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Autore: lady lina 77    12/12/2016    2 recensioni
Cosa sarebbe successo se Demelza, dopo il tradimento di Ross, se ne fosse andata di casa?
Dopo la lite furiosa fra i due in cui ha rovesciato ogni cosa dal tavolo, urlando al marito tutta la sua rabbia, Demelza decide che non ha più senso rimanere a Nampara, con un uomo che non la desidera più e che sogna una vita con un'altra donna.
Prende Jeremy e Garrick, parte per Londra e fa perdere le sue tracce al marito, ricominciando una nuova vita lontana da lui e dalla Cornovaglia.
Come vivrà? E come la prenderà Ross quando, al suo ritorno da Truro, non la troverà più a casa?
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Forse non ce l'avrebbe mai fatta ad abituarsi a quella vita lussuosa che, senza che l'avesse cercata, l'aveva travolta e aveva cambiato il suo modo di vivere.

Da quando era nata Clowance, otto mesi prima, la società finanziaria in cui l'aveva coinvolta Martin Devrille le aveva fruttato innumerevoli guadagni. C'erano state alcune perdite, vero, ma i pacchetti azionari acquistati, per lo più, si erano rivelati ottimi investimenti.

La sua non era più sopravvivenza e volendo avrebbe potuto chiudere la locanda e vivere solo di speculazioni finanziarie, ma Demelza non se la sentiva di dare una svolta del genere alla sua vita. La locanda, il lavoro manuale erano ciò che le ricordava chi era, da dove veniva e perché si alzava ogni mattina per rimboccarsi le maniche. Aveva due figli e voleva che crescessero con sani principi, imparando il valore dell'onesto lavoro. Non voleva due bambini viziati che credessero che tutto gli fosse dovuto, non voleva che diventassero come tanti palloni gonfiati della Londra bene. E non voleva esserlo nemmeno lei.

In quei mesi, Martin l'aveva introdotta nei salotti 'bene' di Londra, aveva conosciuto tantissime persone influenti e con alcuni aveva stretto rapporti di lavoro e amicizia. La guardavano con un misto di sospetto e curiosità, stupiti e allo stesso tempo incantati dal fatto che una donna sola fosse stata capace di arrivare tanto in alto e in così breve tempo.

Aveva partecipato a cene, balli, feste facoltose, circondata da gente che, al suo arrivo a Londra un anno e mezzo prima, le aveva sbattuto la porta in faccia. Era ironico pensarci, se si soffermava a ricordare quanto fosse stata disperata, allora...

Accaldata, sventolò il ventaglio che teneva fra le mani. Indossava un meraviglioso abito di seta verde, scollato sulla schiena, i suoi capelli erano racchiusi in una elegante treccia che lasciava sfuggire, con calcolo, una ciocca di capelli sulla fronte, al collo portava una collana adornata di uno splendido diamante e per quanto Caroline si fosse affannata a dirle che era una delle donne più ammirate del ballo della contessa McAvery, si sentiva decisamente a disagio.

Osservò nobili e nobildonne chiacchierare fra loro, ballare con eleganza al suono della musica dell'orchestra, tormentando con la mano il gioiello che portava al collo. "Quanto durerà questa festa, Caroline?".

L'ereditiera sbuffò. "Lo so, è un po' noiosa, ma quì ci sono persone influenti, sia per i tuoi affari, sia per i miei. Fa buon viso a cattivo gioco e vedi di divertirti e magari di sorridere un po'. Entro stasera potresti incrementare, senza fatica, i tuoi guadagni. O trovarti nuovi soci in affari".

"Ma i miei bambini... Sono a casa da soli, per l'ennesima volta! E' da una settimana che non passo la serata con loro".

Caroline scosse la testa. "Non li hai abbandonati, sono con quei tuoi servi, giusto? Li adorano come se fossero figli loro, sta tranquilla".

Demelza abbassò il viso. Sapeva di non averli abbandonati, ma le mancavano lo stesso. Era felice di aver stretto quell'accordo con Sir Devrille e ogni guadagno e ogni suo sforzo avrebbe aiutato Jeremy e Clowance in futuro, lo faceva per loro. Ma spesso si fermava a pensare, con nostalgia, a quando era una semplice locandiera o ancora prima, a quando era in Cornovaglia e passava la giornata ad occuparsi della casa e della sua famiglia, senza continui impegni ad allontanarla da loro. Per quanto ora la sua vita fosse emozionante, intensa, comoda, erano i momenti coi suoi bambini che preferiva, giocare con loro, vederli scoprire il mondo, addormentarsi sentendo il loro placido respiro accanto a lei, nel lettone, quando facevano capolino nella sua stanza e non volevano dormire da soli.

Sospirando, si guardò attorno. La festa in giardino era splendida, piena di luci, torce accese e tavole riccamente imbandite. Le cadde lo sguardo su due giovani che, insistentemente, guardavano nella loro direzione. "Caroline, credo tu abbia degli spasimanti" – le sussurrò, indicando i due ragazzi col ventaglio che teneva fra le mani.

Caroline ridacchiò. "Non guardano me, mia cara. Guardano te".

"Me? Perché dovrebbero farlo?".

Caroline le strizzò l'occhio. "Perché sei una creatura rara, bella, intelligente e piuttosto ricca. Adorerebbero mettere le loro manine sul tuo patrimonio e, tanto che ci sono, pure su di te" – concluse, maliziosa.

Demelza rise, a quelle parole. In realtà si sentiva un pesce fuor d'acqua e si sentiva tutto fuorché una donna desiderabile. "Figurati".

"Sei una donna molto bella, Demelza. Non sottovalutarti, hai fascino e carisma da vendere".

"Sono una donna sposata".

"Ma non porti più l'anello al dito da molto tempo".

Demelza sbuffò. "Stasera, credo tu abbia bevuto. Ti lascio ai TUOI due spasimanti e vado a cercare Martin e Diane. Volevano parlarmi, li ho visti prima, al nostro arrivo, e poi sono come spariti".

Caroline la guardò, in tralice. "Stai fuggendo... Sicura che i due giovanotti non ti interessano?".

Demelza sorrise, scuotendo la testa. "Sono tutti tuoi, ci vediamo dopo".

Si allontanò, mentre le pareva che mille occhi fossero puntati su di lei, ricordadosi del suo primo ballo di alcuni anni prima, a casa dei Warleggan, con Ross. Anche allora si sentiva spersa e smarrita, con suo marito assente, preso dal gioco e dalla voglia di smascherare le manovre di George. Fu il loro primo litigio, quello. Fu la prima volta che Ross la fece sentire invisibile e sola, ora che ci pensava... Era cambiato tutto da allora. Si chiese cosa avrebbe pensato Ross, se l'avesse vista in quel momento. Era una lady adesso, come Elizabeth, elegante, raffinata ed invitata alle feste più esclusive della capitale. Strinse il ventaglio fra le mani, al pensiero del marito. Faceva male ancora, ricordarlo...

Finalmente, quando l'ansia stava prendendo il sopravvento, intravide il viso amico di Diane. "Vi ho cercato dappertutto".

Diane le si avvicinò, prendendola sotto braccio. "Oh mia cara, vi stavo cercando anche io. E' una serataccia".

"Come mai? La festa è un po' noiosa, ma non mi sembra così male".

Diane si incupì. "Cattive notizie, Demelza. Martin è distrutto, vieni". La condusse dal marito, dribblando con eleganza gli invitati.

Demelza la seguì in silenzio, preoccupata, non sapendo cosa aspettarsi. Era andato male qualche investimento? Avevano comprato azioni diventate carta straccia? Che diavolo stava succedendo?

Quando raggiunsero Martin Devrille, Demelza lo trovò pallido e smunto. C'erano con lui due uomini, suoi amici e collaboratori occasionali, che aveva conosciuto nei mesi precedenti quando era stata invitata dal suo socio per delle colazioni d'affari.

Fece un inchino e i due uomini le baciarono la mano.

Martin le cinse le spalle con un braccio, attirandola a se. "Demelza, è successa una disgrazia".

"Martin, mi sto spaventando. Cosa c'è?".

Diane sospirò. "Ti ricordi di Sir Benjamin Reeley? Lo avevi conosciuto al ballo del mese scorso, all'Opera. Un caro, vecchio amico di Martin".

Demelza annuì. Ricordava, seppur vagamente, quell'uomo. Una persona sui sessant'anni, gioviale, goliardica, dai capelli e dai baffi rossi, pronta allo scherzo e a bere del buon vino con gli amici, quando se ne presentava l'occasione. Era un ricco borghese di Londra e Martin glielo aveva presentato come uno dei suoi più cari amici. "Sì, me lo ricordo".

Martin, con gli occhi rossi, annuì. "Amava la vita, per lui ogni occasione era buona per far festa".

Demelza deglutì. Martin stava parlando al passato e il suo sesto senso le suggeriva che poteva essere successo qualcosa di grave. Si morse il labbro, non sapendo cosa dire. "Che cos'è successo?".

"Si è tolto la vita la notte scorsa, con una pallottola in testa" – rispose uno dei due uomini in loro compagnia.

Demelza spalancò gli occhi. Per quanto poco conoscesse quell'uomo, non gli sembrava affatto una persona portata a fare qualcosa di simile. "Mi... mi dispiace... Era un buon amico per voi, Martin. Sentite condoglianze".

Martin scosse la testa. "Era una persona solare, allegra. E per colpa di quei demoni...". Strinse i pugni delle mani, tremante. "Gli hanno tolto tutto, persino la voglia di vivere!".

Demelza guardò Diane, senza capire. "Di chi sta parlando?".

"Di quei demoni dei Warleggan, della Warleggan Bank!" - disse Martin rabbioso, scagliando a terra il bicchiere di champagne che teneva fra le mani. "Aveva dei debiti con loro, ha osato non appoggiarli in alcune speculazioni finanziarie e loro gli hanno intimato la restituzione immediata di quanto lui gli doveva. La vergogna di finire sul lastrico, nella prigione dei debitori, lo hanno spinto a...".

"A togliersi la vita". Demelza sbiancò.Warleggan... quel cognome che arrivava come un incubo dal suo passato, quando credeva di esserselo lasciata per sempre dietro alle spalle. A quanto pareva, il loro modo di operare non era cambiato e continuavano a mietere vittime fra coloro che avevano creduto ingenuamente in loro e nelle loro promesse. "Parlate di George Warleggan?" - chiese, tetra.

Martin spalancò gli occhi. "Lo conoscete, Demelza?".

"Mio malgrado...". Alzò gli occhi al cielo, ricordando tutto il male che George aveva fatto a lei e a Ross negli anni. "Mio... marito... ha avuto grossi problemi con lui. Per George Warleggan, schiacciarlo, era una questione di vita o morte, ne era ossessionato e ci ha perseguitati per anni". Odiava parlare di Ross davanti a qualcuno che non fossero i Devrille, che conoscevano la sua storia, ma non poteva fare altrimenti. "Purtroppo c'è poco da fare, sono molto potenti" – concluse, sconfitta. Poi però ci pensò su, considerando che tutto era cambiato e lei aveva i mezzi per mettergli i bastoni fra le ruote... "Martin, la nostra società... Se investissimo una quota considerevole di denaro nelle azioni della Warleggan Bank, pensate che riusciremmo ad avere abbastanza azioni per entrare nel loro consiglio di amministrazione?".

Martin spalancò gli occhi. "Potremmo, certo. Ma non voglio avere niente a che fare con quella gente. La Warleggan Bank ha portato alla rovina e alla morte uno dei miei migliori amici".

Demelza annuì. "Ma noi non chiederemo prestiti, saremo loro creditori. E se avessimo abbastanza azioni, George Warleggan dovrebbe scendere a patti con noi, per le sue speculazioni finanziarie. Questo ci darebbe un grosso potere su di lui".

"Io non voglio vederlo nemmeno in volto, George Warleggan! Demelza, non mi siederò mai al consiglio d'amministrazione della banca di quell'uomo. Nemmeno se siete voi a chiedermelo".

Lo sguardo di Demelza divenne freddo come ghiaccio. "Non ve lo chiederò, infatti. Perché ci andrò io".

I due uomini accanto a loro la squadrarono, stupiti. Poi annuirono. "Potrebbe essere una bella idea e avete abbastanza capitale per farlo. La Warleggan Bank è una società sicura, non rischierete capitale e potreste tenere George per il collo, se vi mettete insieme e magari stringete qualche alleanza segreta con qualche altro azionista che non ha troppo in simpatia quelle persone".

Martin picchiettò il piede, pensieroso. Poi alzò lo sguardo, a guardarla in viso. "Sei sicura di volerlo fare? Sono serpi, Demelza, ma la tua idea mi stuzzica, potrebbe portare a una sorta di giustizia".

"Lo so che sono serpi, li conosco bene, mio malgrado. Stabiliamo la somma da investire, compriamo il pacchetto azionario e poi farò tutto io, ormai sono abbastanza esperta per riuscire a portare a termine questa cosa e a sedermi in un consiglio d'amministrazione per poi uscirne vincitrice". Prese un profondo respiro, stava giocando col fuoco e poteva scottarsi ma non voleva fermarsi. George aveva fatto male a tante persone oneste, ne aveva fatto anche a lei e alla sua famiglia e ora che aveva i mezzi per contrastarlo, non avrebbe perso la sua occasione. Non lo faceva solo per Martin e per il suo amico ma anche per se stessa, per Ross e per tutte le persone che quell'essere aveva rovinato.

Martin annuì. "Domani mattina passa a casa mia, daremo inizio all'affare".


...


Tornò a casa che era passata da poco la mezzanotte. Faceva ancora caldo, quell'estate Londra era stata torrida e spesso aveva passato notti insonni a causa della calura.

Fece attenzione a non fare rumore, raggiunse la sua camera e finalmente si tolse quegli abiti tanto eleganti quanto scomodi di dosso e si mise una camicia da notte. Si sciolse i capelli, li pettinò e poi, in punta di piedi, raggiunse la camera dei suoi figli.

Entrò, guardandoli dormire alla luce di una candela ancora accesa posta sul comodino. Jeremy si era addormentato con un libro illustrato fra le mani e Demelza sorrise nel guardarlo dormire. Era così intelligente Jeremy, faceva mille domande, aveva modi di fare aggraziati e gentili ed era tranquillo e pacato. Spesso si chiedeva da chi avesse preso, perché né lei né Ross erano così, di carattere. Si chinò, baciandolo sulla fronte, e il bambino aprì gli occhi. "Mamma, sei tornata?".

"Shh, dormi, è tardi e sveglierai Clowance".

"Ti sei tolta il vestito da principessa".

"Già, era così scomodo, sai?". Si sedette accanto a lui, accarezzandogli i capelli e prendendogli il libro, per metterlo sul comodino. "Su, lo mettiamo a posto. Continuerai a guardarlo domani".

Il bimbo glielo riprese dalle mani, aprendolo. "Guarda mamma, ci sono i disegni dei cavalli. Uno grande e uno piccolo" – disse, indicando due cavalli illustrati sulla pagina. "Sono una mamma cavallo con il suo bambino?".

Demelza sorrise. "No, vedi Jeremy, questo più piccolo è un pony. Un cavallino che resta piccolo ed è adatto ad essere cavalcato da dei bambini come te e Clowance".

Jeremy si illuminò in viso. "Davvero? Me ne compri uno?".

"Ci penseremo quando sarà pronta la casa nuova". Presto, prima dell'inverno, avrebbero traslocato in una grande villa con giardino nel centro di Londra, che aveva acquistato e stava sistemando ed arredando. Una casa enorme, su due piani, signorile, con un vialetto curato e recintata da un'elegante cancellata in ferro battuto, accanto alla casa dei Devrille, in una delle vie più esclusive di Londra. Le spiaceva lasciare quell'appartamento sopra la sua locanda, lì era nata Clowance e lì c'erano i ricordi di quel primo periodo in quella nuova città, tanto difficile e tanto intenso, ma per il bene dei bambini aveva deciso di comprare una casa dove potessero giocare tranquillamente senza fare lo slalom fra i clienti della sua attività. Certo, per lei sarebbe stato più complicato fare avanti-indietro ogni mattina e ogni sera per raggiungere la locanda, ma quella casa era un buon investimento per il futuro dei suoi figli e avrebbe offerto comodità e prestigio a quello che era rimasto della sua famiglia. Era grande, piena di stanze, con un enorme salone da ricevimento e tanto spazio per Jeremy e Clowance per giocare.

"Mamma, e il cavallo grande?".

Demelza abbassò lo sguardo sull'altra figura illustrata, uno splendido cavallo nero e lucente. "Questo è un purosangue, Jeremy. Un cavallo grande, agile e veloce, che cavalcano le persone adulte. Il tuo papà ne ha uno uguale". Si morse il labbro, stupita di quell'ultima frase, maledicendosi. Non voleva farlo, non voleva parlare di Ross a Jeremy, non voleva turbarlo ma probabilmente quella sera, sentir parlare di George aveva risvegliato in lei ricordi sopiti.

Il bimbo alzò lo sguardo su di lei, incuriosito. "Papà ha un cavallo così? E mi portava con lui?".

"Eri molto piccolo, era pericoloso...". Sentì gli occhi pungerle. No, Ross non aveva mai portato Jeremy a cavallo, ma ricordava perfettamente di quando ci aveva portato Geoffrey Charles, in compagnia di Elizabeth.

"Perché papà non viene mai a trovarci?".

"E' molto occupato, Jeremy" – rispose, con una freddezza che non le era mai appartenuta.

Il bimbo abbassò lo sguardo. "Lui non è della famiglia, non ci vuole bene, non viene mai. Si è dimenticato di noi".

Demelza si morse il labbro. Dannazione a lei, che le era saltato in mente di parlare di Ross a Jeremy? E ora, cosa doveva rispondergli? Certo, la logica le suggeriva di non mentire, di essere franca, ma il suo cuore si rifiutava di farlo, di arrecare un dolore a suo figlio, ancora così piccolo. Lo abbracciò, stringendolo a se, chiudendo il libro che teneva fra le mani. "Jeremy, tu sei il suo bambino e il tuo papà potrà dimenticarsi di ogni cosa ma mai di te. Ne sono sicura. E' molto occupato, è lontano, ma sono certa che ti pensa sempre".

"Pensa anche a te e a Clowance?".

Sorrise, con amarezza. "Certo, a modo suo...". Si chinò a baciarlo sulla fronte, rimboccandogli le coperte. "Ora dormi, è tardi".

"Va bene, mamma".

Si alzò dal letto, dopo avergli dato un'ultima carezza, avvicinandosi alla culla di Clowance. Era cresciuta un sacco, aveva la testolina piena di boccoli rossi e una vivacità fuori dal comune, sembrava avere l'argento vivo addosso. Gattonava per tutta casa, urlando contrariata se non otteneva quel che voleva, fissandoti con uno sguardo buffo e corrucciato. Lei, diversamente da Jeremy, era decisamente figlia sua e di Ross, stessa testa dura, stesso carattere ribelle di chi non accetta compromessi e sa già cosa vuole. Era incantevole, una bambina splendida che tutti si fermavano ad ammirare, quando la portava fuori per fare una passeggiata. Si chinò a baciarla, chiedendosi se fosse giusto sottrarre tanto tempo ai suoi figli per dedicarsi agli affari, rimpiangendo il tempo che passava lontano da loro.

E ora, con l'affare Warleggan fra le mani, il tempo in loro compagnia si sarebbe ulteriormente ridotto.

Pensò a Ross e a come tutto sarebbe stato diverso se l'avesse amata, se avesse tenuto a lei come teneva ad Elizabeth, se non se ne fosse andata...

Ma era inutile pensarci, Ross non era più suo e lei era stata capace di ricominciare una nuova vita e di assicurare un futuro ai suoi due bambini. E questo le costava sacrifici, sofferenza, sensi di colpa, ma la riempiva anche d'orgoglio.

Baciò Clowance sulla fronte e decise che il giorno successivo, dopo il colloquio con Martin Devrille, avrebbe tenuto chiusa la locanda e passato la giornata coi suoi figli a giocare con loro rotolandosi sul pavimento o a correre nel parco cittadino, senza abiti di seta o acconciature raffinate. Come una volta, come in Cornovaglia.






  
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