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Autore: charliespoems    18/12/2016    1 recensioni
Sin dall’inizio dei tempi, i quattro elementi girovagavano per la Terra indisturbati, consci del fatto che, prima o poi, qualcuno sarebbe riuscito ad utilizzarli. Da quando l’umanità era apparsa nel pianeta, si è sempre creduto che terra, acqua, aria e fuoco fossero penetrati nella mente e nel corpo dei prescelti, guidandoli e facendosi guidare, addomesticandoli e facendosi addomesticare. Nessuno ancora lo sapeva, ma gli uomini e gli elementi avrebbero condiviso molto insieme.
[...]
Tooru e Hajime erano cresciuti insieme. Nonostante il primo fosse di un anno più grande – e contava molto, nella tribù – ci teneva particolarmente alla compagnia del più piccolo, mostrandogli di tanto in tanto tecniche e posti nuovi.
«Uff, baka-Iwa-chan! Proprio oggi che devo sostenere l’esame. E io che non vedevo l’ora di fargli vedere il mio drago d’acqua!»
[...]
«Tooru… Tooru parteciperà alle Olimpiadi, giusto? Quando avrà diciassette anni. Lo manderete in quel posto orribile,
vero?»
[...]
Oikawa non seppe mai cosa successe quel giorno.
O forse sì.
---
Ripeto di non essere una cima con le trame, ma spero che questa AU possa avervi incuriosito.
[Iwaoi/Kuroken/BokuAka]
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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1
 Si inizia.
 

      Oikawa si risvegliò fradicio dalla testa ai piedi. Gli incubi non lo lasciavano in pace da anni, ma in quell’ultimo periodo sembravano essersi accumulati e avvinghiati al suo sonno. Non era una sensazione piacevole, l’inquietudine costante e la paura di non riuscire a dormire. Solitamente, da bambino, si infilava nel futon dei genitori, si sistemava in mezzo a loro avvolgendosi nelle coperte di pelle d’orso bianco – le più calde che avesse mai avuto – e si stringeva a loro, strizzando così forte gli occhi da lasciare andare via ogni cattivo pensiero. Quel metodo non funzionava più. Tooru era cresciuto, aveva messo su muscolatura, i capelli erano cresciuti arricciati alle punte, era diventato sempre più alto tanto da superare la maggior parte degli adulti e, inevitabilmente, era diventato il più bravo manipolatore dell’acqua della Tribù del Sud.

     «Oikawa-san» sobbalzò quando sentì una voce. Si chiese se avrebbe avuto un attimo di pace.
«Oikawa san,» lo richiamarono. «stiamo per partire. Stiamo aspettando solo lei» solamente quando sentì i passi di Hanamaki sprofondare nella neve si permise di sbuffare. Quello era il grande giorno e non c’era persona che da mesi a quella parte non glielo ricordasse. Come se lui non lo sapesse, poi. Insomma, spettava a lui combattere contro il più forte manipolatore dell’acqua della Tribù del Nord, dopotutto, no? Era compito suo dover vincere per poi andare ai Grandi Giochi, giusto? E allora perché tutta quest’ansia, tutto questo incoraggiamento? Perché dovevano stargli con il fiato sul collo da quando-

      Si accorse di non star più respirando solamente quando il petto cominciò a dolergli. Sul suo campo visivo vi era il ricamo fatto da Obaa-chan che ritraeva lui e il suo migliore amico. Sorridevano, lui e Iwaizumi. Sorridevano in quel modo così ingenuo e stupido che solo il ricordo faceva male. Sorridevano sperando in un futuro che mai sarebbe arrivato. Per quel che poteva saperne, Iwaizumi era morto. Lo avevano cacciato dalla Tribù dopo quel famoso giorno e parlare di lui era diventato un tabù, un disonore. Strinse quel ricordo al petto. Si era promesso di proteggerlo, ma la verità era triste e dolorosa: non era in grado nemmeno di proteggere sé stesso. Perché lui si era fatto delle domande, dopo il discorso di Hajime. Si era chiesto se dietro alle Olimpiadi non ci fosse sul serio qualcosa di losco, di terribile. Ma non aveva trovato risposta. E ora si trovava in quella porzione di tenda, con un peso troppo grande da portare sulle spalle e la malinconia che lo abbracciava per intero.

        L’ultimo ricordo del viso di Hajime era nitido ai suoi occhi: lui che correva, si dimenava fra le braccia di chi cercava di agguantarlo, dava spintoni e urlava. Urlava così forte che pensò di perdere la voce, quel giorno. Ricordò le lacrime che scorrevano mentre vedeva Iwaizumi girarsi a guardarlo, salire sulla scialuppa e sorriderli. A percorrergli la guancia, dal sopracciglio sino al mento un’ustione verticale che inevitabilmente gli distruggeva il viso. Era un peccato, perché la pelle scura e forte di Hajime era bellissima. Ricordò il dolore improvviso alle gambe, il ritrovarsi in ginocchio, il sapore amaro dell’addio e le parole che non poteva uscire dalle labbra. L’aveva osservato allontanarsi fino a quando non fu sparito, perché sapeva di non poter fare nulla. Era un addio, dopotutto.

       Il viaggio finì per essere estenuante. Faceva più freddo del solito, mentre la barca scorreva sul fiume, e aveva perso il conto di quante fossero ormai le ore di viaggio. In più cominciava a diventare nervoso. Del suo avversario conosceva solamente il nome: Kageyama Tobio. Si vociferava fosse un fuoriclasse, un mostro quasi. Oikawa sorrideva ogni volta, perché lui era il re di quell’elemento: nessuno poteva batterlo.
«Quanto manca ancora?» chiese, sbadigliando.
«Forse tre ore. Sei agitato, Tooru?» sua madre gli carezzò il viso, apprensiva. Ne andava anche del suo futuro, d’altronde. Se avesse vinto avrebbe portato onore alla famiglia, alla sua città. Sarebbe stato meglio per tutti.
«Un po’» rispose. Era la sua grande occasione. Stava per compiere il grande passo. E allora perché non provava nulla? Perché si sentiva come fosse uno scrigno vuoto, privato del suo tesoro? Vedeva il paesaggio circolare davanti a sé: distese di neve e ghiaccio, ogni tanto ricoperte da erba fresca. Avevano deciso di percorrere la strada più lunga, quella in cui non avrebbero incontrato nessun altro Paese. Si chiese se avesse visto la terra che avrebbe ospitato le Olimpiadi. Si ricordò solo dopo che questa era situata al centro fra la Nazione del Fuoco e la terra dei Nomadi dell’Aria.

        Aveva letto qualcosa sugli altri Paesi, ma non si era mai soffermato a studiarne i particolari. Durante quel periodo di tempo in cui era rimasto solo si era dedicato solamente agli esercizi con l’acqua. Voleva diventare il più forte a tutti i costi, voleva concentrarsi, focalizzarsi sul suo obiettivo, perché altrimenti la tristezza gli avrebbe corroso ogni cellula. Non era debole, Oikawa, ma con Iwaizumi si sentiva sicuramente più forte. Gli voleva bene per forza, quel genere di bene incondizionato che vuoi ad un fratello anche se ti fa arrabbiare. Quel genere di bene che, se l’altro sparisce da un momento all’altro, distrugge.

        La Tribù del Nord era completamente diversa da quella del Sud. C’era, in qualche modo, molta più civilizzazione. Vedeva strani aggeggi elettronici un po’ ovunque. Anche il modo di vestire era differente. Nella sua Tribù si vestiva maggiormente con pelle di orso o di tricheco. Ogni tanto, di foca. Ci pensavano le signore più anziane a lavorarle e cucirle. Gli animali venivano utilizzati per tanti scopi. Erano, probabilmente, la forma più utilizzata di sostentamento. In quella Tribù invece ci si vestiva sempre in modo pesante, ma in qualche modo gli abiti sembravano più raffinati, di pelle pregiata. Non si soffermò a guardare il resto del paese, comunque, poiché troppo occupato a rispondere agli sguardi indagatori e poi spalancati dei passanti, che gli davano ai nervi. Sì, lui era lo sfidante del famosissimo Kageyama-kun, che tra l’altro era di ben due anni più piccolo di lui. E dunque? Avrebbe voluto urlarlo un po’ in faccia a tutti, ma decise di contenersi. Si limitò solo nel fare delle linguacce a qualche bambino a caso.

    «Co-Come diavolo è possibile che loro abbiano un castello di ghiaccio? Da dove diavolo se le sono tirati fuori?» chiese Mattsukawa, rimanendo paralizzato per qualche secondo. Il castello non era di proporzioni così grandi, ma sicuramente si faceva notare. Non era cosa da tutti i giorni vedere una costruzione del genere.
«Hanno sicuramente molti più fondi di noi» sbuffò un ragazzo più in fondo, le braccia conserte dietro il collo.
Oikawa non li ascoltò nemmeno, si diresse direttamente verso l’entrata.
«Prima finiamo, prima ce ne andiamo. Giusto?» guardò Obaa-chan che, nonostante l’età, aveva praticamente costretto tutti quanti a lasciarla partire. Lei annuì, visibilmente tesa. 
«Bene. Io vado. Voi fatevi un giro e divertitevi, mh?» fece il segno della pace con una mano, per poi dirigersi verso l’interno.
Il castello era completamente fatto in ghiaccio, sembrava per lo più che fosse composto da pezzi accatastati l’uno sull’altro.
Non vi erano nemmeno merletti o torri d’avvistamento. Sembrava tutto abbastanza ridicolo, a pensarci bene. Si chiese se fosse scivoloso.

       Una volta chiusa la porta, domandò se ci fosse qualcuno.
Aggiunse alla lista mentale delle cose negative di quel paese la mancanza quasi totale di luce. Si chiese dove l’incontro si sarebbe tenuto.
«Allora, c’è nessun-» si spostò di lato, sentendo una fiamma scottargli improvvisamente parte della casacca.
Spense immediatamente il fuoco con un gesto della mano. Vide davanti a sé un ragazzo poco più alto di lui che, con la testa piegata da un lato, lo fissava.
«Non pensavo che Kageyama-kun fosse un manipolatore del fuoco. O almeno, non è quello che mi è stato detto» sputò, acido.

**

       «Sei proprio sicuro? Ti ha detto di fare questo?» gli chiese, un sopracciglio arcuato.
«Sì, e l’unico di cui può occuparsene al momento è lui, dato che gestisce il suo elemento opposto e, in questo caso, dominante. Dobbiamo solo aspettare. Non sappiamo quanto sia forte in realtà Oikawa-san. In caso non collabori, ovviamente» rispose Kageyama, nascondendo l’agitazione schioccandosi le dita. Kageyama era sempre stato affascinato dalla Tribù del Sud. Numerose volte aveva promesso a sé stesso di visitarla, durante una vacanza magari.

       Sapeva quanto fosse diversa dalla sua: non c’era nessun tipo di tecnologia, non vi erano castelli o principati, si basava tutto su animali e forza autonoma. Probabilmente era per quel motivo che i migliori manipolatori dell’acqua partecipanti ai Giochi provenivano sempre da lì. Era da anni che la Tribù del Nord non prendeva parte alle Olimpiadi. Avevano più fondi, più possibilità, più persone su cui lavorare, eppure non riuscivano ad avere quella forza risoluta che gli sfidanti invece avevano. Non si sarebbe mai aspettato di dover combattere contro il più bravo manipolatore di quel Paese. Non era giusto. Pensava che entrambi meritassero il posto alle Olimpiadi, che quella divisione non era rispettosa per nessuna delle parti, prima di sapere e capire a cosa in realtà quei giochi servissero. Sentì il sangue gelargli nelle vene a quel pensiero. Era un miracolo che avesse scoperto tutto prima dell’evento. Proprio quell’anno i suoi genitori e gli Anziani decisero di promuoverlo e di nominarlo per i Giochi, facendogli credere quanto fosse importante parteciparvi. Era un onore importante, una faccenda che veniva inculcata ai bambini. La pulce nell’orecchio che fa sentire grandi, invincibili, causando poi l’effetto contrario.

       Si sentiva onorato di essere stato nominato per quella missione segreta, se così poteva essere definita. Rispettava molto i suoi senpai e confidava nel fatto che Oikawa-san, per quanto non lo conoscesse, sarebbe stato ragionevole nei loro confronti. Lo sperava davvero, anche perché altrimenti il tutto sarebbe andato a monte. Ad essere sincero, Tobio non amava alla follia Oikawa. Ne aveva sentito parlare come un re indiscusso del suo elemento, come un essere invincibile e tenebroso. Una volta gli dissero che il suo sguardo incuteva terrore: sembrava composto da ghiaccio puro. Si vociferava che fosse uno dei pochi in grado di poter sfruttare talmente a pieno il suo elemento da potercisi fondere in un tutt’uno. Kageyama non voleva crederci. Eppure se tutti quanti ne parlavano così bene voleva dire che quel ragazzo aveva effettivamente un potenziale, e in cuor suo lui sapeva di volerlo battere a tutti i costi. Voleva sconfiggerlo, era vero, ma in uno scontro in regola. In uno scontro in cui nessuna vita sarebbe stata messa in palio. Si chiese se il suo senpai sapesse tutta la verità.

       Kageyama aveva scoperto a cosa in realtà servissero i giochi sei mesi prima, quando per sbaglio aveva sentito una conversazione di troppo sul suo conto. I bambini, o ragazzi che fossero, venivano educati appositamente per affrontare quel periodo di tempo che li avrebbe condotti alle Olimpiadi. A soli tre anni, quando il bambino cominciava a muovere le manine e giocare con i primi spruzzi d’acqua, gli anziani li catalogavano nell’Elenco dei Volontari. Se crescendo il ragazzo aveva buone possibilità di addomesticare l’acqua a suo piacimento, era quasi del tutto sicuro che avrebbe, a diciassette anni, gareggiato. Impostare un elenco simile non era poi così oltraggioso, per alcuni era sinonimo di sicurezza, di ordine. Il punto era far valere la propria Tribù. Generalmente, specie anni prima, i bambini non facevano mai amicizia tra loro. Era vietato, poiché i rapporti umani – specialmente tra persone dello stesso sesso – avrebbero intralciato l’apprendimento. Le lezioni si basavano sull’Obaa-chan o l’Ojii-chan che spiegavano a ciascun alunno, in tempi diversi, ciò che avrebbero dovuto imparare per la volta successiva.

          Il controllo dell’acqua deriva da costante equilibrio con sé stessi, dall’estraniarsi dal mondo esterno e tuffarsi con corpo e anima in quell’elemento così potente qual era l’acqua. Le lezioni erano severe, probabilmente non quanto quelle della Nazione del fuoco, che godeva di un apprendimento estremamente rigido e faticoso, ma sicuramente non era una passeggiata. La cosa che più fece tremare di disgusto Kageyama, quando lo venne a sapere, era che i ragazzi erano destinati. Chi nasceva nelle Tribù doveva per forza addomesticare l’acqua, chi nasceva nella Nazione doveva manipolare il fuoco, e così via. Non c’era alcun tipo di scelta, altrimenti i ragazzi venivano diseredati o peggio uccisi. Molti si rifiutavano di voler combattere con un elemento con il quale non disponevano nulla, e allora venivano condannati. La stessa cosa accadeva a chi non raggiungeva delle buone impressioni nell’Elenco. Se un ragazzo non aveva potenziale, veniva automaticamente eliminato poiché ultima ruota del carro. Chi non era abbastanza capace, a detta degli anziani di qualsiasi Paese, doveva essere scartato definitivamente.

       Era solo una questione d’onore, un stupida convinzione secondo cui il più forte sopravvive e il più debole muore agonizzante. Kageyama, dopo aver letto i metodi dei vari assassini, si sentì male. Sentire quasi sottopelle quei trattamenti gli aveva strizzato così forte lo stomaco che rimettere il pasto era stato inevitabile. Non sapeva ancora tutto riguardo i Giochi, ma sapeva che erano il punto cruciale della Rivendicazione, così loro la chiamavano. Vendicare il proprio Paese dalla feccia con cui erano stati costretti a convivere. Faceva schifo solamente al pensiero. Aveva deciso di entrare in quel gruppo di persone che andavano contro quel trattamento immediatamente dopo aver appreso certe notizie. Non sapeva ancora chi gestisse l’ordinamento, se più persone o una sola, ma riteneva corretto parteciparvi.

      Non ricordava bene come fosse disposta la gerarchia. Ricordava soltanto che ogni fazione era divisa per Paese, dove intervenivano dei Capitani di tutti gli Elementi con qualche Principiante di supporto. Generalmente venivano mandati in azione due o tre Capitani, con un seguito di tre Principianti ciascuno. I Capitani erano principalmente i più capaci con il loro elemento, che dunque sapevano gestire al meglio le situazioni, sapevano analizzarle a dovere mantenendo sangue freddo e mente lucida. Era un compito che il singolo decideva di avere, o che “I piani alti” decidevano di assegnare. I Principianti non erano solamente coloro privi di esperienza come Kageyama, ma erano tutti quelli che non desideravano essere nominati come Capitani. Erano ovviamente molto capaci nella manipolazione del proprio elemento, ma preferivano prestare attenzione al singolo combattimento che alle strategie su come attuarlo.

      L’Ordinamento era stato creato molti anni prima, a detta dei suoi senpai. Ne aveva conosciuti alcuni, durante quella missione, che gli avevano raccontato qualcosa in più. Nessuno sapeva chi ci fosse al Vertice, ma molti Capitani si conoscevano l’uno con l’altro. Ad esempio, due dei Capitani che erano in missione con lui quel giorno si conoscevano da anni, nonostante manipolassero elementi diversi. Gli avevano parlato dell’Ordinamento come base segreta, del posto in cui ci si allena, di quanto potente sembri all’esterno. Kageyama non aveva mai avuto l’occasione di vederlo poiché ancora troppo giovane e inesperto. Il suo compito al momento era di fare la spia e dichiarare più quanto conosceva. Era abbastanza complicato ma al tempo stesso importante e lui ne andava fiero.

«Ci sta mettendo un po’. Dev’essere tosto come dicono» il Capitano rimasto insieme a loro rise.
«Chissà, magari è la volta buona che Kuroo ci rimette la pelle»





Angolo autrice:
chiedo scusa per questo imperdonabile ritardo. Ho avuto davvero un sacco da fare e sto avendo un sacco da fare per un concorso letterario a cui parteciperò e quindi gli aggiornamenti sono sempre un problema piuttosto grande da affrontare.
Prometto però che non sarà necessario aspettare così tanti mesi per la prossima pubblicazione.
Venendo al capitolo, vediamo che ci sono molte più carte in tavola adesso. Abbiamo la presentazione di più personaggi, alcuni dei motivi per il quale i Giochi siano così terribili - perché sì, Kageyama è ingenuo e sa pochissime cose - e i vari pensieri di Oikawa a riguardo che, chissà, vincerà? O ascolterà il manipolatore del fuoco?
Ovviamente la presentazione di Kageyama è ancora misera. Più avanti vedremo il suo caso in particolare, così come quelli degli altri personaggi.
Sinceramente non vedo l'ora di presentare gli altri Paesi perché trovo la loro descrizione estremamente affascinante.
Se c'è qualcosa di non chiaro sull'andamento della trama della storia sappiate che è più che legittimo chiedere. Ovviamente è in piena evoluzione, ci sono delle questioni non svelate appositamente, ma in caso sfugga qualcosa allora è giusto chiarirsi.
Spero che le descrizioni siano chiare e non troppo pesanti e spero che nonostante il ritardo questa storia possa continuare a piacervi.
Perdonate eventuali errori: scappano sempre.
Un bacio e a presto,
Charlie;
   
 
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