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Autore: Francesca_H_Martin    05/12/2016    5 recensioni
E se un veggente indicasse il momento esatto della vostra morte, sareste disposti a tutto pur di evitarlo? Anche perdere voi stessi?
Genere: Fantasy, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ANGOLO AUTRICE: Salve a tutti!
Questa che sto per presentarvi è una storia fantasy,  precisamente la mia prima vera storia originale.
Vi confesso una cosa: avevo una paura assurda a pubblicarla perché TUTTO, dai personaggi  alla trama,  è frutto della mia pazza testolina.
Ho scritto altre storie di questo tipo, che però sono rimaste sul mio amato computer proprio perché non mi sentivo pronta per una cosa del genere.
Ora invece ho voluto mettermi alla prova, rischiando anche di ricevere magari qualche pomodoro virtuale in faccia ahahaha
Volevo dirvi anche un’ altra cosa, ho utilizzato dei personaggi presta volto, basta cliccare sui nomi per capire di chi si tratta!
Non voglio dilungarmi, non spiegherò neanche la trama, visto che capirete tutto leggendo.
Voglio solo chiedervi un immenso favore: se vi piace la storia, se vi incuriosisce e non volete che finisca, fatemelo sapere qui con un commento!
Sarei felicissima di riceverli, voglio capire se sono riuscita nel mio intento.

Ogni vostro giudizio per me è oro.
Detto questo, grazie a chi leggerà, a chi commenterà e…nulla, buona lettura!
Un bacio da Francesca <3







"E se un veggente indicasse il momento esatto della vostra morte, sareste disposti a tutto pur di evitarlo? Anche perdere voi stessi?"

 

 

σвℓινισи

— chapter 1—

"αℓєχ"

 

Dicembre, 1995.
 

—Richard! Richard! No, ti prego, Richard! Rispondimi! —
Una donna con enormi occhi blu si trovava china sul corpo di un uomo moribondo, nel vialetto della sua casa ricoperto di neve.
Era come se, tanto del dolore, non si accorgesse nemmeno del freddo glaciale che faceva, freddo che dava la sensazione di essere infilzati da mille aghi pungenti.
Il sangue rosso dell’uomo, che scorreva in qualsiasi direzione e che colorava mano a mano quella neve bianca, aveva qualcosa di poetico. Sembrava tutto un quadro in movimento, una macabra ma allo stesso tempo impressiva scena che rimaneva ferma nelle menti di chiunque avesse assistito.
La donna strinse forte la mano dell’uomo, accarezzandogli con l’altra il viso contorto dalla sofferenza.
—Richard chi…chi è stato? Devo… devo saperlo. — Una lacrima le rigò il viso, spegnendosi sul braccio ormai pallido dell’uomo.
Richard alzò per un secondo lo sguardo su di lei, cercando di sorridere. Le accarezzò i capelli con l’ultimo briciolo di forza che gli era rimasto, causandole brividi che le percorsero tutta la schiena.
—Pro…promettimi che la proteggerai. Pro…Promettimi che farai quello che abbiamo sempre pianificato per lei. —la sua voce era flebile e intrisa di paura.
La donna aveva gli occhi spalancati e la bocca schiusa per la meraviglia.
—Ma…Richard…—
—Nessun ma, Margot. Non è più sicuro stare qui…La storia si ripete, di nuovo. La storia non sarà mai storia, rimarrà sempre il nostro presente. Devi…—un sospiro lieve, come se non riuscisse neanche più a proferire un’altra parola. —Devi farlo. Promettimi che lo farai. —
Margot cinse il suo corpo in un abbraccio. Aveva il cuore che le batteva a mille e un senso di vuoto e di angoscia mai sentito prima.
Si concentrò un attimo in più su quegli occhi corvini prima di rispondere, occhi che ormai avevano perso tutta la loro luce, quella di cui si era profondamente innamorata.
—Te lo prometto. Farò come vuoi… ma dimmi, chi ti ha fatto questo? Chi?! — un urlo straziante che distrusse l’apparente quiete di quella notte.
—Non è come…non è come…—un suono quasi spento, sottile arrivò alle orecchie della donna.
Dopo silenzio.
 
 

                  

 

Dicembre, 2016.

 

Il coro natalizio stava allegramente cantando quella sera, nella piccola e fredda cittadina di Salem.
Tutto era ricoperto di bianco, così come la punta dell’alta chiesa del posto, dalla quale la visuale era mozzafiato: vaste alture si delineavano in lontananza, ognuna delle quali circondate da colori vivaci che davano luogo a un meraviglioso gioco di luci e ombre.
Il cielo era coperto di nuvole, ognuna caratterizzata da una forma strana; alcune rappresentavano degli animali, altre i volti cerei di persone mai viste prima, altri ancora assumevano l’aspetto di cuori o stelle incastonati in tutta quella confusione.
Alexandra come ogni sera si trovava lì, ammirando quel paesaggio. Era decisamente il suo posto preferito, la rilassava e le dava la giusta concentrazione per scrivere, cosa che amava fare, cosa che amava anche più di se stessa.
Non si capacitava come a volte fiumi di parole attraversassero le sue braccia per poi arrivare direttamente a quello schermo bianco del computer, riempendolo di macchioline nere.
Era come se qualcuno in quei momenti si impossessasse del suo corpo, come se tutte quelle parole non provenissero da lei ma da qualche forza sovraumana.
Aveva, come si suol dire, “la scrittura nel sangue”.
Ricordava ancora la prima volta che aveva preso in mano una penna e aveva cominciato a riempire il foglio di parole, una dopo l’altra, senza un apparente filo logico ma che in realtà rileggendole esprimevano concetti molto più grandi e profondi di quelli che un’altra persona della sua età potesse mai fare.
Questo perché forse era cresciuta un po’ troppo in fretta, si era dovuta adattare sin da subito ad una vita che non aveva scelto spontaneamente ma che le era stata brutalmente tirata in faccia, come una di quelle torte che vengono catapultate in viso a chiunque festeggi un qualcosa, come augurio di “buona fortuna”.
Scosse la testa cercando di cancellare tutti i pensieri che le stavano rumorosamente occupando la mente e con un piccolo colpo chiuse il computer, sbuffando.
Era la prima volta che nessun lampo di genio l’aveva colpita, che non aveva ricevuto nessun tipo di ispirazione che solitamente proprio quel cielo le dava.
Si alzò di scatto, prendendo il computer e posandolo in quel piccolo zainetto nero, suo fedele compagno di viaggi e avventure, per poi indossarlo.
Scese da quelle scale a chiocciola della chiesa e di colpo si ritrovò di nuovo in quella piccola stradina dimenticata dal mondo. La stessa di sempre, buia e desolata che percorreva ogni volta per tornare a casa, molto spesso ubriaca dopo una notte passata con gli amici.
Amava quelle serate.
Le considerava un modo per evadere da quella realtà, molto spesso soffocante, anche se il giorno dopo doveva combattere contro un mal di testa insopportabile, stile videogiochi di boxe che il suo fratellino adottivo possedeva, in ogni versione possibile ed immaginabile.
Molto spesso, soprattutto in quelle fredde sere d’inverno, dove tutto ciò che si desidera è un po’ di calore e una tazza di cioccolata calda, Alexandra restava seduta sul divano con la sua preziosa copertina di lana guardando Matthew giocare.
Si divertiva ogni tanto a prenderlo in giro o a togliergli dalle mani il joystick, cercando di farlo sbagliare solo per vedere quella piccola rughetta che si creava tra quelle grandi sopracciglia color del sole.
Ormai considerava quel bambino suo fratello effettivo; non aveva mai voluto bene così tanto ad una persona da che ne avesse memoria.
—Si…signorina—.
Una voce distrasse Alexandra; si girò immediatamente e vide che proveniva da un uomo trasandato, con una barba abbastanza folta e grigia, seduto a terra con una specie di cartone poggiato all’altezza dei suoi piedi.
—Si…signorina aspetti…La prego, mi aiuti…—disse l’uomo, con un velo di sofferenza nel tono.
Alexandra cautamente gli si avvicinò, svuotò le tasche e riversò il contenuto dentro quel cappello malandato che si trovava di fronte il barbone.
—E’ tutto quello che ho, mi dispiace. — disse la ragazza, rimettendosi in piedi e aggiustandosi i guanti che indossava per il troppo freddo.
—Hai fatto abbastanza, credimi… Sei così gentile e altruista, non sono doti comuni, sai? —
—Non ho fatto davvero nulla di che, non si preoccupi. —gli sorrise, abbassando lo sguardo.
—Invece si. Impara ad accettare i complimenti, Alexandra Evans. —
Appena sentì queste parole, la ragazza rimase pietrificata.
Era come se le avessero strappato un organo vitale dal corpo, come se tutti i suoi incubi magicamente si fossero avverati.
L’unico desiderio che aveva in quel momento era di fuggire, fuggire il più veloce possibile, ma la paura era riuscita a bloccarle le gambe come se fossero legate ad un pesante macigno o a quelle grosse palle nere che venivano ancorate alle caviglie dei carcerati per limitarne i movimenti.
Il suo battito cardiaco aumentava sempre di più, nonostante chi la guardasse da fuori sicuramente non si sarebbe accorto di nulla perché sul viso aveva stampata la solita espressione impassibile e fredda, come se tutto quello che le stava succedendo stesse succedendo a qualcun altro, qualche estraneo che non aveva nessun ruolo nella sua vita.
—Ops, ti ho spaventata. Non volevo, scusami. Per rimediare mi presento. Piacere, mi chiamo Iuppiter. — disse l’uomo, allungando quella mano ossuta.
Alexandra non riusciva neanche a parlare. Fissava l’uomo come se avesse visto un fantasma.
Sentiva però una vocina dentro di lei, una vocina che le suggeriva di non aver paura, una vocina che la incitava a proferire almeno una parola e a non scappare a gambe levate.
Ogni volta che le capitava di ascoltarla, le dava retta, nonostante tutto.
Era una specie di coscienza, come il grillo parlante per Pinocchio. Sentiva di potersi fidare, era una sensazione strana, come se partisse dalla parte più recondita dell’anima e a mano a mano si espandesse in tutto il corpo, facendo rilassare tutti i muscoli.
 —Ah giusto, questo è il momento della vocina interiore. —disse Iuppiter, alzando gli occhi al cielo.
—Come fai a sapere che…—
—Oh…So tante cose Alexandra, o meglio, Alex. Cose che neanche immagini, cose che perfino ignori completamente—disse l’uomo, non facendole terminare neanche la frase. Il suo sguardo furbo e in qualche modo familiare incuteva timore nonostante il tono pacato e dolce che stava utilizzando in quel momento.
Alex non sapeva cosa fare. Da un lato voleva correre via e dimenticare il tutto, dall’altro la sua enorme curiosità la spingeva a restare lì e a fare domande a quell’uomo troppo strano, che, vista la situazione, magari non era neanche un povero mendicante.
—Come fai a sapere il mio nome? Chi sei? Cosa vuoi da me? —queste parole erano uscite così velocemente dalla bocca di Alex che neanche lei si rese conto di averle pronunciate.
—Calma…Calma…Una domanda per volta. —
L’uomo schioccò le dita e in un battibaleno si trovarono seduti su uno di quei sgabelli scomodi appartenenti ad una di quelle vecchie tavole calde dove la ragazza si intratteneva spesso dopo l’università.
Alex aveva la bocca spalancata e un’espressione abbastanza intontita, cosa strana per lei visto che quasi mai nulla la sorprendeva.
Iuppiter iniziò a girare il cucchiaino contenuto nell’enorme tazza fumante di fronte a sé senza utilizzare mani, come se solo con il pensiero riuscisse a far muovere le cose.
—Ok, tutto questo è un sogno. Sto sognando. Sveglia Alex!! Svegliati!! —la ragazza lo urlò, dandosi di tanto in tanto dei piccoli colpetti sul viso.
Si guardò attorno. Era come se nessuno potesse sentirli o vederli. Si trovavano in una specie di bolla indistruttibile, una campana di vetro che la faceva soffocare.
—E’ tutto inutile Alex. Nessuno può sentirti. So anche che questa sembra una frase di un film horror, dove ormai tutti sono spacciati, ma fidati di me. So che non ti fidi di nessuno, ma so anche che in questo momento quella vocina che stai sentendo dentro di te ti sta supplicando di farlo. —
Alexandra lo guardò fisso negli occhi.
Era vero.
 La vocina, la stessa che l’aveva salvata in innumerevoli situazioni, le stava dicendo di fidarsi e di ascoltarlo, così decise di prendere un bel respiro e di dargli un’opportunità.
—Ok…Co…Come hai fatto a portarmi qui? Come…Come fai? Chi…Chi sei?—
—Mi chiamo Iuppiter e sono un veggente. Mi sono finto mendicante per vedere se ne valevi davvero la pena. Per fortuna ho capito che è così. —
Alex inarcò un sopracciglio e la sua bocca si chiuse in una smorfia.
—Quindi davvero vuoi dirmi che TU sei un veggente e che la magia esiste? E poi, valere la pena per cosa? —
A Iuppiter uscì un risolino strozzato. Prese il menù che era sul tavolo, lo sfogliò e dopo un secondo  fece magicamente apparire davanti a sé una montagna di pancake zuppa di sciroppo d’acero, poi ne prese una e ne buttò giù un pezzo.
—La magia esiste da secoli ormai. Perché pensi ci siano tutti questi libri che ne parlano se non fosse vero?
Ebbe tutto inizio da Merlino. Era un mio caro amico…—si fermò un secondo, guardò l’espressione confusa della ragazza, poi continuò:—ma sto divagando, scusami. Ciò che voglio dirti è… la magia esiste e sono qui appositamente per impedire che qualcosa di inevitabile avvenga. —
Iuppiter schioccò di nuovo le dita e all’improvviso si ritrovarono di nuovo nel punto preciso in cui si trovavano circa dieci minuti prima.
—Non sono bravo a dire certe cose, a volte mi manca un po’ di tatto, ma… poco cambia. Tra cinque minuti esatti morirai. Mi dispiace dirtelo, ma non puoi impedirlo. —
Alex incominciò a ridere a crepapelle, nonostante il viso serio dell’uomo non la confortasse minimamente.
Certo. Quindi, tu sei un veggente che ha previsto la mia morte e che è venuto qui per impedire che ciò accada. Sul serio pensi possa credere ad una cosa del genere? Dove sono le telecamere che mi dicono che è uno scherzo? —
La ragazza si girò intorno scrutando ogni minima parte di quella strada e applaudendo chiassosamente.
—Molto divertente. Guardami, sto MORENDO dalle risate! — Alex ricominciò a ridere, piegandosi in due.
Solo quando alzò il viso e guardò gli occhi del vecchio uomo, capì che davvero non era uno scherzo.
—Immaginavo una reazione del genere, quindi ho fatto i compiti a casa. Guarda tu stessa. —
Iuppiter si avvicinò ad Alex e le strinse il polso, chiudendo gli occhi.
La ragazza fu avvolta da una specie di luce e colpita da una sensazione strana; era come se l’anima le fosse uscita dal corpo e riuscisse a vedere la scena di sé stessa che veniva violentemente investita da un’auto che correva troppo veloce.
Con quella visione sentì come una specie di vuoto nel petto, vuoto che le fece capire che realmente di lì a poco sarebbe morta.
Sembrava tutto spaventosamente reale, non poteva essere uno scherzo.
Senza un motivo ben preciso, aveva sempre creduto nella magia, sin da piccola. Questa era la prova schiacciante che davvero esisteva, che quelle sensazioni “strane” che aveva sempre sentito non erano poi così “strane”, che lei davvero era destinata ad un qualcosa di assurdo che le avrebbe completamente sconvolto la vita.
Si era sempre fidata del suo istinto e questa volta le stava dicendo che tutto ciò che gli aveva detto quell’uomo, vecchio e strampalato che fosse, non erano un mucchio di fandonie.
Aprì velocemente gli occhi e scosse la testa un paio di volte prima di accasciarsi a terra lentamente, scivolando con la schiena vicino quel muro gelido e sporco.
Guardava fisso un punto davanti a sè con sguardo vitreo, assente. Era come se tutto attorno fosse scomparso, come se nulla avesse più importanza.
Ripensò al piccolo Matthew. Non poteva abbandonarlo, non poteva lasciarlo solo in quella famiglia sgangherata a cui erano stati affidati.
Non poteva morire proprio ora. Che cosa avrebbe provato suo fratello?
Giusto il giorno prima, rimboccandogli le coperte(tra le urla dei suoi genitori adottivi), gli aveva fatto una promessa eterna. Gli aveva giurato che mai e poi mai l’avrebbe lasciato solo.
“E se vorrai fuggire un giorno, mi porterai con te, vero?”, le aveva detto con quegli occhietti pieni di speranza e di terrore.
“Certo. Sei o non sei il mio insopportabile fratellino?”, gli aveva risposto Alex, scompigliandogli quei buffi capelli riccioluti. Lo strinse fortemente in un abbraccio e gli baciò la nuca, con la consapevolezza che tutto sarebbe stato un po’ più facile perché aveva lui.
E lui aveva lei.
—Non… non voglio morire. Non posso morire. Matthew…Dimmi come posso evitare tutto questo. Qualsiasi cosa sia, io la farò. —
Iuppiter le strinse una spalla, poi la guardò negli occhi.
—Sei coraggiosa Alex Evans. Ti ammiro molto, solo che…la persona che mi ha mandato qui a salvarti, ti ha messo davanti ad una scelta davvero difficile. —
Alexandra inarcò un sopracciglio.
—Ti ha mandato qui una persona? Chi? Che vuole da me? —
Iuppiter sospirò profondamente.
—Non posso dirti nulla, posso solo farti sapere cosa puoi fare per salvarti. —
Iuppiter fece un salto indietro, si schiarì la voce e cominciò a parlare: —L’unica maniera per salvarti è tornare nel passato e scambiare il tuo corpo con quello di un’altra persona che è legata a te in qualche modo. Ti rimando indietro di otto mesi. Mesi nei quali dovrai scoprire cosa ti lega a questa persona, ma principalmente dovrai distruggere il cosiddetto “cavillo”. Se entro lo scadere degli otto mesi non riuscirai nell’impresa, morirai, altrimenti vivrai e tutto tornerà com’è adesso. Rivedrai il tuo piccolo fratellino, i tuoi amici e sarai felice e contenta. Tutto chiaro?  Soprattutto, accetti il patto?—.
Ad Alex girava vorticosamente la testa. Era una specie di incubo ad occhi aperti tutto quello?
—Quindi mi stai dicendo che se in questi otto mesi trovo il cavillo, lo distruggo e scopro che legame mi lega alla persona di cui prenderò le sembianze, tornerò in me e alla mia vita normale? Mi sembra tutto così assurdo. —gli disse la ragazza in tono intontito, il tutto seguito da una risata isterica. Le sembrava tutto un pazzesco e irreale sogno.
Iuppiter sembrava invece esasperato.
—E’ proprio così. —disse l’uomo in tono rassegnato.
—Accetto. —gli disse d’impeto Alex, mentre davanti i suoi occhi aveva ancora l’immagine del fratellino, che dormiva beato sotto le coperte.
—Sei sicuro che non sono vittima di qualche tipo di reality show, qualche candid camera, vero? —
—Magari, gioia. Magari. —Iuppiter sospirò, affranto. — Ora chiudi gli occhi, bellezza. — L’uomo fece uno strano movimento delle mani mentre pronunciava frasi incomprensibili, in qualche lingua che la ragazza decisamente non conosceva.
Toccò con il pollice la fronte di Alex e premette forte, tanto da farle sentire una fitta di dolore.
—Ah, dimenticavo…Ringrazia da parte mia la persona che ha deciso di darmi una seconda opportunità! — Alex lo disse urlando per far si che l’uomo sentisse, in quanto dei forti rumori coprirono quel silenzio tombale.
—Fossi in te non lo ringrazierei…Non sai neanche cosa ti aspetta, ragazzina. —
Alex aprì di scatto gli occhi e l’ultima cosa che vide fu lo sguardo terrorizzato di Iuppiter che in modo implicito le stava augurando in bocca al lupo.
E poi buio.
 

                    

 

Aprile, 2016.


Nicole, ti troverai benissimo qui, è l’orfanotrofio più popolare di questa città!”
Alex aprì gli occhi, di nuovo.
Si trovava accanto una donna con lunghi capelli rossi e con una voce abbastanza dolce e simpatica. Le teneva stretto il braccio, come se non volesse lasciarla andare ma al contempo fosse obbligata a farlo.
—Dove…dove mi trovo? —
La donna a tale domanda rimase perplessa.
—Nicole sei all’orfanotrofio di New York…Sicura di stare bene? —
Alex prese il cellulare-che aveva trovato in una delle tasche del cappotto che indossava-e vi si specchiò.
Rimase di stucco. Sapeva che avrebbe cambiato aspetto, che da un momento all’altro si sarebbe catapultata in un corpo diverso dal suo, ma una cosa era il dire e un’altra il fare.
Questa ragazza, la presunta “Nicole”, la donna di cui ora aveva piena padronanza, era completamente diversa da lei.
Gli occhi, forse solo gli occhi le ricordavano un po’ sé stessa.
Erano di un blu chiaro, simile al colore del più bel mare mai esistito.
Per otto mesi avrebbe dovuto farselo bastare, si sarebbe appigliata a quello per non perdere la propria identità, anche se di certo di personalità ne aveva da vendere.
Sarebbe rimasta se stessa anche nel corpo di un’altra persona.
Avrebbe resistito, avrebbe lottato fino a raggiungere il suo scopo, per Matthew.
La donna dai capelli rossi suonò frettolosamente il campanello, stringendo con l’altra mano la mano  della ragazza.
Un ragazzo con i capelli scuri e con uno sguardo capace di immobilizzare chiunque, perché caratterizzato da uno speciale miscuglio di colori meravigliosi come il verde di un prato appena annaffiato, il celeste del cielo più limpido e una striatura chiarissima di oro colato che gli circondava la pupilla, aprì la porta.
—E tu chi sei? —le disse il ragazzo, inarcando un sopracciglio e schiudendo la bocca. —
—Ti direi ‘chiunque tu vuoi che io sia’, ma fa troppo 2003! —.
 

   
 
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