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Autore: Ugaz    08/12/2016    0 recensioni
Essere un osservatore tra le persone.
Questa è la sensazione che molto spesso mi assale. E non solo in aeroporti stazioni bar ristoranti, ma anche in famiglia, tra amici, tra colleghi.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Essere un osservatore tra le persone.

Questa è la sensazione che molto spesso mi assale. E non solo in aeroporti stazioni bar ristoranti, ma anche in famiglia, tra amici, tra colleghi.

Avere quella consapevolezza che sto osservando risate, discussioni, litigi, pianti.

Avere quella consapevolezza che almeno un po' sono un intruso perché sbircio con una certa curiosità la loro quotidianità e me ne sto zitto a dipingere un ricordo che rimarrà per qualche giorno vivo nella memoria. A scattare un ricordo. Poi mi sento colpevole perché quel ricordo è troppo intimo, a volte particolarmente nudo, e con un po' di rimorso me ne sbarazzo.

 

Una sera esco. Vado a cena.

La compagnia è ottima. Mangio bene anche se la cucina rimane leggermente arretrata per quello che è il suo standard evolutivo. Il vino accarezza la gola quando lo sorseggio sempre più spesso e magari, tralasciamo il magari, ne bevo un bicchiere di troppo ma domani, oggi è domenica. Non ho programmi, non particolarmente impegnativi comunque.

Torno a casa e la testa è leggera e sono felice come solo chi beve vino bianco può esserlo.

Mi libero dei vestiti, a bomba sono sotto le coperte e fisso il cielo perché merda, mi sono dimenticato di abbassare le tapparelle e tra qualche ora il sole mi scalderà il viso pizzicandomi le palpebre e gli occhi percepiranno la luce bianca. Ma in realtà va bene così: il cielo è blu scuro e luccica a intermittenza perché esisterà sempre chi addobba il balcone sentendo il natale già da novembre.

Notte.

 

E forse l'ultimo bicchiere di bianco potevo evitarlo.

E forse era il caso di portarsi dell'acqua in camera così non devo alzarmi e l'arsura è tanta e allora VIA mi alzo bevo veloce dal rubinetto in bagno e corro per tornare al caldo sono già sotto le coperte.

E forse ho caldo e mi scopro ma poi mi prende il freddo e mi ricopro.

Maledetto, maledetto bianco.

Sono le 5:12 di mattina e penso di essere un osservatore tra le persone. Ho fatto credere di essermene sbarazzato ma in realtà quei ricordi li conservo con una certa avidità: mia sorella che mi sorride come si sorride a una macchina fotografica e prende la mano del fidanzato che sta parlando con mia madre di quanto sia bella la casa che ha intenzione di comprare.

Andrea che fuma e racconta che tra qualche giorno partirà per New York e non sa fino a quanto ci rimarrà o se ci rimarrà e c'è Laura che lo guarda e le brillano gli occhi. E anche Marco lo guarda e gli brillano gli occhi. E li amo tutti e tre, troppo.

Quella festa di Capodanno di 5 anni fa. Il freddo post discoteca delle 6 di mattina. I ragazzi che stanno camminando per Torino che è completamente vuota e Francesca che abbracciata a Luca si volta veloce e mi grida NON STARE DIETRO MUOVITI CHE FA FREDDO DAI CHE ANDIAMO A PRENDERE LE CIAMBELLE CHE LE HANNO APPENA SFORNATE. Dio quel mal di gola, quel mal di gola da alcol e fumo, quando le ho gridato di rimando ARRIVO. In realtà mi sono fermato più volte per vederli barcollare tutti abbracciati tra loro. DAI MUOVITI! Dovrei avere una foto di quella mattina. Da qualche parte.

Nonna che toglie la pelle ai pelati bollenti. Con la sigaretta all'angolo delle labbra pericolosamente carica di cenere. Nonna hai le dita di amianto? No, sono abituata.

Il natale in famiglia.

La pasqua con gli amici.

Il ferragosto al lavoro.

Tutti attorno all'ascensore.

Tutti attorno al tavolo per colazione pranzo cena. E dopocena.

Tutti attorno alla culla del figlio di mia cugina. Le voci ridicole e tenere.

Tutti attorno alla bara di zio. Le lacrime e i sorrisi bagnati.

Marco che si volta verso di me. Vado a New York.

Francesca che si volta verso di me. Mi sposo.

Tua mamma che si volta verso di me. Sono malata ma non dirlo a tua sorella.

Le mani di Rachel rovinate, da artista. Gliele fissavo spesso. Troppo spesso.

Le ciocche che le scappano da dietro le orecchie mentre impasta. Il pulviscolo che la rende più bella.

Il collo lungo mentre in punta di piedi sbircia da dietro un muretto. SHHH be quiet! can you see them? FUUUUCK! RUN RUN RUN RUN! Ma non corro, rimango piantato dove sono per vederla correre.

I suoi occhi abbassati, imbarazzata. Mentre tutt'attorno è silenzio. Si sentono solo cuori che battono.

Quando ride e io che rido e lei che ride che ride che ride che ride.

Goodbye.

 

Maledetto, maledetto bianco.

   
 
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