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Autore: J o k e r_    26/12/2016    3 recensioni
[AU][Viktuuri][Yuuri!Pianista, Viktor!Violinista][Rating a salire]
"Continuava a ripensare alla chiamata che aveva ricevuto, qualche giorno prima, dal suo migliore amico, Pichit Chulanont. Avevano parlato per un'ora buona del più e del meno, dopotutto erano già passati due anni dall'ultima volta che si erano visti, e poi dal nulla era venuta fuori la fatidica domanda.
"Suoni ancora, vero?"
No, avrebbe dovuto rispondergli, il concerto dell'anno scorso è stato un tale disastro che ho deciso di abbandonare definitivamente la mia carriera da pianista, e invece aveva asserito, dicendogli che sì, suonava ancora, quando in realtà non toccava da mesi il suo pianoforte.
Il padre di Pichit, che era il proprietario di un'importante catena di ristoranti in Thailandia, era stato infatti contattato da un suo collega francese, imprenditore, e che aveva organizzato una serata di beneficenza, per cui aveva ingaggiato diversi musicisti.
Ovviamente il ragazzo non aveva minimamente esitato a chiedere al padre se l'imprenditore stesse cercando anche un pianista, ed era stato proprio così che il suo nome era venuto fuori. E Yuuri aveva accettato."
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Un po' tutti, Victor Nikiforov, Yuuri Katsuki
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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I. Allegro moderato




Un sospiro sfuggì alle sue labbra.
Da più di un'ora si rigirava tra le coperte del letto, cercando di dormire, o almeno trovare la calma e la tranquillità necessarie per farlo.
Tuttavia, una parte della sua mente continuava a ripensare a tutto quello che era successo e lo metteva in agitazione, nonostante la stanchezza.
Voleva disperatamente dormire.
Sbuffò, improvvisamente accaldato; rigirò il cuscino, calciò le lenzuola coi piedi. Poi però sentì nuovamente freddo e si allungò verso le coperte per coprirsi.
Continuava a ripensare alla chiamata che aveva ricevuto, qualche giorno prima, dal suo migliore amico, Pichit Chulanont. Persino ricordare il tono euforico con cui l'aveva salutato dall'altro capo del telefono era capace di agitarlo.
Avevano parlato per un'ora buona del più e del meno, dopotutto erano già passati due anni dall'ultima volta che si erano visti, e poi dal nulla era venuta fuori la fatidica domanda.
"Suoni ancora, vero?"
No, avrebbe dovuto rispondergli, il concerto dell'anno scorso è stato un tale disastro che ho deciso di abbandonare definitivamente la mia carriera da pianista, e invece aveva asserito, dicendogli che sì, suonava ancora, quando in realtà non toccava da mesi il suo pianoforte.
Il padre di Pichit, che era il proprietario di un'importante catena di ristoranti in Thailandia, era stato infatti contattato da un suo collega francese, imprenditore, e che aveva organizzato una serata di beneficenza, per cui aveva ingaggiato diversi musicisti.
Ovviamente il ragazzo non aveva minimamente esitato a chiedere al padre se l'imprenditore stesse cercando anche un pianista, ed era stato proprio così che il suo nome era venuto fuori. E Yuuri aveva accettato: forse lo aveva convinto la paga, forse voleva tornare sotto i riflettori di nuovo.
Ma in realtà gli mancava terribilmente suonare il piano. Quale occasione migliore di riprendere un po' di confidenza con quello strumento?
Il pianoforte era la sua vita.
Aveva all'incirca dieci anni quando per la prima volta mise le mani su una tastiera, dodici quando partecipò al suo primo concerto - nulla di particolare, semplicemente lo spettacolo di fine anno organizzato dalla sua scuola -. A diciotto anni si trasferì a Detroit, in America, sperando di acquistare un po' di fama.
Fu in quell'occasione che i due si conobbero: Pichit cercava un coinquilino per dividere l'affitto dell'appartamento che abitava, mentre Yuuri cercava un alloggio.
Nacque da subito una bellissima amicizia tra di loro, il ragazzo divenne uno degli amici più cari che il giapponese avesse. Ed era anche l'unico a sapere che Yuuri fosse gay.
Ricordò con un sorriso la sera in cui aveva fatto la fatidica confessione. Pichit si era limitato a rispondergli "Uhm, okay" e a sorridergli in modo complice, lasciandolo basito; notando la sua perplessità, l'altro era scoppiato in una risata e aveva aggiunto "Ma dai, Yuuri, ti ho presentato due ragazze e ti sei praticamente rifiutato di parlare con entrambe, e poi ho trovato alcuni dei tuoi poster di Viktor..."
Viktor Nikiforov.
Semplicemente il più grande, strepitoso, talentuoso, spettacolare violinista degli ultimi cinquant'anni.  La sua grande cotta adolescenziale - non che le cose fossero tanto cambiate, lo adorava ancora -.
L'aveva sentito suonare per la prima volta in tv, in occasione di un evento sportivo: la cerimonia d'apertura era stata infatti affidata a un'orchestra di ragazzini, e infine era stata lasciata una parte da solista proprio a Viktor, che all'epoca aveva quattordici anni.
Era cominciato tutto con della semplice ammirazione, ma col passare degli anni Viktor era cresciuto e anche molto bene. Raggiunti i diciotto anni, il bel violinista russo era diventato un vero e proprio sex symbol.
Aveva preso a seguire ogni suo concerto in streaming, qualora fosse possibile, acquistato ogni suo cd, ascoltato ogni suo album.
E, nonostante lo imbarazzasse ammetterlo, la sua camera era tappezzata di poster di Viktor.
Si rigirò di nuovo nel letto, sbuffò ancora.
Basta pensare, lui doveva dormire.
L'indomani lo attendeva una serata importante ed era più che deciso ad esibirsi al meglio.
La chiamata di Pichit era stata così improvvisa che non aveva provato o composto nulla di particolare, per cui aveva portato con sé una serie di spartiti. Per non parlare del fatto che erano mesi che non suonava.
Si arrese all'idea di assopirsi e abbandonò il letto.
Se prima aveva pensato che i brani che aveva scelto potessero andar bene ora non ne era più tanto sicuro, complice la mancata pratica in tutto quel tempo.
Avesse avuto una tastiera, anche piccina, con sé, avrebbe potuto impiegare la serata a fare qualche prova.
Doveva sicuramente esserci un pianoforte, però, nel ristorante dell'albergo probabilmente, ma dubitava che la sala fosse ancora aperta a quell'ora.
Magari poteva trovare un compromesso col portiere e... Ma chi voleva prendere in giro? Non avrebbero mai aperto per lui il salone.
Fare un tentativo però non costava nulla, no?
Si spogliò del suo pigiama, e una volta rimasto in boxer aprì il suo unico bagaglio per tirarne fuori qualche vestito decente.
Non ci pensò neanche due volte a prendere gli spartiti e lasciare la camera. Impiegò solo pochi minuti per percorrere il corridoio del piano, scendere le scale e infine ritrovarsi nella hall.
Dietro il bancone, sembrava attenderlo un portiere dall'espressione scocciata, apparentemente intento a guardare qualcosa sul suo cellulare.
Quando Yuuri gli si avvicinò, distolse lo sguardo dallo schermo e rivolse a lui tutta la sua attenzione.
«Posso aiutarla?» gli domandò in francese, ma formulò nuovamente la domanda in inglese quando vide lo sguardo perplesso di Yuuri.
«Uh, in verità sì. Vede, sono uno dei musicisti chiamati per suonare domani e mi chiedevo se fosse possibile... uhm... vedere il pianoforte.» gli rispose.
Scrutò il volto dell'ometto per quella che gli sembrò un'infinità di tempo, cercando un qualche cenno che potesse aiutarlo a comprendere la risposta che gli avrebbe dato.
«Temo di non poter fare nulla per aiutarla, sono spiacente. È tardi, il ristorante è chiuso e non possiamo assolutamente svegliare gli ospiti.»
Sospirò, rassegnato.
L'evento di domani sarebbe stato un disastro, o quantomeno la sua esibizione.
«Capisco, grazie comunqu-»
«Il ragazzo sta con me, ho l'autorizzazione del proprietario per utilizzare la sala per provare.»
Un inglese con un forte accento russo risuonò nella hall.
Yuuri si voltò istantaneamente verso il proprietario di quella voce. Sgranò gli occhi e si aggrappò al bancone della hall, improvvisamente insicuro che le sue ginocchia fossero ancora capaci di reggerlo.
Un uomo alto, splendidi occhi azzurri e capelli del colore dell'argento più puro: Viktor Nikiforov era dietro di lui, e nella mano destra teneva la custodia del suo violino.
Si sentì mancare l'aria, forse aveva addirittura smesso di respirare.
No, no Yuuri, riprendi a respirare, l'ossigeno ti serve. Non puoi morire, sei ancora troppo giovane.
«Signor Nikiforov mi spiace ma, come ho già detto al suo collega, il signor... Come si chiama?»
Ignorò completamente la domanda del custode.
Era troppo impegnato a realizzare la presenza di Viktor.
Lui e Viktor. A circa due metri di distanza. Un dio greco-russo che per qualche strana ragione adesso si trovava con lui nella stessa stanza.
Inevitabilmente accarezzò con lo sguardo tutta la sua figura, cercando di memorizzare quanti più particolari possibili, quasi avesse paura che da un momento all'altro Viktor potesse sparire per magia.
L'attillato maglioncino bordeaux che indossava metteva in risalto il suo fisico slanciato, la curva perfetta dei pettorali e...
«Signore? Il suo nome?»
Giusto.
Il portiere. C'era anche lui.
«Uh, sì, Yuuri. Yuuri Katsuki.»
«Giapponese, eh?»
Viktor gli stava rivolgendo la parola. Gli stava parlando, addirittura sorridendo.
Dio misericordioso.
«Dicevo, come ho già detto al signor Katsuki, la sala ristorante è chiusa. Non posso aprirla.»
«E come le ho detto io, invece, ho il permesso del proprietario, che è un amico di vecchia data. Vuole chiamarlo per chiedergli conferma? Non c'è problema! Mi dia un attimo, cerco il numero...»
Il russo tirò fuori dalla tasca dei pantaloni neri che indossava il suo cellulare e cominciò a digitare qualcosa.
Se la stragrande maggioranza del suo cervello era impegnata ad ammirare Viktor, un'altra parte, più piccola, si stava rimproverando per quel casino.
Tuttavia, la vista del bell'uomo che armeggiava col suo telefonino fu abbastanza da convincere il povero receptionist a ritirare immediatamente tutto quello che aveva detto.
Dopotutto non c'erano camere vicino al ristorante, non li avrebbe sentiti nessuno e soprattutto non era il caso di disturbare il proprietario per una sciocchezza del genere.
Lasciò quindi il bancone per accompagnarli.
In ascensore, Yuuri cominciò ad agitarsi, sentendo su di sé lo sguardo dell'altro musicista, e non riuscì a fare a meno di sentirsi ridicolo coi suoi jeans, le vecchie scarpe da ginnastica, la maglia dei Queen che suo padre gli aveva comprato quattro anni fa e la felpa lasciata aperta.
Doveva sembrargli uno stupido.
Arrossì, e forse Viktor doveva essersene accorto perché, quando lo guardò di sfuggita, stava sorridendo.
Il viaggio sembrava non terminare mai. Il suo cuore - che, solo in quel momento se ne accorse, stava battendo pericolosamente - si calmò solo quando il portiere esordì con un «Eccoci qui. Un'ora sola, non di più», e poi fu questione di attimi prima che rimanessero soli.
Un'ora sarebbe bastata.
Si prese un attimo solo per distogliere lo sguardo da Viktor e guardare il ristorante: il pavimento di marmo nero e le pareti rosse conferivano all'ambiente un'atmosfera piuttosto accogliente, e ovunque ci si voltasse c'erano quadri d'ogni grandezza e genere.
Ma la sua attenzione fu catturata ben presto solo da una cosa: proprio là, in fondo alla sala, il pavimento era rialzato a formare un piccolo palco.
Là c'era il tanto agognato pianoforte.
Dimentico di tutto quello che lo circondava raggiunse lo strumento, quindi si accomodò sullo sgabello.
Scoprì la tastiera con delicatezza sollevando  prima il telaio, poi la striscia di velluto rosso che la ricopriva, e infine ammirò la lucentezza dei tasti bianchi, le luci dei lampadari che si riflettevano in quelli neri.
Senza pensarci troppo cominciò a suonare la prima cosa che gli venne in mente: il rondò alla turca di Mozart. Un pezzo allegro che gli piaceva molto, le sue dita si mossero sui tasti quasi autonomamente.
Neanche si accorse del sorriso che si formò spontaneamente sulle sue labbra, tanto meno di quando il suono di un violino iniziò ad accompagnare la sua melodia.
Bastò quello a riportarlo alla realtà, si fermò di colpo: Viktor gli stava di fronte, poggiato al fianco del pianoforte. Lo guardava, confuso.
«Perché ti sei fermato?»
«Ah...»
Restò a bocca aperta, senza sapere cosa rispondere.
Una piccola, piccolissima parte del suo cervello doveva ancora elaborare la presenza di Viktor, troppo da processare in qualche istante.
«Forza, ricominciamo daccapo. Ti seguo.» lo incoraggiò l'altro.
Stava ancora afferrando il significato di quelle poche parole, quella voce, ma le sue mani furono più veloci.
Come chiesto da Viktor ricominciò a suonare, e stavolta il violino lo accompagnò da subito.
Si perse totalmente nell'esibizione, lasciandosi trasportare dalla melodia, a malapena si accorse di aver finito qualche minuto più tardi.
E ora? Cosa fare? Sollevare lo sguardo dai tasti avrebbe significato incontrare quello di Viktor, e non era sicuro di riuscire a sostenerlo.
Il suo cuore ricominciò a pulsare, celere.
«Com'è che hai detto che ti chiami?»
Dannazione.
«Yuuri.»
Per l'ansia, cominciò a suonare qualche tasto con la mano destra, ben deciso a non spostare gli occhi da lì.
«Sei bravo, sai?»
«G-Grazie. Anche tu sei, uhm, molto bravo.»
Non resistette e lo guardò.
Il sorriso che il violinista gli rivolse rischiò di mandarlo in tachicardia, ma Yuuri tenne duro e si aggrappò ai tasti del pianoforte.
Nel farlo, gli sfuggì un accordo.
Gli occhi di Viktor si illuminarono per un istante, come se quelle note gli avessero dato un'idea.
«Otlichno! "Il fantasma dell'opera", uh?»
«Eh?»
Era confuso, ma quando il russo prese a suonare l'Overture lo seguì immediatamente.
Conosceva le note e così anche il musical, che aveva avuto modo di vedere un paio di anni prima, e la bellezza delle canzoni lo aveva da subito colpito, per cui aveva imparato a suonarle tutte. Ma Viktor non si fermò lì, nossignore. Terminata quella, passò a All I ask of you.
Ricordava quel brano: subito dopo l'ennesimo omicidio del Fantasma, il visconte di Chagny la canta alla protagonista, Christine, nel tentativo di rassicurarla, e subito dopo i due si scambiano il loro primo bacio. Si tratta di una canzone d'amore, dopotutto.
E ancora proseguirono con The point of no return, un duetto tra il Fantasma e Christine: un pezzo molto più sensuale, erotico, l'esatto opposto di quanto avevano suonato prima. 
Per tutta l'esecuzione, Viktor alternò sorrisi a espressioni di pura estasi e Dio, avrebbe fatto qualsiasi cosa per poter ammirare ancora una volta i suoi occhi chiudersi, le sue labbra incurvarsi e vederlo sospirare mentre suonava, completamente rapito dalla musica.
Quando finirono, l'altro sembrò davvero soddisfatto.
«Wow!» esordì, e Yuuri sentì le sue guance tingersi di un leggero rosso.
Ancora non riusciva a crederci.
Suonare con un bravo violinista è spettacolare, ma suonare con Viktor Nikiforov... È tutta un'altra storia.
«Ho sempre voluto provare questi brani con un pianoforte ad accompagnarmi, ma conosco pochi pianisti davvero bravi o interessati a fare altro che non siano i soliti classici...»
Non rispose, non sapeva cosa dire. Era un complimento?
Viktor lasciò il violino, posandolo sul ponticello del piano. Gli si avvicinò lentamente, per poi stendersi appena sulla cassa, fino a trovarsi faccia a faccia con lui.
«Dimmi, Yuuri, da quant'è che suoni?»
Persino la sua voce sembrava essere musica.
«Tredici, quasi quattordici.»
«Interessante... conosco persone che suonano questo strumento da più tempo di te e non ci mettono la stessa passione.»
Se possibile, divenne ancora più rosso.
Erano così vicini che poteva vedere le sue lunghe ciglia, le sfumature di azzurro dei suoi occhi.
Bellissimo.
«
Domani suonerai anche tu per la serata di beneficenza?»
Sgranò gli occhi.
«Dannazione!»
Viktor mutò espressione, perplesso.
Improvvisamente colto dal panico, diede uno sguardo al suo orologio da polso: segnava quasi la mezzanotte. A breve sarebbe sicuramente tornato il portiere per cacciarli e lui non aveva ancora provato nulla, per cui cominciò a sfogliare gli spartiti nel disperato tentativo di trovare qualcosa.
Li posò nuovamente: nulla di quello che aveva portato con sé lo convinceva.
Tutto quel tempo, Viktor lo aveva osservato senza proferir parola, ma fu anche il primo a parlare.
«Qualche problema?»
«Ecco, non ho pensato a nulla da suonare domani.» ammise Yuuri, afflitto. 
«Improvvisa, no?»
Il silenzio che seguì fece ridere il russo.
«Non dirmi che un pianista così bravo come te non è capace di improvvisare qualcosa...»
«Per la verità sono passati mesi dall'ultima volta che ho suonato.»
Ci fu un breve periodo di silenzio, prima che Yuuri tornasse a parlare.
«Ma tu perché sei qui? Non hai bisogno di provare, insomma, tu sei...»
L'altro inarcò le sopracciglia, in attesa di cosa avrebbe detto il giapponese.
«Sei Viktor Nikiforov. Sei perfetto.»
Si diede dello stupido per aver detto l'ultima frase ad alta voce.
«Già, tecnicamente non avrei bisogno di provare. Chissà...»
A quel punto si allontanò dal pianoforte. Ripose con calma il violino e l'archetto nella custodia, quindi cominciò a farsi strada tra le sedie.
«Forse volevo solo un po' di compagnia per la notte.» disse, e nel farlo gli sorrise malizioso.
Il suo cuore mancò qualche battito.
Raccolse gli spartiti, richiuse il telaio e a malincuore lasciò il pianoforte e seguì Viktor in ascensore; l'avevano già preso insieme, ma c'era stato anche il portiere con loro, e adesso che erano soli Yuuri si sentiva oltremodo teso.
Domani.
Domani avrebbe suonato davanti a chissà quante persone, Viktor l'avrebbe visto, e lui non aveva la più pallida idea di cosa fare.
Erano quasi arrivati al piano terra quando il maggiore parlò.
«Qualunque cosa deciderai di suonare domani, sono certo che saprai stupirmi, proprio come hai fatto stanotte.»
Yuuri si voltò nella sua direzione, incredulo. Aveva davvero sentito quelle parole?
L'aveva stupito?
Neanche nei suoi sogni più remoti avrebbe immaginato di poter udire davvero da lui qualcosa di simile.
Mai.
Nel frattempo, l'ascensore si era fermato.
La mano di Viktor che si posò sulla sua spalla in una lieve, lievissima carezza lo lasciò immobile, incapace di fare qualsiasi cosa.
«Buonanotte, Yuuri.»
L'occhiolino ammiccante che gli rivolse prima di lasciare l'ascensore fu il coup de grâce.
A stento riusciva a tenersi in piedi quando, ancora scioccato, premette il pulsante segnato dal numero "due", il piano su cui alloggiava.
Sentiva le gambe molli mentre a passi lenti percorreva il corridoio, cercava di aprire la porta della stanza. Le chiavi gli scapparono di mano.
Una volta entrato sentì l'improvviso bisogno di stendersi sul suo letto.
Aveva incontrato Viktor.
Aveva suonato con Viktor e la stessa cosa sarebbe successa anche il giorno dopo.
Sarebbero stati sullo stesso palco, insieme, e come se non bastasse lui l'aveva toccato.
Okay, sì, era stata una pacca sulla spalla e niente di più, ma c'era pur sempre stata la mano di Viktor sulla sua spalla.
Sospirò, frustrato da quella surreale situazione, e afferrò il suo telefono, che per tutto quel tempo era rimasto sul comodino che affiancava il letto.
Sorrise appena quando trovò il contatto che cercava.
"Sei sveglio?"
Aveva ovviamente contattato Pichit.
"Ohi! Sì, sono ancora sveglio. Devi dirmi qualcosa?"
"Ho un sacco di cose da raccontarti."







Note autrice:
Ebbene, eccomi qua, alla fine sono sbarcata anche in questo fandom.
Che dire? Ho adorato Yuuri on Ice ed era da tempo che cercavo ispirazione per una storia su Viktor e Cotoletto, e, anche se un po' tardi, è arrivata.
Cosa porterà Yuuri alla serata di gala? Eh eh eh... sono aperte le scommesse ♥ Quanto agli aggiornamenti, non penso di stabilire nessuna cadenza particolare, cercherò semplicemente di pubblicare quanto prima...
Se qualcuno fosse curioso di sentire il duetto di Viktor e Yuuri, vi lascio qui il link del video a cui mi sono ispirata :) Cliccate qui!
Un grazie a Canf e Nonna Biscotta che mi hanno fatto da Beta per questo primo capitolo, e ringrazio anche tutte quelle che persone che sono arrivate fin qui uwu
Lascerò il rating giallo per il momento, ma non escludo che dopo qualche capitolo possa cambiare e diventare rosso, quindi... niente. Non ho altro da aggiungere, spero solo che questo primo capitolo abbia attirato la vostra attenzione. Inoltre sto cercando di lasciare i personaggi quanto più IC possibili, ma per sicurezza ho preferito mettere anche il tag OOC.
Fatemi sapere cosa pensate della storia, in un messaggio privato o in una breve recensione, sono aperta a consigli e/o critiche! ♥
Ci vediamo al prossimo capitolo!

With love,
Your Joker.

P.S. : ho preferito lasciare la traslitterazione delle parole che Viktor dice in russo. In questo caso, "otlichno" significa "grandioso, magnifico" o almeno così mi ha assicurato Google Translate.
  
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