole che Letizia aveva usato. Parole che gli erano entrate talmente tanto dentro da farlo rabbrividire. Parole che l’avevano fatto riflettere, che gli avevano messo davanti agli occhi gli errori che aveva commesso. Parole che gli avevano riempito il cuore, che ogni tanto erano riuscite pure a strappargli un sorriso. Parole che, fin dalla prima pagina, aveva sentito scorrergli fin dentro le vene per arrivare a toccargli il cuore.
Per tre giorni non era uscito dalla propria camera. Voleva sapere come sarebbero andate a finire le vicende dei protagonisti e dei loro amici, a volte così familiari, così toccanti, da lasciarlo spaesato, completamente senza ossigeno dentro ai polmoni per la sorpresa.
La tua storia parla di noi. E siamo meravigliosi.
Così aveva scritto a Letizia in una mail, subito dopo aver concluso il libro, col sorriso sulle labbra e il cuore pieno di un qualcosa che tutt’ora non riesce a spiegarsi – il sorriso di chi non avrebbe potuto chiedere niente di più bello.
Accarezza la costola del libro delicatamente, mentre si lascia alle spalle la camera in cui ha vissuto per quasi un anno, mentre chiude definitivamente i ponti col proprio passato, mentre guarda in faccia per l’ultima volta i propri demoni, i propri incubi, prima di lasciarli cadere nel buio una volta per tutte. Mentre lascia che le parole dell’epilogo del libro della mora gli tornino in testa, una dopo l’altra, scolpite nella sua mente così tanto in profondità da risultare impossibili da dimenticare.
 
A volte, la discesa verso l’inferno comincia senza rendersene conto, fino a che non è troppo tardi.
Troppo tardi per tornare indietro, per cambiare le cose, per salvare qualcosa di ciò ch’è rimasto.
O almeno, la nostra è iniziata così.
Si cerca una luce per salvarsi, o anche solo per non perdere del tutto la speranza.
Eppure ogni sforzo sembra comunque vano, perché le cose non cambiano, mai.
Restano immutabili, almeno fino a che due universi opposti non si scontrano.
Perché quando due universi opposti si incontrano all’improvviso, cambia tutto, radicalmente.
Le certezze che c’erano prima svaniscono, sommerse da quel qualcosa che accomuna quei mondi.
Tutto scompare; dubbi, paure, sogni, maschere, muri. Resta una sola certezza: quella di non cadere.
E molto spesso non basta neppure tutta la propria forza di volontà per evitare l’inevitabile.
Non basta cercare di difendersi in ogni modo possibile, pur di salvare quel poco che resta.
Perché anche i muri più solidi alla fine cadono.
E a volte capita che alcune cose entrino di soppiatto nella propria vita, passo dopo passo.
Così di nascosto che, quando riescono ad illuminarla completamente, all’improvviso, lasciano senza parole.
E non c’è alcuna scusa da usare, alcun muro da mettere.
Certe persone, però, di quei muri hanno bisogno più di quanto vogliano ammettere.
E quando quelle difese cadono giù nella frazione di un attimo, niente è più come prima.
Perché quei muri sono troppo pesanti per essere ricostruiti da soli.
Poi ci sono persone che, di quei muri, non sanno proprio più che cosa farsene.
Perché quando hanno provato a costruirli, non sono serviti a niente.
E non li hanno risparmiati da quello che la vita ha voluto loro sottoporre.
E c’è anche chi, invece, vuole distruggere i muri delle persone che gli stanno a cuore.
Non per far loro del male, non per renderle preda del dolore.
Vuole distruggerli per aiutarle a superare tutto, per farle tornare a vivere.
Perché tornare a vivere è sempre difficile e, se qualcuno è solo, diventa quasi impossibile.
Per questo le persone che si hanno accanto sono sempre importanti.
Perché danno la forza per non mollare; perché mostrano che non tutto è perduto.
Ma se quel tutto è perduto per sempre, a volte non c’è più speranza di tornare.
E fidarsi, farsi amare inizia a fare paura.
Perché provare a vivere di nuovo non è mai facile, quando non si ha più niente.
Però, a volte, quel niente può cambiare ogni cosa, può tornare a splendere nella frazione di un istante.
Perché essere umani non è mai una condanna, anche se può sembrarlo.
Perché sanguinare quando si cade non mai è un crimine.
Perché neppure ammettere di aver bisogno di aiuto è un crimine.
Soprattutto quando la persona a cui lo si chiede diventa sempre più importante.
E non serve chiedersi troppo, non serve farsi mille dubbi o mille domande; bisogna soltanto agire.
Solo che le azioni che si compiono non sempre sono giuste.
E le conseguenze spesso si rivelano così disastrose che non si riesce ad uscirne da soli.
Perché a volte le proprie debolezze e i propri demoni peggiorano tutto all’improvviso.
Però poi arrivano quelle persone che sanno mettere a tacere tutto quanto.
Quelle persone che passo dopo passo, entrano lentamente dentro al cuore per non lasciarlo più.
Quelle persone che si rivelano essere la medicina migliore di tutte le altre.
E poi ci sono quelle persone per le quali si combatterebbe sempre pur di vederle sorridere.
Perché inevitabilmente si mette la loro felicità sopra se stessi, sopra tutto il resto.
E quando tornano a vivere, tutto è irrimediabilmente più bello.
E a volte, basta davvero poco per rendere felici le persone che si ama.
Perché le cose più semplici e vere sono quelle che più contano.
Soprattutto, il fidarsi completamente dell’altro è il regalo più grande che si possa fargli.
Perché fidarsi delle persone che si ama non è mai un errore.
Dimostra quanto si è disposti a mettere un gioco per far sì che tutto funzioni.
E non importa quando tempo servirà; l'importante è fare il viaggio in due.
Ed è proprio durante quel viaggio, che si capisce quanto importante sia l’altro.
Perché è l’unica persona in grado di curare le ferite che si hanno dentro.
Perché è l’unica persona che riesce a capire e a scacciare la solitudine.
Però spesso le ferite sono così profonde che a volte non c’è modo di rimarginarle completamente.
È così che tutto peggiora, che tutto inevitabilmente diventa grigio, senza colore.
Senza quella luce che invece basterebbe per mettere a posto ogni cosa.
Quella stessa luce di cui chiunque ha bisogno per stare bene, per vivere davvero.
Una luce troppo facile da perdere e altrettanto difficile da riconquistare quando tutto attorno cade.
Soprattutto quando segreti tenuti dentro troppo a lungo rovinano ogni cosa.
Segreti troppo grandi, a cui mai nessuno avrebbe potuto pensare.
Segreti che sono in grado di distruggere tutto quanto nella frazione di un attimo, come una folata di vento.
Segreti che, quando vengono scoperti, creano ancora più danni di prima.
Segreti contro cui si cerca di combattere in ogni modo.
A causa dei quali a volte si cade, ferendosi.
A causa dei quali, a volte, si arriva persino a perdere se stessi e ciò che di più caro si ha.
Eppure, si fa di tutto pur di non mollare, pur di non dire addio.
Pur di non rinunciare a qualcuno di veramente troppo importante.
Qualcuno per cui si sa di provare un sentimento più forte di quanto si voglia ammettere.
Un sentimento che, quando si lascia libero, prende campo su tutto il resto.
Un sentimento forte, a volte persino difficile da controllare.
Un sentimento per cui non è mai troppo tardi tornare a combattere, pur di viverlo fino in fondo.
Un sentimento che a volte fa così paura che si preferisce relegarlo in un angolo.
Perché fa paura soffrire, perdersi, andare in frantumi, condividersi, aprirsi all’altro.
Perché quando si crede che l’amore porti solo dolore, è difficile lasciarsi andare davvero.
Un sentimento che ha tante sfumature quante sono le persone che si amano.
Persone sempre ricche di così tante sorprese e novità capaci di cambiare il gioco della vita.
Persone capaci di sconvolgere tutto, semplicemente nella frazione in un istante.
Persone alle quali si apre totalmente il proprio cuore.
Perché si sa che non c'è più niente da temere, se si è pronti a voltare pagina.
Perché si sa che avere paura non potrà mai portare a qualcosa di buono.
Eppure, a volte la paura del passato è forte, più di tutto il resto.
Così forte da bloccare ogni cosa ed imprigionare il cuore nel ghiaccio.
Così forte da non lasciare alcuna via d’uscita per sentirsi liberi fino in fondo.
Una libertà a cui a volte si rinuncia perché ci si sente troppo incapaci, deboli.
Troppo deboli per affrontare la vita a testa alta.
Troppo deboli per combattere davvero per ciò a cui si tiene più di tutto il resto.
Eppure, a volte è proprio quel qualcosa di importante a portare la luce.
È quel qualcosa di basilare che porta quel pezzo di puzzle che mancava per completare il tutto.
Per completare una vita che sembrava aver perduto ogni cosa.
A volte, però, quella luce non basta a sanare un’anima già ferita in partenza.
Non basta a rimettere in sesto dopo che non c’è più niente da rimettere insieme.
Non basta a far voltare pagina a chi ne ha bisogno.
Una pagina che, a volte, ha bisogno di un punto fermo, prima di essere voltata del tutto.
Un punto al passato, ai capitoli mai conclusi davvero, ai pesi sul cuore e sull’anima.
Un punto da cui poter ripartire da zero.
Perché ripartire da zero è la migliore possibilità che si ha per stare bene.
Una possibilità che va vissuta fino in fondo, senza preoccuparsi, senza avere paura.
Soprattutto se si ha al proprio fianco qualcuno che ci ama senza riserva.
Un qualcuno che non se n’è mai andato, nonostante tutto.
Qualcuno che non ha fatto altro che dare ogni parte di sé per far stare bene chi ama.
Qualcuno per cui vale la pena provare a cambiare davvero le cose.
Qualcuno a cui, alla fine, si mostra ciò che si tiene nascosto da troppo tempo.
Qualcuno di cui ci si fida talmente tanto da non aver più paura.
Qualcuno che, costantemente, si dimostra essere la cosa più bella di tutte.
Qualcuno per cui si decide di mettere tutto quanto in gioco.
Per cui si trova il coraggio e la forza di cambiare, di crescere.
Per cui si farebbe qualsiasi cosa, perché quel qualcuno è più importante di tutto il resto.
Per questo, alla fine, si trova sempre la forza di reagire e rimettersi in piedi.
Perché ci si rende conto che la vita è ancora lì, tutta da vivere.
Una vita di cui non si vuole perdere neppure un secondo.
Una vita che, all’improvviso, dopo il dolore, regala la felicità più grande di tutte.
Una felicità nata dall’amore, senza confini, impossibile da contenere o capire fino in fondo.
Una felicità duratura, capace di sanare ogni ferita, di cancellare ogni errore.
Una felicità che sprona a cambiare, a fare del proprio meglio per guarire e tornare a vivere.
Per riprendere in mano la propria vita e farla tornare a splendere completamente.
Come quelle stelle che brillano nella notte nonostante il buio.
Quelle stesse stelle che, senza saperlo, ritroviamo nelle persone che amiamo.
Quelle persone che, ogni giorno, rendono la nostra vita bella da morire.
Quelle persone che si rivelano essere il miracolo che aspettavamo per amare e vivere senza più paura.
 
Parole che gli ricordano costantemente tutto quello che lui e Letizia hanno dovuto affrontare, per poter arrivare a quel punto. Parole che gli riportano alla mente altri ricordi, altri occhi, altre persone. Parole che gli hanno dato speranza, che l’hanno convinto a non mollare, a non darsi per vinto.
Mette il libro in borsa e sospira. È davanti la porta del centro di recupero. La stessa da cui è entrato. La stessa da cui, adesso, sta per uscire.
Prende un respiro, prova a tranquillizzarsi. Afferra la maniglia con la mano.
Poi è un attimo, e si ritrova fuori dall’edificio.
E ciò che vede lo lascia completamente senza parole.
 
Perché davanti a lui c’è Michael.
C’è il suo migliore amico. La persona che lo conosce meglio di chiunque altro.
C’è la persona a cui tre anni prima ha voltato le spalle per non soffrire ulteriormente, per attenuare la vergogna che provava a causa di ciò che era successo.
C’è la persona a cui non ha fatto altro che pensare per tutto quel tempo – chiedendosi come stesse, cosa stesse facendo – anche se non lo dava a vedere, anche se cercava di non far trapelare niente per non far allarmare nessuno.
Quella stessa persona che, adesso, gli sta sorridendo allegra.
Perché Michael Clifford, benché ci provi, non riesce a trattenere le proprie emozioni. Soprattutto, non riesce a trattenere la gioia che sta provando in quel momento.
Perché, dopo tre lunghi anni, riesce finalmente a rivedere Calum, uno dei suoi migliori amici, una delle persone a cui tiene più di tutto il resto.
Quella stessa persona a cui aveva cercato di riavvicinarsi, dopo la morte di Rachel. Quella stessa persona che, però, l’aveva spinto via, allontanandolo, tagliandolo fuori dalla sua vita, senza dargli modo di capire che cosa stesse succedendo, di capire come e cosa fare per rimettere in sesto tutto quanto. Quella stessa persona per la quale non ha fatto altro che preoccuparsi, in ogni caso; per la quale ha sempre sperato; alla quale ha sempre augurato un futuro migliore, pieno di luce.
Quella stessa persona che adesso è lì, davanti a lui, nella sua versione migliore.
Quella stessa persona che Michael si ritrova ad abbracciare forte, come se non ne avesse abbastanza, come se non volesse più farla andare via, come se non riuscisse a credere a ciò che sta succedendo.
Ed è come se quel gesto cancellasse nella frazione di un secondo tutti gli anni trascorsi lontani l’uno dall’altro; è come se tutti quei giorni passati nel silenzio più totale non fossero mai esistiti. È come se non fosse passato neppure un secondo dall’ultima volta in cui si sono visti. È come se l’amicizia che li lega non fosse mai cambiata.
Perché Calum risponde all’abbraccio, cancellando così gli errori commessi, i silenzi costantemente prolungati, le ferite procurate ad entrambi.
Risponde, stringendo a lungo il suo migliore amico. E il cuore quasi gli scoppia nel petto.
Perché non si sarebbe mai immaginato di vedere Michael, non dopo tutto quel tempo, non dopo ciò che è successo.
Eppure… Averlo lì, davanti a sé, mette ogni cosa in secondo piano – gli sbagli, i silenzi, la distanza.
Perché solo adesso si rende davvero conto di quanto l’altro gli sia mancato, del dolore e delle ferite che ha procurato ad entrambi. Solo adesso capisce che, in passato, avrebbe potuto agire diversamente, magari provando a combattere insieme il vuoto lasciato da Rachel. Avrebbe potuto mettere da parte il suo dolore per aiutare il suo migliore amico a rimettersi in sesto. Avrebbe potuto esserci quando l’altro aveva avuto bisogno di una mano. Avrebbe potuto fare tante altre cose, se soltanto non avesse pensato a se stesso fin dall’inizio.
«Mike, mi dispiace.» sussurra, piano, mentre stringe l’amico ancora di più. «Mi dispiace tanto.»
Michael sorride e, senza preoccuparsi degli occhi lucidi, risponde alla stretta. «Non fa niente, Cal.»
Ed entrambi sanno che adesso è tutto a posto, che da ora in poi non permetteranno più a niente di dividerli, che potranno sempre contare sull’altro in caso di bisogno.
Si scostano e si sorridono, complici, prima che Ashton si avvicini e abbracci Calum a sua volta.
Perché il riccio sapeva che il moro ce l’avrebbe fatta, che sarebbe andato tutto bene, che non c’era niente di cui doversi preoccupare, che ognuno di loro avrebbe avuto una seconda possibilità per ricominciare tutti insieme da zero. Soprattutto, sapeva che Michael e Calum avrebbero fatto pace – non perché il suo ragazzo gli avesse detto qualcosa, ma perché lo sentiva, fin dentro le ossa.
«Sono contento per te, campione.»
Calum non risponde. Si limita a stringere l’altro a sua volta, sorridendo alle parole dell’amico, ringraziandolo in silenzio per tutto ciò che, in quegli ultimi tre anni, ha fatto per lui, mantenendo i suoi segreti; cercando di aiutarlo in ogni modo possibile, di farlo ragionare, di fargli capire che c’era ancora speranza; rivelandosi essere una presenza fondamentale nella sua vita, senza la quale il moro sa che non sarebbe stato capace di resistere tanto a lungo.
Poi Ashton si scosta, e davanti al moro compare Luke, con gli occhi pieni di lacrime.
Lacrime che il giovane Hemmings ha cercato di trattenere a lungo, senza però riuscirci.
Lacrime che sfogano il caos di emozioni che il biondo ha dentro da giorni e che non sa più come contenere; che gli scorrono in silenzio lungo le guance; delle quali non importa niente. Perché gli importa soltanto di Calum adesso. E vedere che sta bene, che si è ripreso, che ce l’ha fatta, è il regalo più bello che la vita potesse fargli.
Il moro sorride, nel notare l’espressione dell’amico. E lo abbraccia, forte, a lungo, grato al cielo per avergli fatto incontrare quel ragazzo con cui ha condiviso letteralmente tutta una vita; che è sempre stato al suo fianco nei momenti più bui. Quel ragazzo che si è sempre dimostrato la persona migliore su cui poter contare.
«Grazie, Luke.»
Il biondo si limita ad annuire in silenzio, mentre risponde alla stretta, felice per ciò che sta succedendo e che da adesso in poi lui e le persone più importanti della sua vita avranno la possibilità di fare e creare insieme.
«Hemmo, hai finito di asciugarti il naso su Cal oppure no?»
La voce di Madison si fa sentire alle spalle del moro, facendo ridere tutti quanti, persino Luke, che si scosta dall’amico e raggiunge la sua ragazza, stampandole un bacio sulla fronte.
«Certo che sai sempre come rovinare un momento importante.»
Lei ridacchia divertita. «Ormai dovresti saperlo che è la mia specialità.»
«Quella che apprezzo di più, devo dire.» commenta Calum, attirando l’attenzione dell’amica e ritrovandosi stretto nel suo abbracci nella frazione di un secondo.
«Ciao, Cal!» lo saluta; la voce bassa, tremula, gli occhi chiusi per nascondere quelle lacrime che, a differenza di Luke, non riesce a lasciar andare.
Il maggiore risponde all’abbraccio e culla l’altra tra le braccia. «Ciao, Maddie.»
Madison sorride a quelle parole, a quel tono di voce allegro, sereno. Sorride, perché sa che tutto è andato bene, che tutto andrà bene; che ha fatto bene a continuare a sperare. Sorride, perché è felice di vedere Calum finalmente libero da tutto il buio che si portava dietro, e che lei – molto più degli altri – in qualche modo riusciva a capire fino in fondo. Sorride, perché il suo migliore amico sta bene, sul serio. Sorride, felice. Perché non potrebbe chiedere niente di meglio di ciò che sta accadendo.
Anche il moro sorride, di nuovo, mentre cerca di realizzare il fatto che è davvero tutto finito, che il suo inferno è davvero sparito, senza possibilità di ritorno; mentre abbraccia a lungo la sua migliore amica, quella persona che più capisce i pesi contro cui ha dovuto lottare, alla quale sarà sempre grato, per l’aiuto che si sono dati l’un l’altra per stare bene una volta per tutte.
«C’è una sorpresa per te.» gli dice poi Madison, sciogliendo il loro abbraccio.
Calum non fa in tempo ad aggiungere altro, che subito davanti a sé compare Letizia.
E lui resta completamente senza parole.
Perché Letizia è più bella di quanto ricordasse, con i capelli un po’ più corti, gli stessi occhiali neri sulla punta del naso, lo stesso sguardo intenso, lo stesso sorriso luminoso, gli stessi occhi color cioccolato che, quel giorno, splendono più del solito, proprio come le stelle della notte in cui si sono conosciuti.
Quegli stessi occhi che, al moro, hanno fatto compagnia ogni giorno ed ogni notte, negli ultimi nove mesi. Quegli stessi occhi che gli sono mancati più dell’ossigeno. Quegli stessi occhi che, ogni volta, si sono dimostrati essere la fonte del suo coraggio, senza i quali non avrebbe mai saputo che cosa fare e come affrontare il proprio inferno. Quegli stessi occhi che hanno qualcosa di diverso, di nuovo dentro, che spinge il ragazzo ad avvicinarsi a lei, piano, quasi avesse paura di vederla scomparire all’improvviso.
Letizia osserva Calum venirle in contro, senza riuscire a nascondere la felicità che prova da quando ha visto Michael asciugarsi gli occhi dopo aver fatto pace con il moro, da quando ha notato Ashton abbracciare Luke per consolarlo e farlo tornare a ridere, da quando ha intravisto l’unica lacrima che Madison ha lasciato andare. Quella felicità che, ora, le sta facendo battere fortissimo il cuore, come se volesse uscirle dal petto da un momento all’altro.
Perché ancora fatica a credere che Calum stia davvero bene, che ce l’abbia davvero fatta, che abbia davvero ripreso del tutto in mano la sua vita per farla ripartire da zero. Ancora fatica a credere che, alla fine, ogni cosa sia andato nel verso giusto, che non ci sia più niente di cui doversi preoccupare, che adesso il futuro è tutto nelle loro mani.
Eppure… Il suo ragazzo è lì, sul serio, davanti a lei. E i suoi occhi color caffè sono ancora più belli di quanto ricordasse. Quegli occhi che, due settimane prima, le hanno fatto compagnia nel momento più importante della sua vita. Un momento che avrebbe tanto voluto condividere con lui, benché sapesse che non sarebbe stato possibile.
«Ciao, amore.»
Lo saluta così, col sorriso sulle labbra e gli occhi lucidi, non appena il moro si ferma a pochi millimetri da lei.
«Ciao Le–»
Ma non riesce ad aggiungere altro, Calum. Perché i suoi occhi vengono catturati da ciò che la mora ha in braccio.
Una bambina.
Una bambina con i capelli scuri come quelli di Letizia e con il suo stesso taglio degli occhi.
Una bambina che gli ha appena sorriso e che ha cominciato a muovere le manine nella sua direzione.
Una bambina che è la cosa più bella che abbia mai visto in tutta la vita.
Quella stessa bambina che Letizia gli porge con attenzione, piano, e che Calum prende in braccio con delicatezza, con le mani che gli tremano perché non sa cosa fare, come tenerla per non farle male.
Quella stessa bambina che dimostra al ragazzo che ogni suo sogno alla fine si è realizzato davvero.
«È bellissima.»
Riesce a dire soltanto quelle parole, concentrato com’è su quel visino piccolo e dolce, su quel sorriso meraviglioso, su quella risata allegra che gli scalda il cuore e gli fa diventare gli occhi lucidi, sul quel cuoricino che sente battere vivace, su quegli occhi che hanno tanto da dare e che lo stanno guardando sereni, tranquilli, fiduciosi.
Letizia si avvicina di un passo, e lascia che la felicità dentro al proprio cuore aumenti.
Perché è la prima volta che vede il suo ragazzo e la loro bambina insieme.
E non potrebbe chiedere niente di più bello.
«Si chiama Rachel.» sussurra allora alle orecchie del moro, catturando completamente la sua attenzione.
Perché Calum non riesce a credere che la minore gli abbia fatto quel regalo.
Non riesce a dire niente. Si limita a baciare la mora, a lungo, beandosi di quelle labbra morbide che gli sono mancate da morire. E intanto, stringe un po’ più a sé la sua bambina, la ragione che l’ha spinto a diventare una persona migliore, cercando di non farle male in alcun modo.
Fa poi per voltarsi verso gli altri. Ma una figura alle spalle di Letizia cattura il suo sguardo. Mette a fuoco.
E, per un attimo, gli sembra di intravedere Rachel Clifford che gli sorride, felice, mentre lo saluta con la mano, prima di scomparire per sempre.
Calum resta basito, senza parole a causa di ciò che è appena successo, con il cuore che ha appena perso un battito. Poi una manina si posa sulla sua guancia, facendolo tornare alla realtà, facendolo sorridere, riempiendogli il cuore di un calore che, prima di quel momento, non aveva mai provato.
Perché non ha la benché minima intenzione di sprecare quella seconda possibilità che gli è stata concessa.
Perché non ha intenzione di perdere la felicità che ha appena ritrovato.
Accarezza piano il viso della piccola, della sua Rachel, mentre gli altri lo raggiungono e Letizia gli stampa un bacio sulla guancia bagnata dalle lacrime che lui non ha sentito scendere.
Lacrime nate dal fatto che, adesso, la sua vita è finalmente completa.
E fa una promessa, Calum, mentre guarda la sua piccola Rachel. Una promessa che sa che manterrà fino alla fine.
«Stavolta ti proteggerò.»
 
 
 
Fine





Letizia
Ma ciao a tutti tesori miei! <3
Ebbene sì, siamo arrivati alla fine anche di quest'avventura, e della mia carriera da scrittrice di fan fiction. Tempo fa avevo detto che, dopo questa storia, non avrei più scritto fan finction. Bien, il momento è arrivato :). Sappiate che mi sono divertita tanto in questi anni a scrivermi, a sfogarmi con questi quattro australiani che ancora adoro. E' che sento l'esigenza di mettere un punto fermo per chiudere questa parte della mia vita di cui non sento più il bisogno, tutto qui :).
Ma passiamo a Burn with you che, dopo quasi un anno, è finalmente giunta alla sua fine! E... Beh, ancora fatico a credere ad una cosa simile!
Voglio dire, i miei bambini adesso stanno bene, sono felici!!!! Leti e Cal hanno una vera famiglia adesso (e la piccola Rachel è la cosa più bella del mondo *^*) e tutti gli altri sono diventati zii *^*. Ok, mi sto per mettere a piangere.
Perché in questa storia ho messo tanto di me, soprattutto all'inizio, nei primi capitoli, che ho usato (in un certo senso) per sfogare quel qualcosa che mi faceva male e che non sono mai riuscita a capire. E' una storia che non avrei mai pensato di scrivere, soprattutto perché non avrei mai creduto di poter affrontare determinate tematiche. Però alla fine ho provato, e devo ammettere che sono più che soddisfatta del risultato.
Certo, non è stato semplice: per cercare di rendere le cose il più reale possibile, ho fatto tantissime ricerche, soprattutto per far combaciare i tempi nel modo migliore possibile (questa sì che è stata una faticaccia, ahahah ;)). Ma devo ammettere che, nonostante alcuni periodi bui (alcuni di zero ispirazione, altri pieni di impegni e poco tempo per stare al PC), mi sono divertita, tanto. Soprattutto perché, insieme ai miei personaggi, anche io sono cresciuta, ho trovato più certezze, più sicurezza in me stessa, e ne sono felice.
Come sono felicissima del percorso che i miei piccolini hanno fatto: tutti loro sono cresciuti, hanno affrontato le loro paure e le hanno vinte, hanno combattuto fino all'ultimo per essere felici e ci sono riusciti. Soprattutto perché, nonostante tutto, la speranza non li ha mai abbandonati.
Ed io spero davvero con tutto il cuore che la storia vi abbia ricordato questo: la speranza è l'arma migliore per affrontare ogni cosa. E' la sola cosa che ho cercato di comunicare attraverso questa storia e questi personaggi e spero con tutto il cuore di esserci riuscita *^*.
Come spero anche che, almeno un pochino, vi sia piaciuta :3.
Io... Non so cos'altro dire, sul serio. Sono un po' sotto shock, mettiamola così, ahahah. Voglio dire, non dovrò svegliarmi il sabato e pensare: "Evviva, oggi aggiorno!". Fa strano :/.
Comunque, a parte i pensieri della matta quale sono, volevo dire un'ultima cosa prima di chiudere del tutto.
Grazie.
Grazie davvero, con tutto il cuore.
Grazie alle persone che hanno recensito, a quelle che l'hanno messa tra le preferite, le ricordate e le seguite.
Grazie a chiunque abbia speso un minimo del suo tempo per leggere anche soltanto un capitolo (o la prima riga :)).
Grazie a chi si è interessato e ha fatto domande.
Grazie a chi è rimasto dall'inizio alla fine e a chi si è aggiunto durante il percorso.
Grazie di tutto.
Vi sono davvero grata *^* <3.
Detto questo, la sottoscritta chiude qui (con i lucciconi agli occhi ;D).
Ciao ciao a tutti! <3
Un bacione, Letizia <3

 
   
 
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