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Autore: ikuccia    17/12/2016    0 recensioni
Le pupille di Elize diventarono sempre più piccole fino a spegnersi con l’ultimo alito di vita che abbandonava il suo corpo.
Non era servito a nulla tamponare vigorosamente con la mia mano quello squarcio che gli apriva l’addome facendo defluire via la sua esistenza. La stringevo tra le mie braccia, ormai pallida ed inerme, mentre il suo sangue inzuppava la mia camicia bianca.
L’avevo persa!
Spalancai gli occhi e mi ritrovai nel buio della mia camera da letto.
Me ne stavo seduto nel mio letto con il respiro corto e il corpo brillante di sudore.
Era solo un sogno, l’ennesimo sogno che preannunciava la tragica fine di quella donna tra le mie braccia...
Sarei stato carnefice e salvatore e lei avrebbe dominato il mio inferno.
Era solo questione di tempo e gli eventi ci avrebbero travolto.
sarei stato capace di compiere quel destino e lei sarebbe sopravvissuta alla morte?
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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*Nemo*
Strinsi le mie braccia intorno all’esile corpo di Elize nel tentativo di placare l’ira che la stava divorando ma lei continuava a dimenarsi e a scappare dalle mie parole.
Dovevo sembrarle un pazzo: ero piombato in casa sua raccontandole qualcosa che la sua natura umana non avrebbe potuto comprendere ma sapevo che il suo tempo si stava consumando ed era solo questione di giorni.
La sua vera natura si stava risvegliando. Ero stato io a rianimare le fiamme degli inferi assopite in lei; furono le mie labbra sulle sue a dare ossigeno a quel fuoco.
Sentivo le sue unghie graffiarmi le braccia ed il profumo dei suoi capelli sbattermi sul viso ad ogni tentativo di divincolarsi dalla mia presa.
Ero impressionato da quanta forza ed ostinazione potesse celarsi in un essere così delicato.
Gli umani avevano l’arroganza di credere che il destino dipendesse solo da loro ma Elize sembrava diversa: il suo rifiuto non era per un destino non voluto ma per l’impossibilità di comprendere quel disegno di cui, mio malgrado, mi ero fatto messaggero.
Era una lotta tra noi due: io, un generale divorato dal fuoco di mille battaglie, che si contrapponeva al vigore del giovane soldato mosso da nobili ideali, che avrebbero consacrato la sua fine, e dal desiderio della sopravvivenza.
Sorrisi davanti a quella ribellione.
Risentì il ferro delle spade che si intrecciavano e le urla della lotta: il Padre contro il figlio; i fratelli contro i fratelli.
Riconobbi in Elize la mia stessa enfasi quando, ancora piumato, mi ribellai contro il disegno che era stato tracciato. Sentivo il fuoco ardere in lei e questo mi caricava di nuova energia facendomi cingere ancora più forte il corpo di quella guerriera.
All’improvviso, però, il ricordo degli ultimi istanti della mia vita umana mi sorprese e mi fece allentare quella stretta.
Fu una questione di attimi: all’improvviso restituì la tanto agognata libertà a quella donna che, in un ultimo atto di rivolta, perse l’equilibrio andando in frantumi.
Non doveva andare così; i miei sogni mi avevano preparato ad una realtà assai diversa.
Il fragore del tavolino di cristallo andato in pezzi rimbalzava ancora tra le pareti della stanza e mi feriva le orecchie mentre, immobile, guardavo quella vita spegnersi: Elize stava morendo davanti ai miei occhi e la paura che dilatava le sue pupille risvegliò in me il terrore della notte in cui mi fu restituita la mia natura demoniaca.
Mi accasciai su quel corpo lacerato dal vetro aguzzo e lo strinsi al mio petto.
Invocavo il suo nome mentre a mani nude cercavo, in vano, di tamponare quella ferita mortale.
<< Elize, andrà tutto bene… ci sono io qui con te >> le ripetevo mentre vedevo il suo tempo esaurirsi inesorabilmente.
<< Elize >> le sussurrai un’ultima volta per poi accarezzarle le palpebre e spegnere i suoi occhi ormai vitrei.
Chiusi gli occhi nauseato dall’odore pungente del sangue.
In realtà il mio malessere trovò origine nel ricordo della mia rinascita: era stato quell’odore pungente, che mi aveva invaso le narici, a caratterizzare il mio risveglio in quel freddo vicolo. Era un odore che non avrei mai più dimenticato, al pari dello smarrimento tra un passato spazzato via dai giardini della memoria ed un’antica natura che si liberava in me, prendendo il sopravvento.
Era un malessere che avrei risparmiato a quella donna.
Quell’odore doveva essere lavato via.
Sollevai quel corpo, stringendolo a me, e lo adagiai nella vasca da bagno dove affidai all’acqua il compito di rimuovere quel liquido viscoso ed il suo tanfo di morte.
Mi sedetti sul bordo di quel contenitore ad osservare l’acqua scorrere via, portando con se i segni della morte.
Il tempo passava immutato.
Fissavo le lancette del mio orologio segnare l’inalterabilità di quel corpo. Ad ogni ticchettio sentivo crescere l’ansia in me.
I miei sogni erano vere premunizioni oppure solo fantasie?
E se in Elize non ci fosse stata nessuna natura demoniaca?
Se quella notte, nei suoi occhi, avessi visto solo il riflesso del demone che risiedeva in me?
Poi all’improvviso l’inferno si manifestò.
Sentì un forte odore di carne bruciata e notai che sulla candida pelle del suo polso sinistro comparve il marchio che le restituiva il suo antico nome, esattamente come fu per me.
Le sue palpebre vibrarono per poi dare spazio a due enormi occhi color ghiaccio attraversati da scintille di fuoco che preannunciavano l’abisso che bruciava in quella donna fatta di peccato e dannazione
Si guardò intorno spaurita per poi poggiare quelle due fredde biglie su di me; mi sorrise.
<< Sitri >> la chiamai dolcemente ricambiando quel sorriso << Basta stare immersa, ed ora di uscire >>.
Le porsi la mia mano aiutandola a scavalcare il bordo della vasca e, una volta salda al pavimento, le appoggiai l’accappatoio sulle spalle per poi stringerla forte a me.
Il suo odore non era cambiato.
<< Sitri vieni con me >> .
  
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