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Autore: CHAOSevangeline    26/12/2016    1 recensioni
{ Sarumi }
A Saruhiko Fushimi non piaceva il Natale.
Lo detestava.
Misaki, invece, lo aveva sempre amato.
Quell'anno, Misaki era anche il suo fidanzato, nonché suo rinnovato punto debole.
Saruhiko non credeva davvero di poter sopravvivere.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Fushimi Saruhiko, Misaki Yata
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Di come Saruhiko cominciò ad amare il Natale
 



A Saruhiko Fushimi non piaceva il Natale.
Lo detestava.
Che le persone fossero felici e sorridessero perché a Natale si è tutti obbligatoriamente più buoni e allegri lo nauseava: gli sembrava un tentativo ipocrita, forzato e disperato di non essere frustrati.
Per non parlare di tutti gli addobbi e le lucine che, sparsi per la città, gli ricordavano quanto si trovasse nel bel mezzo di quel funesto periodo.
Perché dovevano impazzire tutti in quel modo? Perché se andava in un negozio a fare un acquisto dovevano domandargli se volveva una dannato pacchetto regalo per soli pochi yen in più?
Non voleva una maledetta confezione regalo. Basta fiocchi, lucine, alberelli e bambini che in ogni singolo negozio lo intralciavano additando e urlando alle madri cosa avrebbero voluto ricevere.
Un giorno, mentre era in libreria, una bambina – che l’aveva fissato per cinque minuti buoni prima di parlare – gli aveva fieramente annunciato che Babbo Natale le avrebbe fatto trovare sotto l’albero uno stupendo coniglietto di peluche.
Glielo aveva anche indicato!
Quanto le avrebbe voluto staccare a morsi quel ditino.
L’unico giocattolo che aveva ricevuto lui a Natale era andato in frantumi per colpa di suo padre, che aveva trovato di fondamentale importanza sottolineare quanto gli dispiacesse svelandogli che tanto non era stato Babbo Natale a scomodarsi.
Prima che Saruhiko potesse rivelare anche alla bambina quella scomoda verità, Misaki gli aveva pestato un piede e l’aveva trascinato via.
Saruhiko era una persona alquanto pacata e paziente, a modo suo: aveva un buon autocontrollo e anche se le sue mani gli dicevano di strangolare genitori e figli – e ne sarebbe stato capace –, avrebbe sopportato come ogni anno che quel tragico periodo finisse senza mietere vittime.
Il suo vero problema era Misaki.
Misaki aveva sempre amato il Natale.
Era uno dei soggetti che impazziva e doveva addobbare qualsiasi cosa, compreso se stesso: alle medie, l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze invernali, aveva addirittura indossato un imbarazzante cappello con lucine e tanto di bottone che dava il via ad una musichetta natalizia ogni volta che veniva premuto.
Quando l’ultimo giorno dell’anno Misaki aveva alzato il gomito con il sake, Saruhiko aveva dato fuoco all’infernale copricapo.
Se non altro era sempre riuscito a sfuggire ai tentativi del rosso di fargli fare da aiutante mentre disseminava intorno a sé la magia natalizia: alle medie aveva trascorso il Natale con Misaki solo quando i preparativi erano già stati portati a termine e, nel periodo passato vivendo insieme, avevano avuto modo di pensare a tutto meno che agli addobbi natalizi tra cui l’albero, di cui non disponevano.
Misaki ne aveva sofferto così tanto da inventarne uno di stuzzicadenti, alquanto rinsecchito, sghembo e tetro: l’ombra che proiettava era abbastanza inquietante.
Tuttavia, come ogni volta che qualcosa riguardava strettamente Misaki, Saruhiko si era sforzato di comprendere.
Il ragazzo aveva vissuto a contatto con due fratelli più piccoli, perciò era plausibile che anche dopo essere cresciuto il Natale fosse rimasto parte integrante della sua vita. Poteva anche aver scoperto che non era un vecchio ciccione e vestito di rosso a portare i regali sotto l’albero, ma a ciò era corrisposto diventare uno dei complici che alimentava la convinzione che invece fosse davvero così: metteva a letto presto i fratelli intimando loro di non alzarsi, mangiava i biscotti che lasciavano per lui – e conoscendo Misaki non doveva nemmeno dispiacergli – e aiutava i genitori a disporre i pacchetti per la mattina del venticinque dicembre.
Lo spirito del Natale ormai l’aveva corrotto irreparabilmente.
E poi, dopotutto, Misaki era sempre rimasto un bambino; era ovvio che quella festa gli piacesse.
Peccato che quell’anno fosse anche il suo fidanzato, nonché suo rinnovato punto debole.
Saruhiko non credeva davvero di poter sopravvivere.
*
Misaki aveva fiutato la prima avvisaglia del Natale dieci giorni prima, passando davanti alla vetrina di un negozio dove le commesse stavano stendendo un panno bianco a simulare una distesa innevata.
Era allora che aveva capito che anche quell’anno era giunto il fatidico momento.
Incredibile quanto una persona disorganizzata come lui potesse diventare schematica e calcolatrice in alcune situazioni: aveva già fatto la lista dei regali; sapeva dove, quando e soprattutto quanto avrebbe speso; aveva approvato il menù di sua madre per il cenone della Vigilia e l’albero nel bar dell’Homra era già pronto.
Misaki aveva impiegato più sforzi del normale per incasellare nella sua agenda tutte quelle piccole mansioni di cui si occupava in modo molto più rilassato di solito, il tutto perché aveva un obiettivo ancor più importante: costringere Saruhiko a non odiare quella festività.
Lo conosceva, sapeva che chiedergli di essere felice a Natale e di fare qualcosa come addobbare un abete corrispondeva a provocargli un dolore pari, se non superiore, a sedersi sui suoi occhiali e obbligarlo a rimanere senza per una settimana.
E Misaki non aveva scelto a caso quel paragone, perché si era seduto su quegli occhiali una volta. Sapeva di cosa parlava.
Uno dei pregi di Misaki, che era anche uno dei suoi difetti più grandi, era che spesso si convinceva troppo delle cose. La sua convinzione più grande – insieme all’idea che l’Homra fosse il bar più figo della città e che Mikoto fosse un esempio da seguire – era che spesso Saruhiko rifiutasse senza voler provare per partito preso. Misaki era riuscito qualche volta a fargli cambiare idea, in primo luogo diventando suo amico e facendogli realizzare che anche lui aveva bisogno di qualcuno da chiamare in quel modo nella sua vita. Da quel momento si era montato la testa, convincendosi di avere un po’ troppo potere nelle proprie mani.
Non pretendeva di far aspettare il Natale a Saruhiko con la stessa ansia con cui lo attendeva lui, ma almeno di migliorare la visione che ne aveva.
Da quando le loro divergenze si erano appianate e avevano ufficializzato quella sudata relazione, Misaki andava e veniva nell’appartamento del fidanzato come se nulla fosse. All’altro non dispiaceva affatto, anzi: entrare in casa e scoprire che sul divano c’era Misaki e in cucina la cena pronta era alquanto piacevole.
Vederlo sul pavimento del salotto, le caviglie pericolosamente costrette da un cavo verde infinitamente lungo che il ragazzo aveva ridotto ad una matassa e non sapeva come districare, invece, lo era un po’ meno.
Soprattutto se dopo una giornata di lavoro terminata ben oltre l’orario previsto.
« Che cosa stai facendo? » domandò, un sopracciglio alzato e ancora il giubbotto addosso.
Misaki si voltò.
« Saru, vienimi ad aiutare prima che imprechi! »
Giusto, Misaki si sforzava di non inveire, sotto Natale.
Saruhiko lo avrebbe lasciato lì solo per rompere la tradizione.
Sospirò.
« Mi posso togliere la giacca, prima? » chiese. « Tu non muoverti: credo potresti cadere. »
Scomparve nell’ingresso e tornò indietro. Abbandonò la casacca della Scepter 4 sullo schienale del divano e raggiunse Misaki, facendo un bilancio di quel disastro.
« Come diavolo hai fatto? » domandò.
« Se lo sapessi non l’avrei fatto, no? » ribatté il ragazzo, agitandosi nell’intrico di fili.
« Sono lucine di Natale, queste? » domandò Saruhiko, una pessima sensazione che iniziava a punzecchiarlo.
Misaki si bloccò.
« Forse. »
« Misaki. Sono lucine di Natale », ripeté.
Il rosso alzò lo sguardò, saltellando su un piede per liberare l’altro dalla presa traditrice dei cavi elettrici. Non rispose, sapendo di essere colpevole. Saruhiko lo tenne per le braccia, accertandosi che non cadesse. Peccato che reggere l’altro voleva dire venire avvolto a propria volta dal cavo, anche se in modo fisicamente inspiegabile.
« Misaki, hai portato delle lucine di Natale in casa mia. »
« Non dirlo come se fosse un affronto! » sbottò Misaki, muovendosi verso l’albero già montato accanto a loro.
Era spoglio, privo di addobbi, ma le luci lo avrebbero migliorato in fretta. Sempre che fosse riuscito a liberarsi.
« Passo un sacco di tempo qui, e sai che soffro senza degli addobbi natalizi intorno. »
Saruhiko si chiese se si trovasse davvero in una situazione simile, così spinosa: da un lato c’era il Natale, uno dei suoi acerrimi nemici, e dall’altro Misaki.
Era davvero giusto che rinunciasse alle proprie posizioni solo per rendere felice l’altro?
Schioccò la lingua.
« Non hai più dieci anni, Misaki. Te ne rendi conto? Potresti farne a meno. »
In tutta risposta il ragazzo gli fece il verso, incurante di avere il cavo avvolto più intorno al busto e alle gambe che non adagiato sulle braccia, le quali avrebbero dovuto logicamente reggerlo per disporlo tra le fronde dell’abete finto.
Possibile che non potesse stare fermo? Se si muoveva così sarebbero rimasti impigliati.
Saruhiko si sentì strattonare e si rese conto che a furia di girare in tondo, Misaki l’aveva intrappolato nella presa malefica delle lucine.
Era alquanto allegorica, come immagine: lui preda delle macchinazioni del Natale, che con le sue armi diaboliche era riuscito ad intrappolarlo.
« Se tiri così si spezza il cavo, stupido! »
Un altro strattone.
« Non sto tirando, scimmia, sei tu che stai tirando! »
Era intorno al suo polso che si erano avviluppate?
« Tu mi hai tirato, maledizione », sbuffò. « Se stessi fermo un momento… e invece no! »
Forse sarebbe bastato muovere il braccio per liberarsi.
« Voglio solo mettere queste maledette lucine sul maledetto albero! »
Ah, no, erano proprio incastrati.
Tra una protesta e l’altra, Misaki non aveva fatto altro che peggiorare la situazione. Alzò lo sguardo verso di lui, imbronciato.
« Oh, no », fece Saruhiko. Sapeva che avrebbe perso una sfida in cui Misaki gli teneva il broncio. « Non fare quella faccia. »
Misaki non si mosse di un millimetro e continuò a sostenere il suo sguardo.
Aveva un orgoglio, Saruhiko, non poteva rassegnarsi a quei maledetti addobbi dopo quasi vent’anni passati a detestarli.
« Smettila di tenermi il broncio. »
« Allora aiutami a mettere le lucine. »
« Non potrei farlo nemmeno se volessi », disse sarcastico. « Non che voglia. Per tua informazione siamo incastrati. Nelle tue lucine schifose, fra l’altro. »
« Le mie lucine non sono schifose! »
Non erano davvero arrabbiati quando si beccavano in quel modo. Era un piccolo retaggio del tempo trascorso divisi, come membri di due clan differenti, a provocarsi per ottenere l’uno l’attenzione dell’altro.
Saruhiko schioccò la lingua, poi sospirò e chiuse gli occhi. Si concesse un attimo di raccoglimento che durò solo pochi secondi. Se avesse detto a Misaki quello che stava pensando, ovvero che appena si fosse liberato sarebbe corso via, lo avrebbe fatto infuriare e non avrebbero risolto nulla.
Prese un pezzetto del cavo e controllò quanto fosse teso. Riuscì a passarlo oltre la testa del ragazzo, in modo che gli ricadesse morbidamente dietro la schiena.
« Prima usciamo da qui. »
Misaki borbottò in segno d’assenso.
Una mossa dopo l’altra la presa del cavo si allentava. Poi sbagliarono qualcosa e si trovarono ancor più costretti e vicini di prima.
« Sembra che lo facciano apposta », si lamentò Misaki.
« Sono delle lucine, non hanno volontà propria. »
Il rosso evitò di dirgli quanto fosse fastidioso, a puntualizzare ogni singolo dettaglio.
Se fosse stato facile raggiungere la cucina saltellando, legati come due salami, Saruhiko avrebbe preso le forbici e avrebbe tagliato quel cavo. Pensò che a Misaki una scelta tanto drastica sarebbe dispiaciuta oltre misura e la scacciò subito.
Il mento del rosso era pigiato contro il suo petto. Saruhiko lo sentì ridacchiare. Inaspettatamente, considerando quanto fino a poco prima sembrasse offeso e arrabbiato.
« Che c’è? » domandò.
« Non mi riesco a muovere… »
« E ti fa ridere? »
Misaki alzò il viso verso di lui, solleticandogli il collo con la punta del naso.
« Sto pensando a come dobbiamo sembrare da fuori. »
« Due idioti », lo liquidò Saruhiko. « E non parlare, mi stai facendo il solletico. »
Misaki sorrise sornione.
Oh no, cosa gli aveva appena rivelato.
« Ah sì? »
« Misaki. Misaki, no. »
Il ragazzo soffiò contro la pelle del suo collo e Saruhiko si morse il labbro. Peccato che il rosso fosse abbastanza intenzionato a vendicarsi per tutti i rifiuti dell’altro e continuò a tornare all’attacco, che fosse sfiorandogli la pelle quel tanto che bastava per infastidirlo o sbuffandovi contro.
Per quanto Saruhiko si sforzasse di non ridere a crepapelle per darsi un contegno, era proprio quello che voleva fare.
All’ennesimo attacco di Misaki, fu costretto a lasciarsi andare.
Immaginò la situazione dall’ottica in cui aveva voluto vederla il ragazzo e trovò il tutto ancora più esilarante. Maledizione a lui e alla sua capacità di fargli osservare qualsiasi cosa in modo tanto leggero.
« Allora sai ridere anche tu! »
Come se non lo sapesse.
Misaki adorava quando Saruhiko rideva. Sarebbe andato avanti ore a perseguitarlo solo per farlo continuare.
Peccato solo che avesse riposto fin troppa fiducia nel loro equilibrio e che dopo essersi spinto per l’ennesima volta contro di lui fossero rovinati a terra come due stupidi.
Almeno cadendo di fianco, uno di fronte all’altro, avevano spartito gli effetti dell’impatto.
« Ti sei fatto male? » si affrettò a chiedere Saruhiko.
Misaki scosse la testa.
Quando lo guardò vide che i suoi occhiali si erano spostati: adesso stavano sghembi sul suo naso. Ridacchiò e si sporse appena, dandogli un bacio sulle labbra.
Saruhiko parve realizzare solo allora un vantaggio che ancora non aveva notato: la sua vicinanza a Misaki.
« Hai gli occhiali storti », disse il rosso, ad un soffio dalle sue labbra.
« Grazie, me n’ero accorto. »
Misaki tentò di muovere un braccio, poi l’altro, ma senza successo. Lo avrebbe volentieri aiutato, se solo ne fosse stato in grado.
« Dobbiamo liberarci da queste lucine », borbottò. « Devo scoprire quante se ne sono rotte. »
« Quanta fretta… » sussurrò Saruhiko, sporgendosi e cercando di nuovo le labbra dell’altro.
Si allontanò e l’unica lente ben allineata con uno dei suoi occhi gli permise di vedere una spruzzata di rosso comparire sulle gote del ragazzo.
Era adorabile.
Misaki provò a protestare, ma ogni suo pallido tentativo venne interrotto dalle labbra di Saruhiko, che cercavano le sue con una dolcezza e lentezza estenuanti.
Maledizione a lui.
Lo toccava in modo così delicato da spiazzarlo.
Misaki si rassegnò, ricambiando lentamente quei baci con gli occhi serrati.
Rimasero avvolti da quell’intrico maligno più a lungo di quanto fosse davvero necessario.
*
Misaki aveva raggiunto un traguardo considerevole e inaspettato: l’abete finto che aveva portato in casa del suo ragazzo ancora non era in fiamme e, anzi, avevano addirittura sistemato insieme, sui suoi rami, le stesse lucine che li avevano intrappolati. Ne avevano distrutte la metà schiacciandole tra i loro corpi e il pavimento, ma avevano rimediato nascondendole sul lato dell’albero rivolto verso la parete.
Si trattava a tutti gli effetti di una conquista.
Misaki aveva infilato la spina nella presa e si era goduto per un po’ il pulsare lento e colorato delle luci. Poi si era seduto a gambe incrociate per terra e aveva afferrato il polso di Saruhiko prima che quest’ultimo scappasse a gambe levate in un’altra stanza, evitando addirittura la cena che fin troppe volte non consumava in modo decente, se Misaki non era lì a vigilare.
« Staremo a lungo seduti per terra a fissarci, Misaki? »
In realtà Saruhiko era curioso di scoprire quali altri vantaggi avrebbe potuto trarre da quella situazione che forse non era venuta solamente per nuocergli.
« Addobbiamo l’albero. »
« Cosa mi dai tu in cambio? »
Misaki veniva proclamato stupido dal più delle persone, ma era abbastanza furbo da essersi reso conto che se era riuscito a mettere quelle maledette luci su quel maledetto abete – quanto avrebbe voluto imprecare – era stato perché Saruhiko aveva ottenuto qualcosa.
Dunque avrebbe dovuto fare in modo di corromperlo ancora.
« Ti preparo la cena. »
« Posso prepararmela anche da solo. E poi non ho fame. »
« Ti preparo della cioccolata calda quando abbiamo finito. »
« Sai perfettamente che non mi piacciono i dolci. »
Misaki sapeva altrettanto perfettamente cosa voleva. Il solo pensiero lo faceva diventare rosso come un maledetto peperone.
Gli diceva sempre che era un bambino? Bene, gli avrebbe dimostrato a sue spese che non era affatto così.
« Dato che è Natale… » cominciò. « Facciamo che ti devo un regalo e che puoi sceglierlo tu. » Distolse lo sguardo. « Qualsiasi cosa tu voglia. »
Saruhiko sapeva che nonostante stessero insieme non godeva dell’immunità assoluta: alle volte aveva provocato in modo un po’ troppo spinto Misaki e quelle stesse volte il ragazzo gliel’aveva fatta pagare. In modo un tantino spartano, a dire il vero, dato che l’aveva riempito di morsi o si era lanciato su di lui finendo poi bloccato sotto il suo corpo. La volta che era riuscito a beccarlo con un pugno volato in modo maldestro in un punto decisamente vitale, però, Saruhiko aveva imparato la lezione.
Nulla gli garantiva che non l’avrebbe attaccato anche in quel momento. Gli era troppo vicino per rischiare.
Paradossalmente l’unico pericolo che corse fu un’emorragia nasale per l’eccesso di audacia del suo fidanzato.
Saruhiko si alzò rapidamente in piedi, guardandosi intorno.
« Dov’è la scatola degli addobbi? »
Misaki lo fissò. Aveva già vinto? Così? Davvero?
Il suo sguardo lasciava intuire quanto fosse sorpreso di sentire parlare in quel modo proprio lui.
« Sei un venduto. »
« Sì, lo sono », ammise l’altro.
Misaki brontolò come di consueto e dopo essersi alzato raggiunse una scatola che aveva abbandonato in un angolo del salotto. La sistemò vicino all’albero e la aprì: al suo interno vi erano palline di ogni dimensione e colore.
Cominciò a sistemarle lentamente sui rami dopo essersi inginocchiato di nuovo a terra.
Saruhiko lo guardò in silenzio per qualche attimo prima di raggiungerlo per fare altrettanto.
Misaki aveva quell’adorabile espressione imbronciata che indossava solo per colpa sua e le sopracciglia leggermente aggrottate che dedicava solo a lui quando lo metteva in difficoltà.
Saruhiko stava abbandonando le proprie riserve sul Natale in parte perché avrebbe ottenuto qualcosa, ma soprattutto perché era stato Misaki a chiederglielo con così tanta insistenza.
Nel sedersi accanto a lui, Saruhiko appoggiò un fianco contro il suo e gli cinse la vita con un braccio, chiudendo le dita intorno alla stoffa della sua maglia. Prese una pallina e la sistemò, in silenzio.
Appendere gli addobbi ai rami dell’abete di plastica non fu un’esperienza estenuante come lo era stato districare prima Misaki e poi se stesso dal cavo di lucine che ora illuminavano fiocamente l’alberello di cui Saruhiko credeva non avrebbe mai disposto.
Si ritrovò addirittura a credere che forse non sarebbe stato male svegliarsi e trovarvi sotto dei pacchetti, o sistemare la stella sulla punta dell’abete insieme a Misaki, con un focolare scoppiettante a scaldare la stanza in cui si trovavano.
Più quei pensieri si facevano strada nella sua mente, più Saruhiko assumeva una tipica espressione che mostrava a Misaki, un po’ come l’altro faceva con il suo broncio fintamente arrabbiato.
Misaki, dal canto suo, non si era lasciato sfuggire quel dettaglio: quella era la faccia di Saru quando iniziava a credere che qualcosa che aveva sempre odiato non fosse poi così tanto male.
Sistemò l’ultima pallina su una frasca rimasta sguarnita e si voltò verso di lui.
Sembrava fin troppo soddisfatto.
« Era così difficile? »
Saruhiko schioccò la lingua e guardò altrove. Glielo avrebbe rinfacciato per sempre, già lo sapeva.
« Non ho mai detto che sarebbe stato difficile. »
Non era stato difficile e avrebbe anche potuto fare meno storie per concedere qualche minuto del proprio tempo ad un impiego simile. Ma non l’avrebbe mai ammesso. Avrebbe ammesso con meno spesa d’orgoglio che quel momento iniziava ad avere tutte le caratteristiche necessarie per diventare uno splendido ricordo.
Così perfetto che Saruhiko si era scordato non troppo forzatamente del regalo che Misaki gli aveva promesso, pensando che avrebbe potuto reclamarlo in un secondo momento. Forse anche mai.
Con sua enorme sorpresa, fu il rosso a sistemare una mano sul suo viso e a guardarlo leggermente dall’alto, sollevandosi sulle ginocchia quasi stesse per alzarsi in piedi.
Guance leggermente gonfie e già rosse.
Oh, sapeva cosa stava per dire.
« Mi pare strano che tu non me l’abbia ancora ricordato », fece sottovoce. « Non avanzavi un regalo? »
Un sorriso divertito e un leggero sbuffo di risata sfuggì alle labbra di Saruhiko. Cercò una risposta a quelle parole, ma pensò che sarebbe stato meglio impiegare le proprie energie per baciarlo.
Il rosso ricambiò, senza l’impaccio che lo aveva accompagnato per i primi tempi della loro relazione.
Mentre la sua maglietta veniva abbandonata sul pavimento, esattamente sopra la camicia di Saruhiko che si stava dedicando con forse troppa insistenza alla pelle del suo collo, Misaki gettò un rapido sguardo all’orologio sulla libreria.
Mezzanotte.
Un piccolo sorriso gli incurvò le labbra.
« Buona Vigilia, Saru. »
A Saruhiko Fushimi non era mai piaciuto il Natale.
Ma cominciava a pensare che non fosse poi così male come aveva sempre creduto.



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Non pubblicavo in questo fandom da una vita, anche se continuo a seguirlo assiduamente e a shippare con la stessa intensità.
Volevo qualcosa che dicesse "ok, K Project non è solo dolore, ragazzi". Ed ecco qua!
L'ho scritta ieri dopo una giornata passata a strafogarmi, dunque anche se non l'ho pubblicata né il giorno della Vigilia, né l'effettivo giorno di Natale, lo spirito con cui l'ho scritto è sempre quello, per quanto poco l'abbia sentito quest'anno.
Evito di dilungarmi o rischio di scrivere un trattato sulla scelta di ogni singola virgola di questa storia.
Spero che queste otto pagine di miele vi siano piaciute e che vi vada di dirmi che cosa ne pensate.
Alla prossima ~
   
 
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