Nathan
si spogliò.
Si tolse di dosso la maglia, fece scivolare via i pantaloni e le
mutande, e
tirando la tenda della doccia entrò nella piccola vasca da
bagno.
Lo scroscio dell'acqua bollente sul suo corpo fu una piacevole
sorpresa, come
un vizio da lungo dimenticato.
Rimase per un po' di tempo così, a lasciare che l'acqua gli
scivolasse di dosso
in piccoli rivoli veloci.
Infine chiuse il rubinetto, e decise di uscire.
Si fermò per qualche istante a contemplarsi nello specchio
sopra il lavandino.
Il suo riflesso gli restituiva uno sguardo cupo e dubbioso, e quasi non
si
riconosceva, con i capelli bagnati che gli ricadevano un po' ovunque
sul volto,
e gli occhi stropicciati per l'assenza degli occhiali.
Allungò un braccio per aprire l'armadietto a lato, quando
qualcosa nello
specchio gli catturò l'attenzione.
Per un attimo, gli era parso di vedere quella che sembrava una piccola
ombra
nera muoversi velocissima nel riflesso.
Si guardò intorno confuso, e stiracchiandosi di nuovo
notò finalmente che
quell'ombra era in realtà sulla sua schiena.
Non era un'ombra, bensì una sottospecie di simbolo, inciso
sulla sua spalla
sinistra.
Una mezzaluna, attraversata da tre tagli obliqui paralleli.
Rimase per un attimo a fissarlo, come cercando di ricorda dove l'avesse
già
visto.
Poi comprese.
Si vestì in fretta e furia e uscì dal bagno,
ritornado alla scrivania, dove
aveva lasciato la misteriosa lettera del Lupo di Mezzanotte.
E come aveva temuto, il marchio sulla sua schiena era lo stesso che
compariva
sulla lettera.
'E' questo dannato simbolo che continua a tornare' disse tra
sè e sè.
'E se...' si fermò un attimo a riflterre. 'No, non
può essere, non avrebbe
senso' esclamò voltandosi.
Fissò per un attimo il vuoto, per poi pronunciare ad alta
voce il dubbio che
più di ogni altro lo tormentava: 'E se fossi io il Lupo di
Mezzanotte?'
-
Il
mio primo giorno a Hogwarts,
cominciò più in fretta di quanto mi aspettassi.
Mi svegliai nel morbido letto, avvolto dalle coperte, mentre i primi
raggi del
sole illuminavano il dormitorio circolare.
Mi alzai a sedere sbadigliando, e guardandomi intorno notai che tutti
erano
ancora immersi in un sonno profondo.
Il mio occhio corse all’orologio a pendolo appeso al muro: un
tasso intagliato
nel legno che teneva stretto tra le braccia un quadrante con le
lancette,
mentre la coda oscillava scandendo i secondi.
Erano da poco passate le 6, e da quanto ne sapevo io, la Sala Grande
non
sarebbe stata aperta per la colazione prima delle 7. Mi rigirai nel
letto e
provai ad addormentarmi, ma non servì a niente, quindi
decisi semplicemente di
alzarmi. Indossai la divisa, infilai la bacchetta in tasca, e uscii dal
dormitorio il più silenziosamente possibile, richiudendomi
la porta alle
spalle.
Ovviamente, il corridoio era deserto, immerso nella penombra, ma una
gran luce
proveniva già dalla sala comune.
Fuori il sole era già sorto, e la Tana di Tassorosso
splendeva già in quelle
prime ore del mattino.
Osservando i rampicanti che si svegliavano sulle pareti, mi lasciai
cadere su
uno dei divani, e andai a urtare contro qualcosa.
-Hey, ma cosa diavolo...-, mugugnò una voce indignata.
-Ohh, scusa!-, esclamai rotolando giù per terra. -Non mi
aspettavo che ci fosse
già qualcuno sveglio a quest’ora-.
Alzai lo sguardo, e notai solo ora che una ragazza del primo anno era
distesa
sui cuscini. Aveva dei corti capelli ricciolini, di un rosso intenso, e
numerose piccole lentigini tutto attorno al naso, il quale era piccolo
e
rotondo.
-Oh, figurati-, disse lei tranquilla, come se niente fosse successo, e
mi tese
una mano per alzarmi.
Presi posto anche io sul divano, rosso in faccia per la figuraccia che
avevo
appena fatto.
Ma la ragazza non sembrò badarci, e mi tese nuovamente la
mano.
-Comunque io sono Gwen Wright, primo anno-.
-Nathan Zeller, anche io primo anno-, risposi stringendole la mano. Per
una
qualche strana ragione, il suo cognome mi suonava familiare, ma non
riuscivo a
capire il perché. Possibile che i suoi genitori fossero
amici dei miei?
-Ah si, in effetti mi sembrava di averti visto sulle barche
l’altra sera-,
commentò lei.
Io annuii e non seppi più cosa aggiungere, e quindi scese il
silenzio tra di
noi.
-Beh, come mai sei già sveglio a quest’ora?-,
chiese infine Gwen.
-Oh, beh, non riuscivo a dormire, non avevo molto sonno-, balbettai io.
-Immagino
nemmeno tu, a questo punto-.
-Oh no, semplicemente sono abituata a svegliarmi presto. A casa mi
alzavo
spesso alle prime ore del mattino per andare a vedere l’alba.
Abito al limitare
della foresta di Dean, ed è uno spettacolo bellissimo vedere
i raggi del sole
che passano attraverso gli alberi. Solo che, beh, qua non è
che possa
semplicemente prendere e uscire alle 5 del mattino, quindi si, eccomi
qui-,
disse stringendosi nelle spalle.
Dunque non poteva trattarsi di una famiglia che viveva nei nostri
paragi, non
avevo mai sentito parlare di nessuna foresta di Dean attorno a Timworth.
-Cosa fanno i tuoi genitori?-, chiesi io, per fare conversazione.
-Allora, mia madre è una babbana e gestisce una farmacia,
che è tipo una
bottega che vende medicinali per le persone ammalate, mentre mio padre
invece
si occupa di raccogliere i materiali per i nuclei delle bacchette-,
spiegò lei
tutta contenta.
-Wow!-, esclamai io stupito. -Quindi in pratica va a caccia di Unicorni
e cose
del genere?-
-No no, gli Unicorni li alleviamo nella nostra fattoria, ne abbiamo ben
7
adulti, più un puledro che è nato giusto il mese
scorso. Dovresti vederlo, ha
il pelo color oro e non ha ancora il corno, è qualcosa di
bellissimo. Le Fenici
invece, quelle sono belle rare. Mio padre a volte passa anche settimane
intere
lontano da casa, in cerca di un nido da cui prendere le piume,
però sono
piuttosto ricercate e Ollivander le paga una fortuna!-.
-Oh, la mia bacchetta contiene una piuma di fenice ed è
stata fatta da
Olivander!-, esclamai io all’improvviso, tirandola fuori
dalla tasca dei
pantaloni.-Magari è stata tuo padre a trovarla!-, dissi io
con un sorriso.
-Potrebbe
essere!-, rispose lei, tirando fuori la sua. - Acero, crine di
unicorno, 12
pollici, rigida, e so per certo che il crine appartiene ad uno dei
nostri
unicorni perché me l’ha detto Olivander stesso!-.
-Fantastico, è come se foste nate e cresciute insieme-,
dissi io con una
risata.
-I tuoi genitori invece?-, mi chiese Gwen.
-Dunque, mia madre è una giornalista e scrive per la Gazzeta
del Profeta,
mentre mio padre, beh, non so esattamente cosa faccia-, risposi io con
una
smorfia.
Gwen agrottò la fronte, confusa.
-Nel senso, lavora per il Ministero della Magia, ma non so esattamente
cosa
faccia. So solo che lavora per un dipartimento chiamato
‘Ufficio Misteri’, e
come puoi capire anche dal nome è una cosa molto segreta,
non gli è permesso
parlarne nemmeno con noi-, spiegai io.
Gwen sembrò molto colpita da questa rivelazione. Si
avvicinò a me, e mi parlo a
bassa voce, come se avesse paura di essere scoperta da un momento
all’altro.
-Quindi tuo padre semplicemente sparisce la mattina e torna la sera
come se
niente fosse?-, chiese curiosa.
-Beh, all’incirca sì, se non fosse che spesso non
torna proprio. Ed è una cosa
che manda in paranoia mia madre, perché non può
nemmeno chiedere al Ministero
se sanno che fine abbia fatto. Semplicemente deve stare ferma ed
aspettare,
sperando che non gli sia successo nulla di grave-, risposi io con tono
grave.
-E, beh, gli è mai successo qualcosa di grave?-, chiese
quasi in un sussurro.
-Spesso torna a casa con qualche graffio, qualche strappo sui vestiti,
ma nulla
di che. Ma ogni tanto, ci capita di ricevere un gufo che ci informa di
come sia
stato trasportato al San Mungo d’urgenza per via di qualche
‘incidente’ che gli
è capitato. Una volta non ci hanno nemmeno fatti entrare,
dicendo che fosse per
ragioni di sicurezza. Abbiamo dovuto aspettare per ore prima che ci
fosse dato
il permesso di entrare, e una volta dentro lo abbiamo trovato in
perfette
condizioni, come se niente fosse successo-.
-Per la Barba di Merlino, deve essere qualcosa di terribilmente
stressante-,
commentò Gwen a bassa voce.
-Beh, ogni tanto lo è, soprattutto per mia madre.
Però mio padre non sembra
avere problemi, anche se non ne parla mia, sembra che il suo lavoro gli
piaccia
parecchio. Lo vediamo quasi sempre di buonumore, quindi negli anni io e
mio
fratello abbiamo imparato a non preoccuparci più di tanto-,
spiegai io
stringendomi nelle spalle.
-Hai un fratello quindi-, disse lei.
-Si, Tom, è al quinto anno-, risposi io alzando gli occhi al
cielo.
-Anche io ho una sorella maggiore, Tiffany, frequenta il sesto anno, ed
è
probabilmente la persona più odiosa che esista sulla faccia
della terra-,
sbuffo Gwen. -Indovina di che casa fa parte!-.
-Ehm, Serpeverde per caso?-, chiesi io ridendo.
-Oh wow, come hai fatto ad indovinare? Farai faville a divinazione!-,
disse
sarcastica.
-Beh, credo che l’unico motivo per cui mio fratello non sia
finito in
Serpeverde sia perché ha una testa più grande del
suo ego, quindi diciamo che
ti capisco-, aggiunsi io compassionevole, e lei scoppiò a
ridere.
Continuammo a chiacchierare dei nostri fratelli per un bel
po’, finché i primi
Tassorosso non cominciarono a svegliarsi e la sala comune
cominciò piano piano
ad animarsi.
Dopo un po’ Gwen mi salutò e andò a
cambiarsi, dato che era ancora in pigiama.
Finalmente anche Sam apparve nella sala comune, ed insieme ci
incamminammo a
fare colazione.
Prendemmo posto al tavolo dei Tassorosso, e dopo un po’ anche
Gwen entrò nella
sala grande. Le feci un cenno con la mano, invitandola a sedersi vicino
a me, e
le presentai anche Sam.
Notai che la professoressa Sprite stava girando per i tavoli, e dopo un
po’
arrivò anche da noi e ci consegnò i nostri orari.
Non feci nemmeno in tempo a guardare il mio, che sentii una pacca
familiare
sulla schiena.
-Grandioso, abbiamo lezione di Difesa contro le Arti Oscure insieme!-,
disse
John alle mie spalle.
Io diedi una rapida occhiata al foglio che avevo tra le mani e notai
che
effetivamente la prima lezione della giornata era insieme ai Corvonero.
-Hey, ma voi avete ancora del bacon, da me l’hanno finito
tutto!- esclamò
facendosi spazio di prepotenza e sedendosi tra me e Gwen.
Prese un piatto e ci rovesciò sopra un quintale di bacon,
tra gli sguardi
stupiti di Sam e Gwen.
-John, ti ricordi Sam...-, dissi indicandolo, e John fece un cenno
distratto
con la mano mentre era occuppato a riempirsi di carne.
-Mentre questa è Gwen Wright-, e indicai la ragazza accanto
a lui.
John si volto di scatto verso di lei e si immobilizzò con la
forchetta a
mezz’aria.
-Per tutti i calderoni! Wright? Ma, Wright come...-
-Oh no, eccone un’altro-, mugugnò Gwen alzando gli
occhi al cielo.
-Wright, come Bowman Wright, il leggendario fabbro inventore del
boccino
d’oro?!-, chiese John con occhi sognanti.
-Ecco perché il tuo cognome mi sembrava così
familiare!-, esclamai a mia volta.
-Oh per la miseria, altri fanatici del Quidditch-, si
lamentò Gwen portandosi
una mano alla fronte.
-Ma tipo, avete il boccino originale a casa?-, chiese John
avvicinandosi a
Gwen.
-Cosa, no! Non so perché la gente si aspetta sempre che casa
mia sia il museo
internazionale del Quidditch, è solo capitato che quel,
tizio, sia un mio
lontano parente.-Roteò gli occhi al cielo. -Non è
che la mia famiglia giri per
casa vestita come dei palloni dorati, o roba del genere-.
John la fissò per un momento.
-Ma quindi avete tramando per generazioni la nobile arte
dell’artigianato dei
boccini?-
-Argh!-, esclamò Gwen alzandosi di colpo, e andandosi a
sedere vicino ad un
gruppo di ragazze più in giù sul tavolo.
-Heh, è simpatica!-, ridacchiò John tornando al
suo bacon.
-Dovevi esagerare come sempre, non è vero?-, chiesi io
sbuffando.
-Cosa? Non ho detto niente di male!-, si giustificò John
senza alzare lo
sguardo dal piatto.
-Ehm, scusate...-, disse Sam all’improvviso, che per tutta la
durata della
scena non aveva aperto bocca. -Ma, cosa sarebbe esattamente questo,
Quidditch?-
A John andò di traverso il bacon.
Quando finalmente riuscì a smettere di tossire e
sputacchiare, guardo Sam e gli
disse: -Ragazzo mio, qua abbiamo del serio lavoro da fare-.
Mezz’ora dopo, tutti e tre stavamo salendo i gradini che
portavano al terzo
piano, insieme ad un gruppetto misto di Tassi e Corvi del primo anno
che
chiacchieravano eccitati in vista della prima lezione
dell’anno.
L’aula di Difesa contro le Arti Oscure era lunga e sottile,
illuminata da una
serie di grandi finestre ad arco che si aprivano nel muro di sinistra.
Dall’alto soffitto pendeva un pesante candelabro in ferro, e
curiosamente, anche
lo scheletro di quello che intui essere un drago, date le larghe e
scheletriche
ali che si aprivano ad abbracciare la volta.
Anche a ridosso dei muri erano addossati gli scheletri di strane
creature, non
che quadri raffiguranti gli animali magici più disparati, e
maghi intenti a
combatterli con complicati incantesimi.
La prima cosa che però notai appena entrai nella stanza fu
il fortissimo odore
d’aglio che semprava pervadere ogni anfratto
dell’aula. Non fui l’unico a
notarlo, dato che l’entrata di ogni studente era accompagnata
da uno sbuffo o
un’imprecazione.
Feci sedere Sam di fianco a me, per non lasciarlo da solo, e John si
sedette
subito dietro di me, in un banco che era rimasto vuoto.
Il professore stranamente non era ancora arrivato, e quindi erano tutti
intenti
a parlare tra di loro, chi sfogliando il libro di testo, chi cercando
di far
uscire delle scintille dalla bacchetta.
All’improvviso la porta dell’aula si
aprì con un tonfo, e tutti ci voltammo all’unisono
aspettandoci di vedere l’insegnante di Difesa contro le Arti
Oscure, ma invece
era solo Gwen, la ragazza di prima.
-Che fine avevi fatto?-, le chiesi mentre prendeva posto dietro di noi.
-Mi sono persa-, disse lei con il fiatone, mentre tirava fuori i libri
dalla
borsa. -O per meglio dire, mi hanno fatto perdere. Ho chiesto ad un
fantasma
dove fosse l’aula 3C, e mi ha mostrato una porta dicendo che
mi avrebbe fatto
arrivare subito al corridoio giusto, ma dopo averla attraversata mi
sono
ritrovata al piano sbagliato-.
-Ah, probabilmente ti sei imbattuta in Pix. Meglio stare alla larga da
quello-,
disse John alla sua sinistra.
Gwen si voltò di scatto, notando solo allora vicino a chi si
era seduta.
-Ahh, l’idiota del Quidditch-, disse con un misto di noia e
disgusto, facendo
un cenno con la mano.
-Wow, neanche un’ora e sono già famoso! Dammi una
settimana e il preside mi
inviterà a prendere il tè nel suo ufficio!-,
esclamò John dandomi una pacca
sulla schiena, e io scoppiai a ridere.
Gwen sbuffò e fece per raccogliere la sua roba, quando John
le fece notare che
quello era l’unico posto libero rimasto.
I due stavano ancora discutendo, quando all’improvviso sentii
una porta aprirsi
di nuovo.
Feci per girarmi verso il fondo dell’aula, ma Sam mi diede un
colpo con la mano
indicandomi la cattedra. Notai solo adesso che di fianco alla lavagna
c’era una
piccola scala che saliva verso una balconata, e una porta che si apriva
su
quello che doveva essere l’ufficio dell’insegnante
di Difesa contro le Arti Oscure.
Un uomo alto e magro dal volto giovane era in piedi davanti alla porta,
e
guardava sorridente gli studenti. Indossava una lunga veste marroncina,
e un
enorme turbante viola che gli circondava tutta la testa, ricandendogli
sul petto
come in una lunga treccia.
-B-b-benvenuti a t-tutti, nella p-prima lezione di D-Difesa contro le
Arti O-Oscure!-,
disse infine l’uomo, e Sam soffocò una risata, ma
non fu l’unico.
-Io, s-sono il p-p-rofessor Raptor, e nel c-corso dell’a-anno
vi insegnerò a
d-difendervi dalle f-forme più o-o-oscure di m-magia,
nonchè dalle c-creature
magiche più p-p-pericolose-, fece il giro della lavagna, e
prese posto alla
cattedra, aprendo il suo libro.
-D-direi di c-cominciare da qualcosa di s-semplice, o-ovvero gli
G-G-Gnomi.
Prendere p-p-er favore il v-vostro manuale a p-pagina 6-.
Non lo negherò, la mia prima lezione a Hogwarts fu un vero e
proprio disastro.
La lezione del professor Raptor si rivelò essere un
po’ una farsa.
Era particolarmente difficile capire quello che diceva, dato il
continuo
balbettio, e spesso neanche lui semprava molto convinto di quello che
stesse
dicendo, dato che tremava e sobbalzava ogni due parole.
Quando una ragazza di Corvonero fece una domanda senza alzare la mano,
quasi rovesciò
la boccetta d’inchiostro che aveva sulla cattedra dallo
spavento.
Dopo una decina di minuti quasi nessuno lo stava più
ascoltando, e si stavano
tutti limitando a leggere direttamente dal libro, dato che era molto
più
comprensibile.
L’unico momento interessante fu quando John, non riuscendo
più a trattenere la
curiosità, gli chiese dove avesse preso il turbante, dato
che una sua zia
sarebbe stata entusiasta di riceverne uno in regalo.
Raptor sembrò non notare le risate della classe,
perché spiegò con una nota di
orgoglio di averlo ricevuto in dono da un principe africano come
ringraziamento
per averlo liberato da una potente mummia.
-Se quello ha sconfitto una mummia, allora mia nonna ha vinto la
maratona di
Hogsmeade-, si lamentò John mentre scendevamo nella sala
grande per il pranzo.
-Intendi quella che si è rotta un’anca combattendo
contro un troll l’anno
scorso?-, chiesi io casualmente, mentre Sam strabuzzava gli occhi.
-Si, nonna Mariene è una tosta-, si fermò
all’improvviso. -In effetti,
pensandoci bene, ho usato un paragone
sbagliato. Nonna Mariene potrebbe vincerla benissimo quella maratona,
ma avete
capito.
-E pensare che mia nonna si vanta di essere una campionessa a
Bingo...-,
bisbigliò Sam sottovoce, ma nessuno sembrò
sentirlo.
-Piuttosto, dimmi, come è essere nei Corvonero? Vi hanno
già dato quattro libri
da leggere, ieri sera?-, chiesi io scherzando.
-No beh, è gente a posto, direi. Beh, la maggior parte
almeno. Molti se ne
stavano effetivamente isolati in un angolo a leggere, bah...-, John
scosse la
testa come per allontanare un brutto ricordo. -Tuo fratello
è stato piuttosto
annoiato mentre ci mostrava la sala comune e le nostre stanze, devo
dire-.
-Ah, quindi, è semplicemente stato se stesso-, dissi io
sbuffando.
-Esattamente. Mi stupisco che abbia degli amici. Ma a quanto pare loro
sono
piuttosto contenti di lui, quasi lo venerano-.
Lanciai una strana occhiata a John, aggrottando le sopraciglia. -Che
intendi
dire?-.
-Non so, erano tutti li attorno ad un tavolo che pendevano dalle labbra
di Tom,
mentre lui spiegava chissà quale cosa inutile sui, che ne
so, calderoni o che
cavolo-, spiegò lui.
-Cosa diavolo stai dicendo?-, gli chiesi io confuso.
-Ma non lo so, era un po’ difficile capire di cosa stessero
parlando, sono
molto riservati. Se provi ad avvicinarti ci manca solo che ti lancino
una
fattura addosso.
Sai, non sono tutti amichevoli come voi di Tassorosso-, aggiunse con
fare
casuale, mentre entravamo nella sala grande.
Ci salutammo e lui andò a Erbologia, mentre io e Sam ci
dirigemmo verso la
classe di Incantesimi.
Il professor Vitious era un ometto incredibilmente basso che doveva
stare in
equlibrio sopra una pila di libri per riuscire a vedere la classe, ma
era molto
simpatico ed allegro.
La sua lezione fu molto più interessante della precedente.
Vitious
probabilmente sapeva che quello che più aspettavamo era
imparare un
incantesimo, quindi senza perdere troppo tempo cominciò a
spiegarci i movimenti
e le parole necessarie a far levitare un oggetto.
Consegnò poi ad ognuno di noi una grande piuma e ci
invitò a provare.
In un attimo, la classe si riempì di una miriade di voci che
gridavano
‘wingardium leviosa’. Vitious si muoveva rapido tra
i banchi, aggiustando la
postura della mano, o correggendo la pronuncia.
I miei primi tentativi non ebbero molto successo, all’inizio
la piuma non si
mosse di mezzo centimentro, ma dopo un po’ questa
cominciò a sobbalzare
lievemente.
Sorprendemente, Sam fu uno dei primi a riuscirci, dopo pochi minuti la
sua
piuma volteggiava per aria seguendo le indicazioni della sua bacchetta,
mentre
lui stupito la faceva danzare per aria.
Mi fece notare che l’inclinazione del polso era sbagliata, e
al tentativo
seguente anche la mia piuma saettò per aria.
Entro la fine della lezione, tutti quanti avevamo appreso
l’incantesimo.
Il professor Vitious ci congedò dicendoci di esercitarci su
oggetti un po’ più
pesanti, chiedendoci però di non provare ad alzarci a
vicenda, e a questa frase
ci fu un malcontento generale.
Mentre pranzavo, continuai a
pensare a
quello che John aveva detto a proposito di Tom.
Non so perché, ma dal modo in cui l’aveva
raccontato, la cosa mi sembrava
sospetta. Ma dopo un po’ accantonai l’idea e la
lasciai perdere, conoscevo bene
mio fratello, e il fatto che snobbasse gli altri non era poi una
così grande
novità. Lo aveva fatto con me per così tanti
anni, figuriamoci se non l’avrebbe
fatto anche con i suoi nuovi compagni.
Dopo pranzo ci fu la prima lezione di Trasfigurazione insieme ai
Grifondoro, e
fu completamente diversa da quella di Raptor.
La professoressa McGranit era serissima, richiedeva un attenzione e un
silenzio
costante, che nessuno osava interrompere.
Severissima, fece un discorso non appena ci fummo seduti di fronte a
lei.
-La Trasfigurazione è una delle forme più
complesse e
pericolose di magia che imparerete ad
Hogwarts. Chiunque provi a fare a qualche idiozia sarà
allontanato dalla classe
e non ci metterà più piede, siete stati
avvertiti-.
Detto ciò diede una dimostrazione pratica, trasformando la
lavagna in un orso e
viceversa, tra le esclamazioni di stupore generali.
L’inizio era stato decisamente migliore della lezione con
Raptor, e non vedevo
l’ora di cominciare, ma scoprii presto che ci sarebbe voluto
parecchio tempo
perché io potessi trasformare i gli oggetti in animali.
La McGrannit cominciò a spiegare una serie complicata di
istruzioni, mentre
tutti nella classe cercavano di stare al passo prendendo appunti
abbondanti.
Poi diede un colpo di bacchetta, e sul banco di ogni studente apparve
un
fiammifero che avremo dovuto trasformare in un ago.
Pensavo che se la McGranit era in grado di trasformare una lavagna
enorme in un
orso, la trasfigurazione di un fiammifero sarebbe stata cosa da niente
. Ma la
faccenda si rivelò molto più difficile del
previsto.
Continuavo a rileggere i miei appunti e a colpire il fiammifero con la
bacchetta recitando la formula, però questi continuava ad
assotigliarsi o a
cambiare colore, diventando argenteo, ma mai tutte e due le cose
insieme.
Sam di fianco a me non stava avendo molta più fortuna.
Continuava ad avere
l’istinto di impugnare la bacchetta a due mani, assumendo
un’espressione molto
buffa. Era riuscito a far appuntire il suo fiammifero, ma questi
continuava a restare
di legno.
Un ragazzo di Grifondoro doveva aver sbagliato completamente formula,
perché in
qualche modo era riuscito a ingigantire la testa del fiammifero e a
farla
scoppiare in una fiammata che rischiò di incendiare il banco
in legno, ma che
fu prontamente salvato da un getto d’acqua uscito dalla
bacchetta della McGranitt.
Alla fine della lezione, soltanto una persona ci era riuscita, una
ragazza di Grifondoro
dai folti capelli bruni e dai denti davanti piuttosto grandi.
La McGranitt mostrò il suo ago argentato alla classe, e
addirittura le fece un
breve sorriso.
Ci disse infine di tenere il fiammifero e di esercitarci per conto
nostro, e
che ci avrebbe messo alla prova nella lezione successiva.
Dopo lo stress e l’impegno dell’ora di
Trasfigurazione, l’ora di Erbologia fu
quasi una benedizione.
La professoressa Sprite era una donna paffuta e allegra, ma molto
decisa e dal
carattere forte. Era piuttosto gentile, ma non potei fare a meno di
notare che
si dimostrava molto più disponibile con noi Tassorosso che
con i ragazzi di
Serpeverde. Probabilmente il fatto che fosse la direttrice della nostra
casa aiutava
non poco.
Pensavo che Erbologia sarebbe stata una materia noiosa e semplice, ma
non era
per niente così. Come prima lezione, la Sprite ci fece
indossare i guanti
protettivi in pelle di drago, e ci insegnò a travasare dei
cespugli spinosi.
La caratteristica dei cespugli spinosi, beh, sta nel fatto che sono
ricoperti
di spine che vengono espulse se si tocca la radice sbagliata.
-Fate molta attenzione e maneggiateli con cura ragazzi, a meno che non
vogliate
trasformarvi in un porcospino gigante-, ci mise in guardia mentre
aiutava Gwen
a rimuovere alcune spine dal suo braccio.
Infine, sporchi di terriccio e affamati, lasciammo finalmente la serra
per
dirigerci verso la sala grande per la cena.
Io e Sam ci sedemmo vicini come al solito, e dopo un po’
arrivo anche Gwen
insieme ad un’altra ragazza di Tassorosso con la quale era in
gruppo durante
l’ora di erbologia, di nome Alice Jester.
Sam ed io ci presentammo, e dopo un po’ stavamo tutti
chiacchierando dei
professori, scherzando sulle balbuzie del professor Raptor e sulla
rigidità
della McGranitt.
Finita la cena ci alzammo tutti e quattro e ci dirigemmo verso la sala
comune,
ed ero sull’uscio della porta della sala grande quando sentii
qualcuno chiamare
il mio nome.
Mi girai aspettandomi di vedere John, ma invece mi ritrovai mio
fratello
davanti.
-Beh, come è andato il primo giorno ad Hogwarts,
fratellino?-, chiese dandomi
una pacca sulla schiena.
-Ehm, bene, tutto alla grande. Mi sono fatto un po’ di
amici-, dissi io un po’
a caso, preso alla sprovvista da questo suo improvviso interesse.
-Bene, bene, ne sono conteto. Ora, senti un po’...-, mi prese
da parte, e si
avvicinò per parlarmi a bassa voce. -Sono sicuro che non sia
il caso di
dirtelo, ma sai, per sicurezza, uno lo fa. Ho passato quattro anni a
farmi un
buon nome in questa scuola, quindi vedi di tenere un profilo basso e
non
combinare qualche cazzata delle tue che possa infangarlo-, disse in un
bisbiglio, stringendomi con più forza la spalla.
-Fai il bravo, segui le lezioni, e soprattutto non trasgredire le
regole-, ordinò
con gli occhi ridotti ad una fessura. -Altrimenti , la punizione che
riceveresti da un professore sarebbe l’ultima delle tue
preoccupazioni, intesi?
Io annui senza dire una parola, mentre un misto di rabbia e paura si
impadronivano di me.
-Ottimo, cosi ti voglio, fratellino-, disse tornando normale, e
arruffandomi i
capelli.
Poi si girò, e senza aggiungere altro se ne tornò
nella Sala Grande,
lasciandomi solo nell’ingresso deserto.
Mi diressi verso le scale, e trovai gli altri ad aspettarmi in cima.
-Tutto bene? Cosa voleva tuo fratello?-, chiese Sam mentre scendevamo
verso il
seminterrato.
-Si, tranquillo, voleva solo sapere come stessi-, mentii io, toccandomi
la spalla
in un gesto involontario. Non aveva senso infastidire gli altri con
l’idiozia
di Tom.
Tornati nella Tana di Tassorosso, scoprimo che Alice aveva un set di
gobbiglie,
e passamo la serata a giocare insieme, io e Sam contro Alice e Gwen.
Verso le 11 ci salutammo e ritornammo nei rispettivi dormitori, troppo
stanchi
per fare altro.
Ma nonostate la
stanchezza, non riuscii
a prendere sonno facilmente.
Continuavo a pensare a Tom, e al modo in cui mi aveva trattato.
Avevo sempre saputo che era una persona egocentrica a cui importava
solo
dell’immagine che gli altri avevano di lui, ma non pensavo a
tal punto da
arrivare a minacciarmi.
Doveva seriamente
darsi una calmata,
pensai mentre mi rigiravo nel letto.
Dopo un’eternità, ancora non riuscivo a prendere
sonno.
Fissai il soffitto per qualche minuto, poi mi scostai le coperte di
dosso e
scesi dal letto.
Mi aspettavo di trovare qualcuno nella sala comune, ma con mia sopresa
questa
era già deserta.
Le ultime braci morenti scoppiettavano ancora silenziose nel camino,
mentre
l’oscurità abbracciava piano piano il tutto.
Mi avvicinai ad una finestra, e mi persi ad osservare le stelle per un
po’.
Individuai subito il carro maggiore, la stella polare, e un paio di
altre
costellazioni minori.
Ero tentato dal tornare in dormitorio a prendere il telescopio per
montarlo,
quando all’improvviso sentii qualcuno muoversi dietro di me.
Mi girai aspettandomi di vedere Gwen, o qualche altro Tasso, ma invece
mi
ritrovai davanti una donna.
Era alta ed esile, aveva un viso bellissimo, con un naso sottile e
labbra
perfette, e lunghi capelli che le arrivavano fino alle spalle.
Risplendeva di
una pallida aura. E piangeva.
Non ho idea di come avessi fatto a non sentirla, perché ora
il suo pianto
rimbombava in tutta la sala, i suoi singhiozzi erano strazzianti e mi
incutevano una tristezza indescrivibile.
Notai dopo qualche istante che volteggiava a pochi centimetri da terra,
e
semplicemente stava al centro della sala, a guardarmi tra gli occhi
colmi di
pianto.
Non cercava neanche di coprirsi il volto, semplicemente lasciava che le
lacrime
le scendessero lungo le guance, e che andassero a perdersi nei lunghi
capelli
perlacei.
-Perché piangi?-, chiesi all’improvviso, quasi
senza rendermene conto.
Ma la donna non rispose, semplicemente il suo pianto si fece
più forte, tanto
che ormai mi sembrava che provenisse dall’interno della mia
testa.
E la cosa mi riempiva di tristezza e rammarico.
-Perché piangi?-, chiesi nuovamente, mentre sentivo che
anche i miei occhi si
annacquavano.
Mi avvicinai lentamente verso la bianca figura, come attratto da una
forza
invisibile.
-Hey, andrà tutto bene, non piangere-, cercai di consolarla,
ma mentre dicevo
queste parole, sentii una lacrima scivolarmi sul viso.
Allungai una mano, cercando di raggiungerla, e in quel momento,
l’orologio sul
muro batte la mezzanotte.
Mi fermai a pochi centimetri di distanza, con la mano ancora tesa, come
immobilizzato,
come spaventato dall’improvviso rimbombare
dell’orologio.
La donna mi fissò per un attimo, poi, in un ultimo
singhiozzo si tirò indietro,
e sparì nel pavimento.
Con un gesto disperato, mi lanciai in avanti cercando di afferrarla, e
andai a
sbattere per terra contro il morbido tappeto.
Disteso per terra, le lacrime mi rigavano il volto, senza saperne
davvero il
motivo.
-
Nathan alzò il volto dal diario, con un espressione
angosciata.
‘Beh, almeno adesso sappiamo chi era che piangeva a
mezzanotte’.