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Autore: reila_guren    10/12/2016    6 recensioni
Li avrebbe ascoltati tutti, uno per uno, e ogni singolo battito l'avrebbe custodito dentro di sé con cura, perché quando sai che non ti resta molto tempo, ogni battito è un battito in meno che resta e un battito in più verso la fine. Allora cerchi di conservarli tutti, come se poi fosse possibile tirarli fuori e ascoltarli quando le cose si fanno difficili, perché in quel modo è un po' come se chi non c'è più fosse tornato.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Izzy Lightwood, Magnus Bane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando non sarai più parte di me ritaglierò dal tuo ricordo tante piccole stelle,
allora il cielo sarà così bello che tutto il mondo si innamorerà della notte.
(William Shakespeare)

Il cielo si stava lentamente schiarendo. Era il momento che precedeva l'alba, quel momento in bilico tra notte e giorno in cui tutto all'apparenza era immobile, ma se si prestava attenzione si riusciva a cogliere l'esatto istante in cui il mondo iniziava ad emergere dal sonno. Era un momento in cui tutto era come sospeso, ovattato.
I minuti che precedevano l'alba avevano sempre ricordato a Magnus le palle di vetro con la neve. Ne aveva collezionate tante nel corso della sua vita, e ogni volta che ne capovolgeva una pensava a quel momento. Per un paio di secondi dopo aver capovolto la sfera, la neve restava ferma in cima, poi lentamente iniziava a volteggiare sul piccolo mondo racchiuso al suo interno. Quei pochi secondi per lui rappresentavano l'istante che precede l'alba, quell'attimo di sospensione prima che il mondo si animi.
Aspettare l'alba ad Idris era un'esperienza magica per chi, come Magnus, aveva passato l'ultimo secolo tra le luci abbaglianti di Brooklyn, Londra o Parigi. In quei posti c'era sempre troppa vita di notte per riuscire a percepire davvero il risveglio della terra. Idris non aveva grattacieli, non aveva cartelloni pubblicitari o insegne di locali che con la loro luce artificiale disturbavano il suo sonno. Lì la notte col suo scuro manto di velluto trapunto di stelle, avvolgeva la città cullandola nel suo abbraccio confortante, quasi materno.
Le prime luci aranciate dell'alba iniziarono a tingere il cielo. Magnus riusciva a percepire una sorta di elettricità attorno a lui, la sentiva nel terreno sotto ai suoi piedi, nei milioni di sottili fili d'erba che lo riempivano, negli antichi alberi che come vecchi e amorevoli saggi scrutavano la città. La sentiva anche nell'aria stessa che respirava.
Man mano che il cielo si schiariva, l'orizzonte si tingeva di un caldo arancio. Dapprima appena accennato, come leggere pennellate che un pittore aveva steso sulla sua tela. Poi il pittore dell'alba mescolava i suoi colori e dava un'altra pennellata, più intensa questa volta, a cui poi aggiungeva il giallo-oro. Per ultimo dipingeva il disco solare. Emergeva lento dietro la linea dell'orizzonte, rosso e ancora assonnato. Magnus rimase a guardarlo sorgere e fermarsi in alto nel cielo, come se volesse contemplare il mondo che stava riscaldando. Non sentiva più quell'elettricità animare l'ambiente attorno a lui, la magia si era compiuta e tutto si era fermato ad ammirare l'opera del pittore.
Magnus abbassò lo sguardo e attraversò l'alto cancello finemente decorato. Era un autunno insolitamente rigido e l'aria pungente sembrava entrargli fin nelle ossa. Si strinse addosso il cappotto nero e attraversò il lungo viale asfaltato. Il rumore dei suoi passi era smorzato dalle foglie secche che lo ricoprivano, un tappeto a macchie gialle, marroni e rosse. Scricchiolavano quando le calpestava e nel silenzio di quel posto il rumore era amplificato. Ai lati del viale alte statue di angeli sorvegliavano numerose lapidi. Sembravano essere state messe lì per rivolgere sguardi accusatori ai visitatori del cimitero, come a volerli sfidare a disturbare il riposo dei suoi ospiti. Magnus sostenne il loro sguardo. Sapeva che quello non era un posto per lui, i Nascosti non sarebbero dovuti entrare in un cimitero di Nephilim, ma lui aveva qualcuno da incontrare. Le statue rimasero immobili, bianche e austere, e Magnus le superò, inoltrandosi tra le tombe. Non aveva bisogno di guardarsi attorno, sapeva dove avrebbe trovato chi stava cercando. Passò in mezzo a tombe antiche e altre recenti, finché non si fermò davanti ad una particolarmente nuova. La lapide era bianca, a forma di ali spiegate e a caratteri eleganti e dorati recitava: "Alexander Gideon Lightwood. Nessuno ha amore più grande di colui che sacrifica la vita per gli altri."
Alec era morto esattamente un anno prima. A Magnus erano stati concessi otto anni con lui prima che gli venisse portato via. Era successo durante una caccia ed era quasi ironico come per tutta la vita, Alec avesse combattuto demoni ben più pericolosi per poi essere sconfitto da un demone minore. Era bastata la distrazione di un momento, una distrazione che gli era costata la vita.
Magnus aveva familiarità con la morte, aveva perso amici e  amanti, ma questa volta era stato diverso. Fino a quel momento la morte l'aveva colpito come una pugnalata. Aveva subito avvertito il dolore nel petto, era fisico, lo percepiva nel cuore e riusciva a descriverlo. Con Alec non era stato così. La morte di Alec era stata come precipitare nel vuoto. Nel momento in cui Catarina l'aveva guardato dicendogli che non c'era più niente che potesse fare per salvarlo, Magnus aveva avvertito una strana sensazione. Era stato come se stesse camminando lungo una strada ad occhi chiusi. Camminava sicuro, certo che ad ogni passo che faceva avrebbe trovato il terreno sotto di lui, finché ad un certo punto il terreno era sparito. Aveva messo il piede nel vuoto e aveva sentito lo stomaco finirgli in gola, non tanto per la paura di cadere quanto per la sorpresa. La morte di Alec l'aveva colto di sorpresa. Perché nonostante si fosse sempre detto che era pienamente consapevole della loro diversità e che aveva accettato l'idea che un giorno l'avrebbe perso, la realtà era molto diversa. Non si poteva accettare l'idea di perdere la persona che più si ha amato nella vita, per quanto razionali e saggi si possa essere, il vero amore non ti fa vedere le cose con chiarezza e pensi alla morte come un'incognita lontana, qualcosa che hai la vaga consapevolezza che prima o poi ti verrà a trovare, ma che il cervello colloca in un tempo lontano, quasi eterno.
Magnus aveva ripensato spesso al giorno della morte di Alec e c'erano così tante cose che avrebbe voluto cambiare. Il problema stava proprio nel non sapere. Se avesse saputo, forse le cose sarebbero andate diversamente. Non avrebbe potuto salvarlo, perché quando la morte si affianca a te nel tuo cammino continua a camminare di pari passo con te, non c'è modo di eluderla. Ma se avesse saputo che quello sarebbe stato l'ultimo giorno che l'avrebbe visto, avrebbe passato ogni attimo di quel poco tempo che era rimasto a guardarlo. Avrebbe soffermato lo sguardo sul suo viso, accarezzandone i lineamenti dolci con gli occhi, cercando di imprimerli in modo indelebile nella sua mente. Avrebbe cercato di catturare la sfumatura azzurra dei suoi occhi, così insolita in un Lightwood e così intensa. Avrebbe memorizzato la pallida lucentezza della sua pelle, bianca come la luna a mezzanotte e messa ancora più in risalto dal nero dei suoi vestiti. Poi l'avrebbe toccato. Avrebbe fatto scorrere le dita tra i suoi capelli scuri, la loro morbidezza sarebbe rimasta impressa sui suoi polpastrelli. Sarebbe sceso lungo la guancia, la morbida curva resa lievemente ruvida da una rasatura veloce e superficiale, poi giù, fino alla pregiata seta del suo collo. Dopodiché sarebbe sceso ancora, guidato dal rassicurante battito che ancora rimbombava all'interno della cassa toracica, e si sarebbe fermato lì. Avrebbe regolarizzato il respiro con il battito del suo cuore per non perdernene nemmeno uno. Li avrebbe ascoltati tutti, uno per uno, e ogni singolo battito l'avrebbe custodito dentro di sé con cura, perché quando sai che non ti resta molto tempo, ogni battito è un battito in meno che resta e un battito in più verso la fine. Allora cerchi di conservarli tutti, come se poi fosse possibile tirarli fuori e ascoltarli quando le cose si fanno difficili, perché in quel modo è un po' come se chi non c'è più fosse tornato. Se quel giorno avesse saputo che sarebbe stato l'ultimo, avrebbe assorbito ogni dettaglio di lui, ma non l'aveva potuto prevedere e ora ogni cosa era andata persa e faceva così male che non aveva parole per descriverlo.
Non era più stato nel cimitero di Idris dal giorno del funerale. La famiglia di Alec, Isabelle, Jace e anche i suoi genitori, avevano deciso di seppellirlo lì e non nella Città di Ossa per poter dare modo a Magnus di andare sulla sua tomba. Robert e Maryse non avevano mai davvero accettato la loro relazione, ma sapevano che Alec avrebbe voluto così e in un certo senso era come se avessero detto: "Sappiamo che hai amato nostro figlio e hai diritto di piangere la sua morte come noi." Era la cosa più vicina ad una benedizione che avessero mai avuto da loro. Peccato che fosse giunta troppo tardi.
Magnus fece comparire un mazzo di camelie e le depositò ai piedi della tomba. Aveva sempre pensato che le camelie rappresentassero appieno Alec. Erano fiori di una bellezza non appariscente, fiorivano quasi senza che te ne accorgessi. Non avevano profumo, perché proprio come Alec, non avevano bisogno di ostentare la loro timida bellezza. Erano simbolo di sacrificio e dopo aver vissuto in disparte, oscurati dal profumo degli altri fiori, con malinconia appassivano.
-Ciao, Alexander.- Disse piano, Magnus. In un cimitero si ha sempre la tendenza a parlare a bassa voce, come per timore di disturbare i morti. Magnus sperò che la fredda brezza mattutina trasportasse la sua voce ovunque fosse ora Alec. -Mi dispiace non essere venuto a trovarti prima. Ci ho provato, sai? Arrivavo fino al cancello, ma non riuscivo a proseguire. Poi mi davo dello stupido perché in fondo non avevo motivo di venire qui per parlare con te. Non so se puoi sentirmi, ma spero che ovunque tu sia, tu sia felice.-
Gli tremavano le mani, ma non sapeva se fosse per il freddo. Le mise in tasca, quasi per impedire che Alec le vedesse. In una delle tasche trovò qualcosa e sorrise.
-Manchi anche al Presidente, sai? Ti manda un regalino.- Tirò fuori un topolino di stoffa e lo posò vicino ai fiori. Rimase a guardare la lapide e la sua mente tornò indietro nel tempo. Ripensò al giorno in cui aveva visto Alec per la prima volta, come l'avevano colpito la sua bellezza e i suoi malinconici occhi azzurri. Ripensò al loro disastroso primo appuntamento e a quanto fosse stato stupido anche solo a pensare di lasciarlo solo prima della fine della serata. Ripensò a quella notte a Parigi, la loro prima notte insieme. Ricordava il modo timido e impacciato con cui Alec l'aveva toccato, il suo sguardo fiducioso quando l'aveva accolto dentro di sé per la prima volta e l'estasi dipinta sul suo viso mentre si abbandonava a quel nuovo e travolgente piacere. Magnus chiuse gli occhi. Sentiva il contrasto tra le lacrime calde e il suo viso reso freddo dall'aria. Non si era reso conto di stare piangendo.
-Mi manchi così tanto.- Mormorò con voce rotta dal dolore. Non ottenne risposta, ma sperò che le sue parole fossero arrivate a destinazione. Sapeva che Alec non l'aveva davvero abbandonato. Avvertiva la sua vicinanza in ogni momento, la loro casa era intrisa della sua presenza, la percepiva in ogni angolo, e se si concentrava sentiva il suo respiro solleticargli la pelle e il suo tocco sfiorarlo in un gesto di conforto. Ma c'erano dei giorni che il non poterlo vedere e toccare faceva così male che dentro sanguinava. Non era mai stato così a pezzi in tutta la sua lunga vita.
Sentì dei passi in lontananza, tacchi a spillo che facevano scricchiolare le foglie secche che ricoprivano il viale. Non ebbe bisogno di voltarsi.
-Isabelle.- Disse asciugandosi gli occhi una volta che la ragazza l'ebbe raggiunto.
-Magnus.-
Non si vedevano dal giorno del funerale. Isabelle aveva cercato di mettersi in contatto con lui e così anche Jace, Clary e perfino Simon, ma Magnus aveva bisogno di tempo.
-Come stai?- Chiese Isabelle, ma dal suo sguardo si capiva che vedeva bene come stava. Magnus lo vedeva ogni mattina allo specchio quando si lavava la faccia. Aveva smesso di truccarsi e in un certo modo questo metteva ancora più in risalto il dolore impresso nei suoi lineamenti.
-Vado avanti.- Rispose lui con un sospiro.
-Perché non vieni da noi, oggi? Ci saremo tutti, gli altri avranno piacere di vederti.- Chiese Isabelle. Il suo sguardo seguiva il nome del fratello inciso sulla pietra, tutto ciò che restava di lui.
-Non credo che sia una buona idea.- Rispose Magnus. Non ce la faceva a rivedere tutti, aveva troppi ricordi che legavano ognuno di loro ad Alec e riportarli alla mente tutti insieme sarebbe stato troppo doloroso.
-Magnus, è passato un anno ormai...-
Lo stregone sospirò. -Isabelle, quando sei immortale il tempo passa diversamente. Cosa pensi che sia un anno per uno che ne ha quasi quattrocento? Per me è come se Alec fosse morto ieri.-
Isabelle non disse niente. Rimasero in silenzio, entrambi avevano pensieri e preghiere da rivolgere ad Alec.
-Voi come state?- Chiese infine Magnus. Isabelle si strinse nelle spalle. -Ci facciamo forza a vicenda. Jace sembra un fantasma e i miei genitori... beh loro avevano già perso Max, perdere anche Alec li ha distrutti. Io cerco di essere forte per tutti, ma... era lui quello forte.-
-Non sottovalutare la tua forza, Isabelle. Più di una volta hai sfidato i tuoi genitori e il Clave, la maggior parte delle volte proprio per difendere l'amore mio e di Alec.-
-Era il minimo che potessi fare per mio fratello. Sai, non credo di avertelo mai detto, ma sono così felice che tu fossi nella sua vita. Non l'ho mai visto così felice come quando era con te.-
Magnus sentì gli occhi inumidirsi e le labbra tremare. -Mi manca così tanto.- Disse senza riuscire a trattenere le lacrime e Isabelle lo abbracciò. Magnus chinò il capo e nascose il viso rigato di lacrime nei suoi capelli lunghi. Sentiva la ragazza singhiozzare sommessamente allora avvolse le braccia attorno alla sua vita sottile e la abbracciò a sua volta. C'era qualcosa di confortante nel condividere il dolore. Non lo rendeva meno forte, ma sapere che c'era qualcuno che ti capiva, qualcuno che nonostante soffrisse come te era disposto a confortarti, dava speranza. Magnus aveva bisogno di quella speranza e forse anche lui poteva aiutare gli altri. Era il modo migliore di rendere omaggio alla memoria di Alec che aveva dedicato tutta la sua vita ad aiutare gli altri.
-È ancora valido l'invito per oggi?- Chiese Magnus e Isabelle si staccò e gli passò il braccio attorno alla vita, spingendolo lungo il viale, verso il cancello.
-Andiamo a casa, Magnus.-


Note della perfida autrice:
Salve! Innanzitutto vi informo che sto pubblicando per la prima volta da cellulare inserendo manualmente i codici dell'html e mi sembra inutile dire che non ho la più pallida idea di cosa io stia facendo, quindi se notate cose strane sapete perché.
Volevo cogliere l'occasione per ringraziare tutte le personcine carine che hanno recensito le mie precedenti storie e anche quelle che le hanno aggiunte alle preferite/seguite/ricordate e anche chi le ha solo lette. Fatemi sapere cosa ne pensate del mio primo tentativo di scrivere una Malec seria, anche solo un insulto va bene!
Un bacio dalla vostra disagiata reila_guren ♡
  
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