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Autore: Giulz87    25/12/2016    2 recensioni
Harley Quinn se ne sta in piedi dietro uno dei banconi in vetro. Indossa un corpetto rosso e nero, i guanti chiaramente in tinta, le code sono alte e il suo sorriso è luminoso esattamente come gli orecchini che ha deciso di indossare. Le sue mani si agitano nell’aria e già stringono i collier che certamente porterà a casa.
Lui glie lo ha promesso. Lo ha fatto quando ancora quell’uscita era solo un’utopia. «Puoi avere tutto ciò che vuoi, tesoro» le aveva sibilato solo qualche ora prima, tra un brindisi, un bacio e un insulto che lei aveva accolto proprio come se fosse stato il più sentito dei complimenti. E lo erano, conoscendo lui e conoscendo il suo umorismo alquanto bizzarro...
[Suicide Squad]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harley Quinn aka Harleen Quinzel, Joker aka Jack Napier
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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N.D.A. Buonasera a tutti e Buon Natale. Ho deciso di pubblicare questa one shot proprio oggi nonostante fosse in cantiere da almeno qualche mese. Che dire? Era quasi finita… ma non finita! Ispirata – ovviamente – a Suicide Squad, ecco a voi un viaggio in una delle giornate tipo della coppia per eccellenza: Joker e Harley Quinn. Perché “Storyteller”? Beh, perché il tutto è narrato dal punto di vista e dagli occhi dei uno dei personaggi DC a me più cari: l’impareggiabile Jonny Frost.
Buona lettura e alla prossima.
 


STORYTELLER

 
 
Le sirene ululano a Gotham. Lo fanno da sempre, a qualsiasi ora del giorno e a improbabili ore della notte. È un dato di fatto in questa melassa putrida città.
L’uomo all’interno della gioielleria grugnisce, storce il naso, getta lo sguardo oltre la vetrina e il suo pensiero è talmente forte che sembra quasi avere voce.
È il suono del silenzio.
Intorno a lui alcune maschere frantumano le teche di cristallo, sghignazzano e si riempiono le tasche di un bottino che sanno già di dover condividere – il trenta per cento, tanto per essere precisi. Ma nessuno di loro batte ciglio, nessuno di loro si azzarda a farlo. Perché chi comanda non apprezza che la sua parola venga in qualche modo minata o raggirata. E alla maggior parte di loro sta bene così.
Jonny sta pensando proprio a quello mentre sicuro avanza nella stanza – mentre con la coda dell’occhio cattura l’immagine assorta del proprio impareggiabile capo.
Sta pensando a lui in quel momento. Sta pensando a Batman. Ne è sicuro come lo è del semplice fatto che se Tommy Bang Bang non avesse osato obiettare su quel fottuto trenta per cento, forse – e sottolineo la parola forse – non si sarebbe ritrovato con una pallottola conficcata proprio nel bel mezzo di quella sua testa di cazzo parlante.
Jonny glie lo aveva detto, lo aveva fatto più e più volte. Eppure i suoi consigli non erano valsi a molto e Tommy aveva parlato e riparlato ancora, non curandosi minimamente di occultare le proprie considerazioni in merito a quel merdoso trenta per cento.
E niente, assolutamente niente, tutto si era concluso come da programma: un buco in fronte e un sacco di risate – non che il programma avesse mai avuto una vasta gamma di finali alternativi, se non consideriamo ovviamente il curioso caso della dottoressa Quinzel… ma quella era un’altra storia, con un altro sorprendente epilogo, e lui non ha la benché minima voglia di riflettere su quell’evento – considerando, oltretutto, che le conseguenze di quella strana vicenda si trovano a pochi passi da lui.
«Ehi, Jonny-Jonny! Come mi stanno?»
L’uomo si volta e alza le sopracciglia in quella che diventa un’espressione divertita.
Eccole le conseguenze.
Harley Quinn se ne sta in piedi dietro uno dei banconi in vetro. Indossa un corpetto rosso e nero, i guanti chiaramente in tinta, le code sono alte e il suo sorriso è luminoso esattamente come gli orecchini che ha deciso di indossare. Le sue mani si agitano nell’aria e già stringono i collier che certamente porterà a casa.
Lui glie lo ha promesso. Lo ha fatto quando ancora quell’uscita era solo un’utopia. «Puoi avere tutto  ciò che vuoi, tesoro» le aveva sibilato solo qualche ora prima, tra un brindisi, un bacio e un insulto che lei aveva accolto proprio come se fosse stato il più sentito dei complimenti. E lo erano, conoscendo lui e conoscendo il suo umorismo alquanto bizzarro.
Jonny sta quasi abbandonando quel ricordo. Sta quasi per rivolgerle parola – su cosa di preciso ancora non lo sa – ma sta per farlo, quello è poco ma sicuro.
La sua bocca si apre. È un fottuto attimo. Poi lei allunga lo sguardo verso la figura del clown, proprio dietro alle sue spalle – uno sguardo che da spensierato diventa improvvisamente corrucciato. E ciack, si gira, il centro è da manuale.
«Puddin!» esclama quasi stridula «Che c’è che non va? Posso sentire la tua vocina interiore gridare! È un suono che fa “Batsy – Batsy, Batsy – Bat”!»
Ed è in quel preciso istante che un rumore sordo si leva nella sala.
Il pugno serrato del signor J frantuma il vetro del bancone, davanti ai suoi occhi una miriade di micro cristalli esplodono come fossero coriandoli di Carnevale, si espandono e cadono veloci sopra al pavimento – il chiacchiericcio sommesso s’interrompe di colpo, il mondo smette tutto a un tratto di girare. Ma nessuno osa guardarlo, solo lei e Jonny lo fanno – solo lei abbandona quel cipiglio scuro per sorridere beatamente divertita.
L’uomo si volta. Lo fa con uno scatto deciso. I suoi occhi scorrono in basso e seguono un qualcosa d’invisibile che li conduce fino a lei.
Quando finalmente trova il suo volto, la notte sembra essersi impossessata dei suoi tratti tesi, come se un conto dentro alla sua testa fosse deciso a non tornargli – come se il rimprovero fosse ormai prossimo, pronto a canalizzarsi in una furia fatta di urla e di proiettili sparati a caso.
Jonny ha visto molte volte quello sguardo. Lo conosce. Conosce lui e ne conosce ogni più viva sfumatura.
C’era stato Croc qualche tempo prima – l’ultimo di una lunga serie – quando ancora erano solo loro, quando ancora Harley Quinn era solo Harleen.
Era una notte come tante a Gotham, il cielo era plumbeo e l’oscurità inghiottiva ogni cosa. Era…
 
…era in piedi, davanti alla porta di quel magazzino abbandonato – il porto era stranamente quieto persino per quell’ora tarda, il rumore delle onde s’infrangeva contro gli scafi delle barche ormeggiate e il signor J era a una spanna da lui…
 
La sigaretta scivola via dalle sue dita, cade a terra e rotola lontano.
C’è la carcassa di un animale in decomposizione alla sua destra. Lui la osserva e lo fa come se quel putrido ammasso di carne volesse in qualche modo parlargli. Non emette un fiato il piccolo cadavere. Se ne sta lì inerme e lui non può che prenderne atto. «Andiamo, Jonny-Jonny» dice ancora vagamente assorto, mentre attento scruta il circondario «Vediamo di togliere anche questo sassolino dalla scarpa.»
Jonny annuisce, si volta e bussa un paio di volte – la terza arriva dopo una breve pausa che si è volutamente imposto. Poi l’uscio si apre lentamente.
Lui è il primo ad entrare. J lo segue senza esitare e prima di farlo getta un’ultima occhiata agli uomini che ha deciso di lasciare di guardia nelle auto.
L’odore è forte in quel posto del cazzo. È un fetore che sa di chiuso e di pesce marcio e mentre avanzano nella penombra il signor J si lascia sfuggire un lamento di puro disappunto. Le sue labbra si assottigliano, si storcono e Jonny fa lo stesso. Poi J rimane immobile, allarga le braccia e ironico decide di esprimere il suo gaudio pensiero.
«Ehm, è possibile fare una cosetta di giorno, K.C.?Mi si imputridiscono i polmoni qui dentro!»
La risposta arriva in un ruggito profondo e sinistro.
«Ho dovuto trovare un nascondiglio sicuro. Ho il pipistrello alle calcagna.»
«Mmh» mugola il Joker «Non vedo pipistrelli in giro.»
«Ho fatto del mio meglio perché non accadesse.»
Croc esce dall’oscurità. Non è un bello spettacolo, non lo è mai stato, ma loro restano impassibili e J poggia tutto il suo peso sul bastone da passeggio.
Non ha gradito quella risposta. Non gli è piaciuta e non fa niente per nasconderlo.
«Allora, perché chiamare?» chiede spazientito.
«Lui vuole che lasci Gotham. Io non voglio farlo.»
C’è del vero in quel ruggito animalesco.
C’è una richiesta di soccorso che scivola via senza che lui in qualche modo se ne curi.
«Ho paura che tu abbia sbagliato, amico mio. La soluzione al tuo problema è sull’elenco telefonico… ma è sotto la lettera ‘P’, non sotto la ‘J’.»
Il bastone ticchetta sopra il pavimento. È un rumore urtante e molesto e l’uomo se ne compiace. «Oh, aspetta!» esordisce mentre con scherno compie un paio di passi verso il mostro – mentre divertito gira attorno alla sua figura «Tu hai già provato a chiedere il suo aiuto. Ma la sua risposta è stata ‘no’. Ozzy, Ozzy, Ozzy… ma che dobbiamo fare con lui?»
Il respiro di Croc si fa più intenso e Jonny afferra la pistola.
Non è un’arma qualunque quella che prende. Un’arma qualsiasi non servirebbe contro Waylon Jones, lo sa bene. Quello che gli punta contro è un lancia razzi – un colpo e arrivederci.
«Andiamo Jonny-Jonny.» Joker lo raggiunge, lo sorpassa e rende nota la sua decisione d’infischiarsene di quel problema.
Non lo riguarda – non se non ci sono pipistrelli con il quale intrattenersi.
Sono quasi usciti dal capanno quando si ferma all’improvviso – quando sadico si volta e ha quello sguardo dipinto sopra il volto. «Dimmi una cosa, Jonsy-boy. Davvero credevi che il Pinguino avrebbe rischiato l’armistizio per te? Tz–tz–tz–tz!» Il suo indice si muove nell’aria e lo fa al ritmo di un chiaro segno di diniego. «Lui vende informazioni, Jonsy. Lui le vende anche al pipistrello… è questo ciò che fa. È questo che gli permette di stare dove sta.»
«Non gli ho detto dove sono» ammette il mostro in un sussurro che di umano non ha nulla.
«Oh, allora le mie scuse, Jonsy!»
Jonny non smette di puntare l’arma – non smette di farlo neppure quando le risate del suo capo sovrastano i lamenti di quella sottospecie di coccodrillo. Non riesce a comprendere il perché lo abbia fatto, perché si sia preso lo scomodo compito d’informare il Pinguino sull’ubicazione segreta del mostro.
Vorrebbe chiederlo.
Vorrebbe farlo, ma il Joker è il Joker e anticipa ogni suo pensiero.
«Questa storia mi aveva stancato» esordisce prima di salire sulla propria auto – la brezza che spira dal mare gli sfiora i capelli, assottiglia lo sguardo e per un attimo si concede solo il silenzio. «Lo sai che cosa non sopporto, Jonny-Jonny?» domanda all’improvviso.
«Un sacco di cose?»
«Si e no! Quello che non sopporto, Jonny-Jonny, è depredare e saccheggiare senza che lui arrivi… detesto giocare da solo, Jonny-Jonny! Meglio eliminarla la concorrenza!»
Ridacchia mentre il motore della Lamborghini si accende. Jonny lo osserva e in quel breve istante sospeso ha come l’impressione che qualcosa di particolarmente orribile si stia movendo dentro alla sua testa.
«Ma che deve fare un pover uomo per avere la sua attenzione? Eh, Jonny?»
«Non saprei, boss.»
«Forse c’è bisogno di una ventata d’aria fresca. Forse devo trovarmi un nuovo lavoro, Jonny. Un nuovo lavoro preferito…»
Jonny annuisce.
«Si?» chiede accondiscendente «E quale sarebbe?»
«Oh, bè, uccidere Robin, per esempio!»
 
Aveva sorriso a quella confessione.
Jonny aveva scosso la testa e poi l’aveva reclinata con approvazione…
 
Lo fa di nuovo, questa volta nel presente. Ma il signor J non grida, non lancia sentenze e non spara proiettili a casaccio. L’unica cosa che si concede è di allargare le labbra in un sorriso complice – lo fa e lo fa solo per lei.
«Esatto, tesoro!» esclama all’improvviso. E Harley sale sul bancone, lui si avvicina e apre le braccia per accogliere il suo corpo che avido si avvinghia al suo.
Jonny non lo ha mai visto così.
Jonny lo ha visto in molti modi e maniere, con maschere più o meno sarcastiche, con intenzioni solo falsamente lusinghiere, ma mai avrebbe pensato che un qualcosa di così terreno potesse in qualche modo interessarlo – se non consideriamo ovviamente il pipistrello.
Harley saltella vicino a lui, lo abbraccia, lo guarda come se Joker fosse l’unico uomo sulla terra. E lui ricambia quello sguardo. È silenzioso quando lo fa, le sue labbra si schiudono e l’espressione che assume sembra provenire direttamente dall’inferno – da quello spazio dimenticato in cui le anime vagano espiando il loro peccato.
Jonny li osserva in quel particolare momento. Annuisce lievemente, in un modo quasi impercettibile, perché lei è viva grazie a lui – grazie a lui che tortura e uccide, grazie a lui che adora l’istante in cui una vita finisce.
È sempre stato così per il signor J. Non ci sono mai stati legami che gli impedissero di trarre piacere dalla morte altrui, neppure nel caso specifico di una persona che poteva tranquillamente considerarsi alla stregua di un amico. Jonny lo sa bene. Ha vissuto fin troppe situazioni al limite, lo ha fatto al suo fianco, e ogni volta ha dovuto cavarsela con le sue forze – con le sue uniche forze.
C’era stato un episodio nello specifico, uno in cui si erano trovati nel bel mezzo di una sparatoria. E lui era stato colpito – eccome se era stato colpito. Un proiettile aveva trapassato la sua gamba destra mancando miracolosamente l’arteria femorale. Ma il sangue era uscito fuori a fiotti nonostante quella sfortuna sventata. Era schizzato ovunque, persino sul volto contrito del suo capo.
Joker era rimasto immobile quella volta. Era rimasto fermo, accovacciato e serio per circa una manciata di secondi. Poi era scoppiato a ridere e non aveva fatto altro per tutto il tempo. Aveva sparato e mitragliato punti senza alcun senso. La banda aveva fatto il resto e mentre i corpi dei rivali si erano accasciati al suolo uno dopo l’altro, il clown aveva lasciato il suo riparo alla ricerca di un altro finale.
Batman.
Era sempre lui che cercava.
«Ci vediamo a casa, Jonny-Jonny» gli aveva detto ridacchiante «Che ne dici, vecchio mio? Ci vedremo si? Oppure ci vedremo no?» E lui aveva strizzato gli occhi davanti all’ennesima gag ben riuscita – aveva tamponato il foro nella sua carne martoriata con una mano, con l’altra aveva continuato a sparare, mentre vampate di calore e brividi di freddo si erano alternati dentro al suo corpo in un modo che avrebbe giurato non fosse troppo dissimile dalla follia più pura.
Prima o poi lo avrebbe fatto anche con lei, con la sua creatura, con la sua Harley Quinn.
Ci sarebbe stato un momento speciale e specifico per J – una frattura nel tempo, l’avrebbe definita – un’euforia troppo sopra le righe che lo avrebbe portato a commettere lo stesso errore anche con lei.
Jonny si chiede quando sarà quel momento, si chiede se lei sopravvivrà come ha saputo fare lui, se riuscirà a tornare a casa e nello sfortunato caso in cui ciò non accadesse, si chiede cosa ne sarà di tutti loro e delle loro misere esistenze.
Ma il Joker non è uno sprovveduto, non lo è mai stato, e se c’è una cosa che Jonny gli ha sempre riconosciuto è proprio il fatto di conoscere se stesso. Lui sa che sbaglierà, sa che succederà, lo sa esattamente come sa che non lo ammetterà mai con nessuno, forse neppure con quella stupida voce riflessa dentro alla sua testa, che un attimo prima gli sussurra sia lecito, che un attimo dopo lo rimprovera che così non possa essere.
Per questo ha preso precauzioni.
Joker lo ha fatto dopo qualche giorno dalla metaforica morte della dottoressa Quinzel.
Era un giorno come tanti altri a Gotham e come tante altre volte Jonny stava passeggiando per casa alla ricerca dei suoi preziosissimi occhiali da sole.
Non che gli servissero quel pomeriggio, perché pioveva, lo ricorda più che bene.
Lo ricorda come se fosse solo ieri…
 
L’appartamento è avvolto dal silenzio – solo il ronzio degli elettrodomestici fa da colonna sonora a quella che dovrebbe essere la sua vita.
Jonny cammina lentamente. È indeciso. Non sa se i suoi adorati occhiali siano rimasti giù nell’armeria, oppure più semplicemente in chissà quale altro punto della casa.
Stringe il bicchiere nelle mano prima di gettare lo sguardo oltre il vetro della finestra, prima di posarlo sul liquido all’interno di quello stesso bicchiere.
È presto per bere, lo sa anche da solo. Eppure – come ama ricordargli J – non serve davvero un buon motivo per farlo, non serve avere motivi per fare ciò che si fa. I motivi sono solo ragioni, sono le stesse scusanti con cui convinciamo noi stessi ad agire. Joker glie lo aveva confidato una sera, tra un sorso di liquore e una risata, proprio di fronte al camino della loro sala.
Adesso è chiuso nella sua stanza. È con lei, con quella che ha ribattezzato con il nome di Harley Quinn. Sono ore che non escono da lì e questo per le persone normali vuol dire una cosa e una soltanto: sesso selvaggio.
Jonny abbozza un mezzo sorriso a quel pensiero, perché loro sono un sacco di cose, ma di sicuro normali non lo sono proprio per niente.
Prende l’ennesimo sorso prima di proseguire la sua esasperante ricerca. Poi i suoi passi lo conducono vicino a quella che è la loro stanza. E ricordare diventa un flash lampante dentro al suo cervello.
Ecco dove sono o dove potrebbero essere i suoi occhiali.
Jonny fissa la porta della camera di J. È semi aperta e una parte di lui sa che c’è una probabilità particolarmente elevata che le sue preziose lenti scure siano lì. L’altra parte invece prega che così non sia: non è particolarmente curioso di vedere o di sapere quale sia il loro attuale passatempo.
Scuote la testa il migliore amico del boss – l’unico amico, il resto li ha allegramente trucidati prima ancora che potessero vantarsi di definirsi tali. Vorrebbe alzare i tacchi, vorrebbe indietreggiare e non ficcare il proprio naso. Poi è un istante, sono figure che compaiono nel suo spettro visivo grazie a quella stramaledetta porta socchiusa – è la voce di lui che echeggia sommessa, che lo fa come se un pugnale gli si fosse malamente conficcato nella gola.
Nella penombra Jonny non può fare a meno di sbirciare…
 
«Dimmi…» Il clown alza il mento, sibila quella parola cercando di scrutare ogni minima espressione sul volto della donna e lei è seduta sopra al pavimento – lei è ai suoi piedi.
Pende dalle sue labbra la piccola Harley. Respira quasi affannosa e le sue pupille sembrano come impazzite, a tratti sembrano non riuscire a seguirne i movimenti. Ma lui è immobile – è fermo come Jonny crede di non averlo mai visto prima di quel momento.
«Dimmi» ripete canzonando se stesso «Che cosa faresti se un giorno tu fossi lontana da me?»
«Se la mia anima fosse lontana dalla tua?»
«Si…» Joker strascica quel monosillabo, mugola un qualcosa che potrebbe trapelare una qual certa approvazione. Ma niente è sicuro in quella mente, Jonny lo sa. Jonny continua a respirare attento, continua a farlo nella penombra – il bicchiere è ormai vuoto dentro alla sua mano, le labbra sono secche e lui neppure se ne accorge.
«Tornerei da te, puddin.»
La risposta di Harley si fa spazio tra loro, echeggia nell’etere e risuona come fosse il frammento solitario di ciò che resta di una vaga speranza.
È quello il suo tono.
È quello ciò che vuole. Lei vuole tornare, lei vuole lui, ma anche quello Jonny lo sa bene, lo ha capito fin dal principio, fin dalla prima volta in cui il suo sguardo si è incrociato con il suo – quando ancora erano preda e cacciatore, quando ancora l’ordine era solo quello d’immobilizzarla. E per la prima volta, Jonny-Jonny non lo sa.
I suoi occhi scivolano sul volto del clown. Può vederne una piccola parte eppure basta e avanza per insinuare il dubbio dentro la sua testa.
È quello ciò che lui vuole?
Si e no, probabilmente, è la risposta.
«Vieni da papino!»
Sorride mentre pronuncia con enfasi quel marchio di possesso. Lascia che lei si avvinghi al suo corpo e gode di quel contatto – il volto si strofina al suo proprio come farebbe un gatto col padrone. Lui ricambia. Poi improvvisamente l’allontana.
«Dimmi» scandisce serio «che cosa faresti se qualcuno o qualcosa t’impedisse di tornare?»
«Aspetterei» risponde con una sicurezza che Jonny non è certo lui possa gradire.
«E aspetteresti che cosa, di grazia?»
Il tono è cupo questa volta. È basso e porta con sé l’impronta di una minaccia che non sembra in nessun modo spaventarla.
«Aspetterei il mio puddin» ammette in un sussurro.
E nella sua testa comincia la battaglia, perché Harley si è permessa di sfidarlo. Lo ha fatto in quel suo modo frivolo e leggero – quello che non sembra né intenzionale né razionale. Ma volente o nolente ha insinuato che per qualche bizzarra ragione – se lei fosse lontana – lui andrebbe a cercarla. E questo J non può accettarlo – lo sa Jonny e quant’è vero che si chiama Frost, lo sa persino lei…
«Oh, Harley-Harley… il tuo cervellino deve aver preso un abbaglio! Deve averlo fatto, sì!»
Dalla fessura, Jonny può vedere il Joker passare una mano tra i capelli.
Sono guai quando fa – potrebbe scommetterci quanto di più caro possiede a questo mondo. Ma non perderebbe nulla il caro, vecchio Jonny – nulla che non abbia già perduto.
«Vuoi punirmi, puddin?»
«Non chiamarmi puddin.»
Il Joker grugnisce. Si volta a cercare il suo volto e solo dopo averlo trovato si rilassa. Poi esala un monosillabo di assenso e il suo respiro si fa intenso.
Nell’oscurità Jonny non si muove.
Nel buio deglutisce a malapena…
 
L’uomo deglutisce, scuote la testa e cerca di allontanare il ricordo delle loro voci.
Harley lo avrebbe atteso per sempre – Jonny riflette su quel piccolo ed insignificante particolare, pensa a quel “tutto” mentre attonito segue le sue gesta.
Joker glie lo ha fatto promettere. Lo ha fatto quel giorno, lo ha fatto tra una punizione, un ansito e una carezza…
 
«Oh, Harley Quinn… potresti aspettare per tutta una vita, lo sai?»
«Lo so.»
«E lo faresti per… me?»
«Lo farei. Per te.»
I suoi occhi si erano posati su di lui – Jonny non aveva potuto vederlo, ma l’eco di quelle parole lo aveva raggiunto e questo era stato più che sufficiente perché lo immaginasse. Poi erano arrivati i sospiri, rauchi e pesanti. E lui si era fermato per l’ennesima volta – si era bloccato in fondo a quel maledetto corridoio che pareva non avere mai fine.
Era in quel momento che era successo quello che era successo.
Era in quel preciso istante che aveva scelto di tornare indietro.
Così, c’era stato solo un breve attimo, un flash, un’immagine, due corpi chiusi in una stanza.
 Harley era in piedi quella volta – il signor J in lacrime ai suoi piedi.
 
Jonny strizza le palpebre, respira lento e svuota la mente; non ha mai preteso di capire, non gli è mai importato. Ma niente nella sua vita fu mai stato più chiaro.
 
Le sirene ululano a Gotham. Lo fanno persino in quel momento. Lo fanno persino quando la neve inizia a cadere – quando il frastuono di un vetro in frantumi si abbatte su loro.
Jonny estrae la pistola, guarda in alto mentre quella miriade di cocci infranti piomba su di loro – mentre un mantello scuro cala inesorabile sulle loro teste.
«Oh, Batsy… ma che premuroso da parte tua passare da queste parti.» Il Joker allarga le braccia, sorride ed è soddisfatto come fosse già Natale – intorno a lui gli uomini si accasciano come mosche putrefatte: qualcuno viene colpito da qualche stupido bat-balocco, qualcun altro si scaglia contro il vigilante e certamente non resta in piedi troppo a lungo per poterlo raccontare.
«È ora di finirla, Joker.»
«Costringimi!»
Harley si unisce al riso del suo amante prima di attaccare e Jonny osserva le sue mosse eleganti, letali e raffinate. Segue le sue morbide gambe attorcigliarsi al collo del crociato –lei lo colpisce, lo fa con foga e il signor J prova ad assestare un paio di colpi d’arma da fuoco che sfortunatamente si perdono nel niente.
L’uomo grugnisce all’ennesimo tentativo fallito, porta il pollice e l’indice sulla fronte e cerca di non perdere quella che pare essere diventata l’ultima briciola della sua pazienza.
«Harley? Harley?» grida riluttante all’improvviso «Se non state fermi non riesco a colpirvi! È troppo difficile da capire?»
Quando ciò che è rimasto della cupola finisce d’implodere sui loro corpi, Jonny comprende quanto sia irrimandabile l’abbandono del campo di battaglia.
«Abbiamo un problema, capo» scandisce con voce modulata mentre entrambi alzano lo sguardo.
«Uhhh, signori e signore, diamo tutti un caloroso benvenuto a Robin: primo episodio!»
C’è rabbia nei suoi occhi.
C’è un alone di rancore che si bagna a malapena con un pianto senza suono. Jonny può vederlo, riesce a percepirlo nel preciso istante in cui l’uomo sferra il primo attacco verso il suo capo. Ma il signor J rimane immobile – sogghigna e quasi fremente aspetta che il pugno lo colpisca in pieno volto. «Oh…» sussurra neppure troppo dolorante prima di tornare di nuovo a guardarlo «Ho colpito Jason molto più forte di così, lo sai, vero?»
Nightwing – o Robin: parte prima, come J ama definirlo – chiude entrambe le mani in un atto che parla di dolore. Jonny riesce a scorgere l’espressione beata e soddisfatta che si accende negli occhi del suo capo – in quelli di Harley che tra un colpo di pistola e un calcio è riuscita a voltarsi verso di loro per suggellare lo spirito di quella gag bene assestata. Il resto si esprime attraverso la folle risata che il suo amante non è riuscito a trattenere – nella sua rapida ricerca di una degna conclusione da manuale.
«Gente di Gotham!» intona con sarcasmo nello stesso istante in cui le sue dita guantate si stringono attorno al metallo scuro di una granata «Vi informo che mediante la propagazione di schegge metalliche, sto per arrecarvi gravi danni fisici e spero anche mentali!»
Jonny si guarda intorno, sospira e alzando la pistola il suo sguardo si assottiglia: circa un secondo più tardi il boato di uno sparo precede l’innesco dell’impianto azionante l’anti incendio – gli irrigatori sul soffitto si accendono quasi all’improvviso, la luce principale scompare e al suo posto non resta che un bagliore appena soffuso.
«Ognuno pensi a sé!» grida euforico il clown tra un singulto e l’altro. Poi la spoletta cade a terra e di loro non resta che il fumo e una manciata di niente.
 
Le sirene ululano a Gotham. Continuano a farlo anche in quel momento – anche dopo molte ore dalla loro fuga.
Jonny ha guidato. È salito sulla sua auto e solo dopo un paio d’isolati si è reso conto di avere persino acceso l’autoradio – la mezzanotte è scoccata con l’augurio di un sereno Natale, con le voci radiofoniche di Lia Briggs e Linda Park, proprio nell’esatto istante in cui lui ha posteggiato.
La Lamborghini è già al suo posto quando agganciando la giaccia si dirige verso l’ingresso del palazzo – di Harley Quinn non c’è nessuna traccia, Jonny può capirlo dal passo pesante e fremente del suo capo, da quell’unico suono che lo accoglie quando varca la soglia di ciò che chiama casa.
Il signor J non preferisce parola. Non emette neanche un fiato mentre nervoso cammina su e giù per la sua stanza. Le luci colorate appese alle pareti illuminano ogni tratto asserito del suo volto, lo fanno quanto basta da minare quello che di fatto risulta essere il suo già precario autocontrollo.
È stata lei a pretenderle.
È stata lei a convincerlo ad uscire per l’assurdo desiderio di un fottuto regalo di natale.
E adesso è solo lei a mancare.
Jonny resta fuori dalla stanza. Lo fa senza alcun pensiero né rimorso. Lo fa perché se c’è una cosa che ha imparato a fare bene – dopo tutti quegli anni passati insieme – è certamente quella di saper valutare quando la sua preziosa presenza non è in nessun modo richiesta. Esattamente come in quel momento. Proprio come in quell’attimo in cui il clown è intendo a sorseggiare quello che ha tutta l’aria di essere un vino pregiato.
Cammina il signor J, farfuglia un qualcosa di non troppo definito e nella mani tiene salda la pistola – il bicchiere è sopra il tavolo vicino.
Sta per chiamarlo. Jonny ne è certo come lo è del fatto che tra non molto inizierà a sparare contro quelle stupide luci di natale. Poi qualcosa succede. Poi è il rumore di una porta che si chiude.
«Buon Natale, gente! Qua fuori fa un freddo!»
Harley scuote le braccia e d’istinto porta le dita a sistemare una ciocca di capelli. Si avvicina prima lentamente e poi completamente, lo abbraccia e con assoluta dolcezza posa le labbra sopra la sua guancia. «Auguri, Jonny-Jonny» sussurra quasi tenera prima che il signor J richiami tutta la sua attenzione.
«Appena in tempo, tesoro. Ancora qualche minuto e avrei sparato al tuo regalo. Giuro!»
Il caricatore s’inserisce con uno scatto che non le suscita niente se non euforia e l’inizio di un sorriso.
«Per me?» chiede maliziosa entrando nella stanza.
Jonny osserva la donna sparire oltre la soglia e annuisce al nulla prima di decidere di allontanarsi a sua volta.
Non avrebbe mai creduto che J fosse quel tipo di uomo, o forse più semplicemente che solo provasse ad esserlo. E non c’entrano quasi per niente quelle cose schifose che a volte riesce a fare ai cuccioli di gatto o cane. Nossignore, quelle sono altre storie e Jonny cerca invano di scacciarle dai pensieri mentre assorto riflette su cosa potrebbe mai esserne di quel regalo che con così tanta premura si è procurato – di quel cucciolo di iena che ha fatto sottrarre dallo zoo, di quello che ha fatto solo per accontentare lei.
 
 

 

Note:
 
  •    La storia di Killer Croc mi è venuta in mente pensando a quello che dice lui stesso in Suicide Squad, ovvero che stava cercando un rifugio sicuro da Batman… ma che non lo ha trovato.
  •   Il nuovo lavoro preferito a cui allude J, ovvero uccidere Robin, si ricollega sia a Batman V Superman che a Suicide Squad e prende spunto dal famoso dialogo Joker/Maschera Nera che avviene nel fumetto Crimini di Guerra.
  •      Il secondo flash con protagonisti Harley e Joker prende spunto invece da uno dei tatuaggi di Harley, nello specifico quello che dice “I’ll wait forever”.
  •  Quando Joker pronuncia la frase: “Ho colpito Jason molto più forte di così” è un omaggio che ho voluto fare al fumetto da cui proviene la suddetta, Joker: L’ultima risata. Per chi non ne fosse a conoscenza specifico che Jason Todd è il secondo Robin, lo stesso Robin che nel fumetto Una morte in famiglia muore per mano del Joker, e quindi – presumibilmente – è il Robin morto a cui si allude sia in BvS che in SS. Il primo – sempre per chi non lo sapesse – è invece Dick Grayson che abbandonate le vesti di Robin si fa chiamare Nightwing.
  •   Nel finale il regalo del Joker è un cucciolo di iena. Questo è un omaggio alle iene che lui e Harley possiedono nella serie animata, Bud e Lou, ricordate? Qui nella storia ho deciso di introdurne solo una. Non chiedetemi il motivo, mi sembrava solo più plausibile! Curiosità: riguardo al pensiero finale di Jonny su cosa il signor J faccia di tanto spregevole ai cuccioli di gatto o cane (e per questo stranito dal regalo che ha deciso di fare ad Harley) beh, è di fatto una cosa che ammette lo stesso J nel fumetto Joker: L'ultima Risata. Quelle da me usate sono le sue medesime parole.
  • Lia Briggs e Linda Park sono davvero due conduttrici radiofoniche e sono citate in alcuni fumetti. Tommy Bang Bang, invece, appare in Joker di Azzarello e viene realmente ucciso da Mister J per una questione di "parti" (ovviamente si parla di soldi) che a J non piace/torna proprio per niente! Omaggio al Joker di Azzarello è anche la scena in cui Jonny vede il Joker ai piedi di Harley Quinn.
  • L'immagine qui sotto è stata partorita dalla sottoscritta appositamente per la shot.


Harley e J

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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