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Autore: lady lina 77    15/12/2016    2 recensioni
Cosa sarebbe successo se Demelza, dopo il tradimento di Ross, se ne fosse andata di casa?
Dopo la lite furiosa fra i due in cui ha rovesciato ogni cosa dal tavolo, urlando al marito tutta la sua rabbia, Demelza decide che non ha più senso rimanere a Nampara, con un uomo che non la desidera più e che sogna una vita con un'altra donna.
Prende Jeremy e Garrick, parte per Londra e fa perdere le sue tracce al marito, ricominciando una nuova vita lontana da lui e dalla Cornovaglia.
Come vivrà? E come la prenderà Ross quando, al suo ritorno da Truro, non la troverà più a casa?
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Prese un profondo respiro, mentre le gambe le tremavano.

Quella mattina si era svegliata presto, aveva raccolto i lunghi capelli rossi in un elegante chignon che lasciava cadere qualche ciocca sul collo, aveva indossato un meraviglioso vestito di seta blu, come il suo cappello. Aveva indossato guanti di seta, orecchini e collier d'oro, al polso un bracciale di perle e si era truccata il viso in maniera elegante e non troppo marcata. Era una donna d'affari, giusto? Doveva impressionare i suoi interlocutori, non era questo il suo scopo? Doveva spiazzare e mettere all'angolo George Warleggan e non voleva avere nemmeno un capello fuori posto. Doveva essere perfetta nella sua prima apparizione al consiglio d'amministrazione della Warleggan Bank.

Nonostante il suo aspetto fosse fiero ed elegante però, una strana ansia le attanagliava lo stomaco. Vedere George significava aprire di nuovo i conti col suo passato ed era certa che lui avrebbe fatto di tutto per metterla in difficoltà, parlandogli anche di Ross, se necessario.

A suo favore poteva usare il cospicuo potere che le quote azionarie della banca, acquistate coi suoi soci, le davano, permettendole di trincerarsi dietro il puro profitto e la conclusione di affari vantaggiosi per tutti. Era un'azionista della Warleggan Bank ora, non una loro debitrice. E questo, George, sapeva che doveva tenerlo in conto.

Arrivò alla banca poco dopo le nove del mattino, leggermente in ritardo rispetto all'orario fissato. Anche questo era studiato e rispettava appieno l'idea che voleva dare di se a quegli uomini: noncuranza, arroganza e poco rispetto per le loro regole. Doveva e voleva apparire capricciosa, questo avrebbe aumentato il fascino nei soci della banca che non la conoscevano e avrebbe fatto indispettire George che comunque si sarebbe trovato con le mani legate, visto il peso delle azioni che lei aveva in suo possesso.

Salì al secondo piano dell'edificio, osservando i dipinti alle pareti e gli eleganti tappeti che adornavano il corridoio, tutti di ottima fattura persiana.

E quando arrivò alla sala del consiglio d'amministrazione, entrò senza bussare, imponendosi un passo deciso e sicuro.

Al centro della sala c'era un enorme tavolo d'ebano scuro e una decina di uomini vi era seduta attorno. Alcuni erano anziani, altri alle prime armi, forse ancora più giovani di lei. Tutti elegantissimi, tutti ricchi e tutti desiderosi di concludere ottimi affari.

E a capo tavola, a dominare tutto e tutti, con gli occhi sgranati dalla sorpresa, George Warleggan, vestito con un elegante soprabito rosso, pallido come un cencio e senza parole. Era decisamente stupito dal vedersela davanti... Gli era stata presentata, dai verbali, come Demelza Carne e non col cognome Poldark. E questo aveva influito non poco sull'effetto sorpresa. Lui non conosceva il suo nome di Battesimo, dopo tutto...

Demelza finse di ignorarlo, si tolse il cappello e prese posto al tavolo, sedendosi su una delle sedie lasciate libere. "Scusate il ritardo signori ma sapete, noi donne siamo davvero capricciose e amiamo perdere tempo nei negozi d'alta moda" – disse, togliendosi i guanti ed appoggiandoli al tavolo, con una lentezza ed un'eleganza studiata.

George, sempre più pallido, tossicchiò. "Che cosa ci fate quì?".

Demelza alzò lo sguardo su di lui. "Oh, non ve l'hanno detto? Demelza Carne, piacere di incontrarvi, signore! Sono, assieme ai miei soci, una delle nuove azioniste di maggioranza della Warleggan Bank". Accavallò le gambe, appoggiò la mano sotto il mento e sorrise amabilmente. "Ora che abbiamo fatto le nostre presentazioni, direi che è il caso di iniziare a parlare d'affari, è già così tardi... mio malgrado".

"Certo!" - asserì uno degli altri soci, un giovane dai capelli dorati che stava all'altro lato del tavolo.

"Certo" – ripeté George, squadrandola gelido. "Volete che vi presenti gli altri soci di maggioranza?".

"No, non è necessario. Sono quì per parlare di denaro, non per ampliare il mio giro di conoscenze".

George incassò, si sedette e annuì, aprendo il verbale posto davanti a lui. "Oggi discuteremo della costruzione della nuova sede della nostra banca a Oxford. Come sapete, il costo d'acquisto del fabbricato che ci lancerà in questa nuova avventura, è piuttosto elevato. Ovviamente dovremo coprire i costi per la ristrutturazione, l'ampliamento e la messa in sicurezza della banca che, ad oggi, sarebbe una delle più grandi della città. Questo ci porterà profitti innumerevoli, ma altrettanto innumerevoli saranno le spese iniziali d'investimento. Potremmo utilizzare denaro nostro, privato, che ammortizzeremmo coi primi proventi, quando la banca aprirà. Oppure, usare i profitti derivanti dal pignoramento delle abitazioni di coloro che hanno debiti con noi non ancora saldati. Ho un elenco di nomi che vi ho fatto preparare in copia, uno per ciascuno di voi. Queste persone sono cadute in rovina e, nonostante non si siano conclusi ancora i termini per la restituzione delle somme che ci devono, dubito fortemente che potranno saldare i loro debiti con noi. Se siete d'accordo, inizierei col pignoramento dei loro immobili".

"Io non sono d'accordo".

La voce di Demelza ruppe il silenzio che si era generato alle parole di George, che spalancò gli occhi. "Come?".

"Non sono d'accordo" – ripeté, lentamente.

"Signora" – rispose George, con malcelato disprezzo nel tono di voce – "Voglio ricordarvi che il pagamento dei propri debiti è un dovere sia civile che morale, in una società onesta".

Demelza annuì. "In una società onesta costituita da uomini onesti, si rispettano i termini di pagamento accordati. Quanto tempo è stato dato, a quelle persone iscritte su quella lista, per il pagamento dei loro debiti?".

Uno dei soci prese l'elenco, studiandolo. "Sono persone che hanno il termine di pagamento fissato a gennaio del prossimo anno".

Demelza sorrise. "Mi pare che manchi ancora molto, quindi. Siamo ancora in estate, dopo tutto, e quelle persone potrebbero avere tutto il tempo per estinguere i propri debiti".

"Sono persone vicine alla bancarotta, non pagheranno nemmeno con l'avvento del nuovo anno!" - ribadì George, piccato e rosso d'ira. "Concedergli questi mesi farebbe di noi persone estremamente stupide e sognatrici".

"Farebbe di noi, persone oneste" – ribadì Demelza, non togliendogli gli occhi di dosso. "Io non firmerò nulla di quanto proposto, se questi sono i termini! Un conto sono i prestiti scaduti, un conto quelli ancora in essere. Non rovinerò la vita di persone in difficoltà e non intendo avere nessuno sulla coscienza".

"E per i costi della nuova banca?" - chiese George, con aria di sfida.

Demelza sospirò. "Investiremo i nostri capitali, se necessario, non mi pare che questo sia un problema. Oppure chiederemo noi stessi dilazioni di pagamento alla società costruttrice, impegnandoci a saldare coi primi proventi della nuova banca. Questa è la mia posizione, signori. Che, a conti fatti, è pure quella che rispetta la legge vigente che non consente di cambiare, in corso d'opera, accordi già presi. Ma se voi pensate il contrario e possedete abbastanza azioni della Warleggan per proseguire senza la mia firma, ovviamente sarete liberi di farlo anche senza il mio benestare".

George si morse il labbro. I suoi occhi erano fuori dalle orbite e Demelza avrebbe scommesso che, se avesse potuto, le avrebbe messo le mani al collo. "Signora... Carne... ovviamente il vosto peso azionario in questa seduta è piuttosto consistente e non possiamo non tenerne conto. Ma vorrei invitarvi ad essere ragionevole".

"Io vi invito a fare altrettanto!".

Il socio biondo giovane che aveva davanti, tossicchiò. "Io credo che il ragionamento della signora sia giusto, eticamente corretto. E che possiamo, dopo tutto, trovare altre strade per i fondi che ci sono necessari".

George strinse i pugni, contrariato. "Voi altri signori, che ne pensate?".

La misero ai voti. E su undici persone presenti, tre gli diedero ragione. Era ancora poco, avevano tutti paura di George, ma per Demelza era già un ottimo risultato. Erano quattro contro sette, con abbastanza peso azionario per fermare i piani subdoli di quel demonio.

George sospirò. "E sia, chiederemo dilazioni di pagamento alla società appaltatrice. Ma sia chiaro, appena scatterà il nuovo anno, pretenderò la restituzione di tutti i crediti non ancora versati a mio nome".

"E' in vostro diritto farlo" – rispose Demelza, alzandosi in piedi. Sorrise agli altri soci, rimettendosi i guanti e il cappello. "Signori, è stato davvero un piacere conversare con voi stamattina. Ma credo che ora tornerò a passatempi più femminili, come dello sano shopping per le vie del centro della capitale. D'altronde, noi donne sappiamo essere così capricciose".

I soci le fecero un inchino, osservandola stupiti, increduli per quanto avevano appena visto. Nessuno di loro aveva mai osato contraddire George prima di quel giorno. Poi, uno ad uno, lasciarono la sala.

Demelza fece per imitarli ma la voce di George la raggiunse, gelida, alle spalle. "Signora Carne... volete concedermi il piacere di due chiacchere prima di dedicarvi ai vostri passatempi? O, dovrei dire, signora Poldark?" - chiese, appena furono soli.

Demelza si voltò verso di lui. Bene, erano faccia a faccia ora, senza nessun altro attorno. Poteva finire la sua commedia di nobildonna viziata adesso, e giocare a carte scoperte. "Sono lusingata che vi ricordiate di me, George".

"In effetti è strano, i volti di voi sguattere sono tutti così uguali" – ribatté lui.

"Già, puo' darsi" – rispose, a tono.

George le si avvicinò di alcuni passi, arrivando a pochi centimetri da lei. "Come è possibile che siate quì, a questo tavolo?".

"Città nuova, vita nuova. Gli affari mi sono andati straordinariamente bene, quì a Londra".

George sorrise, freddamente. "Dovrebbero fare una legge che vieta a voi sguattere e a quelli della vostra stessa specie di sedere ai tavoli di potere, signora Poldark".

Demelza rispose al sorriso. "Potrebbero, in effetti... Ma se facessero una legge simile, ai tavoli di potere non potrebbero sedersi nemmeno coloro che discendono da un'umile famiglia di fabbri, non credete?". Sorrise, si voltò e fece per andarsene, ma George la richiamò.

"Aspettate un momento, non ho ancora finito con voi. Parliamo e mettiamoci d'accordo, vorrei evitare problemi simili a quelli di poco fa, alla prossima riunione di consiglio. E proporvi un piccolo accordo".

Demelza si voltò verso di lui, seria. "Io non faccio accordi con voi, George. Dimostratevi ragionevole e andremo d'accordo, tutto quì".

"Voi ed io siamo molto simili, signora Poldark, da quello che vedo. Potremmo andare d'accordo".

Demelza si oscurò in viso. "Io non mi ritengo affatto simile a voi, per fortuna".

"Non volete ascoltare cos'ho da dirvi?".

No, non voleva. In realtà la presenza di George la stava irritando terribilmente. "Non ne ho particolarmente voglia. Arrivederci!".

George non si fece intimorire. "Vostro marito... Lo avete lasciato da ormai... un anno e mezzo, mi pare".

Gli occhi di Demelza si assottigliarono. "Non credo siano cose che vi riguardano. E non credo sia il caso di parlare di Ross quì, in un consiglio d'amministrazione della Warleggan Bank. Lui non c'entra nulla in questo momento".

George puntò il dito contro di lei, pensieroso. "Lo avete lasciato e suppongo ce l'abbiate a morte con lui per qualche motivo a me ignoto. Vi do la possibilità di vendicarvi, di essere mia complice e di togliervi le vostre soddisfazioni. Come sapete, vostro marito è sempre stato un grattacapo per me, insieme potremmo distruggerlo".

Demelza incrociò le braccia alla vita, squadrandolo con espressione furente. Come poteva chiederle una cosa del genere? Ma poi, di che si stupiva? Era con George Warleggan che stava parlando, dopo tutto... "Non ho alcun interesse a rovinare mio marito ma al contrario, spero che viva felice, sereno e il più possibile lontano da me e dalla mia famiglia. Mi spiace George, se cercate un alleato per fargli la guerra, cercate altrove".

"La Wheal Grace si è dimostrata una miniera molto solida, sta donando infinite ricchezze a vostro marito e ai suoi soci. Se noi comprassimo delle azioni...".

Demelza sussultò. La Wheal Grace... Ricordava quanta fatica, quanti sacrifici avesse fatto Ross per riaprirla, l'immenso lavoro di lui e dei suoi uomini in quei cunicoli scuri, il triste destino di Francis, la sua disperazione dopo il crollo e la morte di due dei suoi uomini. Credeva che quella miniera fosse ormai chiusa, dopo quell'incidente, invece Ross probabilmente era riuscito a tenerla in vita. "Se la Wheal Grace si sta dimostrando un'ottimo investimento, sono felice per Ross e per le persone che lavorano per lui. Conosco quegli uomini e le loro famiglie, una ad una, e non intendo muovere un dito contro di loro. Ross sta facendo la sua vita, io la mia. E mi va bene così".

George scosse la testa. "Signora Poldark, vostro marito cosa direbbe se gli dicessi cosa fate a Londra? Cosa penserebbe se sapesse che siete una scaltra azionista e giocatrice di borsa? La cosa potrebbe turbarlo, non pensate?".

Demelza si morse il labbro. No, George non doveva dire nulla a Ross e c'era un modo per assicurarsi che stesse zitto circa i loro rapporti. "Io non credo che sia conveniente, per voi, parlargli di me".

"Perché mai?".

Demelza sorrise, con freddezza e distacco. "Perché se lo faceste, George, dovreste anche ammettere davanti a lui che vi tengo in scacco nel consiglio d'amministrazione della vostra stessa banca. E credo che preferiate la morte al dover ammettere uno smacco simile, giusto?".

"Come osate? Voi non mi metterete i bastoni fra le ruote" – rispose George, rosso in viso.

Demelza lo fissò negli occhi, furente. "E voi non li metterete a me. Avremo un rapporto di lavoro onesto e rispettoso e ognuno di noi starà al suo posto, agendo secondo legge ed onestà verso il prossimo. Andremo d'accordo, se ognuno rispetterà i patti. Ross non deve sapere nulla di me e di quello che faccio quì, intesi? Se direte qualcosa, sappiate che ho abbastanza potere per bloccarvi ogni attività finanziaria della Warleggan Bank".

George sospirò. "Ebbene non parlerò, ma voi sarete ragionevole d'ora in poi, quando ci vedremo alle prossime riunioni".

"Sarò onesta ed agirò con altrettanta onestà, cercando di venirvi incontro dove possibile".

"E io non parlerò a Ross della vostra attività. E di voi. Potete stare tranquilla, anche perché mi sarebbe impossibile comunicare con lui, allo stato attuale dei fatti".

Demelza si oscurò, mentre una strana ansia prendeva possesso di lei. "Perché?".

"Si è arruolato ed è partito per la guerra ad inizio anno, otto mesi fa. Per quel che ne so, potrebbe anche essere morto".

Demelza si sentì mancare, tanto che dovette appoggiarsi al muro per non cadere a terra. Impallidì, mentre le mani presero a tremarle. In guerra? Ross? Come poteva averlo fatto, come poteva aver abbandonato Elizabeth, Geoffrey Charles e una miniera fiorente? Perché? "State bleffando?".

George alzò le spalle. "Perché dovrei farlo? Non ne avrei interesse, non credete?".

Già, non ne aveva interesse, Demelza questo lo sapeva. "Ross è sempre stato molto avventato" – commentò, sotto voce.

"Non parlerei di avventatezza quanto piuttosto di sconfitta, signora Poldark".

"Sconfitta?". Demelza lo guardò, senza capire di cosa parlasse.

George alzò la mano sinistra dove, all'anulare, brillava una lucente fede nuziale. "Mi sono sposato".

"Congratulazioni" – rispose, in tono piatto.

"Con la vostra ex cugina, la vedova Poldark. Elizabeth ed io siamo convolati a nozze poco dopo la vostra partenza e la nostra unione è stata benedetta dall'arrivo di un meraviglioso bambino, Valentin".

Le parve che le si prosciugasse tutta l'aria nei polmoni. George ed Elizabeth? Come poteva essere? Elizabeth aveva sposato George? E Ross? Tentò di parlare, ma non riuscì a dire nulla, improvvisamente le sembrava di avere il vuoto in testa. Cosa diavolo era successo in Cornovaglia, nell'anno e mezzo in cui era stata assente?

Notando la sua sorpresa, George sorrise amabilmente. "Capite signora Poldark, per Ross è stato un trauma. Ho conquistato la maggior tenuta della sua famiglia, sono diventato tutore di suo nipote Geoffrey Charles e ho sposato la donna che da sempre ama e che ha sempre sognato, come forse anche voi sapete bene. E questo l'ha mandato fuori di testa, costringendolo ad arruolarsi per la disperazione di sapere la sua amata, sposata al suo acerrimo nemico". Le poggiò famigliarmente una mano sulla spalla. "Sicura di non voler riconsiderare la mia offerta di acquistare quote azionarie della Wheal Grace?".

Con uno strattone, Demelza si allontanò da lui. "Non colpirò mio marito alle spalle e non cambierò idea. E ora, se mi permettete, vorrei andarmene".

"Non vi congratulate con me?".

"Congratulazioni George, per tutto. Arrivederci".

La voce di George la raggiunse alle spalle, nuovamente. "Mi invidiate?".

Si voltò verso di lui, di nuovo. "Perché dovrei farlo?".

"Perché io, a differenza di voi, ho un matrimonio felice, con una donna meravigliosa, innamorata, onesta e raffinata. Un matrimonio perfetto, a differenza del vostro. Ma vi capisco, comprendo la vostra scelta di andarvene, essere la moglie di Ross Poldark dev'essere stato frustrante".

Demelza sorrise. "Non esistono matrimoni perfetti George e in ogni coppia ci sono piccoli, inconfessabili segreti, tenetelo a mente". Avrebbe desiderato urlargli in faccia la verità, che la sua preziosa dama era una bugiarda doppiogiochista, una falsa finta dama che lo aveva tradito prima di sposarlo e che, con tutta probabilità, sognava ancora Ross. Ma non lo fece, non c'era più motivo per farlo, non c'entrava più nulla con la vita di quelle persone e voleva tenerle lontano da lei quanto più possibile. "Vi rinnovo i miei auguri, comunque, per il matrimonio e per il bambino. Ora devo davvero andare".

George annuì. "Perché ve ne siete andata? Me lo sono sempre chiesto con immensa curiosità".

Demelza gli voltò le spalle, aprì la porta. "Non credo che vi farebbe piacere saperlo, George". Uscì dalla stanza, chiuse l'uscio dietro di se e a passi spediti si avviò verso l'uscita. Gli occhi le pungevano, il suo corpo era percorso da brividi di freddo e non ne capiva il motivo.

Improvvisamente, fu costretta a fermarsi.

"Signora Carne" – la chiamò il socio giovane che aveva presieduto la riunione con lei, poco prima. Lo riconobbe, era il ragazzo biondino che era seduto dall'altra parte del tavolo, davanti a lei.

"Volevo congratularmi con voi, avete davvero stile nel portare avanti le vostre idee".

Demelza annuì, disattenta. "Grazie".

"Che ne dite se ci vedessimo per bere un the?".

"Scusate ma oggi non sono dell'umore giusto per fare conversazione. Magari un'altra volta".

Il ragazzo annuì, cercando di incassare con dignità il suo rifiuto. "Ma certo signora, scusate se vi ho disturbato" – balbettò, arrossendo.

Si sentì in colpa. Era stata brusca, era fuori di se e quel ragazzo così impacciato ne stava pagando le conseguenze. "Scusate, ma oggi è una giornata terribile per me. Sono di fretta e non so nemmeno il vostro nome".

"Theodor Garvey, milady. Per servirvi".

Demelza sorrise. "La prossima volta, se vi andrà ancora di farlo, berrò più che volentieri un the con voi. Ma oggi non mi è davvero possibile".

Il volto del ragazzo si illuminò. "Aspetterò la prossima riunione con impazienza, allora".

"Certo". Lo guardò allontanarsi, sentendosi in colpa per quella promessa che in fondo non aveva voglia di mantenere, fatta unicamente per toglierselo di torno quanto prima. Non era d'umore adatto a sopportare nulla, nemmeno un gesto o una parola gentile.

Uscì in strada, appoggiandosi al muro, osservando il cielo estivo di Londra, di un color azzurro pallido. Ross era in guerra da mesi... "Sei un dannato idiota" – disse, mentre calde lacrime le rigavano le guance. Le aveva fatto male sentir parlare di lui, per un anno e mezzo aveva fatto di tutto per non pensarlo e non immaginare cosa stesse facendo e ora George aveva riaperto vecchie ferite in maniera dolorosa. "Perché non sei andato da lei? Perché non hai lottato per tenertela? Perché hai permesso che George la sposasse? Ed eri davvero così disperato senza di lei, dal fatto di vederla con un altro, da decidere di partire per la guerra?". Le faceva male immaginare che, probabilmente, era quello che l'aveva spinto ad andarsene...

Però... Ross era suo marito e dannazione, non le riusciva proprio di non preoccuparsi per lui ogni volta che prendeva decisioni azzardate e pericolose. Lo aveva sempre fatto, in ogni dannata avventura in cui si era imbarcato suo marito. Anche ora, anche lontani, anche dopo tanto tempo non riusciva a non essere in ansia per la sua sorte...

Su due piedi, prese una decisione che mai avrebbe contemplato possibile fino a dieci minuti prima. Ma se non l'avesse fatto sarebbe morta di preoccupazione, non ci avrebbe dormito la notte e avrebbe smarrito il briciolo di serenità che aveva faticosamente raggiunto in quei mesi. Doveva andare in Cornovaglia, in incognito, e scoprire cosa fosse successo a Ross. Doveva sapere come stava, cosa faceva, il perché di tante cose. Doveva scoprire se era vivo... Era suo marito dopo tutto, ancora. E il padre dei suoi figli...

E quale momento migliore per tornare, se non quello? Lui era lontano, non correva il rischio di incontrarlo e lei avrebbe fugato tutti i suoi dubbi e le sue paure e sarebbe potuta andare a fare visita alla tomba di Julia. Era tanto che non andava dalla sua bambina e si sentiva terribilmente in colpa per averla abbandonata.

Sarebbe partita quanto prima, avrebbe affidato i bambini a Martin e Diane e poi avrebbe raggiunto Nampara. Se c'era qualcuno che poteva rispondere alle sue domande e mantenere il segreto sulla sua visita, quella era indubbiamente Prudie. Solo lei poteva aiutarla, laggiù.








  
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