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Autore: caleel    22/12/2016    3 recensioni
'Memorarum' racconta la storia di Nathan Zeller, un mago che ha perso la memoria e ritrova il suo vecchio diario dove, a partire dal suo primo anno a Hogwarts, sono raccolte tutte le sue esperienze e memorie. Nathan dovrà dunque leggere il suo diario per scoprire chi era, come ha perso la memoria, e soprattutto perché.
Gli anni a Hogwarts di Nathan sono in parallelo a quelli di Harry nei libri, quindi lui si ritroverà spesso a contatto con personaggi e situazioni già familiari nel libro, mentre queste si svolgono nel corso dell'anno, ma i personaggi principali saranno autentici e originali e avranno una loro storia completamente distaccata da quella dei libri, ma che semplicemente ha Hogwarts come sottofondo.
Questa storia nasce come webserie sul mio canale YouTube, e vi invito caldamente a seguirla direttamente lì, dato che i capitoli nuovi usciranno prima lì, e poi qui.
https://www.youtube.com/watch?v=wxY3gq_OTmk
Genere: Avventura, Mistero, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4, Più contesti
Capitoli:
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1

Nathan si spogliò.
Si tolse di dosso la maglia, fece scivolare via i pantaloni e le mutande, e tirando la tenda della doccia entrò nella piccola vasca da bagno.
Lo scroscio dell'acqua bollente sul suo corpo fu una piacevole sorpresa, come un vizio da lungo dimenticato.
Rimase per un po' di tempo così, a lasciare che l'acqua gli scivolasse di dosso in piccoli rivoli veloci.
Infine chiuse il rubinetto, e decise di uscire.
Si fermò per qualche istante a contemplarsi nello specchio sopra il lavandino.
Il suo riflesso gli restituiva uno sguardo cupo e dubbioso, e quasi non si riconosceva, con i capelli bagnati che gli ricadevano un po' ovunque sul volto, e gli occhi stropicciati per l'assenza degli occhiali.
Allungò un braccio per aprire l'armadietto a lato, quando qualcosa nello specchio gli catturò l'attenzione.
Per un attimo, gli era parso di vedere quella che sembrava una piccola ombra nera muoversi velocissima nel riflesso.
Si guardò intorno confuso, e stiracchiandosi di nuovo notò finalmente che quell'ombra era in realtà sulla sua schiena.
Non era un'ombra, bensì una sottospecie di simbolo, inciso sulla sua spalla sinistra.
Una mezzaluna, attraversata da tre tagli obliqui paralleli.
Rimase per un attimo a fissarlo, come cercando di ricorda dove l'avesse già visto.
Poi comprese.
Si vestì in fretta e furia e uscì dal bagno, ritornado alla scrivania, dove aveva lasciato la misteriosa lettera del Lupo di Mezzanotte.
E come aveva temuto, il marchio sulla sua schiena era lo stesso che compariva sulla lettera.
'E' questo dannato simbolo che continua a tornare' disse tra sè e sè.
'E se...' si fermò un attimo a riflterre. 'No, non può essere, non avrebbe senso' esclamò voltandosi.
Fissò per un attimo il vuoto, per poi pronunciare ad alta voce il dubbio che più di ogni altro lo tormentava: 'E se fossi io il Lupo di Mezzanotte?'

                                                                                                                                        -

Il mio primo giorno a Hogwarts, cominciò più in fretta di quanto mi aspettassi.
Mi svegliai nel morbido letto, avvolto dalle coperte, mentre i primi raggi del sole illuminavano il dormitorio circolare.
Mi alzai a sedere sbadigliando, e guardandomi intorno notai che tutti erano ancora immersi in un sonno profondo.
Il mio occhio corse all’orologio a pendolo appeso al muro: un tasso intagliato nel legno che teneva stretto tra le braccia un quadrante con le lancette, mentre la coda oscillava scandendo i secondi.
Erano da poco passate le 6, e da quanto ne sapevo io, la Sala Grande non sarebbe stata aperta per la colazione prima delle 7. Mi rigirai nel letto e provai ad addormentarmi, ma non servì a niente, quindi decisi semplicemente di alzarmi. Indossai la divisa, infilai la bacchetta in tasca, e uscii dal dormitorio il più silenziosamente possibile, richiudendomi la porta alle spalle.
Ovviamente, il corridoio era deserto, immerso nella penombra, ma una gran luce proveniva già dalla sala comune.
Fuori il sole era già sorto, e la Tana di Tassorosso splendeva già in quelle prime ore del mattino.
Osservando i rampicanti che si svegliavano sulle pareti, mi lasciai cadere su uno dei divani, e andai a urtare contro qualcosa.
-Hey, ma cosa diavolo...-, mugugnò una voce indignata.
-Ohh, scusa!-, esclamai rotolando giù per terra. -Non mi aspettavo che ci fosse già qualcuno sveglio a quest’ora-.
Alzai lo sguardo, e notai solo ora che una ragazza del primo anno era distesa sui cuscini. Aveva dei corti capelli ricciolini, di un rosso intenso, e numerose piccole lentigini tutto attorno al naso, il quale era piccolo e rotondo.
-Oh, figurati-, disse lei tranquilla, come se niente fosse successo, e mi tese una mano per alzarmi.
Presi posto anche io sul divano, rosso in faccia per la figuraccia che avevo appena fatto.
Ma la ragazza non sembrò badarci, e mi tese nuovamente la mano.
-Comunque io sono Gwen Wright, primo anno-.
-Nathan Zeller, anche io primo anno-, risposi stringendole la mano. Per una qualche strana ragione, il suo cognome mi suonava familiare, ma non riuscivo a capire il perché. Possibile che i suoi genitori fossero amici dei miei?
-Ah si, in effetti mi sembrava di averti visto sulle barche l’altra sera-, commentò lei.
Io annuii e non seppi più cosa aggiungere, e quindi scese il silenzio tra di noi.
-Beh, come mai sei già sveglio a quest’ora?-, chiese infine Gwen.
-Oh, beh, non riuscivo a dormire, non avevo molto sonno-, balbettai io. -Immagino nemmeno tu, a questo punto-.
-Oh no, semplicemente sono abituata a svegliarmi presto. A casa mi alzavo spesso alle prime ore del mattino per andare a vedere l’alba. Abito al limitare della foresta di Dean, ed è uno spettacolo bellissimo vedere i raggi del sole che passano attraverso gli alberi. Solo che, beh, qua non è che possa semplicemente prendere e uscire alle 5 del mattino, quindi si, eccomi qui-, disse stringendosi nelle spalle.
Dunque non poteva trattarsi di una famiglia che viveva nei nostri paragi, non avevo mai sentito parlare di nessuna foresta di Dean attorno a Timworth.
-Cosa fanno i tuoi genitori?-, chiesi io, per fare conversazione.
-Allora, mia madre è una babbana e gestisce una farmacia, che è tipo una bottega che vende medicinali per le persone ammalate, mentre mio padre invece si occupa di raccogliere i materiali per i nuclei delle bacchette-, spiegò lei tutta contenta.
-Wow!-, esclamai io stupito. -Quindi in pratica va a caccia di Unicorni e cose del genere?-
-No no, gli Unicorni li alleviamo nella nostra fattoria, ne abbiamo ben 7 adulti, più un puledro che è nato giusto il mese scorso. Dovresti vederlo, ha il pelo color oro e non ha ancora il corno, è qualcosa di bellissimo. Le Fenici invece, quelle sono belle rare. Mio padre a volte passa anche settimane intere lontano da casa, in cerca di un nido da cui prendere le piume, però sono piuttosto ricercate e Ollivander le paga una fortuna!-.
-Oh, la mia bacchetta contiene una piuma di fenice ed è stata fatta da Olivander!-, esclamai io all’improvviso, tirandola fuori dalla tasca dei pantaloni.-Magari è stata tuo padre a trovarla!-, dissi io con un sorriso.
-Potrebbe essere!-, rispose lei, tirando fuori la sua. - Acero, crine di unicorno, 12 pollici, rigida, e so per certo che il crine appartiene ad uno dei nostri unicorni perché me l’ha detto Olivander stesso!-.
-Fantastico, è come se foste nate e cresciute insieme-, dissi io con una risata.
-I tuoi genitori invece?-, mi chiese Gwen.
-Dunque, mia madre è una giornalista e scrive per la Gazzeta del Profeta, mentre mio padre, beh, non so esattamente cosa faccia-, risposi io con una smorfia.
Gwen agrottò la fronte, confusa.
-Nel senso, lavora per il Ministero della Magia, ma non so esattamente cosa faccia. So solo che lavora per un dipartimento chiamato ‘Ufficio Misteri’, e come puoi capire anche dal nome è una cosa molto segreta, non gli è permesso parlarne nemmeno con noi-, spiegai io.
Gwen sembrò molto colpita da questa rivelazione. Si avvicinò a me, e mi parlo a bassa voce, come se avesse paura di essere scoperta da un momento all’altro.
-Quindi tuo padre semplicemente sparisce la mattina e torna la sera come se niente fosse?-, chiese curiosa.
-Beh, all’incirca sì, se non fosse che spesso non torna proprio. Ed è una cosa che manda in paranoia mia madre, perché non può nemmeno chiedere al Ministero se sanno che fine abbia fatto. Semplicemente deve stare ferma ed aspettare, sperando che non gli sia successo nulla di grave-, risposi io con tono grave.
-E, beh, gli è mai successo qualcosa di grave?-, chiese quasi in un sussurro.
-Spesso torna a casa con qualche graffio, qualche strappo sui vestiti, ma nulla di che. Ma ogni tanto, ci capita di ricevere un gufo che ci informa di come sia stato trasportato al San Mungo d’urgenza per via di qualche ‘incidente’ che gli è capitato. Una volta non ci hanno nemmeno fatti entrare, dicendo che fosse per ragioni di sicurezza. Abbiamo dovuto aspettare per ore prima che ci fosse dato il permesso di entrare, e una volta dentro lo abbiamo trovato in perfette condizioni, come se niente fosse successo-.
-Per la Barba di Merlino, deve essere qualcosa di terribilmente stressante-, commentò Gwen a bassa voce.
-Beh, ogni tanto lo è, soprattutto per mia madre. Però mio padre non sembra avere problemi, anche se non ne parla mia, sembra che il suo lavoro gli piaccia parecchio. Lo vediamo quasi sempre di buonumore, quindi negli anni io e mio fratello abbiamo imparato a non preoccuparci più di tanto-, spiegai io stringendomi nelle spalle.
-Hai un fratello quindi-, disse lei.
-Si, Tom, è al quinto anno-, risposi io alzando gli occhi al cielo.
-Anche io ho una sorella maggiore, Tiffany, frequenta il sesto anno, ed è probabilmente la persona più odiosa che esista sulla faccia della terra-, sbuffo Gwen. -Indovina di che casa fa parte!-.
-Ehm, Serpeverde per caso?-, chiesi io ridendo.
-Oh wow, come hai fatto ad indovinare? Farai faville a divinazione!-, disse sarcastica.
-Beh, credo che l’unico motivo per cui mio fratello non sia finito in Serpeverde sia perché ha una testa più grande del suo ego, quindi diciamo che ti capisco-, aggiunsi io compassionevole, e lei scoppiò a ridere.
Continuammo a chiacchierare dei nostri fratelli per un bel po’, finché i primi Tassorosso non cominciarono a svegliarsi e la sala comune cominciò piano piano ad animarsi.
Dopo un po’ Gwen mi salutò e andò a cambiarsi, dato che era ancora in pigiama. Finalmente anche Sam apparve nella sala comune, ed insieme ci incamminammo a fare colazione.
Prendemmo posto al tavolo dei Tassorosso, e dopo un po’ anche Gwen entrò nella sala grande. Le feci un cenno con la mano, invitandola a sedersi vicino a me, e le presentai anche Sam.
Notai che la professoressa Sprite stava girando per i tavoli, e dopo un po’ arrivò anche da noi e ci consegnò i nostri orari.
Non feci nemmeno in tempo a guardare il mio, che sentii una pacca familiare sulla schiena.
-Grandioso, abbiamo lezione di Difesa contro le Arti Oscure insieme!-, disse John alle mie spalle.
Io diedi una rapida occhiata al foglio che avevo tra le mani e notai che effetivamente la prima lezione della giornata era insieme ai Corvonero.
-Hey, ma voi avete ancora del bacon, da me l’hanno finito tutto!- esclamò facendosi spazio di prepotenza e sedendosi tra me e Gwen.
Prese un piatto e ci rovesciò sopra un quintale di bacon, tra gli sguardi stupiti di Sam e Gwen.
-John, ti ricordi Sam...-, dissi indicandolo, e John fece un cenno distratto con la mano mentre era occuppato a riempirsi di carne.
-Mentre questa è Gwen Wright-, e indicai la ragazza accanto a lui.
John si volto di scatto verso di lei e si immobilizzò con la forchetta a mezz’aria.
-Per tutti i calderoni! Wright? Ma, Wright come...-
-Oh no, eccone un’altro-, mugugnò Gwen alzando gli occhi al cielo.
-Wright, come Bowman Wright, il leggendario fabbro inventore del boccino d’oro?!-, chiese John con occhi sognanti.
-Ecco perché il tuo cognome mi sembrava così familiare!-, esclamai a mia volta.
-Oh per la miseria, altri fanatici del Quidditch-, si lamentò Gwen portandosi una mano alla fronte.
-Ma tipo, avete il boccino originale a casa?-, chiese John avvicinandosi a Gwen.
-Cosa, no! Non so perché la gente si aspetta sempre che casa mia sia il museo internazionale del Quidditch, è solo capitato che quel, tizio, sia un mio lontano parente.-Roteò gli occhi al cielo. -Non è che la mia famiglia giri per casa vestita come dei palloni dorati, o roba del genere-.
John la fissò per un momento.
-Ma quindi avete tramando per generazioni la nobile arte dell’artigianato dei boccini?-
-Argh!-, esclamò Gwen alzandosi di colpo, e andandosi a sedere vicino ad un gruppo di ragazze più in giù sul tavolo.
-Heh, è simpatica!-, ridacchiò John tornando al suo bacon.
-Dovevi esagerare come sempre, non è vero?-, chiesi io sbuffando.
-Cosa? Non ho detto niente di male!-, si giustificò John senza alzare lo sguardo dal piatto.
-Ehm, scusate...-, disse Sam all’improvviso, che per tutta la durata della scena non aveva aperto bocca. -Ma, cosa sarebbe esattamente questo, Quidditch?-
A John andò di traverso il bacon.
Quando finalmente riuscì a smettere di tossire e sputacchiare, guardo Sam e gli disse: -Ragazzo mio, qua abbiamo del serio lavoro da fare-.
Mezz’ora dopo, tutti e tre stavamo salendo i gradini che portavano al terzo piano, insieme ad un gruppetto misto di Tassi e Corvi del primo anno che chiacchieravano eccitati in vista della prima lezione dell’anno.
L’aula di Difesa contro le Arti Oscure era lunga e sottile, illuminata da una serie di grandi finestre ad arco che si aprivano nel muro di sinistra. Dall’alto soffitto pendeva un pesante candelabro in ferro, e curiosamente, anche lo scheletro di quello che intui essere un drago, date le larghe e scheletriche ali che si aprivano ad abbracciare la volta.
Anche a ridosso dei muri erano addossati gli scheletri di strane creature, non che quadri raffiguranti gli animali magici più disparati, e maghi intenti a combatterli con complicati incantesimi.
La prima cosa che però notai appena entrai nella stanza fu il fortissimo odore d’aglio che semprava pervadere ogni anfratto dell’aula. Non fui l’unico a notarlo, dato che l’entrata di ogni studente era accompagnata da uno sbuffo o un’imprecazione.
Feci sedere Sam di fianco a me, per non lasciarlo da solo, e John si sedette subito dietro di me, in un banco che era rimasto vuoto.
Il professore stranamente non era ancora arrivato, e quindi erano tutti intenti a parlare tra di loro, chi sfogliando il libro di testo, chi cercando di far uscire delle scintille dalla bacchetta.
All’improvviso la porta dell’aula si aprì con un tonfo, e tutti ci voltammo all’unisono aspettandoci di vedere l’insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, ma invece era solo Gwen, la ragazza di prima.
-Che fine avevi fatto?-, le chiesi mentre prendeva posto dietro di noi.
-Mi sono persa-, disse lei con il fiatone, mentre tirava fuori i libri dalla borsa. -O per meglio dire, mi hanno fatto perdere. Ho chiesto ad un fantasma dove fosse l’aula 3C, e mi ha mostrato una porta dicendo che mi avrebbe fatto arrivare subito al corridoio giusto, ma dopo averla attraversata mi sono ritrovata al piano sbagliato-.
-Ah, probabilmente ti sei imbattuta in Pix. Meglio stare alla larga da quello-, disse John alla sua sinistra.
Gwen si voltò di scatto, notando solo allora vicino a chi si era seduta.
-Ahh, l’idiota del Quidditch-, disse con un misto di noia e disgusto, facendo un cenno con la mano.
-Wow, neanche un’ora e sono già famoso! Dammi una settimana e il preside mi inviterà a prendere il tè nel suo ufficio!-, esclamò John dandomi una pacca sulla schiena, e io scoppiai a ridere.
Gwen sbuffò e fece per raccogliere la sua roba, quando John le fece notare che quello era l’unico posto libero rimasto.
I due stavano ancora discutendo, quando all’improvviso sentii una porta aprirsi di nuovo.
Feci per girarmi verso il fondo dell’aula, ma Sam mi diede un colpo con la mano indicandomi la cattedra. Notai solo adesso che di fianco alla lavagna c’era una piccola scala che saliva verso una balconata, e una porta che si apriva su quello che doveva essere l’ufficio dell’insegnante di Difesa contro le Arti Oscure.
Un uomo alto e magro dal volto giovane era in piedi davanti alla porta, e guardava sorridente gli studenti. Indossava una lunga veste marroncina, e un enorme turbante viola che gli circondava tutta la testa, ricandendogli sul petto come in una lunga treccia.
-B-b-benvenuti a t-tutti, nella p-prima lezione di D-Difesa contro le Arti O-Oscure!-, disse infine l’uomo, e Sam soffocò una risata, ma non fu l’unico.
-Io, s-sono il p-p-rofessor Raptor, e nel c-corso dell’a-anno vi insegnerò a d-difendervi dalle f-forme più o-o-oscure di m-magia, nonchè dalle c-creature magiche più p-p-pericolose-, fece il giro della lavagna, e prese posto alla cattedra, aprendo il suo libro.
-D-direi di c-cominciare da qualcosa di s-semplice, o-ovvero gli G-G-Gnomi. Prendere p-p-er favore il v-vostro manuale a p-pagina 6-.
Non lo negherò, la mia prima lezione a Hogwarts fu un vero e proprio disastro. La lezione del professor Raptor si rivelò essere un po’ una farsa.
Era particolarmente difficile capire quello che diceva, dato il continuo balbettio, e spesso neanche lui semprava molto convinto di quello che stesse dicendo, dato che tremava e sobbalzava ogni due parole.
Quando una ragazza di Corvonero fece una domanda senza alzare la mano, quasi rovesciò la boccetta d’inchiostro che aveva sulla cattedra dallo spavento.
Dopo una decina di minuti quasi nessuno lo stava più ascoltando, e si stavano tutti limitando a leggere direttamente dal libro, dato che era molto più comprensibile.
L’unico momento interessante fu quando John, non riuscendo più a trattenere la curiosità, gli chiese dove avesse preso il turbante, dato che una sua zia sarebbe stata entusiasta di riceverne uno in regalo.
Raptor sembrò non notare le risate della classe, perché spiegò con una nota di orgoglio di averlo ricevuto in dono da un principe africano come ringraziamento per averlo liberato da una potente mummia.
-Se quello ha sconfitto una mummia, allora mia nonna ha vinto la maratona di Hogsmeade-, si lamentò John mentre scendevamo nella sala grande per il pranzo.
-Intendi quella che si è rotta un’anca combattendo contro un troll l’anno scorso?-, chiesi io casualmente, mentre Sam strabuzzava gli occhi.
-Si, nonna Mariene è una tosta-, si fermò all’improvviso. -In effetti,  pensandoci bene, ho usato un paragone sbagliato. Nonna Mariene potrebbe vincerla benissimo quella maratona, ma avete capito.
-E pensare che mia nonna si vanta di essere una campionessa a Bingo...-, bisbigliò Sam sottovoce, ma nessuno sembrò sentirlo.
-Piuttosto, dimmi, come è essere nei Corvonero? Vi hanno già dato quattro libri da leggere, ieri sera?-, chiesi io scherzando.
-No beh, è gente a posto, direi. Beh, la maggior parte almeno. Molti se ne stavano effetivamente isolati in un angolo a leggere, bah...-, John scosse la testa come per allontanare un brutto ricordo. -Tuo fratello è stato piuttosto annoiato mentre ci mostrava la sala comune e le nostre stanze, devo dire-.
-Ah, quindi, è semplicemente stato se stesso-, dissi io sbuffando.
-Esattamente. Mi stupisco che abbia degli amici. Ma a quanto pare loro sono piuttosto contenti di lui, quasi lo venerano-.
Lanciai una strana occhiata a John, aggrottando le sopraciglia. -Che intendi dire?-.
-Non so, erano tutti li attorno ad un tavolo che pendevano dalle labbra di Tom, mentre lui spiegava chissà quale cosa inutile sui, che ne so, calderoni o che cavolo-, spiegò lui.
-Cosa diavolo stai dicendo?-, gli chiesi io confuso.
-Ma non lo so, era un po’ difficile capire di cosa stessero parlando, sono molto riservati. Se provi ad avvicinarti ci manca solo che ti lancino una fattura addosso.
Sai, non sono tutti amichevoli come voi di Tassorosso-, aggiunse con fare casuale, mentre entravamo nella sala grande.
Ci salutammo e lui andò a Erbologia, mentre io e Sam ci dirigemmo verso la classe di Incantesimi.
Il professor Vitious era un ometto incredibilmente basso che doveva stare in equlibrio sopra una pila di libri per riuscire a vedere la classe, ma era molto simpatico ed allegro.
La sua lezione fu molto più interessante della precedente. Vitious probabilmente sapeva che quello che più aspettavamo era imparare un incantesimo, quindi senza perdere troppo tempo cominciò a spiegarci i movimenti e le parole necessarie a far levitare un oggetto.
Consegnò poi ad ognuno di noi una grande piuma e ci invitò a provare.
In un attimo, la classe si riempì di una miriade di voci che gridavano ‘wingardium leviosa’. Vitious si muoveva rapido tra i banchi, aggiustando la postura della mano, o correggendo la pronuncia.
I miei primi tentativi non ebbero molto successo, all’inizio la piuma non si mosse di mezzo centimentro, ma dopo un po’ questa cominciò a sobbalzare lievemente.
Sorprendemente, Sam fu uno dei primi a riuscirci, dopo pochi minuti la sua piuma volteggiava per aria seguendo le indicazioni della sua bacchetta, mentre lui stupito la faceva danzare per aria.
Mi fece notare che l’inclinazione del polso era sbagliata, e al tentativo seguente anche la mia piuma saettò per aria.
Entro la fine della lezione, tutti quanti avevamo appreso l’incantesimo.
Il professor Vitious ci congedò dicendoci di esercitarci su oggetti un po’ più pesanti, chiedendoci però di non provare ad alzarci a vicenda, e a questa frase ci fu un malcontento generale.
Mentre pranzavo, continuai  a pensare a quello che John aveva detto a proposito di Tom.
Non so perché, ma dal modo in cui l’aveva raccontato, la cosa mi sembrava sospetta. Ma dopo un po’ accantonai l’idea e la lasciai perdere, conoscevo bene mio fratello, e il fatto che snobbasse gli altri non era poi una così grande novità. Lo aveva fatto con me per così tanti anni, figuriamoci se non l’avrebbe fatto anche con i suoi nuovi compagni.
Dopo pranzo ci fu la prima lezione di Trasfigurazione insieme ai Grifondoro, e fu completamente diversa da quella di Raptor.
La professoressa McGranit era serissima, richiedeva un attenzione e un silenzio costante, che nessuno osava interrompere.
Severissima, fece un discorso non appena ci fummo seduti di fronte a lei.
-La Trasfigurazione è una delle forme più complesse  e pericolose di magia che imparerete ad Hogwarts. Chiunque provi a fare a qualche idiozia sarà allontanato dalla classe e non ci metterà più piede, siete stati avvertiti-.
Detto ciò diede una dimostrazione pratica, trasformando la lavagna in un orso e viceversa, tra le esclamazioni di stupore generali.
L’inizio era stato decisamente migliore della lezione con Raptor, e non vedevo l’ora di cominciare, ma scoprii presto che ci sarebbe voluto parecchio tempo perché io potessi trasformare i gli oggetti in animali.
La McGrannit cominciò a spiegare una serie complicata di istruzioni, mentre tutti nella classe cercavano di stare al passo prendendo appunti abbondanti.
Poi diede un colpo di bacchetta, e sul banco di ogni studente apparve un fiammifero che avremo dovuto trasformare in un ago.
Pensavo che se la McGranit era in grado di trasformare una lavagna enorme in un orso, la trasfigurazione di un fiammifero sarebbe stata cosa da niente . Ma la faccenda si rivelò molto più difficile del previsto.
Continuavo a rileggere i miei appunti e a colpire il fiammifero con la bacchetta recitando la formula, però questi continuava ad assotigliarsi o a cambiare colore, diventando argenteo, ma mai tutte e due le cose insieme.
Sam di fianco a me non stava avendo molta più fortuna. Continuava ad avere l’istinto di impugnare la bacchetta a due mani, assumendo un’espressione molto buffa. Era riuscito a far appuntire il suo fiammifero, ma questi continuava a restare di legno.
Un ragazzo di Grifondoro doveva aver sbagliato completamente formula, perché in qualche modo era riuscito a ingigantire la testa del fiammifero e a farla scoppiare in una fiammata che rischiò di incendiare il banco in legno, ma che fu prontamente salvato da un getto d’acqua uscito dalla bacchetta della McGranitt.
Alla fine della lezione, soltanto una persona ci era riuscita, una ragazza di Grifondoro dai folti capelli bruni e dai denti davanti piuttosto grandi.
La McGranitt mostrò il suo ago argentato alla classe, e addirittura le fece un breve sorriso.
Ci disse infine di tenere il fiammifero e di esercitarci per conto nostro, e che ci avrebbe messo alla prova nella lezione successiva.
Dopo lo stress e l’impegno dell’ora di Trasfigurazione, l’ora di Erbologia fu quasi una benedizione.
La professoressa Sprite era una donna paffuta e allegra, ma molto decisa e dal carattere forte. Era piuttosto gentile, ma non potei fare a meno di notare che si dimostrava molto più disponibile con noi Tassorosso che con i ragazzi di Serpeverde. Probabilmente il fatto che fosse la direttrice della nostra casa aiutava non poco.
Pensavo che Erbologia sarebbe stata una materia noiosa e semplice, ma non era per niente così. Come prima lezione, la Sprite ci fece indossare i guanti protettivi in pelle di drago, e ci insegnò a travasare dei cespugli spinosi.
La caratteristica dei cespugli spinosi, beh, sta nel fatto che sono ricoperti di spine che vengono espulse se si tocca la radice sbagliata.
-Fate molta attenzione e maneggiateli con cura ragazzi, a meno che non vogliate trasformarvi in un porcospino gigante-, ci mise in guardia mentre aiutava Gwen a rimuovere alcune spine dal suo braccio.
Infine, sporchi di terriccio e affamati, lasciammo finalmente la serra per dirigerci verso la sala grande per la cena.
Io e Sam ci sedemmo vicini come al solito, e dopo un po’ arrivo anche Gwen insieme ad un’altra ragazza di Tassorosso con la quale era in gruppo durante l’ora di erbologia, di nome Alice Jester.
Sam ed io ci presentammo, e dopo un po’ stavamo tutti chiacchierando dei professori, scherzando sulle balbuzie del professor Raptor e sulla rigidità della McGranitt.
Finita la cena ci alzammo tutti e quattro e ci dirigemmo verso la sala comune, ed ero sull’uscio della porta della sala grande quando sentii qualcuno chiamare il mio nome.
Mi girai aspettandomi di vedere John, ma invece mi ritrovai mio fratello davanti.
-Beh, come è andato il primo giorno ad Hogwarts, fratellino?-, chiese dandomi una pacca sulla schiena.
-Ehm, bene, tutto alla grande. Mi sono fatto un po’ di amici-, dissi io un po’ a caso, preso alla sprovvista da questo suo improvviso interesse.
-Bene, bene, ne sono conteto. Ora, senti un po’...-, mi prese da parte, e si avvicinò per parlarmi a bassa voce. -Sono sicuro che non sia il caso di dirtelo, ma sai, per sicurezza, uno lo fa. Ho passato quattro anni a farmi un buon nome in questa scuola, quindi vedi di tenere un profilo basso e non combinare qualche cazzata delle tue che possa infangarlo-, disse in un bisbiglio, stringendomi con più forza la spalla.
-Fai il bravo, segui le lezioni, e soprattutto non trasgredire le regole-, ordinò con gli occhi ridotti ad una fessura. -Altrimenti , la punizione che riceveresti da un professore sarebbe l’ultima delle tue preoccupazioni, intesi?
Io annui senza dire una parola, mentre un misto di rabbia e paura si impadronivano di me.
-Ottimo, cosi ti voglio, fratellino-, disse tornando normale, e arruffandomi i capelli.
Poi si girò, e senza aggiungere altro se ne tornò nella Sala Grande, lasciandomi solo nell’ingresso deserto.
Mi diressi verso le scale, e trovai gli altri ad aspettarmi in cima.
-Tutto bene? Cosa voleva tuo fratello?-, chiese Sam mentre scendevamo verso il seminterrato.
-Si, tranquillo, voleva solo sapere come stessi-, mentii io, toccandomi la spalla in un gesto involontario. Non aveva senso infastidire gli altri con l’idiozia di Tom.
Tornati nella Tana di Tassorosso, scoprimo che Alice aveva un set di gobbiglie, e passamo la serata a giocare insieme, io e Sam contro Alice e Gwen.
Verso le 11 ci salutammo e ritornammo nei rispettivi dormitori, troppo stanchi per fare altro.
 Ma nonostate la stanchezza, non riuscii a prendere sonno facilmente.
Continuavo a pensare a Tom, e al modo in cui mi aveva trattato.
Avevo sempre saputo che era una persona egocentrica a cui importava solo dell’immagine che gli altri avevano di lui, ma non pensavo a tal punto da arrivare a minacciarmi.
Doveva  seriamente darsi una calmata, pensai mentre mi rigiravo nel letto.
Dopo un’eternità, ancora non riuscivo a prendere sonno.
Fissai il soffitto per qualche minuto, poi mi scostai le coperte di dosso e scesi dal letto.
Mi aspettavo di trovare qualcuno nella sala comune, ma con mia sopresa questa era già deserta.
Le ultime braci morenti scoppiettavano ancora silenziose nel camino, mentre l’oscurità abbracciava piano piano il tutto.
Mi avvicinai ad una finestra, e mi persi ad osservare le stelle per un po’.
Individuai subito il carro maggiore, la stella polare, e un paio di altre costellazioni minori.
Ero tentato dal tornare in dormitorio a prendere il telescopio per montarlo, quando all’improvviso sentii qualcuno muoversi dietro di me.
Mi girai aspettandomi di vedere Gwen, o qualche altro Tasso, ma invece mi ritrovai davanti una donna.
Era alta ed esile, aveva un viso bellissimo, con un naso sottile e labbra perfette, e lunghi capelli che le arrivavano fino alle spalle. Risplendeva di una pallida aura. E piangeva.
Non ho idea di come avessi fatto a non sentirla, perché ora il suo pianto rimbombava in tutta la sala, i suoi singhiozzi erano strazzianti e mi incutevano una tristezza indescrivibile.
Notai dopo qualche istante che volteggiava a pochi centimetri da terra, e semplicemente stava al centro della sala, a guardarmi tra gli occhi colmi di pianto.
Non cercava neanche di coprirsi il volto, semplicemente lasciava che le lacrime le scendessero lungo le guance, e che andassero a perdersi nei lunghi capelli perlacei.
-Perché piangi?-, chiesi all’improvviso, quasi senza rendermene conto.
Ma la donna non rispose, semplicemente il suo pianto si fece più forte, tanto che ormai mi sembrava che provenisse dall’interno della mia testa.
E la cosa mi riempiva di tristezza e rammarico.
-Perché piangi?-, chiesi nuovamente, mentre sentivo che anche i miei occhi si annacquavano.
Mi avvicinai lentamente verso la bianca figura, come attratto da una forza invisibile.
-Hey, andrà tutto bene, non piangere-, cercai di consolarla, ma mentre dicevo queste parole, sentii una lacrima scivolarmi sul viso.
Allungai una mano, cercando di raggiungerla, e in quel momento, l’orologio sul muro batte la mezzanotte.
Mi fermai a pochi centimetri di distanza, con la mano ancora tesa, come immobilizzato, come spaventato dall’improvviso rimbombare dell’orologio.
La donna mi fissò per un attimo, poi, in un ultimo singhiozzo si tirò indietro, e sparì nel pavimento.
Con un gesto disperato, mi lanciai in avanti cercando di afferrarla, e andai a sbattere per terra contro il morbido tappeto.
Disteso per terra, le lacrime mi rigavano il volto, senza saperne davvero il motivo.
                                                                                                          -
Nathan alzò il volto dal diario, con un espressione angosciata.
‘Beh, almeno adesso sappiamo chi era che piangeva a mezzanotte’.

   
 
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