Caro signore
forse meglio chiamare papà,
quanto vorrei ora
paragonarti semplicemente
a un mese primaverile,
inquieto certamente
ma pur sempre florido
Abitanti di una regione
fuori dal tempo comune
dall'ordinaria storia
siamo mondi distinti
che incroci nel lieto vivere
ma parallelizzi burbero
nella tempesta fitta
Ho aspettato fin troppo
sotto grandi gocce di dolore
che arrivasse il dialogo;
persisteva sempre poco
senza mai l'agognata comprensione,
credendo d'esser io
a ordire trame troppo intricate
Pensi male, per davvero
se credi che un giorno
seguirò il principio tuo
di monotona autodistruzione
La tua implosione percettibile
m'ha reso incompletamente debole
ha portato una snella infelicità
e lacrime strozzate
ai tuoi orgogli più grandi
Perché i tuoi occhi
un tempo pura alessandrite
hanno smesso di vibrare
per regalare a noi magie sortite?
Il tuo adagiarti quotidiano
è nocivo, opportunista
non c'è più incanto nel somigliarti
no, ho smesso di giustificarti
far da tempo il tuo alchimista
Io proseguo avanti
figlio del fuoco circondante
mai schiavo della maligna ombra
Perdonami solo
con questo mio straziante sospiro
d'aver da sempre preteso troppo
nella pacatezza delle vite nostre
fino all'ultimo, corto respiro
(C) Watashiwa
[10 Dicembre 2016]
[10 Dicembre 2016]
Ho perso: la solidità di un pilastro della mia vita