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Autore: SweetMelany    15/12/2016    2 recensioni
Questa storia parla di una Kagome e di un Inuyasha nel mondo di tutti i giorni.
Kagome è una studentessa delle medie che sta iniziando a rapportarsi con ciò che l'aspetta non appena frequenterà le superiori. Qui conoscerà Inuyasha in una circostanza alquanto insolita. E i due, tra un litigio e l'altro, cominceranno a provare affetto l'uno per l'altra.
Inuyasha è un ragazzo disastrato. Abbandonato dalla famiglia e dalla donna che amava, non riesce a vedere il suo futuro se non come un enorme buco nero. Ma per fortuna ci penserà Kagome, con la sua vitalità e la sua testardaggine, a far sciogliere l'odio che lo circonda e a fargli ritrovare la voglia di vivere e di essere felice.
Ma purtroppo quando le cose tra i due sembreranno finalmente arrivare a una svolta, ecco ricomparire qualcuno che metterà in dubbio e in pericolo l'affetto di entrambi.
Se volete scoprire chi è questo qualcuno, leggete e scopritelo voi stessi ;)
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Kikyo, Miroku, Sango | Coppie: Inuyasha/Kagome, Inuyasha/Kikyo, Miroku/Sango
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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Un suono incessante mi percuote le orecchie e non smette fino a quando io non allungo il braccio fino al comodino.
La sveglia segna le 7 in punto di mattina. So che dovrei alzarmi e affrontare la giornata, ma il materasso è così comodo e c’è così caldo, avvolta in queste lenzuola soffici, che l’istinto di chiudere gli occhi prevale.
La voce di mamma che chiama mio fratello Sota mi risveglia. Quando butto l’occhio sull’orologio non posso credere a ciò che scorgo. Sono le 8 meno un quarto! Non è possibile, mi è sembrato di chiudere le palpebre solo per cinque secondi!
Butto le gambe fuori dal materasso e non ho neanche il tempo di rendermi conto di quanto sia freddo il pavimento che sto già correndo in bagno.
Non posso fare tardi proprio oggi!
Dopo essermi lavata la faccia e aver indossato la divisa, scendo le scale come se la casa andasse a fuoco.
Afferro alla svelta una fetta di pane tostato che mamma ha preparato sulla tavola, mi infilo le scarpe, arraffo la cartella e inizio a correre alla volta della scuola.
Per miracolo non perdo il treno e mi spintono a forza tra i pendolari, sgomitando e chiedendo scusa. Sono troppo in ritardo per avere sensi di colpa. Normalmente me ne starei buona buona ad attendere che il vagone si fermi e che i suoi passeggeri scendano e continuino la loro giornata, ma non oggi.
Non appena le porte si spalancano mi catapulto fuori, anche se per poco non investo il capo treno.
Arrivo davanti ai cancelli della scuola e per fortuna vedo che la mia classe e la sezione D ci sono ancora.
– Kagome! –. Ayumi sventola il braccio in alto per segnalare la sua posizione e io le vado incontro. Vedo che con lei ci sono anche Eri e Yuka.
– Ma dove ti eri cacciata? Ti avrò inviato almeno dieci messaggi… – come al solito Eri fa l’esagerata, anche se questa volta c’è mancato davvero poco. Mi sorprendo che i Sensei non abbiano avuto niente da ridire in proposito. Nemmeno un ammonizione. Oggi è il mio giorno fortunato.
– Scusate ragazze, ma mi ero addormentata… e probabilmente nella fretta ho anche lasciato il telefono a casa – ammetto, imbarazzata.
Prima che le altre ribattano, i docenti ci invitano a seguirli.
Non mi sembra vero di essere all’ultimo anno delle medie e di essere in procinto di visitare la mia futura scuola superiore, che inizierò a frequentare fra soli pochi mesi.
Una volta arrivati ci accoglie il preside e ci conduce nella hall, per poi guidarci nell’aula magna, dove intervengono vari professori e alunni modello.
Io non sarò mai una di loro, penso sconsolata. Già in questi anni ho fatto fatica a rimanere al passo con le materie, chissà una volta al liceo come me la caverò.
Dopo aver fatto il tour completo dell’edificio e osservato le aule e i laboratori, arriviamo in giardino.
Il tempo è talmente volato, che quasi non credo ai miei occhi quando l’orologio che è appeso alla facciata scocca le 14.
Ringraziamo il più educatamente possibile il rettore e usciamo in strada, ovviamente con il consenso dei professori.
Sto per proporre alle mie amiche di andare a mangiare qualcosa, quando una voce attira la mia attenzione.
– Higurashi! –. Akitoki Hojo, della sezione D, mi viene incontro con un sorriso a trentadue denti. Prima che riesca a raggiungerci, Yuka ed Eri mi strattonano un braccio e iniziano a sussurrarmi nelle orecchie i soliti avvertimenti. È da quando è iniziato l’anno scolastico che quelle due non fanno altro che incitarmi a mettermi con Hojo.
– Ehi, Hojo. Come stai? – gli chiedo, staccandomi dalle mie compagne.
– Bene, grazie, e tu? –. Sorrido e annuisco, affermando che è tutto okay.
– Senti, ti andrebbe di andare a mangiare un boccone in un locale qua vicino? Non dista tanto e poi è solo questione di mezzora, non voglio occupare il tuo tempo per tutto il pomeriggio – mi rassicura.
È così speranzoso che non ho il cuore di rifiutare e dirgli che era proprio quello che avevo intenzione di fare io… ma con le mie amiche, anziché con lui.
– Ma certo, nessun problema – rispondo, anche se adesso il mio sorriso è un po’ forzato. Soprattutto avrei voluto condividere con loro le idee che si erano fatte della scuola, se avevano intravisto ragazzi carini tra una lezione e l’altra e se avevano già in mente quali lezioni frequentare.
Be’, ma puoi farlo benissimo anche con Hojo, mi convince una vocina nella mia mente, anche se assomiglia molto a quella di Yuka.
Saluto le altre con un cenno e noto che nei loro sguardi – esclusa l’ingenua Ayumi – c’è una traccia di orgoglio.
Riporto la concentrazione su Akitoki, che nel frattempo non ha smesso di parlare, e cerco di farmi andare bene la piega che hanno preso gli eventi.
Giunti a quella che noto essere un sushi bar, ci accomodiamo a un tavolo cha si affaccia su una finestra e ordiniamo da bere.
Mentre siamo intenti a guardare il menu, penso a come sarebbe avere una relazione seria con Hojo. Mi faccio una lista di tutti i pro e i contro e noto con stupore che quella a favore supera davvero di molto quella a sfavore.
Eppure… c’è qualcosa che mi frena. Ma che cosa?
Non appena arriva il cameriere gli riferiamo le nostre ordinazioni e una volta che se n’è andato cominciamo la conversazione che tanto agognavo. Ascolto con piacere che lui è esattamente in sintonia con me, che condivide tutte le mie idee e che se fosse per lui avrebbe già cominciato ad andare in quel liceo, senza aspettare la fine delle medie.
È così perfetto, così premuroso… eppure non avverto la scintilla. Non mi vengono le farfalle allo stomaco, non provo alcuna attrazione per lui, nonostante sia un bel ragazzo. Che cos’ho che non va?
Quando finiamo di mangiare, allungo la mano sotto il tavolo e dico ad Hojo che non ho intenzione di farmi offrire il pranzo, quando mi accorgo di una cosa sconcertante. La mia mano tocca il vuoto. Non sento lo zaino sotto il palmo, e nemmeno la pressione che dovrebbe fare sulla gamba.
E poi, mentre il panico mi assale, mi ricordo di averlo dimenticato nel bagno al secondo piano del liceo Kururuma. Come ho fatto ad accorgermene solo ora? Hojo deve aver notato la mia espressione, perché inizia a farmi domande e anche il suo volto si corruccia dalla preoccupazione.
Gli spiego velocemente ciò che è successo e ciò che intendo fare e gli assicuro che gli restituirò i soldi per il pranzo.
Prima di rendermi conto di stare correndo, sono fuori dal sushi bar e sono diretta all’edificio che ho visitato solamente quella mattina.
Se non ho capito male, in quella scuola fanno anche dei corsi pomeridiani, il che significa che c’è una buona probabilità che sia aperta, adesso.
Mi rassereno quando vedo che una parte del cancello è aperta. Diminuendo il passo e con il fiatone che mi scuote i polmoni, varco la soglia. Spero vivamente che i bidelli non mi facciano una ramanzina per il fatto che non mi sono cambiata le scarpe. E spero anche di non incappare in qualcuno, soprattutto un professore, dato che la mia divisa spicca un po’ troppo e non ho voglia di rispondere alle domande che seguirebbero. Anche perché sarebbe davvero imbarazzante.
Salgo le scale fino al secondo piano e mi precipito ai bagni delle ragazze. Con mio profondo sollievo ritrovo immediatamente lo zaino. Me lo metto in spalla ed esco. Sto per ripercorrere i miei passi, quando odo una voce profonda provenire da quella direzione. Decido allora di fare dietro front e svolto l’angolo, di modo da essere coperta. Mi acquatto al muro, origliando il suono di quella voce, ma sento che prosegue la sua salita, il che vuol dire che per il momento sono salva. Tanto per non rischiare, però, decido di continuare verso quel corridoio. Ci deve essere di sicuro un’altra uscita.
Percorro il corridoio e noto che tutte le classi sono chiuse. Tranne una.
Butto un occhio all’interno, l’ambiente è illuminato dalla luce del sole, che sta cominciando a imbrunirsi, sfumando verso l’arancione.
Al suo interno c’è un ragazzo. Ha la testa appoggiata sul banco, sopra le sue braccia che gli fanno da cuscino, la schiena piegata. Solo sentendo un lieve russare capisco che sta dormendo. Mi chiedo che cosa ci faccia qui, ma soprattutto se sappia che la scuola chiuderà a momenti. Sono indecisa se svegliarlo o meno.
Non mi accorgo di essere entrata, finché non mi trovo davanti a lui. Mi chino, indecisa su quale sia il modo migliore di scuotere una persona che non conosco dal sonno. Lo pungolo su una spalla con un dito. Visto che non dà segni di essersene accorto, continuo.
Il giovane finalmente si muove e alza lievemente la testa. Si strofina un occhio con il pugno ed emette uno sbadiglio.
E adesso che gli dico? penso preoccupata.
Quando alza gli occhi assonnati su di me, mi blocco. È bellissimo. Ha due occhi scuri, quasi neri, e i capelli, del medesimo colore, gli arrivano alle orecchie. Non riesco a capire se siano spettinati per il sonnellino da cui si è appena rinsavito o se siano così normalmente.
Ci guardiamo per alcuni istanti e all’inizio non faccio caso ai sentimenti che si inseguono nel suo sguardo. Prima noto confusione, poi riconoscimento e infine… odio. Sembra che questa emozione copra qualcos’altro, ma non ho il tempo di rimuginarci sopra.
– Che cos’è, uno scherzo? – mi chiede. Ha una voce roca e… sensuale. È strano associare un aggettivo del genere ad una voce, ma non riuscirei a trovare un altro sinonimo per descriverla.
Il suo tono è così glaciale che non fraintendo neanche per un attimo che ciò sia una burla.
Inarco un sopracciglio, non capendo che cosa voglia dire.
Lui posa i palmi sulla superficie del banco e si tira in piedi, sovrastandomi di almeno dieci centimetri.
– È stato Miroku a chiamarti? Che cosa ci fai qui? – chiede. Adesso l’odio è sfumato dalla rabbia. Il ghiaccio si è tramutato in fuoco e non riesco a capire se ciò sia una cosa positiva o meno.
Non ho idea di chi sia il ragazzo che ha nominato, ma non ho il tempo di riferirglielo che un suono difficile da confondere con qualcos’altro invade il silenzio che si è creato. Il cigolio di un cancello che si apre… o che si chiude.
Ignorando le frecciate che lo sconosciuto mi continua a lanciare con gli occhi, mi dirigo in corridoio e scopro a malincuore di aver avuto ragione. La cancellata è stata chiusa, il guardiano o uno dei bidelli sta sigillando a chiave la serratura, intrappolandoci nell’edificio.
Il panico mi assale. È la terza volta che mi capita oggi e spero vivamente che sia l’ultima. E ora come faccio a uscire?
Nel frattempo, avverto la presenza del ragazzo vicino a me. Mi ha raggiunto e suppongo che anche lui sia arrivato alle medesima conclusione. Mi giro per guardarlo, sperando di riuscire a ragionare con lui per trovare una soluzione al nostro problema, e invece continua ad avere la faccia imbronciata, le sopracciglia aggrottate e una ruga che gli solca la fronte.   
– Che c’è? Ora non è il momento, dobbiamo trovare il modo di andarcene da qui… – inizio, anche se lui continua imperterrito a mantenere la stessa espressione, concentrato su qualcosa che non immagino. Posso quasi vedere le rotelle del suo cervello girare, nel tentativo di arrivare a una conclusione, di prendere una decisione che sarà fondamentale per entrambi: fidarsi o no di me?
– Tu non sei Kikyo – mormora alla fine.
Metto i pugni sui fianchi. Non ho idea del perché proprio io gli abbia ricordato questa Kikyo, o se devo prenderlo come un complimento o come un’offesa, fatto sta che l’osservazione mi sta sui nervi.
– Per tutto il tempo sei rimasto a rimuginare su questo? Non so chi sia costei, ma io mi chiamo Kagome. Ka-go-me. Chiaro? – annuncio.
Lui sembra stupito, anche se probabilmente sta cercando di nasconderlo, ma non è l’istante per infierire. In questo periodo dell’anno fa buio presto e non voglio tornare a casa a un’ora così tarda, soprattutto perché dovrei dare una spiegazione a mia madre e a mio nonno, e non mi va proprio di ammettere di essermi intrufolata in una scuola e di avere intrapreso una stramba conversazione con un ragazzo più grande di me.
– Adesso sbrighiamoci –. Non gli do il tempo di ribattere che gli volto le spalle. So che mi sta seguendo e non posso fare a meno di congratularmi con me stessa.
Non passano dieci secondi che lui mi si affianca. – Tu conosci bene questa scuola. Sai se c’è un’altra uscita o un punto nelle mura che è possibile scavalcare? – domando, sperando nella prima ipotesi.
Con la coda dell’occhio vedo che lui fa spallucce. L’irritabilità ritorna come un’onda impetuosa e non sono capace di fermarmi.
Sospiro. – Senti, lo so che probabilmente non aspettavi di trovarti in una situazione del genere. Nemmeno io, se è per questo. Ma sarebbe meglio per entrambi se collaborassimo, se ci aiutassimo – affermo, cercando di mantenere la calma.
Proseguo la camminata, prendendo il suo silenzio come un tacito assenso.
– Inuyasha –.
Volto la testa verso di lui. – Come? – gli chiedo.
– Mi chiamo Inuyasha – aggiunge.
Io annuisco. Avendo raggiunto una specie di tregua, proseguiamo senza proferire altre parole.
Con la coda dell’occhio però non perdo neanche un suo movimento. Non mi fido abbastanza di lui e non so cosa potrebbe farmi. O dove potrebbe condurmi.
Una volta ritrovate le scale, scendiamo fino al piano terra. È piuttosto inquietante e raccapricciante osservare una scuola deserta, senza gruppi di studenti ad invadere i suoi corridoi, senza le risate e le voci che riempiono le classi e i laboratori. Un brivido mi serpeggia giù per la schiena.
– Dimmi, ragazzina… –. Adesso è il mio turno di lanciargli un’occhiata di puro odio.
– Non sono una ragazzina – affermo, incapace di trattenermi e mettendo tutto il veleno possibile in quelle parole.
– … come ti sei cacciata in questa situazione? – prosegue, ignorando deliberatamente il mio intervento.
Riassumo un atteggiamento noncurante, sperando di scoraggiare l’idea della “ragazzina” che a quanto pare si è fatto di me. Se mi dimostro più matura di quanto sono, magari si dimenticherà in fretta di me una volta usciti di qui.
– Perché ti interessa? – rispondo alla sua domanda con un’altra, un vecchio trucco che ho imparato da mio fratello minore.
Lui fa spallucce. Dentro di me non riesco a trattenere un moto di soddisfazione. A quanto pare la strategia che ho adottato ha funzionato meglio del previsto.
Fatti pochi passi, però, la delusione del fallimento ritorna a trovarmi.
– Non so, è che bisogna essere davvero stupidi per entrare in una scuola a quest’ora –. Per poco non stramazzo a terra, impietrita.
Lui continua a guardare davanti a se, e non si è accorto che mi sono fermata, nel tentativo di sbollire la rabbia. Ma come si permette?!
– Ehi, non mi sembra che tu sia stato molto più furbo – ribatto piccata, raggiungendolo e mettendomi di nuovo al suo fianco, la cartella che pende da una spalla.
Okay, forse l’approccio della ragazza matura è fallito. Ma non potevo di certo rimanere in silenzio dopo un’affermazione del genere…
– Io mi sono addormentato, che centra? Vorrei vedere te, dopo tre ore di recupero –.
È qui che l’ego ha il sopravvento su di me e non riesco a frenare la lingua. – Tzt. Io non avrò bisogno dei corsi di recupero, innanzitutto – ma una vocina nella mia testa mi sta urlando oscenità, insieme ad affermazioni del tipo: “Che cosa?” oppure “Dici sul serio, Kagome?”. E so che quella parte non ha tutti i torti. Ma in fondo, quando io entrerò in questa scuola lui sarà già uscito e non scoprirà mai, nel caso accada, che ho mentito. A giudicare dal suo aspetto fisico, dovrebbe già essere al terzo anno. Anzi, forse gli davo un paio di anni in più.  
Inuyasha borbotta qualcosa che non riesco a udire, ma non ci tengo particolarmente a scoprire di che cosa si tratta.
Prima che uno dei due possa aggiungere altro, arriviamo all’uscita. Automaticamente, mi dirigo alla porta e premo la maniglia antipanico che, ovviamente, è chiusa a chiave.
– Che stai facendo? –. La voce di Inuyasha attira la mia attenzione e vedo che è oltre le scarpiere, a pochi metri da me, affacciato su una stanza o un corridoio di cui non riesco a capire l’uso. Mi avvicino a lui. – Secondo te? Cerco di uscire, no? –. Quando gli sono di fronte incrocio le braccia davanti al petto. Comincia a fare freddino.
Lui intanto entra in quello che mi accorgo essere uno sgabuzzino e inizia ad armeggiare con una sedia e la scrivania. – Tu piuttosto che combini? – è il mio turno di chiedere.
– Cerco di uscire, no? – risponde, in falsetto, nel tentativo di imitare il mio tono di voce. Giuro che non lo sopporto.
Sale con i piedi sulla sedia e si affaccia alla finestrella in alto. Solo in quel momento noto che ha in mano un coltello, anche se non ho idea da dove l’abbia tirato fuori.
Dopo pochi minuti odo i chiodi che tenevano chiusa la finestra cadere sul pavimento e rimbombare in quel silenzio che mi fa accapponare la pelle.
Inuyasha spinge la finestrella con la mano e questa si apre senza problemi verso l’esterno.
– Forza, che fai lì impalata? – mi riscuote. Solamente allora comprendo che è quella la nostra via di fuga. Sgrano gli occhi. – S-stai scherzando, vero? – balbetto.
– Non ti preoccupare, ci passerai senza problemi – dice, nel tentativo di rassicurarmi, con il risultato di farmi solo arrabbiare di più. Lo fulmino con uno sguardo.
– Non sono in ansia per la taglia, ma piuttosto… per… l’altezza – ammetto, la paura che torna a contorcermi le viscere.
– Non dirmi che soffri di vertigini… – sospira, alzando gli occhi al cielo, e usando un tono incredulo che sembra voler dire: “Ma tutte a me capitano?”. Non vedo l’ora di separarmi da questo individuo così antipatico.
Forse è proprio questo a convincermi, ma mi dirigo verso il muro, un’altra sedia in mano, decisa ad andarmene al più presto da quel luogo e di dimenticarmi di tutta questa faccenda. Prima uscirò, prima potrò dire addio al signorino qui presente, mi autoconvinco.
Mi tolgo lo zaino dalle spalle e lo calo dalla finestra. Sento il tonfo quasi subito, il che è incoraggiante. Entro con le gambe nell’apertura e sto per lasciare la presa e lasciarmi cadere, quando la paura mi blocca nuovamente.
– Andrà tutto bene, sono solo pochi piedi da terra. Tutto quello che devi fare è piegare le ginocchia e non ti accadrà niente –. Quella rassicurazione è così inaspettata che non mi accorgo delle sue mani che mi danno la spinta necessaria perché io molli la presa.
Prima di rendermene conto sono fuori, illesa.
Un attimo dopo Inuyasha è accanto a me.
– Bene. Visto, non era poi così diff… –.
– Sei completamente impazzito?! – gli urlo contro.
Lui è talmente preso alla sprovvista che perde l’equilibrio e cade sul terreno.
– M-ma che ti prende? – mi domanda. Oh certo, fa il finto tonto.      
– Non ti azzardare mai più a spingermi quando mi trovo in alto, sono stata chiara? – lo minaccio, chinandomi su di lui per accentuare la frase.
– C-certo – assente.
– Bene. E ora vediamo di occuparci del prossimo ostacolo – aggiungo, prendendo la cartella e avviandomi, senza aspettare che si rialzi, verso il cancello che delimita la scuola.
 
 
 
E adesso? non posso trattenermi dal pensare. Siamo davanti alla cancellata, la via d’accesso chiusa con una catena.
– Non dovrebbe essere alto più di quattro metri… – riflette a voce alta il mio compagno di sventura.
Quattro metri?! 
Se per me era difficile saltare da un metro e mezzo, figurarsi adesso…
– Forza, sali sulla mia schiena – esordisce.
Io lo guardo incredula. – Che hai detto? –.
– Credo di riuscire a sopportare il tuo peso per pochi minuti e non vedo altra soluzione per te se non passare la notte all’aperto e aspettare che domattina il guardiano apra –.
Cerco di ignorare l’insinuazione che ha fatto sulla mia taglia ancora una volta e di apprezzarlo come un gesto galante.
– Sei sicuro? – gli chiedo per sicurezza. Non voglio ritrovarmi col sedere a terra dopo solo un metro percorso.
– Dubiti di me? – domanda, un sopracciglio inarcato e le labbra piegate in un sorriso.
– Be’… sì, a dire il vero – rispondo.
– Fai bene a non fidarti di un estraneo, ma non hai altra scelta, ricordi? –.
Deglutisco, nel tentativo di prendere coraggio. Espiro. – Va bene. Facciamolo –.
Mi sistemo meglio lo zaino sulle spalle e quando lui si piega sulle ginocchia io mi aggrappo con braccia e gambe al suo collo e ai suoi fianchi. Si avvicina alla rete in ferro e inizia a salire.
Sono incapace di tenere gli occhi aperti e per la paura gli stringo ancora di più le spalle. Ha un buon profumo. Sa di menta e di selvatico. Inconsciamente inizio a rilassarmi, sarà per il calore che emana o per la sicurezza che avverto in lui o forse per la gentilezza che ha dimostrato nell’aiutarmi.
– Ehi, scimmietta, ora puoi anche mollarmi –. La sua voce mi riporta alla realtà e quando apro gli occhi di fronte a me vedo la scuola, coperta dalla rete di ferro che la delimita.
Inuyasha si schiarisce la gola.
– Oh, certo, scusa –. Lo sciolgo dal mio abbraccio e mi allontano di almeno un metro, imbarazzata.
– Be’, credo che sia arrivata l’ora dei saluti – esordisce lui.
 
 


ANGOLO DELL'AUTRICE
Salve a tutti!! 
Voglio informare chiunque sia stato preso dalla curiosità della trama e abbia letto il primo capitolo, che questa è la mia prima vera e propria Fan Fiction!! ^-^
Perchè Inuyasha vi chiederete voi.. beh è uno degli anime che mi ha segnata da bambina e oltre alla domanda che ci siamo posti tutti, ovvero: come è continuata la vita di Inuyasha e Kagome e tutti i loro amici nell'Era Sengoku dopo la fine dell'anime? Mi sono anche chiesta: ... e se Inuyasha e Kagome fossero vissuti nel nostro tempo, Inuyasha non fosse stato un mezzo-demone ma un semplice essere umano? Ora, la sua vita e il suo spessore caratteriale ho cercato di mantenerli uguali, sperando di esserci riuscita e di aver fatto lo stesso con il resto dei personaggi... ma per il resto, la storia è ambientata ai giorni nostri e ce ne saranno delle belle e delle crude per i nostri amati protagonisti ^-^
Spero di poter aggiornare abbastanza costantemente, ma voi lasciate una recensione ogni volta che potete! :)
Baci, SM.
   
 
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