Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer
Ricorda la storia  |      
Autore: Layla    21/12/2016    1 recensioni
Talia è semicieca da quando ha tre anni a causa di una malattia. Malattia che non può curare perché la sua famiglia è povera, ma Talia riesce lo stesso a vivere bene.
Fino a Natale.
Fino a quando non incontra un misterioso ragazzo che le vuole insegnare il significato del Natale.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Lezioni di Natale.

Talia p.o.v.

 

Mi sveglio e anche oggi è buio.
È sempre buio nella mia vita, sono quasi del tutto cieca da quando avevo tre anni a causa di una malattia chiamata glaucoma. È una delle maggiori cause di cecità nel mondo e può essere curata, ma i miei sono poveri e possono permettersi solo la cura a base di colliri. Dicono che in Inghilterra si stiano sviluppando terapie in grado di guarire anche casi come il mio, ma non possiamo permettercela, stiamo facendo una raccolta fondi, ma non va granché bene. La gente è disposta ad aiutare a parole, ma quando si tratta di mettere mano al portafoglio è sempre reticente.
Mi alzo dal letto e mi vesto, ho memorizzato la planimetria della mia camera e lì mi muovo come se non fossi cieca. Indosso i soliti jeans neri strappati, una maglietta e un maglione, mi pettino i miei capelli a caschetto neri lunghi fino alle orecchie e con una frangia che mi arriva appena sopra le sopracciglia.
Tocco il mio piercing al septum e le sue linee curve orientaleggianti.
Scendo a fare colazione da sola, i miei sono già a lavoro, e mi dico: anche oggi è un bel giorno, Talia.
Anche se non è vero.
Anche se sono quindici anni che non vedo ed è come se non avessi mai veduto perché non si hanno ricordi fino a tre anni.
Anche se probabilmente non vedrò mai.
Anche se Natale si avvicina e io lo odio, è stato durante quel giorno che ho perso la vista o almeno così dicono i miei.
Dopo aver bevuto il mio caffè e biscotti, lavo le tazze, metto il cappotto nero, il cappello dello stesso colore e un sciarpa rossa. Io e il mio fidato bastone ci avventuriamo per le strade di New York, facendo attenzione ai marciapiedi gelati e alle persone, nella Grande Mela sono tanto stronzi che non si spostano nemmeno davanti a una cieca.
Prendo la metropolitana e arrivo in Time Square, mi metto in un angolo e sembra che guardi il grande albero di Natale, in realtà ascolto il vento freddo e il rumore del mare insieme al vago profumo di salsedine.
A un certo punto sento qualcuno avvicinarsi e mettersi esattamente dietro di me, poi una voce maschile parla.
“Bello l’albero, vero?”
Io mi volto e sento il ragazzo trasalire vedendo il bastone.
“Scusa, io non sapevo che tu fossi cieca.”
“Tranquillo, non sono offesa. Sono felice che tu mi abbia scambiato per una che vede, odio essere trattata in modo diverso perché sono cieca.”
“Capisco, io sono Michael comunque.”
“Io sono Talia, posso vederti?”
“Vedermi?”
“Sì, stai fermo un attimo.”
Muovo il mio bastone per arrivare davanti a lui e poi alzo le mani un po’ esitante, poi raggiungo il suo viso e passo le mie mani sui suoi lineamenti: sono delicati, gentili, sul sopracciglio ci sono due buchi, probabilmente aveva un piercing, hai i dilatatori non troppo grandi alle orecchie, i capelli invece sono un po’ rovinati.
“Ti tingi i capelli, vero?”
“Sì, ma come lo sai?”
“Hai i capelli un po’ secchi come chi se li tinge e hai avuto un piercing in passato, hai due buchi al sopracciglio.”
“Wow.”
“Le persone che non vedono sviluppano di più gli altri sensi, non siamo veggenti come credevano gli antichi greci.”
Lui ride.
“Cosa ci facevi qui se non guardavi l’albero?”
“Ascoltavo il vento e il mare e mi godevo il profumo di salsedine.”
“Salsedine?”
“Se annusi bene si sente, il mare non è lontanissimo.”
Le mie mani sono ancora sul suo volto, così lo sento chiudere gli occhi e riaprirli dopo un po’.
“Non lo sento.”
È un po’ frustrato.
“Non devi rimanerci male, di che colore hai gli occhi e i capelli?”
“Gli occhi sono verde-azzurri.”
“Anice e menta.”
“E i capelli sono biondi.”
“Patatine fritte. Sai d’estate.”
Lui rimane un attimo in silenzio.
“Credo di non capire.”
“I miei genitori mi hanno insegnato a vedere i colori tramite i sapori del cibo, l’azzurro per me è il sapore dell’anice, il verde quello della menta e il giallo o il biondo sono le patatine fritte.
Adesso ti è più chiaro?”
“Sì, molto.
Vuoi che ti descriva l’albero?”
“No, io odio il Natale”
“Come mai?”
“Sono diventata il giorno prima di Natale quando avevo tre anni, da allora i miei non lo festeggiano più.”
“Capisco. Quindi prima vedevi.”
“Sì, ma non me lo ricordo. Ho una malattia che si chiama glaucoma, i miei sono poveri e non l’hanno potuta curare adeguatamente prima che fosse troppo tardi, adesso vedo solo ombre molto vaghe. Dicono che in Inghilterra stiano sviluppando una cura per casi come il mio, i miei hanno istituito una raccolta fondi, ma la gente non dona anche se è Natale e blablabla.”
“Mi dispiace.”
“Non credo che tu possa farci molto, Michael.”
“Questo non lo so, ma vorrei farti apprezzare il Natale perché è una festa davvero speciale, che ti farebbe bene.”
“Perché? È solo uno scambio di regali.”
“Non è solo quello, è festeggiare l’amore che ti lega alla tua famiglia, la nascita del Signore.”
“Non ho bisogno di un giorno per festeggiare l’amore per la famiglia, la amo tutti i giorni e loro lo sanno e il Signore non è stato misericordioso con me e poi l’unico regalo che vorrei non posso averlo.”
“La vista?”
“Già.”
“Dammi una possibilità, se non riuscissi a farti cambiare idea almeno avresti un amico.”
“Va bene, qual è il tuo cognome?”
“Clif…Cook.”
“ClifCook?”
Chiedo, non essendo sicura di avere capito bene.
“Cook.”
“Non è che mi stai mentendo? Hai una strana voce.”
Lui sospira.
“Sì, ti sto mentendo. E ti dicessi il mio vero cognome sarebbe un casino, ma voglio conoscerti lo stesso.”
“Cosa sei? Un agente segreto?”
Lui non risponde.
“Ok ok. Io sono una Jimenez, anche se pallida come sono nessuno indovina che sono messicana.
Alla fine delle tue lezioni di Natale mi dovrai dire il tuo vero cognome, lo farai, vero?”
“Penso di sì, ma adesso iniziamo con la prima lezione: cioccolata calda.”
“Quella non è tipica di Natale!”
“Ma mangiata a Natale ha un gusto diverso.”
“Se lo dici tu.”
Lo spostamento d’aria mi indica che sta annuendo.
“Vorrei portarti nella mia pasticceria preferita, come posso guidarti?”
“Appoggia le mani sulle mie spalle.”
“Va bene.”
Insieme raggiungiamo un locale che dovrebbe trovarsi sulla Quinta Strada a giudicare dal rumore, dentro fa caldo e c’è della musica natalizia. Mike ordina due cioccolate al cocco con panna e marshmellow.
“Ascolta.”
“Lo sto facendo.”
“No, ascolta la musica.”
Lo faccio, i motivetti sono tutti allegri, parlano di essere felici, di slitte e neve, di regali, di stare in famiglia.
“Cocco.”
“Il bianco sa di cocco per te?”
“Esatto. Sono canzoni allegre, invitano alla gioia, al volersi bene, al donare e apprezzare il tempo freddo, lo rendono quasi magico, il che un po’ è vero. Quando cade la neve tutti i rumori si smorzano e si sente una certa pace che raramente si sente durante l’anno.”
“Esatto. Natale festeggia anche questo, la tranquillità, la magia, la pace che si sente quando si è davanti al camino e si gioca a un qualche gioco da tavolo con la propria famiglia.”
“Pomodoro.”
“E anche un po’ di arance, le fiamme, sai. Poi si mangiano i mandarini.”
Arrivano le nostre cioccolate e io mangio prima la panna, poi i marshmellow e infine la cioccolata a cui è mischiato dello sciroppo di cocco.
“È buona, ma non capisco il colore. Il cocco è bianco e il cioccolato è marrone.”
“È marrone.”
“Grazie ed è davvero buona.”
“Di niente.”
“Io ora devo andare a casa, però.”
“Va bene, Talia.
Domani ci vediamo?”
“Sì, allo stesso posto di oggi e alla stessa ora sarò lì. Ci vengo tutti i giorni.”
Ci alziamo dal tavolo, lui paga anche per me nonostante tutte le mie proteste e mi accompagna fino alla metro.
“Buona giornata, Talia.”
“Buona giornata anche a te, uomo del mistero.”
Scendo i gradini della metropolitana sorridendo, oggi è stata una giornata strana, ma piacevole.

 

La sera devo avere ancora addosso un po’ del buon umore mattutino perché mia madre se ne accorge.
“Oggi è successo qualcosa di speciale, Talia?”
Mi chiede con una sfumatura allegra e preoccupata allo stesso tempo nella voce.
“Sì, mentre stavo ascoltando il mare in Times Square ho incontrato un ragazzo, un bel ragazzo, mi ha detto che vuole farmi apprezzare il Natale, ma non credo sia di qui.”
“Cosa vuoi dire?”
“L’accento non era americano, mi sembrava australiano.”
“Beh, qui vivono persone che vengono dai posti più disparati, mi nina.
Sei sicura di voler imparare ad apprezzare il Natale?”
“Non lo so, ma voglio dargli una possibilità.”
“Ti piace questo ragazzo, vero?”
“Sì, mi piace.”
“Sono felice per te, ma stai attenta, ok?”
Mamma è sempre protettiva con me.
“Sì, mamma. Adesso vado a letto, credo sia tardi.”
“Un po’. Buonanotte, tesoro.”
“Buonanotte, mamma.”
Vado in camera mia sorridendo e chiedendomi se domani rivedrò Michael, spero tanto di sì!
La mattina dopo mi reco nello stesso posto, ascolto la voce del vento un po’ distratta, aspetto qualcuno oggi e non vengo delusa. Più o meno alla stessa ora di ieri sento i suoi passi e sorrido.
“Ciao, Michael.”
“Ciao, Talia.
Pronta per la seconda lezione di Natale?”
“Sì.”
“Allora ti porto in un posto.”
Come ieri mi appoggia gentilmente le mani sulle spalle e mi guida in un altro posto qua attorno.
“Dove siamo?”
“È un negozio dove vendono decorazioni di Natale. Forza, entriamo.”
Io annuisco, lui mi porta verso un determinato punto.
“Vedi.”
Io allungo le mani e sento una forma piramidale di plastica verde morbida all’esterno e più dura all’interno.
“Cos’è?”
“Un albero di Natale, la gente lo addobba.”
“Di che colore?”
“Ce ne sono di vari colori: verdi, bianchi, rosa.”
“Figo. Quindi le persone si radunano attorno a questo albero, ma è spoglio.”
“Adesso infatti devi vedere un altro.”
Mi sposta le mani e questa volta sento delle strisce morbide e delle palline – alcune lisce, altre un po’ più ruvide – tonde o a forma di stella.
“Attenta, non toccare qui, ci sono delle lucine.”
“Va bene. E cosa c’è in cima? Non ci arrivo.”
Lui mi alza appoggiando le sue mani sui miei fianchi, sono un po’ piccole, ma morbide e calde, mi piace averle addosso. Ma cosa sto pensando? Lo conosco solo da ieri!
In cima comunque sento una grande stella con una coda.
“Altre persone mettono un puntale, cioè una punta colorata.
Pomodoro o dorata. Come vedi le cose dorate?”
“Uhm… come mele candite.”
“E l’argento?”
“Certi confettini che mangiamo al mio compleanno.”
“Ok.”
“Mi hai portato qui solo per vedere le decorazioni?”
“No, anche per comprarle. Voglio decorare casa mia.”
“Mi stai invitando a casa tua?”
Lo sento esitare.
“Oh, Cristo! Lo so che fa da maniaco, ma sì, volevo farlo. Giusto per farti capire come si fa a decorare e tutto il resto. Adesso mi insulterai, vero?”
“La tentazione è forte, i ragazzi sconosciuti che ti invitano a casa loro di solito hanno secondi fini, lo sa anche una cieca come me.”
“Ti giuro che non ne ho, anzi c’è anche un mio amico a casa con la sua ragazza, quindi…”
“Va bene, ma se ci provi ti faccio male.”
“Ok.
Compra svariate cose e poi usciamo dal negozio, chiama un taxi e gli dice un indirizzo di Manhattan, durante il viaggio non dice una parola, forse è dispiaciuto per la figuraccia che ha fatto prima.
“Michael, scusa se ho reagito male prima.”
“Va tutto bene, sono solo un po’ preoccupato, il mio amico è a posto, ma la sua ragazza è un po’ stronza.”
“Come si chiama?”
“Arzaylea.”
Il nome accende qualcosa nel mio cervello, come se l’avessi già sentito da qualche parte, ma non riesco a ricordare dove. In ogni caso il taxi si ferma e noi scendiamo, Mike apre un portone e poi andiamo verso l’ascensore, sembra una casa lussuosa, è tutto profumato.
“Ma chi diavolo sei in realtà? Il principe Harry?”
“No, sono un comune mortale.”
Ride lui.
Usciamo dall’ascensore e lui apre una porta, mi fa entrare e la richiude alle sue spalle.
“Luke, abbiamo ospiti!”
Sento dei passi, credo arrivino due persone.
“Ciao, Michael. È lei Talia? La ragazza che mi dicevi ieri?”
“Sì, sono io. Ciao, sono Talia Jimenez.”
Gli porgo una mano e lui la stringe.
“Io sono Luke Hemmings.”
Questo accende una dannata lampadina nel mio cervello.
“Tu sei quello dei 5 Seconds of Summer! La mia compagna di banco vi adora!”
Mi volto verso Michael che, a giudicare dagli spostamenti d’aria, sta ancora gesticolando per far capire a Luke di non dire nulla.  
“Perché cazzo mi hai mentito?
Per avere il brivido di scopare con una cieca?
Altro che lezioni di Natale, erano solo un modo per arrivare a portarmi a letto! E pensare che iniziavi anche a piacermi.
Non voglio più vederti!”
Mi volto verso Luke.
“Grazie per avermi detto la verità almeno tu.”
“Talia, non è come pensi, davvero.
Non avevo intenzione di fare sesso con te, volevo solo essere tuo amico.
Ti prego, credimi.”
“Gli amici non mentono.”
“Avevo paura che se ti avessi detto chi fossi avresti iniziato a trattarmi come quello dei 5 Seconds of Summer e non come Mike.”
Il suo tono è disperato, ma non mi interessa.
“Ciao, Michael.”
“Ti accompagno.”
Mi dice Luke, forse per evitare che senta le risate della sua ragazza.
“Va bene.”
Insieme usciamo dall’appartamento e saliamo in ascensore.
“Talia, guarda che davvero Mike non ha secondi fini. Non è il tipo, è la persona più gentile e innocente del mondo. Io lo conosco bene, è il mio miglior amico.”
“Proprio perché sei il suo migliore amico lo difendi.”
“No, Talia. Non sono il tipo, se lui fa qualche stronzata sono il primo a farglielo notare.”
“Come vuoi.”
“Ascolta, se dovessi cambiare idea questo è il nostro indirizzo, lui sarà qui anche a Natale, i suoi genitori lo raggiungeranno dall’Australia.”
Mi dice l’indirizzo, io annuisco.
Lui chiama un taxi e gli dà l’indirizzo di Times Square, io salgo dopo aver salutato Luke con un cenno. Avevo così tante aspettative e sono tutte andate in frantumi, in fondo perché qualcuno di così famoso dovrebbe interessarsi di una cieca, che è anche povera?
Sono stata una stupida, ma non mi farò abbattere da questo, non voglio che i miei si preoccupino per nulla.
Arrivo alla piazza e prendo la metro, torno a casa mia con il sorriso sulle labbra.
Alla sera mia madre mi chiede come sia andata, io mento dicendo che il ragazzo non si è presentato.
“Ti sei arrabbiata?”
“No, mamma. Stai tranquilla, adesso vado a letto che sono stanca.”
In realtà non ho molto sonno e mi addormento solo alle tre di mattina, mi tormenta come mi sia affezionata alla svelta a quel ragazzo, non avevo mai sentito un’attrazione così forte verso qualcuno prima d’ora, forse  perché non mi ha trattata come una cieca o forse per altri motivi.
Non ci voglio pensare.
La mattina dopo mia madre mi sveglia a un’ora assurda agitata come non mai.
“Mamma, cosa è successo?
È morto qualcuno? Papà sta male?
È scesa così tanta neve che non puoi andare a lavorare?”
“No, tesoro. È una cosa bella.”
La sento sedersi accanto a me e prendermi una mano tra le sue.
“Stanotte qualcuno ha fatto due donazioni piuttosto ingenti alla nostra raccolta fondi, abbiamo i soldi per andare a Londra per farti operare. Papà sta parlando con l’ospedale per organizzare il tutto.”
Mi gira la testa per un attimo e ricado sul letto.
“Tornerò a vedere?”
“Sì, probabilmente dovrai portare gli occhiali o le lenti, ma tornerai a vedere.”
La gioia nella sua voce mi commuove, lei aveva perso le speranze e le ha ritrovate grazie a questi misteriosi donatori. Mi alzo a passi malfermi e mi accendo una sigaretta, mamma è talmente felice che non protesta nemmeno, io sono in preda a un miscuglio di sentimenti: sono felice anche, ma ho anche paura che l’operazione non riesca. È difficile tornare alla normalità dopo che hai assaggiato il frutto delle speranza.
I giorni seguenti sono un caos di preparativi e di visite, mi sento come trascinata in un vortice che non so dove mi porterà. Il quinto giorno partiamo dal LaGuardia e atterriamo a Londra, per poi andare subito in ospedale. Tre giorni dopo mi operano, quando mi sveglio ho delle bende attorno al volto, mi è stato detto che dovrò tenerle per due settimane.
Due settimane sono un tempo lungo in cui si pensa a tante cose e il mio pensiero corre troppo spesso a Michael, ai tratti del suo volto appena resi più maturi da un filo di barba, ai suoi capelli un po’ rovinati, all’anice misto a menta dei suoi occhi.
Mi manca da morire, anche se abbiamo passato insieme solo alcune ore, poi penso alle sue bugie e al suo tono disperato quando è stato scoperto. Forse non voleva davvero ferirmi, forse voleva davvero solo qualcuno che stesse con lui conoscendolo come Michael e non componente di una band famosa.
Ho pensato solo a me stessa e non a lui, lui con me è stato gentile, mi ha trattato da persona normale e non da inferma. È questa, credo, la cosa che ho apprezzato di più.
Odio chi mi tratta come se fossi una bambolina di carta solo perché non ci vedo, sono capace di badare a me stessa, lo sono sempre stata. Impari presto quando non vedi perché te stessa è l’unico aiuto che avrai sempre.
Forse dovrei scusarmi quando torno, Luke ha detto che a New York fino a Natale ed è probabile che per Natale sia tornata a casa. In reparto c’è un’atmosfera allegra a causa del Natale, un giorno chiedo perché a un’infermiera, la sento sorridere.
“Perché la gioia è il significato ultimo del Natale insieme al donare qualcosa a qualcuno senza aspettarsi nulla in cambio, solo per far felice una persona.”
“Oh.”
Rispondo esterrefatta.
Adesso ho capito da chi sono arrivate le donazioni – un problema su cui mi sono arrovellata molto – sono arrivate da Luke e Mike. Mike sapeva della raccolta fondi e deve averlo detto a Luke e nessuno lo ha fatto per secondi fini perché probabilmente avevano capito tutti e due che non mi sarei più fatta viva.
Allora è vero che lui mi vuole bene e chissà se ha pensato a me la metà di quello che io ho pensato io a lui?
Non lo so, ma vorrei tanto chiederglielo guardandolo negli occhi.
Finalmente, tre settimane dopo l’intervento, mi tolgono le bende con cautela, all’inizio non vedo molto, ma poi un medico mi punta una microlampada negli occhi e inizio a vedere.
“Oddio!”
Squittisco io.
“Talia, vedi?”
Mi chiede gentile il dottore.
“Io… Sì, un po’sfuocato, ma vedo.”
Lui si sposta e per la prima volta vedo i miei genitori: mia madre è una donna minuta e pallida come me, con lunghi capelli neri raccolti in una coda e un tatuaggio sul polso, mio padre invece è alto e muscoloso, con la pelle ambrata, gli occhi e i capelli scuri un po’lunghi, pieno di tatuaggi.
“Mamma, papà!”
Esclamo con voce spezzata.
“Io vi vedo!”
“Oh, Talia!”
Mia madre è la prima a riprendersi e corre ad abbracciarmi, mio padre la segue subito dopo, mi accarezzano commossi. Alla fine scoppiamo a piangere tutti e tre dalla felicità, li vedo, li vedo!”
Rimaniamo un’altra settimana in ospedale, anche perché devono fabbricare le lenti a contatto che dovrò portare tutta la vita, per sicurezza preparano anche un paio di occhiali.
Il 23 dicembre usciamo dall’ospedale e vedo un cielo sereno con le nuvoli che corrono veloci, vedo le piante scosse dal vento e le macchie di neve. Mi sembra tutto nuovo e meraviglioso, vorrei toccare ed abbracciare tutto.
Sull’aereo, vedendo il paesaggio e poi tra le nuvole scoppio a piangere come una bambina.
“Mamma, è tutto bellissimo. La natura è bellissima, Dio esiste o non ci sarebbe tanta bellezza e tanta vita in questo mondo.”
“Inizio a credere anche io che esista perché finalmente puoi vedere tutto e quanto sei bella anche tu.”
Io le sorrido.
Dopo aver visto i miei genitori mi sono vista anche io allo specchio: una ragazza minuta, pallida, dai capelli neri con sfumature castane, tagliati a caschetto e con una frangia che mi arriva appena sopra le sopracciglia, due grandi occhi castano chiaro quasi dorato, delle labbra rosee e con una bella forma e un piercing argentato e dalle linee orientaleggianti al septum.
Bella.
Finalmente arriviamo a New York e scoppio di nuovo a piangere davanti alla bellezza della mia città, anche il nostro misero appartamento mi sembra un reggia.
Vado a letto con il sorriso sulle labbra, ma la mattina dopo mi sveglio inquieta e mia madre se ne accorge.
“Cosa c’è, tesoro?”
“Mamma, ti ho mentito su alcune cose.”
Lei alza un sopracciglio.
“Quel ragazzo che voleva insegnarmi cosa fosse il Natale è venuto all’appuntamento, siamo andati in un negozio a comprare l’albero e le decorazioni, poi siamo andati a casa sua.”
Lei fa per dire qualcosa, ma  le faccio cenno di tacere.
“Non sono andata a letto con lui se è questo che ti preoccupa e lui non ci ha nemmeno provato. Quando siamo arrivati a casa sua mi ha presentato un suo amico e ho capito che avevo incontrato il membro di una band famosa. Mi sono arrabbiata, l’ho accusato di volermi portare a letto perché sono cieca, di voler provare come fosse, lui mi ha detto che voleva solo qualcuno che lo trattasse da persona normale.
Io non gli ho creduto, anche se il suo amico me lo ha confermato.
Penso si aver avuto un colpo di fulmine, mamma, perché in ospedale non facevo altro che pensare a lui e credo di aver capito chi mi ha permesso di tornare a vedere.”
“Chi, tesoro?”
“Luke e Mike, mamma. Avevo detto a Mike della raccolta fondi e loro devono aver donato.”
Rimango un attimo in silenzio.
“Un’infermiera mi ha detto che il senso ultimo del Natale è portare gioia, a volte anche regalando qualcosa a qualcuno senza aspettarsi nulla in cambio, come ha fatto lui.
Solo che io lo voglio ringraziare, rivedere, diventare sua amica…”
Mia madre mi mette un dito sulle labbra.
“Ho capito. La mia piccola è innamorata e mi sembra anche di un bravo ragazzo, sarà anche una rockstar, ma io sarò per sempre grata a lui per il regalo che ti ha fatto. È come se ti avesse ridato la vita.
Io credo che dovresti andare da lui, ma prima fai colazione e mettiti carina, anche se non ne hai bisogno.”
“E se non mi volesse?”
“Non dirlo nemmeno, Talia.”
Mi alzo dal letto, mi faccio una doccia, bevo il mio solito caffè con biscotti e mi metto una gonna nera di pizzo, una maglia grigia a fantasia di rose e teschi che mi lascia scoperta la spalla sinistra, la mia giacca di pelle e gli anfibi.
“Mamma, io vado.”
Esco dall’appartamento, vado a Times Square, lì fermo un taxi e mi faccio portare all’indirizzo che mi ha dato Luke. Pago il taxista ed entro, il portone è aperto.
Salgo le scale, cercando di ricordare quanti piano avesse fatto l’ascensore, ma alla fine trovo quello con scritto “Clifford” su una minuscola targhetta e suono il campanello.
La porta si apre, lui si sta pulendo le mani in uno straccio.
“Sì, mamma. Ho messo il brasato sul fuoco, stai tranquilla.”
“Mike, non sono tua madre.”
Lui alza gli occhi sorpreso e nota subito che non ho il bastone.
“Talia, tu…”
“Sì!”
“Sono tanto felice per te!”
 Mi abbraccia e io mi accorgo che mi sono mancate queste braccia e il suo profumo, che inspiro a pieni polmoni. Mi stacco un po’ riluttante.
“Mike, io…”
Vorrei dirgli tante cose, ma non ce la faccio, così appoggio delicatamente le mie mani sulle sue guance e lo bacio con passione. Perdiamo tutti e tue la cognizione del tempo e quando ci stacchiamo siamo entrambi rossi e ansimanti.
“Mike, grazie di tutto e scusa per come ti ho trattato, non te lo meritavi.
Io… io ti ho pensato tanto in ospedale, alle tue mani, al tuo profumo, ai tuoi occhi, a tutto…”
“Ci verresti a un appuntamento con me?”
Finiamo insieme e poi scoppiamo a ridere insieme.
“Sì, ci vengo.”
Mi dice lui.
“Grazie per avermi fatto rinascere.”
“Di niente, tu mi piaci davvero tanto.
Ci credi ai colpi di fulmine?”
“No, fino a che non ho incontrato te.”
“Per me è lo stesso.”
Ci baciamo ancora.
“Buon Natale, Talia.”
“Buon Natale, Michael.”
Ci baciamo ancora e mi sembra davvero di aver capito il senso di Natale, di sicuro l’anno prossimo lo festeggerò, con o senza Mike.
Ogni rinascita va festeggiata e io oggi sono rinata.

 

Angolo di Layla.

Buone feste a tutti :)

Questa è Talia.

Image and video hosting by TinyPic
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer / Vai alla pagina dell'autore: Layla