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Autore: AlnyFMillen    07/12/2016    1 recensioni
[Io prima di te]
Torse il collo verso l'alto, in modo da provare a guardare il volto di chi la stava gentilmente sostenendo.
Per primi vide i ciuffi dorati, ora ricoperti di un'appiccicosa poltiglia giallognola. Poi fu il turno della fronte che, ci avrebbe scommesso, sarebbe stata liscia come la seta se solo non fosse stata aggrottata ai limiti dell'impossibile. Le sopracciglia, invece, erano semplicemente inarcate, non si sapeva bene in quale cipiglio.
La cosa che però la fece sussultare ed allontanare di scatto neanche si fosse bruciata furono gli occhi: non li aveva osservati bene, all'inizio della cena, ma gli erano sembrati comunque molto più simili ad una placida pozza d'acqua densa ed impenetrabile che ad un garbuglio di onde come mare in tempesta.

|What if?|
Una cameriera maldestra, un famoso imprenditore. Entrambi nello stesso ristorante, entrambi con uno scopo da portare a termine. Quanti disastri potranno combinare?
Genere: Comico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Invisible 



Ottobre 2006



Era oramai risaputo che la LGOC, per esteso Lewis Group Of Companies, fosse completamente incapace nell'organizzare eventi che comprendessero ogni qualsivoglia tipo di vivande. Nonostante fosse una delle più famose aziende londinesi e non se la cavasse tanto male nemmeno in ambito internazionale, era un dato di fatto: per il cibo, meglio lasciar perdere. Non era dato sapere molto e se la causa fossero i dipendenti piuttosto che gli amministratori rimaneva un mistero. Fatto sta, però, ogni pranzo o cena ribattezzato con l'appellativo "di lavoro" finiva sempre per deludere le aspettative di chi vi partecipava. Non che ci si aspettasse molto ma, come si dice, il peggio non è mai morto ed anzi, a quanto pare, tende a ripresentarsi nelle sue forme peggiori. Proprio per questo, molti degli invitati si facevano spesso da parte, inventando una o l'altra scusa per evitare l'ennesimo mal di pancia. Una delle ultime volte persino Martin, un omone sulla cinquantina ben piazzato e panciuto, si era rifiutato di venire, causa raffreddore improvviso. Che poi il giorno seguente si trovasse nuovamente seduto dietro la propria scrivania come niente, non era una cosa poi così strana, succedeva spesso con gli altri. Eppure se proprio lui, lui che nella pausa pranzo sgattaiolava giù per i piani del palazzo così da poter introdursi nel ristorante italiano dietro l'angolo e ordinare almeno un bel piatto di spaghetti, stava a significare che le cose stavano peggiorano non poco. In quanto alla compravendita di attività e del conseguente ricavo, restava un'eccellente attività. Ma a quello scopo era stata creata e lì doveva rimanere. Il direttore generale non poteva dirsi certo un gran cuoco, il comitato di direzione brancolava nel buio totale anche solo per lo scegliere una semplice trattoria da quattro soldi. Non v'era un solo componente capace di organizzare una misera cenetta. Beh, tra cinquecento, magari uno con un minimo di competenze culinarie si trovava, ma proprio uno.
Parecchi di quei pensieri passavano per la mente di Will Traynor, giovane sorprendente promessa e l'ora amministratore delegato della suddetta agenzia, nel mentre passava distrattamente in rassegna il locale. Nulla di particolarmente vistoso ma neanche una catapecchia, constatò. Calici di cristallo, ottimo vino, tappezzeria di buon gusto. E lui se ne intendeva, se non di tappezzeria, almeno di vini. Aveva ordinato mezzo litro rosso, uno dei più pregiati, pronto a dirne quattro ai dipendenti nel caso gli avessero portato qualcosa di più simile all'aceto ma era stato piacevolmente sorpreso. Facendo scivolare il liquido nella coppa, ne aveva saggiato il profumo spiccato con occhio critico, poi bagnato appena le labbra. Chàteau Lafite Rothschild, 1787. Equilibrato, corposo, moderatamente tannico, sicuramente ben stagionato. Trentacinque... Aveva preso una piccola sorsata. No, quarant'anni. Decisamente un buon inizio. Molti, alla tavola cui era seduto, non avevano saputo fare i dovuti apprezzamenti e si erano limitati a confermare la buona qualità della bevanda. Non gli interessava poi molto, l'importante era che tutto filasse liscio. Fare la figura dell'incapace, ripeté mentalmente, era del tutto fuori discussione dopo i commenti molto poco garbati che aveva rivolto all'organizzatore e al ristorante dell'ultima volta.
Si volse verso Freddie, intento a snocciolare una conversazione piuttosto attiva con un collega seduto di fronte. L'aveva presa a ridere, Derwent, quando lui aveva cominciato a criticare a destra e manca. Nonostante ciò, c'era la netta sensazione che, se quel fatidico sabato sera fosse nuovamente finito nell'insoddisfazione più totale, quello non avrebbe perso tempo a raccontarlo in giro. Lo sapeva, era un'uomo al quale piaceva scherzare bonariamente. Eppure gli rodeva dentro il solo pensare a una possibile sconfitta. Insomma, era pur sempre Will Traynor, mica un dipendente scansafatiche di quelli con una vita sdegna dei ratti che si aggiravano nelle fognature cittadine. Certo, l'affluenza era nettamente inferiore, ma sembrava si prospettasse una serata piuttosto tranquilla. 
Sospirò pesantemente e prese a giocherellare con un lembo del tovagliolo in seta. Il locale era un bel posto, si. Nonostante ciò, aveva imparato a diffidare delle apparenze. I buchi nell'acqua erano già stati innumerevoli e non aveva intenzione di cedere a poche piccole accortezze di fatto irrilevanti. Si era occupato personalmente della scelta del ristorante, non intendeva transigere per poi fare la figura dell'idiota. Era quello il suo pensiero costante, lo sarebbe stato fin quando anche l'ultima briciola di dolce dentro i piatti non fosse terminato.
Con un veloce movimento del polso ruotò il Rolex da ventimila sterline, scrutando con un cipiglio scettico il quadrante dal taglio classico. L'orologio segnava chiaramente le 8.23 della sera. Quanto ancora avrebbero dovuto attendere perché le loro ordinazioni fossero pronte? Ricordò a malincuore l'espressione concentrata della cameriera mentre scriveva disordinata sul suo blocchetto. Sembrava quasi stesse svolgendo un test particolarmente complesso anziché quattro parole messe in croce. Avevano dovuto ripeterle i piatti almeno tre volte prima che riuscisse a recepire. "E' sicura di saper scrivere da sola oppure le serve un aiuto?" avrebbe voluto chiederle, eppure si era trattenuto tanto per quel minimo di educazione che gli rimaneva. Trattenuto, vero, fino alla quarta ordinazione -dodicesima, se contavano le ripetizioni- quando la ragazza aveva brillantemente appoggiato il quadernino nel piatto di Will per appuntare il risotto alla quinoa ordinato da uno degli uomini in giacca e cravatta ma che, nero su bianco, somigliava spaventosamente a un "Ri.ckhino" vergato in caratteri piccoli e tondeggianti. 
Aveva espresso in modo chiaro la sua opinione riguardo la grammatica inglese e spagnola, lei era arrossita e successivamente scomparsa dietro la porta della cucina, subito dopo aver frettolosamente preso il resto delle richieste. Quando era toccato a lui parlare, gli occhi della ragazza erano rimasti incollati alla pagina, la voce palesemente intrisa, persino nelle poche parole che gli aveva rivolto, del nervosismo che si sforzava di nascondere. Eppure lui aveva appoggiato galantemente il gomito al tavolo, accavallato le gambe e risposto, non senza aver aggiunto in allegato un'alzata di sopracciglia e una battutina pungente. Gli  sembrò quasi di aver intercettato un'occhiata al contempo determinata e risentita mentre la cameriera tornava in cucina. Aveva scosso la testa impercettibilmente: quella non era di sicuro il tipo di persona che si sarebbe permessa di sfidare uno come lui. Molto probabilmente, non aveva nemmeno capito che diavolo doveva portargli.
Così perso nelle proprie riflessioni, quasi sobbalzò per la sorpresa quando percepì una manata ben assestata piazzarsi sulla sua spalla sinistra.
"E allora Will? Non dici niente alla signorina qui presente?" domandò Fraddie leggermente divertito.
Lo riconobbe ancor prima di voltarsi nella sua direzione. Le dimensioni possenti del palmo e la forza con cui era stato sbattuto sulla giacca, il tono amichevole e dalla battuta sempre pronta, parlavano chiaro. Solo lui e pochi altri -i suoi genitori, il suo migliore amico e qualche altro collega- avevano, poi, conquistato il diritto di chiamarlo con quel diminutivo confidenziale. Se fosse stato un "Mr Traynor" o un "William" sicuramente avrebbe escluso per principio che si trattasse di una persona vicina, eccezion fatta per quei rari momenti in cui sua madre si appellava al nome di battesimo completo. Sua madre però non era lì, fortunatamente.
Solo allora poté accorgersi che, poco lontano, una ragazza lo stava osservando raggiante. Sui ventisette anni probabilmente, due gambe lunghe da far paura fasciate per un quarto da una gonna nera aderente; capelli biondi raccolti in una crocchia semplice ed elegante; carnagione dorata. 
Will si ricompose e sorrise a sua volta, in quel modo leggermente tirato verso destra che sapeva essere estremamente affascinante. Lei le porse una mano.
"Il mio nome è Alicia, Alicia Dewar. Piacere di conoscerla..."
"Will Traynor, il piacere è tutto mio" la precedette baciandole il dorso della mano con cortesia. A una ragazza tanto carina poteva presentarsi anche solo come Will, no?
Le guance della giovane donna si colorarono di un leggerissimo rossore, quasi impercettibile sotto la pelle abbronzata. Accanto a loro, Fraddie ridacchiò sommessamente e si fece da parte.
"Miss Dewer, la prego, si sieda. Non vorrei risultarle sfacciato" propose lanciandole un'occhiata più accurata. Non era il tipo da scoprire subito le sue carte, lui, meglio agire con finezza ma andare dritti al punto. 
Alicia lanciò un'occhiata due tavoli più in là, dove un gruppetto di ragazze sorrideva con entusiasmo e le faceva cenno di andare. Lei sembrava, invece, pronta ad esaltare le proprie doti alla prima occasione. Non che potesse nascondere molto quelle riguardanti l'aspetto fisico.
"Accetto volentieri, sempre se non disturbo"
"Sarebbe un'onore averla qui con noi"
Il ventottenne scostò la sedia alla sua sinistra, quella che avrebbe dovuto essere riservata a Roger ma che lui aveva ignorato, preferendo slittare di un posto. L'altra ringraziò con educazione e si accomodò.
"Allora, mi dica, cosa la porta qui?" chiese domandandole silenziosamente se volesse del vino. L'odore di ribes nero e frutti di bosco si rifletteva prepotente nei riflessi violacei della bevanda. 
"Una semplice cena tra amiche, Mr Traynor" rispose declinando l'offerta con un sorriso "Il suo collega" accennò a Fraddie "Ha salvato le nostre ordinazioni" 
"Non dovrebbero far attendere così delle ragazze tanto belle" disse trovandosi d'accordo "E' un atteggiamento imperdonabile"
Lei rise portando una mano a coprirle la bocca. Le amiche esultarono dal fondo della sala. 
Si poteva accusare Will Traynor di molte cose. Di essere crudele, prima di tutto, eccessivamente spericolato, sarcastico, a tratti lunatico e testardo, alla fin fine, indecifrabile. Eppure non si poteva certo dire che non fosse un signore con le donne. Un gran signore, se proprio s'impegnava ad esserlo. Aveva sempre creduto nel comportamento cavalleresco adottato nei confronti del gentil sesso, sicché potesse essere definito tale, eppure questo non l'aveva mai ostacolato dal farsi delle proprie idee al riguardo. Era davvero difficile pensare che quell'abito a tubino dalla profonda scollatura sulla schiena fosse stato indossato al solo scopo di soddisfare un piacere personale e non per attirare più di qualche occhiata maschile.
"Will hai sentito?" domandò improvvisamente Roger sporgendosi nella sua direzione con un bicchiere tra le mani "Quel deficiente della BLC si è dimesso appena oggi pomeriggio!" 
Al solo guardarlo poteva intuirsi che fosse già quasi completamente ubriaco. Era comunque uno che reggeva più che bene l'alcool, sembrava essere lucido abbastanza da controllare le proprie azioni. Dover aspettare i piatti aveva i suoi vantaggi se si usciva con le persone giuste. Per il tavolo erano ormai molte le gare di resistenza al vino indette.
"Allora bisogna festeggiare" alzò il calice in segno di solidarietà, poi lo ripose.
"Oh andiamo bevi qualche bicchiere" lo incitò l'amico.
"Si Will, non fare il guasta feste!" urlarono dal fondo della tavolata. Jeff, probabilmente. Era lui che di solito dava il via.
"Will, Will, Will!" 
In poco tempo un coro si alzò dal gruppo. Dovette alzarsi e far cenno di calmarsi con la mano per riuscire a zittirli tutti.
"Va bene, va bene" acconsentì ridendo "Ma solo uno" 

La ragazza tornò velocemente nelle cucine. Appoggiò il capo al muro proprio accanto alle porte scorrevoli e rilasciò con lentezza l'aria che doveva aver trattenuto fino a quel momento. Calmarsi, doveva solo calmarsi e resistere almeno fino alla fine del turno. Mancavano solo- lanciò un'occhiata fugace all'orologio appeso sulla parete laterale- sette ore a mezzanotte. Poteva farcela. Certo, non era facile resistere alla tentazione di rispondere a quei ricconi da strapazzo mentre la disprezzavano o, più semplicemente, cercavano di abbordarla ma ce l'avrebbe fatta. Aveva dannatamente bisogno di un lavoro. Il profitto ricavato da ore su ore passate nel The Buttered Bun non bastava più e la necessità di arrotondare almeno con un lavoretto serale si era fatta avanti. La pole dance non faceva per lei, girare seminuda per un bar sembrava una cosa tutt'altro che alla sua portata, però il campo della ristorazione restava un'opzione. Mai avrebbe preso in considerazione la possibilità di finire in un posto del genere, più probabilmente sapeva sarebbe tornata a servire i tavoli. 
Non immaginava nemmeno esistessero posti del genere, lì, neanche a una decina di chilometri da casa sua. Sembrava più qualche specie di tenuta estiva che un locale. Tutto, dentro e fuori, parlava di denaro. La gente, il cibo, i vestiti, le luci, la musica, perfino l'aria sembrava essere pregiata, migliore. Se un raggio lunare prepotente si infiltrava tra le finestre e cadeva a terra, ecco che si trasformava in costoso. I camerieri poi, sembravano aver frequentato chissà quale università solo per poter portare una bottiglia a quattro gatti. Aveva creduto fosse la cosa più facile al mondo, lei. Insomma, quanto poteva essere complicato? Chiedere, segnare le ordinazioni, portarle in cucina, tornare con il cibo. Nulla di importante, anche troppo semplice. Peccato che tra il dire e il fare ci fosse di mezzo il mare. I nomi delle pietanze erano un miscuglio ingarbugliato di lettere buttate a casaccio su carta, i tavoli si moltiplicavano a vista d'occhio, i cuochi riuscivano a decifrare la sua grafia con stentatezza. Non sapeva come ma era riuscita a sbagliare persino la domanda da porre al cliente. Che differenza così immensa poteva esserci tra il "Cosa posso portarle?" e "Pronti per ordinare?". Certo, quando aveva posto per le prime volte la seconda alternativa, lo aveva fatto con un gran sorriso sulle labbra, una mano appoggiata alla spalla del cliente e l'altra infilata in tasca ma non sembrava una cosa poi così tragica. Se l'erano squadrata da capo a piedi, neanche fosse stata un'animale da circo, poi mormorato a mezza bocca i piatti. Ma lei era abituata così, no? Si facevano due chiacchere con le vecchiette, un commento o l'altro sul cibo e così via. Eppure pareva proprio che le cose fossero cambiate. Oppure erano sempre state così e semplicemente non se ne era accorta, faceva lo stesso, gli altri sembravano sempre pronti a rimbeccarle una o l'altra mancanza. I colleghi non erano certo da meno. Aveva trovato solo qualche cliente dall'animo buono e la chiacchera facile venirle incontro, il resto tendeva a volerla evitare o deridere. Louisa Clark non era fatta per l'alta società, ammise a se stessa. 
Strinse istintivamente i pugni e sentì gli occhi pizzicare al ricordo di quell'ultimo tavolo servito. Non era fatta per l'alta società, aveva comunque un onore da difendere. Quando li aveva visti entrare, quel gruppo di ragazzi tirati a lucido, aveva subito pensato gli avrebbero portato solo guai. Si vedeva dalle giacche di almeno mille dollari trattate come fossero stracci per lavare il pavimento, dalle occhiate prolungate che gli riservavano le signore, dalle spallate amichevoli che si scambiavano e che probabilmente l'avrebbero fatta volare dall'altro capo della sala se l'avessero anche solo sfiorata. In loro qualunque cosa gridava denaro, lo avevano scritto in fronte con un pennarello indelebile. Se anche fossero stati vestiti come ragazzi normali e fossero andati in una normale pizzeria, la loro aurea da milionari non si sarebbe spenta. Erano impregnati di soldi fino al midollo. 
Naturalmente, il capo cameriere aveva pensato bene di mandare proprio lei a raccogliere le loro richieste. A differenza di come aveva fatto in precedenza, si era ben vista dal darsi un'aria troppo amichevole. Sorridere e porgere la fatidica domanda. Nulla di storto, eccezion fatta per qualche ammiccamento nella sua direzione da cui, però, si era sentita inevitabilmente lusingata. Aveva chiesto con gentilezza di ripetere più volte il nome del piatto, spiegando di essere nuova, e nessuno si era mostrato particolarmente indispettito da quello. Forse la divisa che portava aiutava a renderla più presentabile. Solo un tipo continuava a guardarla apatico senza mostrare un minimo di ritegno. Lo scrutò a sua volta per qualche istante, con la coda dell'occhio: pelle dorata perfettamente liscia, capelli castano chiari dal taglio sbarazzino, sguardo imperscrutabile. Il classico figlio di papà intollerante alla plebe. Avrebbe scommesso tutta la sua paga settimanale che quell'occhiata azzurra avrebbe potuto mandare al tappeto milioni di rivali in affari come far sciogliere bellamente anche la più gelida delle donne. Cercare di mettere a disagio così da indurre a sbagliare, solo per poter dire di averti sempre creduto incapace, poi, sembrava un'hobby particolarmente ben riuscito. Come volevasi dimostrare, persino lei non rimase indenne. Il taccuino le scivolò dalle mani ed andò a finire dritto dritto nel piatto del suddetto ragazzo. Volendo limitare i danni, si appoggiò con nochalance al tavolo, prendendo a scrivere come se nulla fosse l'ordinazione che gli era stata dettata. 
"Scusi se la disturbo signorina..." esordì dopo poco lui dando uno sguardo alla targhetta che recava scritto il suo nome "...Clark" 
Lei alzò lo sguardo, sorridente, tentando di nascondere il fatto che si trovasse con la faccia spiaccicata su posate altrui. C'era qualcosa di strano nel tono in cui lo aveva detto, qualcosa che la spinse a dubitare delle sue ipotesi poco approfondite. Magari non era poi così male, magari si era fatta dei pregiudizi infondati. In fondo, stava cercando di scostarla in modo più o meno gentile. Giusto?
"Mi chiedevo se avesse per caso bisogno di un'oculista. No perché se crede di vederci bene è un problema. Fin quando si trattava di scrivere avrei potuto pensare fosse semplicemente profana per quanto riguarda la grammatica inglese o, nella più generosa delle ipotesi, affetta da uno strano tipo di dislessia. Ora che però sta invadendo con la sua esile stazza il mio spazio vitale, il dubbio sorge"
Il tavolo si accese di risate, qualcuno gli urlò di non essere tanto crudele, altri si sintonizzarono sulla sua stessa lunghezza d'onda.
E fu lì che Lou si accorse di detestare ardentemente quel tipo di gente. Non ce l'aveva con il ceto medio in sè. La cosa che la infastidiva era il costante bisogno di quella gente di spendere e sbandierare le proprie banconote fruscianti sotto il naso di chi non poteva averle. Va bene, doveva essere sincera, anche lei se avesse avuto abbastanza soldi da comprarsi tutti gli appartamenti nel raggio di due miglia magari ne avrebbe approfittato un po'. Di certo non sarebbe diventata certo un manichino o una barbie da esposizione: la "gente comune" il senso lavoro ce lo aveva nel sangue. Se hai vissuto almeno una volta in una casa di trenta metri quadri con altre cinque persone, difficilmente sai dimenticartene.
Aveva trattenuto a stento le parole che premevano per uscire dalle proprie labbra e si era allontanata a passo svelto subito dopo aver raccolto il resto di quelle ordinazioni incomprensibili.
Quel... pensò stringendo le labbra fra loro fino a farle sparire. Sospirò rumorosamente mentre dava colpi ritmici alla gonna della divisa e per pulirla e per tranquillizzarsi. Avrebbe dovuto tornare da loro, lo sapeva. 
Greg, il capo sala, le fece cenno con la mano di prendere i piatti e portarli ai clienti. Dalla sua espressione scocciata, era probabile che avesse cercato di attirare l'attenzione più di una volta ma avesse fallito miseramente. 
La ragazza fissò i cibi con una smorfia dipinta in volto, non tanto per il fatto che non avesse la minima idea di quel che fossero, dato che avevano comunque l'aria di essere deliziosi, tanto per la scritta riportata sul post-it. "Tavolo n° 16". Lo stesso di Mr. Simpatia. Afferrò le prime due portate, squadrando male quelle che rimanevano sul piano della cucina. Prenderle e rischiare di far cadere tutto oppure andare sul sicuro ma fare più giri? Osservò ancora un attimo quel fatidico riso alla quinoa fonte di sfortuna, poi posizionò il resto dei piatti sulle braccia. Non ci voleva una laurea per saper tenere in equilibrio due cosette, se la sarebbe cavata egregiamente. Nonostante i suoi sforzi, notò però che restavano ancora molte cose da prendere. Si guardò attorno alla ricerca di un qualcosa su cui ammassare il resto ed esultò interiormente quando il suo sguardo si scontrò con un piccolo mezzo di trasporto a quattro ruote. Infilò il tutto lì, appoggiò nuovamente quel che restava sugli avambracci. Diede una piccola spinta alle porta e quella si chiuse rimbalzando alle sue spalle. Sapeva farlo, si ripeteva. Doveva solo stare attenta a non inciampare, sarebbe andato tutto bene. Erano ormai quasi le nove, avrebbe dovuto resistere ancora per poco. 
Fu con quei pensieri che le martellavano in testa che arrivò al tavolo. Cominciò a sfilare le vivande, accorta. Dai ragazzi si innalzò un mare di approvazioni.
Piano...
Fece sfilare la bistecca davanti ad un tale con la barba e dei baffetti curati. Uno strano tipo, pensò dando un'occhiata alla strana scelta di acconciatura. Si chiese brevemente chi fosse il suo barbiere.
Lentamente...
Anche le salcicce arrivarono a destinazione. L'espressione del giovane a cui l'aveva consegnate parlava chiaro.
Molto lentamente...
Dopo una ventina di raccomandazioni mentali, finalmente aveva le mani libere e un gran sorriso stampato sul volto. Il peggio era passato, doveva solo svuotare i ripiani del carrellino. Avrebbe fatto tutto con estrema attenzione. Poggiò velocemente un pasticcio di carne e verdure, ansiosa.
Andrà tutto ben--
"Mi scusi, non è la mia ordinazione" esordì qualcuno in tono fine e quasi timido.
Louisa alzò gli occhi dal roast beef che stava per piazzare sulla tovaglia e dedicò alla "voce" quel poco di concentrazione che stava cercando di impiegare in maniera costruttiva. Ruotò impercettibilmente il capo e vide una ragazza. Non l'aveva notata, all'inizio, molto probabilmente si era trasferita lì in sua assenza. Sicuramente era il tipo da attirare l'attenzione, quel genere di persona cui bastava una semplice occhiata per farti valutare con serietà l'idea di andare in giro con un sacchetto di carta in testa, tanto per evitare un'umiliazione definitiva. Era esattamente così che Lou si immaginava la scena: una giovane donna bella, bionda, dalle forme morbide eppure snella come un fuso, al fianco di una sottospecie di porcellino d'india strizzato dentro una divisa. Era troppo poco alta, troppo poco magra, troppo, troppo poco vicino a lei. Si riscosse mentre faticava a scacciare dalla testa l'immagine di quel musino peloso da roditore che smanettava nei piatti.
"Certo, provvedo subito" disse abbozzando un sorriso.
Si allontanò dal cliente al quale era passata e tornò dalla ragazza, fece per prendere il piatto ma venne urtata inavvertitamente da qualcuno alle sue spalle. Finì per sbilanciarsi all'indietro. Il purè di patate volò. La carne d'agnello intraprese un viaggio di sola andata. La salsa puntò in direzione dei vestiti. Lei cacciò un urletto, preparandosi al doloroso impatto col pavimento. Peccato che questo tardasse ad arrivare ed, anzi, si fosse annullato completamente. 
La pseudo cameriera aprì con lentezza gli occhi stretti tanto da far male, timorosa di essere morta o, peggio, ancora in vita. La maggior parte della tavolata, e non solo, la fissava a metà tra lo sconcertato ed il preoccupato. Alcuni davano già un lieve accenno di risa. Non era così egocentrica, però, da pensare che tutti stessero guardando lei, succedeva che qualche piatto cadesse ogni tanto. Certo, quello non era proprio "qualche piatto" ma, insomma, nulla di così eclatante. Inoltre restava ancora il piccolo dilemma della caduta scampata. Il dubbio iniziò a farsi strada nella sua mente assieme alla consapevolezza di non essere sola. Improvvisamente si accorse di quattro dita ben visibili che la sorreggievano da sotto le ascelle, all'altezza del seno. Di sicuro prima non erano lì, constatò leggermente contrariata. Seguendone il profilo, prese coscienza del fatto che in realtà componessero solo un piccolo tratto di due mani, che queste fossero collegate ad un paio di braccia muscolose fasciate da smoking nero e che quelle a loro volta appartenessero a qualcuno. 

Torse il collo verso l'alto, in modo da provare a guardare il volto di chi la stava gentilmente sostenendo. Per primi vide i ciuffi dorati, ora ricoperti di un'appiccicosa poltiglia giallognola; poi fu il turno della fronte che, ci avrebbe scommesso, sarebbe stata liscia come la seta se solo non fosse stata aggrottata ai limiti dell'impossibile; le sopracciglia, invece, erano semplicemente inarcate, non si sapeva bene in quale cipiglio. La cosa che però la fece sussultare ed allontanare di scatto neanche si fosse bruciata furono gli occhi: non li aveva osservati bene, all'inizio della cena, ma gli erano sembrati comunque molto più simili ad una placida pozza d'acqua densa ed impenetrabile che ad un garbuglio di onde come mare in tempesta. 
"Oddio" esclamò allarmata ai limiti dell' impossibile "Mi scusi, 
mi scusi, mi scusi, non volevo sporcarla!"
Tentò di dare una pulita alla giacca, sfilando un tovagliolo dal tavolo accanto ma finì solo col peggiorare la situazione. 
Accidenti, pensò, che casino! 
"Oh, non si preoccupi. Costa solo ottomila dollari"
"Io..."
Lui la zittì con un moto della mano mentre tentava di allontanare i grumi appiccicosi dai capelli. Non gli diede ascolto.
"Mi dispiace, io..."
Prima che Louisa potesse trovare le parole per continuare, un uomo in giacca e cravatta si fece avanti tra la calca dei tavoli. Doveva avere una trentina d'anni, probabilmente meno.
"Will, amico, ti trovo... Impantanato" disse piazzandogli una mano sulla spalla e poi ritraendola, divertito nel toccare la purea viscida.
"Mai quanto te alla festa di Capodanno dell'anno scorso, Rupe" rispose quello che ormai la cameriera aveva riconosciuto come una delle sue maggiori vergogne. 
Era convinta l'avrebbe presa male invece sul suo viso s'era dipinto l'accenno di un sorriso e nel tono di voce era presente una nota di amichevole sarcasmo. "Prova a ribattere adesso" sembrava gridare l'espressione rilassata. Come se tutto fosse andato secondo i piani, un tipo pronto a tirarsi fuori da ogni occasione, persino la più drastica, con un'abilità che dire impressionante era poco. 
La ragazza si accorse di essere rimasta lì impalata nel fissarlo e cominciò a indaffararsi per distogliere l'attenzione. Ce ne era di roba da sistemare, ma non potè comunque trattenere la curiosità ed origliare la conversazione di chi le stava poco distante.
"Quindi non ti dispiace?" stava dicendo Rupert riferito a qualcosa che doveva aver perecedentemente accennato.
"Perchè dovrebbe?" 
"Andiamo Will, sii buono. L'accompagno solo, giuro. Non sto con una donna che ha appena perso la testa per un altro uomo, specialmente se quello è il mio migliore amico"
Qualcuno rise. Louisa cercò di scollare quel che rimaneva della salsa dal pavimento, sempre con l'ausilio del tovagliolo.
"Sono serio, ti guarda come se volesse saltarti addosso da un momento all'altro! E' solo perchè sono di strada, tu devi andare da tutt'altra parte. Ti faccio un favore, pensa a quanto si preoccuperebbe tua madre se non arrivassi entro mattina"
"Sappiamo entrambi che non è certo mia madre il problema. Ora dì che lo stai facendo per non farmi fare le ore piccole 'sta notte così da essere bello sveglio domani mattina al lavoro e ti candido al premio Nobel"
Altre risate, questa volta di entrambi. 
"Attiri le donne come una calamita Traynor, mi ammazzi l'autostima così. Come minimo staremo tutto il viaggio a parlare di quanto tu sia bello e bravo. Già me lo immagino"
Lou sbarrò gli occhi. Non poteva credere alle sue orecchie. Traynor. Quei Traynor. La famiglia più ricca in assoluto sulla faccia della Terra, seconda solo a quella reale - o almeno così li aveva catalogati -, la quale possedeva niente di meno che il castello attorno cui girava tutto il suo piccolo paesino natale. Proprio quei Traynor.
"Sappi, Rupert, che ti tengo d'occhio. Prova a dire anche solo una parola sulla scorsa domenica e giuro che spiattellerò ad ogni singola ragazza con cui ci proverai di quando eri talmente sbronzo da fartela con un palo"
Seguì qualche altra battuta ed un paio di minacce pesanti sullo spifferare al mondo intero le uscite più imbarazzanti. Quando Louisa udì finalmente i passi dell'uomo allontanarsi, tirò un sospiro di solievo e fece per alzarsi. Aveva scrostato quasi tutta la poltiglia dalle mattonelle ma doveva tornare perforza in cucina così da prendere lo straccio e spiegare al caposala quello che era successo.
"Ha finito di origliare, deduco" 
Sobbalzò visibilmente nel sentire nuovamente quella voce, nello specifico rivolta a lei. Quindi sapeva eppure aveva continuato come nulla fosse. Ora, però, veniva a dirle che l'aveva beccata con le mani nel sacco. A che gioco stava giocando? Annaspò alla ricerca di una risposta.
"Non si scomodi a cercare scuse, è inutile e irritante"
Incassò, sentendosi avvampare. Restò a fissare la sua schiena che si destreggiava tra i tavoli, finchè non lo vide sparire in direzione dei bagni.
Strano, fu la prima parola che le venne in mente. Nel corso della serata l'umore di William Traynor era cambiato così tante volte da farle girare la testa. Perfino il vocabolario, il modo di parlare variava a seconda di chissà quale motivazione. Non aveva idea di chi fosse quell'uomo ma sperava di non doverlo rincontrare per scoprirlo. O almeno così credeva...
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<<  Saresti stato troppo occupato 
a guardare le ragazze alte e bionde 
con le gambe lunghe e i capelli voluminosi, 
quelle che riescono ad annusare 
un libretto degli assegni 
a un chilometro di distanza. 
E in ogni caso, io non sarei stata qui. 
Sarei stata a servire le bibite laggiù. 
Tra gli invisibili  >>
||Me before You||








A(l)n(y)golino:Buondì a tutte le povere anime arrivate fin qui, vi ringrazio immensamente! E' da quando ho finito di leggere "Io prima di te" che mi fluttuava per la testa quest'ideina. Avevo inizialmente pensato di scrivere una long su come sarebbe andata se Will non avesse avuto l'incidente e/o lo avesse superato. Rileggendo qualche paginetta ho avuto l'impressione che fosse una cosa piuttosto fattibile. Problema:... Non lo so qual'è il problema ma fatto sta che butto giù questa roba che dovrebbe vagamente somigliare ad una oneshot. Insomma, credo che alla fine uscirà fuori una serie. Ma bando alle ciance, per ora mi concentro sui chiarimenti da fare su questa paginetta=
-La Lewins Group Of Companies è un'azienda inglese esistente(credo), seppure non so di cosa si occupi nello specifico. Dovrebbe essere occupata nel campo dell'acquisizione di edifci (centri commerciali,uffici, parchi industriali). L'ho scelta perchè Roger accenna ad una "Lewins" come luogo lavorativo.
-Will afferma di aver conosciuto Alicia ad una cena terribile. Stando insieme da 8/9 mesi al tempo dell'incidente (2007), devono essersi incontrati circa verso il mese di Ottobre se si indicano le vacanze che avrebbero dovuto proggettare come quelle estive.
-Fraddie è colui che si fa avanti per primo al matrimonio di Alicia e Roger per parlare con Will. Mi sembrava un tipino simpatico.
-Il nome di Martin viene accennato nel prologo, cosi come quello di Jeff
E niente, spero che la ff sia stata di vostro gradimento (io mi sono divertita un mondo a scriverla^^) e che possa nascere al più presto un fandom dedicato a questo magnifico romanzo!
Salutoni,
AlnyFMillen
   
 
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