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Autore: S t r a n g e G i r l    26/12/2016    3 recensioni
Lui era stato una presenza costante per tutti gli anni del liceo; spesso invisibile –“Ehi, Lydia. Tu sei…sei una che mi sta ignorando”-, a tratti molesta –“E so che da qualche parte dentro quell'involucro freddo e senza vita c’è davvero un’anima umana”-, puntualmente insistente –“Lydia, concentrati per favore. Stiamo provando a salvare delle vite qui, per l’amor di Dio!”-, a volte rassicurante e dolce –“Non dovresti vergognarti, perché sei bellissima quando piangi”-, ma sempre partecipe –“Non t’importa di essere ferita? Ma sai come mi sentirei io? Sarei devastato. E se tu morissi, io andrei completamente fuori di testa. “
Poi erano arrivati i Cavalieri Fantasma e lei aveva dimenticato ogni cosa.
Aveva dimenticato lui.
Possibili spoiler sesta stagione
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lydia Martin, Stiles Stilinski
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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CAFFÈ NERO


Stiles: You'll forget me.
Lydia: I won't. I won't. I won't.
Stiles: You will.
Try to find some way to remember me. Okay?
Remember how you the first girl I ever danced with?
Or how I had a crush on you freshman year? Sophomore year. Senior year?
Or how you saved my life?
Lydia: You saved my life too.
Stiles: Just remember. 
Remember, I love you.

« Ricorda che ti amo. »
Era ciò che le aveva detto Stiles prima di uscire di casa quella mattina.
Un sussurro leggero, appena percettibile; quasi un segreto da non condividere.
Lydia, ancora mezza avvinghiata fra le spire di un sonno agitato, aveva sorriso a quelle parole e aveva accolto il suo bacio sulle labbra con un sorriso pigro.
Non si era chiesta perché mai lui avesse sentito la necessità di pronunciare una frase simile –come se le fosse possibile dimenticarlo-, ma ora quel dubbio la tormentava.
Si era alzata con calma, aveva fatto colazione svogliatamente guardando la televisione senza audio -come era solita fare per godere un silenzio che spesso le veniva negato con i suoi poteri-, si era lavata, vestita ed infine si era messa davanti al computer, cercando inutilmente di studiare per quel dannato esame la cui data si avvicinava inesorabile.
Il suo cervello, però, non collaborava: non riusciva a concentrarsi. La sua mente schizzava a destra e a sinistra, come la pallina impazzita di un flipper, mentre il cursore che lampeggiava davanti ai suoi occhi, unica macchia nera sul foglio digitale bianco, pareva farsi beffe di lei.
Sospirò, Lydia; si alzò da quella sedia scomoda, chiudendo stizzita il portatile, e andò in cucina a prepararsi un caffè.
« Ricorda che ti amo. » pronunciò sottovoce, a nessun altro che a se stessa.
Perché doveva ricordarlo? O, meglio, perché avrebbe dovuto scordarlo?
Quella frase le provocava dei brividi alla base del collo e non riusciva a spiegarsene il motivo. Sapeva che ce n’era uno; sapeva che se solo si fosse sforzata avrebbe capito, avrebbe ricordato, ma di nuovo la sua memoria la tradiva.
Prese il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans che indossava e compose il numero di Stiles senza nemmeno cercarlo in rubrica –lo conosceva bene, lo conosceva da sempre-, mordendosi più forte il labbro ad ogni squillo.
« Ciao. » esclamò la voce di lui nel microfono e Lydia inspirò sollevata, rendendosi conto di aver trattenuto il fiato senza accorgersene.
Anche lui, una volta, aveva fatto lo stesso: aveva smesso di respirare quando lei lo aveva baciato impulsivamente per calmare il suo attacco di panico. Ed ogni tanto, ancora gli capitava, quasi avesse paura di interrompere il contatto con le labbra di lei rilasciando aria. O come se lei stessa fosse la sua aria.
Aprì la bocca per replicare al suo saluto, Lydia, ma lui continuò « Non posso rispondere al momento. Lascia un messaggio dopo il bip, vedrò di ricontattarti al più presto… sempre che un licantropo non mi sbrani prima. »
Sbuffò, si versò il caffè in una tazzina e registrò un messaggio lapidario sulla casella vocale di lui, sentendosi sciocca.
« Ehi, sono io. Volevo solo… solo… sentire la tua voce, suppongo. Non serve che mi richiami, non preoccuparti. Sbrigati solamente a tornare a casa. »
Sorseggiò la bevanda bollente, scottandosi la lingua e maledicendosi mentalmente: era Stiles quello che di solito si bruciava, poi si copriva la bocca con la mano e strizzava gli occhi con una smorfia sofferente, suscitando in lei risate sommesse.
Prese il quaderno degli appunti e, risoluta, decise che era ora di ignorare quel fastidio che avvertiva dietro la nuca per mettersi a studiare. Impugnò la penna e iniziò a schematizzare ciò che leggeva sul libro di testo, dapprima a fatica, lentamente, poi con sempre maggior foga.
D’un tratto sollevò gli occhi per controllare l’ora e si accorse che non aveva scritto niente che avesse a che fare con la biologia. Anzi, non aveva scritto affatto; aveva, invece, abbozzato un ritratto.
Il ritratto di Stiles.
Rabbrividì e accarezzò i contorni d’inchiostro del disegno, cercando di rievocare nella mente i dettagli del viso del ragazzo che aveva capito di amare solo nel momento in cui le era stato strappato via.
Era stato una presenza costante per tutti gli anni del liceo; spesso invisibile –“Ehi, Lydia. Tu sei…sei una che mi sta ignorando”-, a tratti molesta –“E so che da qualche parte dentro quell’involucro freddo e senza vita c’è davvero un’anima umana”-, puntualmente insistente –“ Lydia, concentrati per favore. Stiamo provando a salvare delle vite qui, per l’amor di Dio!-,  a volte rassicurante e dolce –“Non dovresti vergognarti, perché sei bellissima quando piangi”-, ma sempre partecipe –“Non t’importa di essere ferita? Ma sai come mi sentirei io? Sarei devastato. E se tu morissi, io andrei completamente fuori di testa. “
Poi erano arrivati i Cavalieri Fantasma e lei aveva dimenticato ogni cosa: il colore dei suoi occhi –scuri come il caffè che stava bevendo-, l’esatta forma del suo sorriso –l’angolo destro della bocca inclinato di più rispetto al sinistro-, il modo impacciato con cui le regalava gesti teneri che fossero abbracci consolatori e baci sulle guance dati quasi per dispetto – “Sei così intelligente che ti bacerei in questo momento” “Non baciarmi” “L’ho fatto comunque!” –. Aveva dimenticato tutte le volte che si era presentato alla sua porta senza essere stato invitato, le battute sciocche, gli sguardi d’intesa, le volte in cui l’aveva salvata. Aveva dimenticato lui.
D’un tratto capì.
« Ricorda che ti amo. » sussurrò con voce strozzata, rovesciando il caffè sui fogli e oscurando così il volto di Stiles.
Lei l’aveva già sentita quella frase e l’ansia inspiegabile che le circolava nelle vene era, invece, ben motivata: era stata l’ultima cosa che lui le aveva detto prima di essere cancellato della sua mente. Prima di essere cancellato dalla sua vita. Dal suo cuore.
« No, non di nuovo. » gemette, coprendosi la bocca tremante con le dita, nell’esatto punto in cui lui aveva deposto un bacio solo poche ore prima.
Non era possibile.
Compose ancora il numero di Stiles e, all’ennesima risposta della segreteria, scagliò il cellulare contro il muro, frustrata. Aveva voglia di urlare, ma aveva paura di percepire qualcosa su di lui che l’avrebbe annientata. O, peggio, di non percepire nulla.
D’istinto decise di raggiungerlo; s’infilò un paio di stivali al volo, afferrò la borsa e la giacca, aprì la porta e si scontrò con il petto di qualcuno che era immobile sull’uscio.
Lydia alzò gli occhi e riconobbe la sfumatura calda e familiare come il caffè di quelli di Stiles.
Lui la fissò confuso, nella mano destra le chiavi che non aveva fatto in tempo ad usare per entrare in casa.
« Che… cos? » borbottò guardando il viso arrossato di lei « Chi è morto? » aggiunse subito dopo, allarmato.
Lydia singhiozzò e gli si buttò addosso, facendogli perdere l’equilibrio. Caddero entrambi a terra, sul patio freddo, stretti in un abbraccio disperato.
Lei si sporse, annaspando fino al viso di Stiles, e baciò le sue labbra con foga, spiazzandolo come la prima volta. Forse, dopotutto, era lui ad essere la sua aria e non viceversa.
« Non tu. » rispose alla domanda che le era stata posta prima in netto ritardo.
« Beh, sì, suppongo di essere abbastanza vivo, anche se con questi baci attenti seriamente alla mia vita, sappilo. » biascicò lui, sorridendole.
Un altro bacio. Era lì, davvero lì con lei.
« Lydia, stai cercando di rendermi incapace d’intendere e volere per ottenere qualcosa? Vuoi una Prada nuova? »
« Non voglio un altro cane, no. »
« Can…? » lui le lanciò un’occhiata allucinata, poi comprese « Intendevo una borsa! »
Fu lei, a quel punto, a guardarlo come se gli fossero spuntate delle antenne « Perché dovrei volere una borsa? »
« E io che ne so? »
« Non voglio una borsa! »
« Non baciarmi come se cercassi di corrompermi allora! »
« Ti ho baciato come ti bacio sempre! » s’intestardì lei, faticando a trattenere le risate per la piega assurda presa da quella conversazione.
« No! Cioè, forse, ma non ero preparato! »
« Perché, devi prepararti psicologicamente ora? »
« Certo! Accidenti a te, ancora non mi sono abituato all’idea che stiamo assieme. »
« Stiles… » roteò gli occhi, Lydia, e poi rise sulle sue labbra « Sono tre anni che stiamo insieme. »
« Lo so. Lo so. » annuì convinto, poi storse il naso « Già tre anni? Vola il tempo eh. A me sembra ieri. » rise anche lui. Di se stesso, di quel discorso senza senso, di quei baci inaspettati.
« Senti… mi spieghi perché siamo ancora semi-sdraiati sul patio con un principio d’ipotermia che avanza? » le chiese d’improvviso serio. La domanda vera era “Che diavolo è successo?” e Lydia lo capì. Non aveva mai avuto bisogno di sottotitoli con lui.
Abbassò lo sguardo sulle mani che Stiles teneva sui suoi fianchi e si morse un labbro.
« Perché sei un idiota. »
« Oh, sì. Questo spiega tutto. » commentò sarcastico lui, sbuffando.
« E perché mi hai provocato un’ansia inutile. »
« Non ero neppure a casa! »
« Appunto! »
Stiles indossò quell’espressione incredula e sbigottita che le rivolgeva ogni qualvolta non capiva cosa lei stesse farneticando. Il che succedeva spesso, poiché Lydia aveva scoperto che era tremendamente divertente metterlo in difficoltà.
Lo baciò di nuovo, giusto per spaesarlo ancor di più.
« Se questi sono indizi, non li ho capiti. Giuro. Dammene un altro, magari mi aiuta. » sporse le labbra lui, ma lei si tirò indietro.
« Ricorda che ti amo. » pronunciò Lydia sottovoce, costringendolo ad aprire gli occhi.
« Perché dovrei dimenticarlo? » chiese ingenuamente e lei quasi lo picchiò.
« Esattamente! È ciò che mi sono domandata incessantemente tutta la mattina! Poi ho ricordato che è ciò che mi hai detto prima che i Cavalieri Fantasma ti prendessero e… »
Stiles comprese prima ancora che lei concludesse la frase.
Spostò le mani sulla sua schiena e se la strinse al petto così forte che quasi le fece male.
Non si era reso conto che ciò che aveva sussurrato quella mattina nelle sue orecchie avrebbe avuto il potere di mandarla in paranoia. Aveva solo voluto ricordarle ciò che provava, che provava da sempre e che gli pareva di esternare poco. Aveva voluto, al contrario, rassicurarla, farla sentire amata.
Non aveva considerato la faccenda della Caccia Selvaggia; non ci pensava da anni ormai, ma in Lydia, evidentemente, quella era una cicatrice che faticava a chiudersi e che lei cercava di non stuzzicare.
Certo, era grazie a quell’episodio che si era resa conto di ciò che sentiva nei suoi confronti, ma questo non cambiava il fatto che perderlo, l’aveva ferita in profondità. Giù, dove le mani non avrebbero mai potuto medicare l’infezione.
« Perdonami. » mormorò fra i capelli biondo fragola di lei.
« Non ci penso proprio. »
« Ti prego. » le strofinò il naso sul collo.
« No. »
« Tipregotipregotiprego. » la baciò sulla guancia, sulla punta del naso, cercando di ottenere un suo sorriso.
« Forse. »
« Tipregotipregotipregotipregotipregotipregotipregotipregotipregotipregotipregotipregotipregotipregotipregotipregotipregotipregotipregotipregotipregotipregotipregotiprego. »
A quel punto, Lydia cedette.
Si alzò in piedi, gli afferrò il maglione e lo costrinse a tirarsi su a sua volta, poi lo trascinò in casa, chiudendo la porta con un piede.
Mentre lottava con i vestiti di lui, tentando di liberarlo dalla maledetta camicia che indossava sotto, gli intimò: « Non dirlo mai più. »
Stiles sorrise, fingendo di non capire, e guardò rapito le mani di lei che lottavano contro i bottoni.
« Cosa? Che ti amo? »
La baciò, vinto dal rossore che le aveva infiammato il viso.
« No. Che devo ricordarmelo. »
« E se te lo dimenticassi? »
« M’inventerò qualcosa. »

***

Lydia aprì gli occhi nel buio pastoso della sua camera.
Si divincolò fra le coperte che la stringevano in una morsa soffocante e si mise seduta, tirando indietro i capelli sudati nonostante sentisse freddo liquido colarle lungo le vertebre.
Cos’aveva sognato?
« Trova il modo di ricordarmi. » pronunciò sottovoce, a nessun altro che a se stessa.
Ma chi doveva ricordare?
Serrò gli occhi, digrignò i denti e soffocò un grido in gola, tentando di ricreare il volto che aveva visto in sogno, ma non ci riuscì.
Era un puzzle a cui mancavano pezzi ed il viso di quel ragazzo era un buco.
« Ricorda che ti amo. » disse ancora, piano.
E d’improvviso li vide, nella sua testa: due occhi scuri, come caffè nero bollente appena fatto.
Stiles.



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L'ultima storia pubblicata su Efp risale al 2014.
Un secolo fa, insomma.
Mai avrei pensato di tornare. E mai, soprattutto, su questo fandom poichè mi sono sempre ritenuta incapace di rendere giustizia a Stiles e Lydia.
I primi episodi di quest'ultima (ahimè) stagione, però, hanno smosso qualcosa e così, eccoci qua. Avevo questa idea in testa da un po' ed allora mi son detta "perchè no".
Spero che la shot non sia troppo indecente e che riesca a piacere ai fan della coppia almeno un pochinino-ino-ino.
Ogni commento è sempre gradito, essendo tanto arrugginita.
Potrebbe essere un ritorno questo, chissà.

Un abbraccio.
Strange.
   
 
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