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Autore: ArwenDurin    23/12/2016    2 recensioni
diciamo Johnlock- Sherlock POV
"E' d'accordo sul fatto di cancellare dal suo prezioso "hard - drive" chiacchiere inutili, ma finire in centro a Londra senza la minima idea del perché e del come lo rende nervoso, e Sherlock vuole rimanere lì, a farsi stringere e stropicciare...come un fragile ed inerme foglio oramai privo di parole..."
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Qualcosa lo attira verso il basso, lo spinge con forza in avanti facendo sì che i suoi piedi quasi si muovano da soli sotto tale pressione. Sherlock si arrende alla forte volontà di quello che si accorge essere un cane che tiene al guinzaglio. Cosa ci fa lì? Ma soprattutto, in centro a Londra con il suddetto?
Readbeard?
No, il suo pelo è troppo liscio e i suoi occhi sono troppo scuri.
I palazzi di Londra lo guardano mentre la gente gli passa accanto e Sherlock si sente confuso. E' d'accordo sul fatto di cancellare dal suo prezioso "hard - drive" chiacchiere inutili, ma finire in centro a Londra senza la minima idea del perché e del come lo rende nervoso.
E'drogato? E’ la prima domanda che passa per la sua mente, ma Sherlock constata è ben vestito e non nei panni di Shezza, non che questo volesse dire più di tanto...ma era raro che lui si gettasse in tale imprudenza nei suoi panni.
Dunque, che ci fa lì? Continua a chiederselo mentre segue il cane e comincia a guardarsi intorno e solo allora lo vede, anzi li vede.
John e Mary che camminano assieme dinnanzi a lui, lasciandolo indietro con quello che doveva essere il loro cane. Sherlock accelera il passo per raggiungerli, per raggiungerlo, ma ogni volta che lo fa loro sembrano sempre più lontani.
«Sherlock, dai muoviti» John lo chiama e si volta verso di lui, con un portantino rosa al petto a rivelare il suo orgoglio paterno
«Sbrigati tu piuttosto, lui ha solo il passo più lento ma arriverà con Toby... non è vero, Sherlock?» Mary esclama ciò quasi con tono ilare, voltandosi anch'essa verso di lui e Sherlock la sente ridere distintamente nella sua mente, per quanto lei non stia ridendo. Eppure un sorriso compiaciuto domina il suo volto e il suo sguardo, mentre tira John per un braccio e fa sì che entrambi si voltino di nuovo. Sherlock nuovamente tenta di raggiungerli ma vanno troppo veloci, un magone gli stringe la gola e gli attorciglia lo stomaco ma non gli impedisce di gridare il suo nome.
«John, John!» lo chiama con insistenza molte volte, ma lui sta andando via...con Mary.
In quel frangente d'attimo, Sherlock si rende conto di non essere più la priorità di John, di non essere più una persona importante per lui. Ora aveva una famiglia, una figlia...e Sherlock non faceva parte di tutto questo, non poteva.
Ma d'altronde, chi lo avrebbe voluto tra i piedi in tali circostanze? Chi avrebbe voluto un essere così strano vicino, da non apprezzare la famiglia o quello che ne consegue? Solo il loro cane poteva portare...e questo compito d'un tratto gli sembra appropriato alla sua persona.
Tutto per John.
Per quanto Sherlock si sente solo e abbandonato, solo come quando era bambino.
«John» questa volta è appena un sussurro udibile che fuoriesce dalle sue labbra, e delle lacrime lo accompagnano. Esse sono poche ma feroci, che solcano il suo volto con grinta, quasi fossero piccole lame pronte a ferirlo come la voragine che ora sente nel suo petto. Ed è qui che John si volta, lo guarda e tenta di raggiungerlo ma qualcosa lo blocca, Mary lo prende per mano. E John guarda Sherlock quasi impotente con grandi occhi blu spalancati, uno sguardo che riflette un'angoscia che Sherlock sente attraversagli la pelle. Ma poi lo sguardo del medico passa altrove, e i suoi occhi sono sulla bambina, poi su Mary. Ed è così che John non gli rivolge un'altro sguardo, ma piuttosto si gira in avanti e si incammina con Mary lontano, sempre più lontano. La città intorno a Sherlock si fa sempre più stretta, si racchiude quasi su di lui ed è buio sempre più al buio.
Il consulente investigativo apre gli occhi, l'angoscia lo domina ma è a Baker Street nel suo letto, e sospira trovandosi il soffitto bianco e muto ad osservarlo, in silenzio.
C'è tanto silenzio.
Deve essere ancora notte e molto tardi a giudicare dal buio che avvolge la stanza; nonostante la tapparella mezza alzata della finestra, e Sherlock rimane lì, immobile qualche secondo.
La camera da letto che buia riflette il suo essere, pare quasi chiudersi su di lui e soffocarlo lentamente e Sherlock vuole rimanere lì, a farsi stringere e stropicciare...come un fragile ed inerme foglio oramai privo di parole. Ma reagisce, più per abitudine che per voglia, perché aveva promesso ci sarebbe sempre stato per John, qualunque cosa succedeva. Dunque è così che si alza a sedere sul letto, la testa gli duole e la camera per un secondo ruota su se stessa, ma dopo qualche sospiro riesce ad alzarsi.
Quasi non ha il controllo dei suoi passi, pare sconnesso dal suo corpo che si muove da solo nel corridoio, sino a giungere alla sala dove accende la luce. L'appartamento è perfettamente in ordine in contrasto con cosa c'è dentro di lui...ma doveva combattere la noia, o forse la mancanza?
Sherlock è da un po' oramai si sente in questo modo, i casi erano sempre meno e questo ha fatto sì che lui fosse a contatto con ciò che non capisce. Perché lui ha sempre venerato la ragione e la logica, e poco comprendeva i sentimenti e le emozioni, ma ora ci era dentro. E Sherlock capisce che in fondo il suo evitare talune emozioni era giusto: provocano solo sofferenza. L'unico posto forse più sicuro è il suo palazzo mentale, così sta lì risucchiato nella sua mente, ma però anche il cervello continua a torturarlo costantemente. E ciò è sempre di più da quando sentiva meno John...l'aveva dimenticato? Il consulente investigativo ogni tanto se lo chiedeva ma ad ogni nuova chiamata o messaggio dell'altro, cancellava questo pensiero.
Ma adesso era un po' che non lo sentiva, d'altronde era impegnato con la futura nascita della bambina...
e tu sei solo un peso per lui in questo momento
Che ore sono? pensa d'improvviso, cercando di distrarsi dall'ultima frustata dalla sua mente e guardandosi intorno, alla ricerca di questa risposta nell'appartamento, ma non trova un orologio. Prova nella sua memoria ma le sue sinapsi non collaborano...da tempo oramai non sa che ore o giorni siano. E' tutto così incolore, così monotono.
E così la sua mente lo riporta a quel pensiero, a quella frustata di poco fa, e Sherlock pensa che forse è stato un peso per John da quando era giunta Mary nella vita del medico. Perché nonostante tutto lei l'aveva aiutato mentre lui era scomparso per due anni, per quanto fosse la cosa che Sherlock meno voleva al mondo. Eppure adesso vorrebbe essere nella sua vita, vorrebbe la considerazione che John gli dava prima di quei due anni in cui sono stati lontani, prima di Mary. Lo desidera con tutto se stesso e si sente un fottuto egoista.
Dovrebbe essere felice, o quantomeno qualcosa che si avvicini a quell'emozione per lui sconosciuta, dovrebbe per John invece di auto commiserarsi. Ma non riesce più a fingere che ciò non lo tocchi e lo graffi dentro di sé, per quanto lui vorrebbe tanto essere un muro impenetrabile ed indifferente a tutto questo ma non ci riesce, non più...è stanco davvero, e non dorme da giorni.
Da quanto?
Non che la mancanza di sonno fosse un problema per lui, ma aveva i suoi limiti e adesso aveva superato anche quelli. Per non parlare del non mangiare più nulla, nemmeno il tè sotto le proteste della signora Hudson ma lui non sentiva, non ascoltava... ed era piuttosto semplice fingere con le persone che tutto gli scorresse addosso come acqua. Che il rapporto spaccato con John non lo turbasse minimamente, ma chi guardava negli occhi specchi della sua anima, poteva constatare la realtà. Pochi ci riuscivano, forse suo fratello e forse anche lo stesso John.
Il consulente investigativo chiude gli occhi, sospira e solo ora si accorge di essere scivolato a terra. Apre gli occhi e si trova lì appoggiato con la schiena alla sua poltrona, le braccia avvolte intorno alle ginocchia, è lì a fissare una poltrona dinnanzi a sé, ed essa lo fissa immobile e ricca di ricordi.
Lui aveva pensato di spostarla, di rilegarla in qualche angolo della mansarda e non guardarla più, ma ogni volta che Sherlock ci provava, la rimetteva a posto.
Perché quella è la poltrona di John e quello è il suo posto.
Lì di fronte alla sua a tormentarlo facendolo annegare nei ricordi: John che gli sorride, o che si arrabbia perché qualche suo strano esperimento ha prodotto odori poco gradevoli nell'appartamento. Di John che legge il giornale rilassato, o che sorride al suo ribattere contro la tv.
Essi sono lì impregnati in quella poltrona e nella sua memoria, sono lì a spingerlo sempre più giù dentro se stesso, perché almeno lì John è con lui. Si sente come un masso che va giù nel mare, sempre più pesante e che affonda nelle acque scure del Tamigi. Una notte si era recato lì su quel ponte, a fissare gli abissi e in quelle acque si era sentito capito, se ne era sentito parte. Erano calme e silenziose ma scure e profonde, e in quel fiume Sherlock si era sentito in compagnia quasi come se quelle acque gli parlassero. E così era rimasto lì, privo di pensieri per un istante a fissare l'acqua, a fissare i riflessi dei lampioni o delle persone che passavano ignare dei suoi tormenti su quel ponte.
Sherlock sospira di nuovo, mentre la poltrona è ancora lì che lo guarda, insieme a quella felpa appoggiato su di essa quasi comodamente, dando al consulente investigativo quasi un senso di completezza oltre che di dolore.
Codesta felpa era una vecchia che il suo blogger aveva dimenticato a Baker Street, orribile a vedersi uno di quei maglioni che sviliva la sua figura ma era suo...e Sherlock un giorno l'aveva appoggiato lì. Le mattine era quasi confortante avvicinarsi ad esso ed annusarlo, abbracciarlo come fosse davvero John, cose che con lui avrebbe tanto desiderato fare. Ma poi quella felpa divenne malinconica e ricca di dolore per lui, perché a lungo andare si rese conto che non era John che stava abbracciando ma appunto, solo una felpa.
Per quanto questo non spinse il consulente investigativo a togliere l'indumento da lì, era doloroso ma anche bello vedere qualcosa di John sulla poltrona oltre che i ricordi.
Così fissa la felpa e la felpa fissa lui, in attimi che paiono minuti, in silenziosi istanti che si infrangono in lacrime che adesso scendono nel volto pallido e magro di Sherlock.Lente e tacite solcano le sue guance e la sua barba, che ispida ne cattura qualcuna trattenendo il dolore a sé, appiccicato alla sua pelle. E nessuno può confortarlo, nessuna mano sulla spalla o un tè preparato per supportarlo, nessuno che lo guarda con cotanta ammirazione immeritata per l'essere più antipatico su questo pianeta.
Le lacrime continuano poche ma insidiose, che bagnano le sue labbra e il suo collo, in tutta la frustrazione e il dolore nel rendesi conto di amare qualcuno che non può avere. 
John Watson non è più lì con lui e nulla nemmeno la sua stessa identità ha più senso. Improvvisamente Sherlock sbatte le palpebre, rendendo il suo sguardo meno offuscato e rimproverandosi di quella reazione così emotiva, volge lo sguardo a terra. E lì blocca il suo pianto, mette una mano sotto la sua poltrona e lì poco dopo c'è a fissarlo  la sua condanna ma l'unica cosa che riesce a distrarlo, lì sotto forma di liquido in siringa c'è una soluzione.
Una soluzione al 7%
E Sherlock non esita a prendere l'oggetto con mano tremante, e non esita a chiudere gli occhi, appoggiando la testa sulla poltrona e facendo sì che tutto passi. Lasciando andare le sue membra a un vortice di allucinazione, che per lui è quasi meglio della realtà, perché essa è solo un velo incolore oramai… Vuole quasi svanire in quel vortice: qualche ora, qualche giorno.
Lì nel suo palazzo mentale e con l'insidioso "amico” sotto forma di siringa al suo fianco, si sente meno solo e tutto ha più senso. Lì non è un nessuno avvolto dalla nebbia incolore della solitudine, lì è ancora il grande Sherlock Holmes con il suo amato John Watson.
Angolo autrice:
Ciao a tutti :) chiedo venia per questa fanfiction così angst ma l'avevo in mente da un po' ovvvero da quando uscirono le foto setlock con il "coniglio rosa" (qui in questo sito) e da lì ho cominciato a pensare come si sarebbe sentito Sherlock e ho sentito la frustrazione. E mi è dispiaciuto scriverlo così sofferente T.T ma sappiamo nella s4 sarà più emotivo.
E sì, ho sfogato anche tutta la frustrazione mia che ultimamente c'è nell'attesa della s4 XD
Grazie a chiunque lo leggerà e magari recensirà :)
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