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Autore: TheREVolutionary    04/12/2016    0 recensioni
" [...] Nonostante fossi stremato dalla battuta di caccia notturna dalla quale ero appena rientrato, mi misi all'istante sulle sue tracce. [...]"
" [...] Scoccò il dardo, e metà strada tra lui e me, la freccia si smaterializzò gradualmente lasciando il posto ad un enorme felino che si scagliò contro di me con tutta la sua forza, ferendomi gravemente alla gamba sinistra. Fu tutto così rapido e così assurdo. [...]"
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Sono nato in un piccolo villaggio ad Est del continente. Un villaggio relativamente anonimo, dove gli abitanti vivevano con ciò che la terra e l'allevamento dava loro. Mio padre era un cacciatore, mia madre una curatrice, e vivevo in una casa di modeste dimensioni sul confine assieme a loro due e mia sorella Ainu, di sei anni più piccola di me.

Le mie giornate non presentavano mai nulla di esterno alla routine. Visto che i soldi non erano un problema, sia a me che a mia sorella fu impartita l'educazione basilare necessaria per saper leggere, scrivere, contare e poter assistere i nostri genitori nei primi rudimenti relativi ad ognuno dei mestieri. Così, sin da piccolo, grazie a mia madre imparai a riconoscere e classificare le varie erbe mediche, a preparare infusi per lenire il dolore, ma anche ad individuare veleni vegetali ed animali, utilizzare ossa di animali come utensili e tutto ciò che concerne la cura in senso vitale e mortale. Mio padre invece trasmise a me e a mia sorella tutto ciò che sapeva in merito alla caccia, al tiro con l'arco, alla costruzione di frecce, trappole per animali ed utensili utili al fine di percepire, individuare ed uccidere l'animale.

 

Tutto ciò proseguì ininterrottamente fino al compimento del mio diciannovesimo anno di età, quando venni mandato ad effettuare una battuta di caccia per conto di una famiglia abbastanza altolocata. Fino a quel giorno ero stato immerso, sin dalla tenera età, in un contesto permeato da formazione culturale, medica ed in un certo senso, bellica. Per questo motivo non era insolito che io o mio padre venissimo assoldati come “cacciatori privati” da alcune famiglie della Regione, al fine di procurare le migliori carni e le più splendenti pelli a persone di nobile lignaggio. Fu proprio il giorno successivo al mio compleanno che partii, ad solo, per una battuta di caccia, assoldato da quella famiglia, la quale mi diede un compito ben preciso: trovare un immenso ghepardo dal pelo arancione che viveva nella foresta del loro villaggio, ucciderlo, e portarlo da loro. Non mi fornirono altri dettagli né per quale scopo volessero morto l'animale, ma parlando di lavoro non ero solito fare troppe domande. Così, dopo aver fabbricato e disposto trappole, esche ed il mio equipaggiamento, iniziai la caccia della famigerata bestia arancione.

Trovare quell'animale fu tutt'altro che semplice: sebbene fosse davvero di dimensioni insolite (molto più grande rispetto alla media dei ghepardi, a giudicare dalle varie impronte e dai segni lasciati dal suo passaggio), sembrava sapere che qualcuno fosse sulle sue tracce, ed agiva come se volesse depistare le mie indagini. Una volta che mi accorsi di ciò, giocai d'anticipo, e nel giro di mezza giornata riuscii ad intrappolare l'animale con un laccio ad innesco ideata da mio padre.

Mi stavo quasi per appisolare quando sentii scattare la trappola: dall'albero sul quale mi ero appostato riuscivo chiaramente a vedere questa figura bestiale di una dimensione spropositata venire sollevata da terra con uno scatto brusco. Si trattava di un ghepardo enorme nel vero senso della parola. Perfino da distanza riuscivo a capire che le sue zampe erano molto più grandi di quanto avevo ipotizzato partendo dalle tracce e che, vedendolo per esteso, fosse più alto di me (e credetemi, la mia statura era abbastanza sopra la media degli esseri umani).

Si trattava, insomma, di una bestia spaventosa, seppur bellissima, e di lì a poco la sua vita sarebbe stata recisa da una mia freccia.

Senza fare il minimo rumore estrassi il mio arco corto, incoccai una freccia e presi la mira sulla creatura. La linea di tiro era dritta, pulita, e nonostante si stesse dimenando con forza, avrei potuto colpirla alla testa semplicemente in quanto avevo già identificato il suo pattern di movimento.

Inspirai profondamente e tesi la corda della mia arma.

I muscoli delle mie dita avevano appena iniziato a mollare la presa quando notai un'altra figura in rapido avvicinamento. Un rumore molto simile a quello di passi umani sulla terra bagnata si avvicinava sempre più alle grida di lamento della bestia, così non scoccai la freccia e rimasi in attesa per vedere di quale pericolo si fosse trattato questa volta. In queste situazioni è meglio essere molto cauti.

Bastarono pochi istanti per fare in modo che, ai piedi della creatura, sopraggiungesse ciò che si stava avvicinando: una figura femminile, umana, visibilmente sconvolta, in vesti molto simili a quelle dei nobili, affannata, bellissima. Si recò diretta verso la bestia, senza aver verificato la presenza di trappole o altro, la quale sembrava come stregata dalla sua presenza, ed io, per la prima volta nella storia della mia vita, avevo esitato a colpire la mia preda distratto da un fattore esterno decisamente trascurabile. Dall'alto della mia professionalità, avrei dovuto uccidere la bestia e successivamente analizzare la figura che era sopraggiunta in un secondo momento. Essere molto cauti a volte porta all'errore.

 

La donna si assicurò che l'animale stesse bene, farfugliando parole sottovoce ed ascoltandone le grida, che ora si erano fatte più tenui. Sembrava molto protettiva nei suoi confronti, ed i due si guardavano con un'intensità da fare invidia a molte unioni amorose.

In quel momento, prima che liberasse la bestia dalla mia trappola, decisi di entrare in scena. Tirai nuovamente la corda dell'arco e, puntando l'arma verso la donna, le chiesi chi fosse. Lei, che a quanto pare non si era accorta della mia presenza, si girò di scatto e con non poca sorpresa, scorgendo qualcosa di simile ad una scintilla provenire dai suoi occhi. Ora che era rivolta verso di me potevo cogliere pienamente la sua bellezza.

Occhi color zaffiro, un piccolo naso e delle labbra perfettamente proporzionate, e lunghi capelli neri parzialmente coperti da un cappuccio.

Dopo avermi osservato un attimo ed aver esitato rispose implorandomi di non fare del male alla bestia. Io ribadii di presentarsi, ma lei sembrò ignorarmi chiedendomi nuovamente di liberare l'animale, garantendomi che sarebbe stato completamente innocuo visto che adesso lei si trovava lì.

Non so cosa mi spinse a crederle, fatto sta che scoccai la freccia per tagliare la robusta fune che reggeva la bestia, facendola cadere a terra con un tonfo sonoro. Mentre la donna esaminava la bestia io scendevo dall'albero, sempre tenendo d'occhio i due con arco e frecce in mano e conscio del fatto di avere molte trappole sparse per tutta l'area. In caso di pericolo avrei potuto rallentare i due e mettermi in salvo tramite la fuga e le suddette trappole. Ma nulla di tutto ciò fu necessario.

Nonostante avessi cercato di ucciderla, la bestia aveva una luce quieta nei suoi occhi, donatale dalla presenza di quella che scoprii essere la sua padrona. Esatto, quella donna era una druida e quell'animale il suo famiglio. O meglio, stando a ciò che mi disse, era ancora un'apprendista, e considerando la sua età (doveva avere all'incirca la mia) non poteva che dire la verità. Non mi minaccio né null'altro, ma anzi, mi ringraziò per non aver fatto del male all'animale.

Dopo aver capito che non c'era nulla di cui preoccuparsi, riposi le armi e decisi di riposarmi, mentre la donna e la bestia rimasero lì con me. Fu allora che la prima mi raccontò da chi e perché ero stato ingaggiato. Quelli che volevano morto l'enorme ghepardo erano i suoi genitori, due ricchi mercanti che ripudiavano la sua vocazione per le arti magiche ed avevano deciso di far uccidere la sua bestia più cara come simbolo di disapprovazione e per farla tornare sulla strada della famiglia. Io le dissi che ero all'oscuro di tutto ciò, in quanto sul lavoro non effettuo mai troppe domande (ed è anche per questo che vengo convocato, il più delle volte) per non venire coinvolto dal punto di vista morale ed emotivo. Ma giunti a questo punto, era ormai impossibile per me portare a termine il lavoro.

 

La ragazza mi disse che si chiamava Adrama, mentre il suo animale portava il nome di Baleg, e parlando con quest'ultimo, mi disse che non era arrabbiato con me, che capiva il contesto nel quale avevo compito quelle azioni e che mi era grato per non averlo ucciso. Interpretava la mia esitazione come saggezza, come se una parte di me avesse saputo che ciò che stavo per fare fosse in un certo senso sbagliato. Con non poca ironia mi consigliò anche di migliorare il camuffamento di alcune delle mie trappole, in quanto altri cacciatori che avevano precedentemente cerato di catturarlo le avevano occultate in modo più efficace, ma mi riconobbe il merito di aver capito che lui sapesse di essere inseguito da me e che stesse agendo in modo da depistarmi. Nessuno lo aveva mai capito e per questo nessuno lo aveva mai catturato, fino a quel giorno.

Adesso però sorgeva un problema: secondo il codice dei cacciatori di quella parte del Continente, un cacciatore assoldato che fosse tornato dal committente senza aver svolto il suo compito non era degno di portare avanti quella professione. A maggior ragione non avrei più potuto rivolgere la parola a mio padre, in quanto dall'alto dei suoi ventisei anni di esperienza non aveva mai fallito un singolo incarico. Sarei diventato il disonore della famiglia e dell'ordine. Decisi allora che sarei dovuto sparire, per lo meno da quella zona.

Ma dove andare? E come sopravvivere?

Spiegai la situazione anche ad Adrama, la quale, come avevo intuito, nutriva il mio stesso bisogno di fuga, e così decidemmo di pianificare la cosa, ma non senza prima aver preso le dovute precauzioni ed aver effettuato i convenevoli dovuti. Così ci demmo appuntamento per il giorno seguente in una zona nota ad entrambi.

La sera stessa spiegai a mio padre come stavano le cose, senza mezze misure o riserve: avevo fallito nel mio compito ed ero diventato un disonore per la famiglia e per l'intera classe dei cacciatori, e per questo avevo deciso di mettermi in viaggio abbandonando il villaggio. L'uomo non rispose, non disse nulla, non accennò neppure al minimo movimento, si limitò solamente ad osservarmi mentre raccoglievo i miei utensili ed uscivo dalla porta. Portai con me tutto ciò che il buon senso mi fece sembrare indispensabile per l'inizio di questo nuovo capitolo della mia vita.

L'indomani incontrai Adrama nel punto stabilito. Assieme a lei vi era naturalmente anche Baleg, privo di guinzaglio o qualsivoglia oggetto dedicato al suo controllo. L'immenso ghepardo non sembrava disturbato dalla mia presenza, ed anzi sembravo piacergli, per qualche strano motivo. Ma pensandoci bene non era forse così strano, ero sempre andato d'accordo gli animali (che non avrei dovuto uccidere).

Su decisione unanime, decidemmo di metterci in viaggio in direzione del centro del continente, muovendoci verso Ovest. La zona era prevalentemente forestale, ma essendo entrambi stati da sempre abituati a vivere in una zona con quel tipo di terreno, avanzavamo rapidamente e senza incorrere in problemi. Anche Baleg, nonostante la mole, procedeva incurante di stecchi ed arbusti che avrebbero normalmente infastidito un animale della sua taglia.

 

In questo modo procedemmo per mesi, addentrandoci sempre di più verso l'interno del continente, scoprendo sempre più vari tipi di ambienti, città e persone. Vivevamo come alleati che si supportavano a vicenda nella caccia e nell'assistenza medica. Quel periodo fu molto produttivo per me, in quanto ebbi occasione di apprendere ed applicare moltissime cose. Non passò molto altro tempo, che io ed Adrama iniziammo ad essere più di due viaggiatori che si guardano le spalle a vicenda. Eravamo entrambi esseri umani, giovani, naturalmente attratti l'uno dall'altra, attratti al punto che, dopo tre anni dal nostro primo incontro nella foresta, quando minacciai di morte Baleg, decidemmo di sposarci. Proprio così, ho conosciuto mia moglie durante una battuta di caccia finanziata dai suoi genitori e che avrebbe dovuto portare all'uccisione del suo famiglio. Il mondo è veramente sorprendente, e questa faccenda è veramente nulla rispetto a ciò che sarebbe accaduto negli anni successivi.

Dai miei ventidue ai miei ventisei anni, trascorsi felicemente la vita assieme a Adrama ed il suo animale, con il quale avevo ormai stretto un ottimo rapporto di amicizia. Non ero in grado di parlare con lui con la disinvoltura di mia moglie, ma stando con lei avevo iniziato ad apprendere questo ed altro: riuscivo a comunicare con lui le emozioni e ad impartirgli ordini basilari, e posso garantirvi che esercitare un qualsiasi tipo di controllo su una creatura come Baleg è molto gratificante, soprattutto per gli esseri umani, razza alquanto discutibile rispetto alle altre che popolano il nostro mondo.

In quegli anni non fui l'unico ad effettuare notevoli progressi, però. Anche Adrama aveva incrementato notevolmente le sue abilità nell'uso della magia, e nonostante la ancora giovane età stava diventando una druida più che rispettabile, conosciuta e stimata da molti.

Riteneva che l'uso della magia arcana fosse in un certo senso molto anonimo, in quanto non lasciava una tracia concreta del suo passaggio, e così elaborò un suo modo particolare di fare le cose: ogni oggetto che incantava, persona che guariva, bestia che salvava, avrebbe portato per sempre il suo marchio magico. Non aveva alcun effetto, era puramente estetico, portava unicamente un significato morale, come se ci fosse scritto “Proprietà di Adrama”. Adoravo questo suo lato, anche se i nostri mondi erano così tanto diversi. Trascorrere quei sette anni con lei è stata un'esperienza veramente impareggiabile, ma come era già successo in passato, le belle storie non hanno mai un lieto fine.

Per quel lasso di tempo nel quale abbiamo vissuto assieme, sopravvivevamo prevalentemente in modo itinerante, svolgendo battute di caccia e, come già detto, fornendo assistenza nei vari villaggi nei quali ci imbattevamo. Lei ci teneva in forze anche col sussidio della magia, io ero pratico nella sopravvivenza da campo ed avevamo la possibilità di ottenere una visuale a volo d'uccello (grazie alle sue capacità e, successivamente, anche grazie alle mie), mentre Baleg faceva del suo meglio in tutto e per tutto. Si trattava di un animale veramente magnifico, anche se non ho mai avuto modo di scoprire nulla sul suo passato, da nessuno dei due.

Una volta stanchi di questa vita, ci siamo insediati in un villaggio nella regione centrale del continente svolgendo all'incirca i compiti che svolgevano i miei genitori in quello che era il mio villaggio natale: io cacciavo per rendita personale o della collettività, e lei si occupava della salute di tutti e vegliava sulla natura. Normalmente un cacciatore ed un druido sarebbero stati in disaccordo, ma lei si diceva molto lungimirante da questo punto di vista, in quanto grazie allo studio aveva appreso l'importanza della carne animale e del fatto che ci fosse comunque una gerarchia piramidale all'interno del mondo. Anche all'interno del villaggio, lei era adorata da tutti ed era un vero punto di riferimento, era il centro di quel piccolo sistema che viveva spensierato.

 

Però, citandomi, nulla è destinato a durare.

 

Una mattina, tornando da una battuta di caccia, non la trovai a casa, né da nessun'altra parte all'interno del villaggio. Nessuno sapeva dove si trovasse o che fine avesse fatto, ed il che era molto strano visto che aveva sempre premura di lasciare detto dove trovarla in caso d'emergenza. Subito iniziai a trarre le peggiori conclusioni, anche se in casa non c'erano segni evidenti di uno contro né sacche magiche rimaste dopo qualche incantesimo di resistenza. Nonostante fossi stremato dalla battuta di caccia notturna dalla quale ero appena rientrato, mi misi all'istante sulle sue tracce. Fu difficile, ma trovai una pista che conduceva fuori dal villaggio, e dopo due ore di cammino iniziai ad identificare anche le orme ed i segni del passaggio di Baleg. Lo conoscevo molto bene, e sapendo che anche lui si trovasse insieme a mia moglie ero leggermente più tranquillo, ma ciò naturalmente non bastava, ed ovviamente continuai il mio inseguimento. Passarono altre ore di cammino e la stanchezza stava ormai per sopraffarmi, non mi spiegavo come avesse fatto a spostarsi così velocemente e senza dare nell'occhio.

Ad un certo punto, però, mi accorsi che non ero sulle orme di mia moglie. Assieme a quelle dell'animale c'erano delle impronte, ma non le identificavo come quelle di Adrama. Come diavolo avevo fatto a sbagliarmi in modo così clamoroso? Da quando le orme dei due si erano scambiate? Perché erano assieme a quelle di Baleg, nonostante non si trattasse delle impronte di mia moglie? E così, caddi in una trappola.

Proseguii su quella “nuova” pista che non avevo identificato da chissà quanto, e per la fatica non mi accorsi che davanti a me, ad una cinquantina di metri di distanza, si trovava un uomo, alto, i capelli corti ed un viso anonimo. Portava degli abiti pesanti ed ingombranti, visibilmente nordici per la qualità della pelliccia ed il tipo di equipaggiamento. Che diavolo ci faceva un uomo del Nord in una foresta al centro del continente?

Un particolare in lui mi colpì. Aveva una specie di arco misto ad uno scettro, e sull'arma era riposta una particolare incisione gialla luminosa che identificai all'istante: era il simbolo di Adrama.

Non volli accettare ciò che videro i miei occhi. Iniziai a tempestare aggressivamente l'uomo di domande, ma la mia voce non sembrò raggiungere le sue orecchie. Il sangue mi ribolliva letteralmente nelle vene, non avevo mai provato una sensazione di confusione così acuta.

Ad un certo punto quella figura sembrò essere seccata dalla mia presenza, così incoccò una freccia e la scagliò contro di me senza effettuare il minimo movimento superfluo, compiendo gesti stilisticamente impeccabili. Possedeva una grande tecnica, seppur “sporcata” da qualcosa.

Accadde una cosa che non avevo mai visto prima.

Scoccò il dardo, e metà strada tra lui e me, la freccia si smaterializzò gradualmente lasciando il posto ad un enorme felino che si scagliò contro di me con tutta la sua forza, ferendomi gravemente alla gamba sinistra. Fu tutto così rapido e così assurdo che non realizzai istantaneamente che cosa accadde.

Il dolore fece però sparire il sonno e risvegliò in me gli istinti di sopravvivenza, così, sotto una incredibile scarica di adrenalina, riuscii in qualche modo a fuggire. Quell'uomo non sembrava profondamente intenzionato ad uccidermi in quanto non si mise ad inseguirmi. Mi lasciò andare. Forse mi aveva attaccato solo perché io ero arrivato davanti a lui e lo avevo visto, oppure, anche se si fosse trattato di una trappola, non mi aveva giudicato all'altezza neppure per essere ucciso con uno sforzo maggiore del dovuto. Non lo so, in quel momento stavo per morire dissanguato e la mia priorità era fermare la ferita e sopravvivere. Mi ricordai che nello zaino portavo due fermasangue preparatemi tempo prima da Adrama, così decisi di estrarne una ed utilizzarla. Nel vedere il suo simbolo sull'ampolla mi riempii di tristezza, esitando. Perché quell'uomo portava il suo marchio? Che diavolo stava succedendo? Dopo aver fermato il sangue, crollai.

 

Mi svegliai dopo una quantità non quantificabile di tempo. Avevo la testa pesantissima, ero bagnato dalla testa ai piedi e non sapevo quasi dove fossi. Tornare al villaggio con le mie gambe fu una delle imprese più difficili della mia vita fin'ora. Ci impiegai qualcosa come mezza giornata ma alla fine ci riuscii. Alcuni degli abitanti, vedendomi arrivare da lontano, mi corsero incontro notando da subito le mie condizioni. Mentre mi trascinavano, poco prima che io crollassi nuovamente, li sentivo chiamare il nome di mia moglie continuando ad interrogarsi sul dove fosse. A quanto parve, erano ancora all'oscuro di tutto.

 

Questa volta mi risvegliai nel letto di casa mia, circondato dalle anziane del villaggio. Avevo dormito per due giorni sotto intensa assistenza medica, e mi dissero che ero andato molto vicino alla morte. La ferita sulla gamba era stata medicata e fasciata, ma la sentivo pulsare ed il mio intero corpo era intorpidito. Avevo messo un piede nel mondo dei morti, ma siccome non l'avevo trovato di mio gradimento, ero tornato indietro, mi dissero come per sdrammatizzare.

Ci vollero mesi prima che acquisissi nuovamente le mie normali capacità cognitive e motorie. Ero un po' arrugginito, ma dopo un altro mese di pratica riuscii a tornare al livello di partenza. Agile e scattante, ero tornato in forze. Però una crepa era presente dentro di me. Mia moglie era scomparsa, e quando mesi prima avevo cercato di inseguirla, avevo trovato sulla mia strada un uomo che portava il suo marchio, e da questo ero stato aggredito a morte. Non avevo idea di chi fosse, di perché mi avesse attaccato, di che fine avesse fatto mia moglie, se stesse bene, dove fosse Baleg. Non sapevo niente di niente, ed avevo bisogno di risposte, al più presto.

 

Un giorno, poco dopo essermi totalmente ripreso, una strana lettera anonima venne recapitata a me. Mi dava appuntamento in una taverna nel centro del continente, non eccessivamente lontana dal villaggio. Sentivo che una volta recatomi in quella locanda la mia vita sarebbe stata nuovamente stravolta, così effettuai questa scelta in modo consapevole. Stavo di nuovo lasciando il mio villaggio per addentrarmi in qualcosa di oscuro e sconosciuto, ma che probabilmente mi avrebbe portato risposte. Quella lettera poteva essermi stata recapitata da mia moglie, da qualche mia vecchia conoscenza che aveva avuto informazioni a riguardo, o addirittura dall'uomo che mi aggredì nel bosco, anche se non davo molto peso a quest'ultima ipotesi.

L'unico modo per verificarlo era abbandonare il villaggio e recarsi alla locanda.

Oggi è il giorno che precedere quello dell'incontro, e domani dovrei arrivare al villaggio, giungendo dunque in orario. Durante il tragitto ho avuto modo di pensare più e più volte, e la cosa mi puzza non poco, ma adesso è troppo tardi per voltarsi indietro. Ora devo smettere di scrivere ed andare a riposarmi.

Domani sarà un nuovo inizio.

 

S.

  
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