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Autore: pinkherrie    12/12/2016    0 recensioni
Ciò che non viene raccontato in Martha (One Shot dapprima pubblicata, avente l'omonimo titolo), viene raccontato qui. La storia celata all'interno della terribile situazione vissuta dalla protagonista.
Genere: Drammatico, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Una melodia classica, lenta, risuonava nella struttura, e tutte le coppie presenti ballavano, si lasciavano trasportare dalla musica. Volteggiavano nell'enorme sala, e s'avvicinavano sempre più. Le mani a toccare ovunque, inesperte per quel tipo di danza, alcuni s'abbracciavano soltanto, dondolando a ritmo di musica.

Lui la teneva stretta per i fianchi, sapeva quanto lei si sentisse protetta. Martha sorrideva ed appoggiava la testa sul suo petto, ascoltando il suo battito irregolare. E si muovevano, non facevano altro che muoversi. Non riuscivano a stare fermi. Non potevano far altro che farsi trascinare dalla melodia di quel lento, di quella speciale serata. Martha accusava dolore ai piedi, a causa della scomodità dei tacchi, ma continuava a volteggiare, a ballare con il suo accompagnatore. Lui sorrideva spensierato, socchiudendo gli occhi color nocciola, e stringeva la presa sui fianchi di Martha, preoccupato di porter perderla. Le sussurrava all'orecchio che era la più bella dell'intero ballo scolastico, che non aveva eguali. Ma Martha faticava a crederci, quante fanciulle quella sera erano agghindate nel miglior dei modi, sembravano delle principesse; quante fanciulle erano perfette. Però si sforzava di sorridere, d'alzare appena gli angoli della bocca per far capire al suo accompagnatore c'aveva apprezzato. E ricambiava, glielo diceva che lui era il più bello; che nessuno, in quella stanza, poteva competere. E lui rideva, non faceva altro che beffarsi dei complimenti ricevuti.

Volteggiavano e volteggiavano, non facevano altro che volteggiare! Ma la testa non girava, e i piedi non facevano male. Continuavano a volteggiare, a far alzare i loro vestiti vaporosi, ad aggrapparsi l'uno all'altro, a dare un senso a quella danza. E a nessuno importava se là dentro faceva caldo, se il trucco iniziava a sbavare e la cravatta ad essere troppo stretta, si sarebbero ricomposti, poi. L'importante era resistere, contava solo ballare, quella sera. "Mi fanno male i piedi", sentenziò Martha, aggrappandosi alle braccia del suo accompagnatore, diventando un peso. "Smettiamola di ballare, al diavolo! Usciamo un po'". Le loro mani s'intrecciarono mentre camminavano verso l'uscita, verso la solitudine e la calma che quella sala non possedeva.

Uscirono in giardino, Martha si tolse i tacchi, camminando a piedi nudi sull'erba. Lui la guardava, l'osservava in ogni suo minimo dettaglio. Si sedettero s'una panchina in marmo, fredda, sotto il cielo stellato di quella notte primaverile. Con lo sguardo puntato verso il cielo, verso la luna. In silenzio, ad ascoltare il suono dei loro respiri e dei loro rumorosi pensieri. "Sai, non ho mai visto una stella cadente", Martha spezzò il silenzio, l'atmosfera inquietante che s'era creata. Un'espressione quasi di tristezza era presente sul suo volto. "Nemmeno io". E continuarono a rimanere in silenzio, ad osservarsi, a captare ogni singolo dettaglio di quella serata che stava per giungere al termine. Martha sperava di non doversi alzare, di non doversene andare, di non dover allontanarsi da lui. E chissà se anche lui sentiva il bisogno di non doversi allontanare da lei, di non volersene andare. Chissà a cosa stava pensando mentre lei cercava di stringergli la mano.

Lui si alzò, sistemando i pantaloni dello smoking nero, per poi grattarsi la nuca. Guardò Martha, la guardò intensamente. "Dobbiamo andare, Martha", proferì. La sua voce roca era soave, una rara combinazione di ciò che lei stessa adorava nella voce d'un uomo. Lui le tese la mano, e finalmente, i suoi occhi brillarono sotto il cielo stellato. Una flebile brezza colpì entrambi in faccia, portando freschezza alle goti di Martha, arrossate a causa del fremito che l'aveva avvolta, che lui le aveva provocato. L'aiutò ad alzarsi, cercando di non farle perdere l'equilibrio a causa dell'esagerata altezza dei suoi tacchi; la strinse a sé, continuando a percepire la costante paura di poterla perdere, e insieme, camminarono verso l'auto, assonati e senza la benché minima voglia d'andarsene.

Martha si rannicchiò sul sedile del passeggero, i finestrini abbassati e la musica esageratamente bassa a cullare il suo imminente sonno. Stretta nella giacca che lui le aveva poggiato sulle spalle poco prima, impregnata del suo dolce profumo. Teneva gli occhi semichiusi per poter continuare ad osservarlo, ammirare la sua postura mentre guidava e i suoi lineamenti nell'osservare attentamente la strada priva di vita. Canticchiava parole sconnesse, sbagliate, non inerenti alla canzone che risuonava nell'abitacolo. Sembrava perdersi nella melodia. Le sue dita lunghe si mossero, sino ad arrivare alla piccola radio e ne abbassò il volume. "Martha, perché hai accettato di venire al ballo con me?", le chiese confuso, senza guardarla.

Martha aprì gli occhi, sorpresa e felice allo stesso tempo. Felice per chissà quale motivo, a causa di quale strano pensiero svolazzare nella sua mente. Si schiarì la gola rumorosamente, tanto d'arrossire tremendamente quando lui le rivolse uno sguardo veloce. "Oh, vedi", iniziò a parlare, la voce acuta penetrava il suo udito, e non sapeva come concludere il discorso che a breve avrebbe iniziato. "Ho sempre provato un certo interesse nei tuoi confronti". Le sue goti stavano andando a fuoco, e la vicinanza con il finestrino aperto non riusciva a migliorare la situazione. E sudava, come mai aveva fatto prima, ma senza pensare di levare dalla sue spalle scoperte quel tessuto profumato che a lui apparteneva. Ebbe il coraggio d'osservarlo un'ultima volta, prima d'accorgersi ch'erano quasi arrivati a destinazione; e lui sorrideva orgoglioso d'aver fatto breccia nel suo piccolo cuore. "Questa è musica per le mie orecchie", ammise, senza mai smettere di sfoggiare quel sorriso che tante volte Martha aveva sognato.

Parcheggiata la vettura sul marciapiede davanti casa, lui scese dalla macchina, intimando Martha di non scendere affinché non le fosse stato ordinato. Girò attorno all'auto quasi fosse pazzo, parlando con sé stesso quasi litigasse con la sua stessa persona, e poi accadde: le aprì lo sportello, sorridendo come già prima aveva fatto. Le prese la mano, intenzionato a condurla alla porta di casa come un vero gentiluomo sa di dover fare.

Si guardano a lungo mentre lei indugiava, cercando le chiavi nella piccola borsetta che aveva scelto per la serata. Indugiò a lungo, cercando di ricevere ciò che nei suoi sogni era apparso per settimane, prima della fatidica serata c'aveva vissuto. A volte lui alternava lo sguardo fra Martha e il cielo stellato, pensieroso e dubbioso. Le mani d'entrambi sudavano a tenerle continuamente strette fra di loro, e il loro cuore batteva più forte del solito. Lui s'avvicinò, infischiandone dei suoi stessi pensieri, dei suoi stessi complessi. Poi smise di pensare alla conseguenze che avrebbero avuto le sue azioni, e la baciò. Le loro labbra sembravano esser state create per baciarsi, per combaciare tra di loro. Ad entrambi pareva persino di sentire i fuochi d'artificio esplodere nell'esatto momento in cui le loro labbra s'erano sfiorate, ma era solo frutto della loro fervida immaginazione.

Quando si staccarono, senza fiato e con la voglia di farlo nuovamente, s'osservarono a lungo, incapaci di far altro. E la loro mente vagava a ciò ch'era appena accaduto, mentre sorridevano in piedi, difronte la porta, come stoccafissi. "Io dovrei..", sussurrò Martha, ancora troppo scioccata dall'accaduto per formulare una frase, per iniziare a ragionare. Lui le sorrise di rimando, sentendo uno stormo di farfalle infestargli lo stomaco, a divorarlo persino. La vide salire il primo gradino che la conduceva alla porta, appuntandosi di chiamarla il giorno seguente per invitarla a cena. "Sì, dovresti".

Martha infilò la chiave nella serratura, rigirandola al suo interno. La porta s'aprì provocando rumore, e una smorfia le si formò sul volto. Si voltò per osservarlo un'ultima volta, prima d'entrare. "La giacca", sembrò quasi ricordarsi d'averla ancora addosso. E lui scosse la testa, non curandosene d'una stupida giacca che teneva sul sedile posteriore per qualsiasi evenienza. "Puoi tenerla".

Dopo quel giorno, la sua vita cambiò radicalmente, ed il buio s'impossessò di lei. Le persiane della sua stanza rimanevano costantemente abbassate, e la sua stanza continuamente chiusa, e maleodorante. I suoi genitori smisero persino di bussare alla sua porta e, l'unica cosa che la rendeva felice, era il canto angelico della sorella quando, la mattina, iniziava a prepararsi per andare a scuola, o quando, distrattamente, canticchiava qualche stupida canzone ascoltata alla radio.

Era condannata a rivivere gli attimi più belli della sua vita ogni qual volta chiudesse gli occhi, mentre cadeva in un sonno profondo. Era condannata a rimanere la sua vittima in eterno. Tenuta prigioniera nella sua stessa camera, per aver commesso il delitto d'innamorarsi di quell'anima malvagia, priva di sentimenti e di rimpianti.

E lui sedeva nel suo angolo buio come era solito fare, dondolandosi accanto all'armadio smuovendo la paura che mai, sino alla sua comparsa, Martha aveva provato. E l'angoscia s'impadroniva di lei quando s'alzava e camminava verso di lei. Per poi tirarle i capelli così forte da farla urlare, acuti urli echeggiavano fra le quattro mura di quella camera dell'orrore. La trascinava fuori dal letto sfatto, senza mai guardarla dritta negli occhi chiari, e l'accarezzava prima di compiere ciò che un uomo mai dovrebbe fare.

Le botte erano forti, talmente forti da lasciare segni violacee sulla sua pelle candida, che a volte faticavano ad andarsene. E lui non sopportava quando piangeva, e continuava a farlo finché le botte non smettevano d'arrivare. Poi singhiozzava, irritandolo. E lui stringeva le mani attorno al suo collo, lasciandole il segno.

Quel giorno, quando uno spiraglio di luce tenue del sole durante il tramonto brillava all'interno della sua stanza, Martha s'accorse d'essere sola nella sua camera. S'affrettò ad alzare le persiane, socchiudendo le palpebre quando la luce illuminò il suo volto stanco. Setacciò l'intera stanza, alla ricerca di lui, per essere sicura d'essere completamente sola, e lo era. Provò una strana sensazione di felicità, e si sentiva libera, più libera che mai. Così aprì la porta della sua stanza, lasciandosi alle spalle l'orrore presente al suo interno. Scese velocemente le scale, incredula d'essere finalmente in grado di farlo. Uscì finalmente da quella casa, e l'afosa aria calda non era in grado di rallentare la sua corsa verso la sua meta preferita, felice e spensierata per la prima volta dopo tanto tempo.

Arrivata alla sua meta, sorrise quando immerse i piedi nella sabbia tiepida, quanto l'aveva sognato! Una brezza di vento le scompigliò i capelli, mentre faticava nella sua corsa verso il mare limpido. I suo cuore non aveva smesso di battere nemmeno un secondo quando varcò i cancelli che la separavano dalla felicità. Il bagnasciuga sembrava esser così interessante quando Martha si ritrovò ad osservarlo da sola, mentre le onde si schiantavano sulla battigia. Immerse un piede nell'acqua calda, sorridendo quando realizzò d'averlo fatto veramente. S'immerse nell'acqua iniziando a sentirsi finalmente viva, mentre i vestiti bagnati le s'attaccavano alla pelle. E senza pensieri, iniziò a nuotare, realizzando il suo sogno e assaporando la libertà.

Quel che tutti non sanno, compresa la piccola ed innocente Martha, è proprio la verità nascosta che questo non rivela. Martha mai era stata prigioniera di quel ragazzo che tanto amava, ma che s'era rivelato esser un'anima malvagia. Martha, era prigioniera di sé stessa e della sua stessa mente contorta. E prima mai l'era capitato di comportarsi in quel modo sadico. Ed i genitori non sono mai riusciti a saperne il vero motivo, sapevano che lui l'aveva chiamata il giorno dopo, e tutti i giorni a seguire, ma la povera ragazza ancora non lo sapeva, e non poteva saperlo in quanto rimasta vittima nella sua stessa stanza, nel suo piccolo mondo. E il dolore che s'affliggeva non era mai abbastanza, quando urlava supplicando qualcuno di salvarla, ma salvarla da chi? Dai problemi che la sua personalità le causava. Ma la povera Martha ancora non conosceva il terribile finale che l'era stato prescritto. Cosicché, nuotando tranquilla nel mare cristallino di quell'estate afosa, voleva dimenticare i mesi di prigionia passati, andando troppo a largo. Ed impaurita dal nulla sotto i suoi piedi, iniziò ad agitarsi e il respirò iniziò a mancarle. Realizzando di star trascorrendo gli ultimi minuti della sua vita, dopo aver bramato la libertà così fervidamente. Ed il suo corpo senza vita giaceva sul fondo del mare, mentre sopra di lei il sole tramontava, lasciando spazio alla luce della luna riflettere sull'acqua.








Ciao a tutti!
Dunque finalmente ho terminato la stesura di questa os, superando le mie stesse aspettative e lasciando un finale che tanto avrei voluto dare, alla storia di Martha.

Non so da cosa sono stata ispirata per tutto questo, ma una cosa è certa, non avrei mai permesso che lui le facesse veramente del male in questa storia. E boh, tanto lui è ancora senza nome. Ok, niente humor che non è il caso.

Oh, ecco, una cosa importante: quel che succede a Martha l'ho letto in un libro quest'estate, e veniva chiamato 'sdoppiamento della personalità'. E, che ci crediate o no, esiste davvero (ho fatto le mie ricerche), e si manifesta già nell'infanzia, quindi non è un caso che la protagonista ne soffra. Però, come se non ve l'avessi detto.

Qui il link alla storia originale pubblicata su Wattpad. (Pubblicità occulta).

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All the love as always x

   
 
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