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Autore: lidyalinne    26/12/2016    12 recensioni
Natale 1788: Oscar si accinge a festeggiare la festività e il suo compleanno. E' triste perchè Andrè non è a Palazzo da oltre un mese. In questo periodo Oscar ha fatto chiarezza nel suo cuore e vuole recuperare l'amicizia con lui. Ma lui non si decide ancora a rientrare e ha il timore che tutto sia perduto....Questa OS partecipa al contest: "A white rose for Christmas".
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ritorno a casa
 
La neve era scesa abbondantemente negli ultimi giorni e aveva ricoperto i giardini del palazzo, lasciando appena intravedere gli steli rinsecchiti delle piante.  
Anche il pozzo, le fontane, i sedili in pietra erano ammantati di neve e  dall’alto della torretta dove mi trovavo, osservavo questo scenario come se fosse pietrificato, incantato. 
Nessun rumore proveniva da laggiù; nessun animale e nessuna anima viva si era recata in quei vialetti innevati. 
E non v’era nulla di strano. 
Piuttosto sarebbe parso molto più strano se qualcuno mi avesse vista seduta sul parapetto dell’apertura ogivale della torretta a osservare quest’immenso biancore, rivestito di silenzio. 
Ero lassù da alcuni minuti, avvolta nel mio mantello rosso, il capo protetto dal cappuccio e le mani dai guanti. 
Avevo eletto quel luogo come momentaneo esilio dai rumori, dal chiacchiericcio e anche dagli odori che, dalle cucine fino agli appartamenti dei miei familiari, ridondavano incessantemente. 
Era la Vigilia di Natale. 
Le mie sorelle con le rispettive famiglie erano già a Palazzo Jarjayes dal giorno precedente ed io ero felice a metà. 
Fra poche ore ci sarebbe stata la cena e l’indomani il grande pranzo di Natale abbinato ai festeggiamenti per il mio compleanno. 
Avevo sempre amato queste feste, specialmente da piccola, ed anche se crescendo avevo imparato a misurare il mio entusiasmo, non avevo mai smesso di vivere allegramente questi momenti. 
Ma quel Natale io ero diversa, io non ero felice, non potevo esserlo….perchè ero affranta e disperata. 
Sì, ero disperata. 
Io…credevo di aver perso l’unica possibilità di essere felice e di rendere felice la persona più importante della mia vita… 
Ero certa che non sarebbe tornato, certissima. 
Sentii pungermi gli occhi e subito dopo scendere calde lacrime lungo le guance che, per un attimo, intirizzita com’ero dal freddo, mi sembrarono quasi carezze confortanti. 
Iniziai a provare tenerezza e pietà per me, allo stesso tempo. 
Volevo rammaricarmi, rimproverarmi, odiarmi per come l’avevo trattato ma avevo ormai esaurito tutto le parole cattive che mi ero detta nell’ultimo mese, e senza che potessero lenire o sciogliere il nodo che mi stringeva l’anima. 
E allora, proprio in quel momento, cominciai a pensare che forse potevo perdonarmi, tentare di essere meno dura con me stessa, ammorbidire il mio carattere, i miei giudizi severi, la paura di non riuscire ad esser forte…. 
E se anche fossi riuscita in questa impresa? A cosa sarebbe servito? Soprattutto, a chi sarebbe servito? 
Ah, sì….forse potevo diventare una persona migliore per i miei soldati…sì, poteva essere un buon punto di partenza. 
Ma non era un’idea consolatoria….perchè io continuavo a pensare all’unica persona per la quale avrei voluto essere diversa o…semplicemente me stessa, finalmente. 
Pensavo ad Andrè. 
Non facevo che pensare a lui da giorni e ad attendere il suo ritorno ma di lui, neanche l’ombra.
Ripensai ancora una volta a quel giorno in cui il medico della caserma si era accorto che il suo occhio sano era parecchio malandato, che stava quasi per spegnersi, ordinandogli l’immediato congedo a cui io non potei rifiutarmi, ovviamente. 
Fu un colpo per me saperlo quasi cieco e  mi sentii dispiaciuta per avermi taciuto tale problema, solo perché non voleva lasciarmi. 
 
“- Andrè, io…non sapevo, non mi ero accorta che tu quasi non vedevi più! Perché non me l’hai detto? Perché mettere a rischio la tua vita?  
 
- Se te l’avessi detto, mi avresti costretto a lasciare l’uniforme e… 
 
- Certo che l’avrei fatto! E ringrazio Dio che non ti sia accaduto nulla nel frattempo! Sei stato davvero sciocco e insensato…. 
 
- Oscar…io non volevo lasciarti….sola. Avevo promesso a me stesso che non ti avrei lasciata mai, che ti avrei protetta per il resto della mia vita…. 
 
- Oh, Andrè….io….non so che dire…. 
 
- Niente da dire, Oscar….effettivamente sono stato stupido a non parlartene; e starti accanto, da cieco, può essere più un pericolo che un aiuto. Me ne rendo conto….Proverò a curare l’occhio, come mi ha suggerito il medico della caserma, e tornerò a lavorare al Palazzo. Aspetterò ogni sera il tuo ritorno, pregando Dio che ti protegga…. 
 
Fummo interrotti dal Colonnello D’Aguille per una emergenza nel centro di Parigi; vi era in atto uno scontro tra cittadini e io dovetti correre, lasciandoti in ufficio con lo sguardo più triste che avessi mai visto nel tuo volto e portandomi dietro la desolazione più nera che avessi mai provato nel mio cuore. 
E poi accadde tutto così in fretta che io non ebbi il tempo di capire subito, di orientare la mia anima nell’improvviso vuoto in cui si trovò, vagando nell’incertezza, nei dubbi, nella sensazione di solitudine che mi si appiccicò addosso come una seconda pelle. 
Per quanto avessi desiderato cavarmela senza di lui, ed averglielo chiesto espressamente una notte indimenticabile, ma non essere stata accontentata, ora che ciò si era verificato, io mi sentivo strana, sola…a metà. 
Lui mi mancava in caserma, mi mancava moltissimo. 
Ma a sera, quando ritornavo a casa, non lo trovavo ad aspettarmi, come un tempo. 
Se tornavo presto, era più probabile che ci incontrassimo ed allora chiacchieravamo un po’; gli raccontavo della caserma e lui di ciò che aveva fatto a Palazzo e delle cure che stava seguendo per preservare l’ormai esigua visione del suo occhio destro. 
Non so perché, ma la distanza che si era già creata dopo il suo bacio e che in caserma era annullata dalle azioni militari, non appena eravamo soli, si acuiva sempre di più. 
All’inizio era stato un imbarazzato distacco a tenerci lontani, poi, divenendo il fatto più lontano, si era trasformato in timidezza, forse, nel tentativo di ritrovarci. 
Io non ero stata di certo di aiuto chiudendomi a riccio dopo le paure e le delusioni provate a causa di Fersen ed anche a causa sua… 
Ero diventata più musona, più triste ma non certo meno affezionata ad Andrè. 
Poi lo scontro con soldati  difficili e la sfida a farmi accettare da loro, diventato l’obiettivo principale della mia vita, aveva fatto il resto. 
E tra parole non dette, sentimenti chiusi a doppia mandata nel mio cuore, esercitazioni folli per dimostrare le mie abilità fisiche, accadde che io e lui diventassimo ciò che aveva sempre pensato mio padre per noi: padrona e servo. 
L’amicizia sembrava essersi dissolta. 
Io non riuscivo a fermarmi e ragionare con la testa e sentire con il cuore.  
Forse avevo tentato di illudermi che anche lui aveva smesso di ascoltare il suo cuore e invece….mi sbagliavo! 
Perché al primo tentativo di mio padre di darmi in sposa a un nobile, Andrè, dopo aver lasciato quasi la pelle in armeria contro un gruppo di maledetti soldati, per difendermi, lo vidi piangere disperato, implorando di non sposarmi... 
Quel giorno capii che Andrè mi amava ancora, con tutto il cuore e con tutto se stesso e che avrebbe dato la sua vita per salvare la mia, in ogni momento. 
E il mio cuore iniziò ad addolcirsi, a farsi sentire, a farmi piangere tra le lenzuola e sentire un’angoscia sconfinata mista a sensi di colpa a cui non sapevo dare una connotazione precisa; avevo voglia di uscire da questo stato insopportabile ma non sapevo come fare. 
Tutto il coraggio che sapevo dimostrare nei duelli, nell’affrontare scontri e discussioni con generali ostici  e inflessibili, mi mancava quando il cuore mi lanciava segnali di sofferenza e tristezza perché  non sapevo come affrontarli. 
Non trovavo le parole per dirmi cosa mi faceva stare male e nemmeno la forza di riavvicinarmi ad Andrè e ritrovare la nostra amicizia, perché questo almeno lo sapevo: rivolevo il mio amico di sempre. 
Volevo riscoprire la nostra antica complicità…avevo bisogno di Andrè e non sapevo come fare. 
E neanche potevo contare sul suo aiuto perché lui stava rispettando il mio sentire e aspettava le mie mosse: mi parlava se capiva che avevo voglia di farlo, mi stava lontano se leggeva nei miei occhi la freddezza. 
Ma io avevo solo paura e timidezza! 
Sospirai, contemplando il cielo, che stava cedendo il suo azzurro al blu cobalto, attraversato da scie arancioni, ultimo dono del sole morente… 
Una nuova fitta di tristezza mi attanagliò il cuore e venni colta, per l’ennesima volta, da una cocente nostalgia.  
E…da altro…. 
Questo “altro”, che più di ogni sentimento, emozione, pensiero e istinto mi dominava da quando lui era andato via, mi spiegava da giorni una verità a lungo taciuta o forse scoperta all’improvviso, non so… 
Io stavo cominciando a pensare….o meglio, a sentire, che amavo Andrè. 
Non so dire, adesso, se l’avessi capito davvero all’improvviso o se era cresciuto piano piano o…se c’era da sempre… 
Io non sapevo più spiegarmelo….ma sapevo… che lo amavo anch’io. 
Lo sapevo perché mi mancava, perchè non vederlo tra le mura del palazzo mi faceva sentire un vuoto tremendo in fondo al cuore… 
E rivedevo il suo volto continuamente nella mia mente e ciò mi faceva arrossire e  sentire un vibrante languore nel cuore… 
E avevo voglia di risentire la sua voce, percepire il suo buon odore, perdermi nei suoi occhi e nel suo sorriso dolce… 
Mi sentivo proprio come quando ero innamorata di Fersen con la differenza che, trattandosi di Andrè, provavo anche imbarazzo verso me stessa. 
Come se fosse quasi blasfemo amare l’amico di sempre, la persona con la quale avevo lottato, da pari, a suon di pugni, calci, dispetti e scorribande selvagge fino all’età adulta, quando il nostro rapporto si era consolidato in una relazione fraterna, in un reciproco salvarci la vita in molte occasioni. 
Mi ero innamorata di colui che avevo sempre considerato un fratello e scoprirlo mi suonava strano ma bellissimo perché provavo un sentimento intenso, dilagante, nel quale  ritrovavo gratitudine, complicità, calore, dolcezza… 
Ma come farglielo sapere se tra noi si era innalzato un muro di ghiaccio? 
E poi: ero sicura che lui mi amasse ancora? 
E mentre mi perdevo nella litania incessante di queste due domande, che mi frullavano in testa, a cui non sapevo dare una risposta, mio padre, più di un mese prima, aveva deciso di mandare Andrè ad Arras per un breve periodo. 
Aveva comprato dei cavalli per quella tenuta e desiderava che Andrè li addestrasse per un po’, insieme al nuovo stalliere; doveva trattarsi di un periodo di appena due settimane, invece era già trascorso un mese e Andrè non era ritornato. 
Quando avevo chiesto a Nanny notizie di lui,  fingendo una banale curiosità, lei mi aveva rassicurato, dicendomi  che avrebbe fatto ritorno per Natale. 
 
“- Tuo padre, bambina, gli ha affidato altri incarichi ma tornerà. Mi manca mio nipote. Anche se, a volte, penso che chissà che ad Arras non abbia trovato altri….motivi per restare!  
 
Nanny  mi parlò facendomi un occhiolino divertito che a me trafisse semplicemente il cuore. 
E fu quella, non tanto velata, allusione di Nanny a farmi cadere nella disperazione. 
Forse Andrè si era innamorato di qualche serva, finalmente ricambiato, ed ecco perché non ritornava ancora…. 
Ero convintissima che dietro quella trasferta così prolungata ci fosse una….donna. 
Ma io…stupidamente, ancora ci speravo che tornasse a casa, un’ultima volta ancora….da me… 
Era assurdo. Ed impossibile.  Ma doveva esserci un’altra donna.  
Mi convinsi di questo ma volevo almeno dimostrargli che gli volevo bene, che tutta quella freddezza tra noi non ci doveva essere più…. 
Volevo…volevo sorridergli un’ultima volta prima di….prima di formarsi una nuova famiglia. 
Era davvero questo che volevo?  
Mi stavo proprio interrogando su quella domanda, fissando il cielo ormai nero, ma illuminato da un argenteo spicchio di luna, su quella gelida torretta, quando una delle mie nipoti mi scovò, cogliendomi di sorpresa e abbracciandomi affettuosamente.  
 
- Zia Oscar! Sapevo di trovarti qui….la cena è quasi pronta! Scendi con me! – Charlotte mi cinguettò allegramente e prendendomi per mano mi trascinò dentro. 
 
Ero afflitta ma quella manina calda, stretta alla mia, mi riscaldò un po’ il cuore e mi fece nascere un lieve sorriso. 
 
*** 
 
Versailles, 25 dicembre 1788. 
 
La Sonata N. 9 in D Major  di Mozart risuonava vivace tra le pareti della mia stanza mentre le mie dita si affannavano impetuose sui tasti…. 
Avrebbe dovuto essere un “allegro con spirito” ma io stavo suonando con rabbia, tanta, tantissima rabbia. 
Era passato, grazie al cielo, il pranzo di Natale, gli infiniti auguri rivolti a me, i regali, le chiacchiere di mio padre e delle mie sorelle, i giochi rumorosi dei miei nipoti e l’affaccendato andirivieni delle cameriere con i loro vassoi carichi di bevande e cioccolatini. 
Che tortura penosa per me!  
Per la prima volta avevo odiato il Natale e ancora di più il mio compleanno….il primo trascorso senza Andrè. 
Senza di lui tutto stava perdendo senso per me. 
Avevo sperato fino all’ultimo che lui arrivasse, che mi facesse una sorpresa e invece… 
Invece avevo avuto occasione di accorgermi come l’amore mi avesse pure istupidita... 
Per i miei trentatré anni mi ero scoperta infelice e stupida:non mi sembrò un ottimo traguardo. 
Non vidi l’ora di fuggire dal grande salone e, dopo l’ultimo brindisi, aggrappandomi a un finto mal di testa, volai rapida nella mia stanza dove mi tuffai arrabbiata e triste sul mio pianoforte a suonare il mio amato Mozart. 
Suonai parecchio, poi, dopo l’ultima sonata mi fermai: mi facevano male le dita. 
Posai lentamente il coperchio dello strumento sulla tastiera e rimasi a lungo così: le mani poggiate sulle ginocchia, gli occhi a fissare il legno lucido su cui un trepido raggio di sole si era posato delicatamente. 
Seguii con un dito quella linea dorata e mi lasciai sopraffare da un insperato silenzio attorno a me. 
Mi lasciai cullare da quella sensazione di pace ma dopo pochi istanti il suo volto sorridente mi apparve nella mente e non potei trattenere alcune lacrime che mi scivolarono dagli occhi, finendo sul pianoforte. 
Un momento dopo bussarono alla mia porta:era Nanny. 
 
-Bambina, ti ho portato la tua cioccolata calda –  disse la mia adorata governante, recando un vassoio con un bricco fumante e una tazza che posò sul tavolinetto accanto alla finestra – Oh, Santo cielo! Ho dimenticato di portarti i biscotti alla vaniglia che ho appena sfornato! – esclamò portandosi un mano alla bocca e gettandomi uno sguardo inorridito. 
 
Mio malgrado, mi fece sorridere. 
Non trovai quella dimenticanza così grave ma Nanny continuò a dirsene di tutti i colori e, dato che non c’era, non potè incolpare il sempre innocente Andrè di certe sue distrazioni. 
La rassicurai dicendole che non era un problema, che potevo fare benissimo a meno dei biscotti. 
Ma, evidentemente, le mie parole dovettero risultarle offensive perché si animò ancora di più e si affannò a spiegarmi tutti i possibili motivi che l’avevano portata a dimenticare una cosa così importante! 
 
- Corro subito giù e ti porto i biscotti! 
 
Non mi opposi, non era possibile con Nanny. 
E così, osservai la mia amata nonnina trotterellare energica verso la porta e uscirne rapida. 
Non smisi di sorridere, pur non avendone voglia, poi mi alzai e mi diressi verso il tavolino. 
Presi il bricco con la cioccolata caldissima e la versai dentro la tazza. 
L’aroma  dolce si spanse attorno a me e mi solleticò l’olfatto, richiamando alla mia mente, non solo il desiderio di sorseggiare la bevanda, ma soprattutto una miriade di ricordi. 
Sembrava quasi che in quella nuvoletta di vapore, come fosse una sfera di cristallo, potessi vedere immagini della mia vita passata, a partire dalla mia infanzia dove, in un susseguirsi convulso di ricordi, riassaporavo le sensazioni felici legati al mio “rito della cioccolata”,  un rito del quale faceva sempre parte il mio Andrè... 
Iniziai a sorseggiare il denso liquido e ripresi a pensare a lui, ancora una volta… 
Mi avvicinai alla finestra: era un bellissimo pomeriggio assolato. 
I raggi del sole ammantavano il parco  sottostante, come a volere accarezzare gli alberi, rigidi e pietrificati, nel loro vestito di neve… 
Mi piacque l’immenso candore davanti a me, ravvivato da quella tenue e lieve luce dorata…. 
Provai a lasciarmi andare al piacere delle sensazioni visive e a quelle gustative e olfattive che la cioccolata mi regalava a fior di labbra, perché ero stanca di pensare a lui e sempre a lui…. 
Ad Andrè che non era tornato e che, forse, quando l’avrebbe fatto, sarebbe stato solo per poco….giusto il tempo di raccogliere i pezzi della sua vita rimasta qua e ricomporli in modo nuovo ad Arras. 
Ecco….l’avevo fatto di nuovo:mi ero rimessa a pensare a lui! 
Fortunatamente i miei pensieri, o forse ossessioni, furono interrotti dal bussare alla porta. 
 
- Entra pure Nanny… - dissi senza voltarmi. 
 
Sentii il leggero suono del vassoio che veniva appoggiato sul tavolino mentre io, ad occhi chiusi, gustavo un altro sorso di cioccolata che scese vellutato nella gola. 
Nell’evanescente sensazione di delizia, mi accorsi di un insolito calore alle mia spalle che poi si concentrò sul mio braccio sinistro. 
 
- Oscar… 
Trasalii.  
Era la voce di Andrè? Era lui? 
Mi voltai di scatto e quasi non gli gettai addosso la cioccolata, nel sobbalzo tintinnante e scomposto che la tazza fece sul piattino, nel ritrovarmi a un palmo dal volto dolce e sorridente di Andrè! 
 
- Stai attenta! – esclamò con un sorriso divertito, trattenendo nelle sue mani la tazza che tremava nelle mie - Bella accoglienza, la tua, volermi bruciare con la cioccolata! – riprese, ridendo in quel modo sonoro e profondo, tipico di quando voleva prendersi gioco di me. 
 
- Scusa…io…. 
 
- Perdona il ritardo…sono ancora validi i miei auguri di buon compleanno? – mi chiese, non smettendo di fissarmi con quello sguardo dolce e buono che tanto amavo. 
 
Io dovevo certamente avere, invece, uno sguardo da rimbecillita dato che non riuscivo a dire niente e a non riuscire a muovere un solo muscolo, a parte il cuore che, quello sì,  mi ballava in petto furiosamente. 
 
- Puoi perdonarmi se sono arrivato così tardi? Se sei arrabbiata un po’ però…ti capisco… 
 
Andrè continuava a parlarmi e io invece mi stavo esibendo nella più penosa scena muta che avessi mai fatto in vita mia! Ebbene sì: mi sentivo proprio impreparata alla sua improvvisa presenza davanti a me. 
Però…era tornato! 
L’avevo tanto desiderato e adesso…l’unica cosa che sapevo fare era mostrarmi come una mummia? 
Dovevo dire qualcosa! 
 
- No…no…io non sono arrabbiata con te….io…io sono contenta che sia…tornato… - balbettai emozionata e felice. Non volevo pensare alla mia convinzione che sarebbe ritornato ad Arras. 
 
- Non sto qui a raccontarti perché ho fatto tardi, ti annoieresti. Ci tenevo ad arrivare in tempo per il tuo compleanno e…volevo anche dirti delle cose. 
 
Mi sentii morire all’udire quelle parole….mi sembravano foriere di disgrazia….forse stava per dirmi “addio”? 
 
- Dimmi… - mormorai agitata ed emozionata. 
 
Sì, nonostante la paura di poterlo perdere fosse particolarmente forte, mi sentivo emozionata. 
Era a un passo da me, dopo oltre un mese che non ci vedevamo e provavo una immenso piacere nel ritrovarmi una persona cara…amata, percepirne l’odore conosciuto, ammirare la dolcezza del suo viso, la forza del suo affetto che emanava ogni parte di sé. 
Mi tolse dalle mani la tazza che poggiò delicatamente sul vassoio e, dopo un istante in cui esalò un respiro di incoraggiamento, pensai, riprese le mie mani tra le sue. 
 
- Oscar….è il tuo compleanno: è sempre stato un giorno speciale per entrambi. In questo mese ho pensato a tante cose, tantissime e mi sono reso conto che da un po’ io e te siamo distanti. Sì, io ho sbagliato mesi fa….ma non posso ritornare indietro e neanche ti posso chiedere di dimenticare, se non ci riesci. Però…ecco…io sono convinto che nonostante questo, tu mi voglia ancora bene. Siamo sempre amici, lo sento che è così….E scusami se ti parlo in questo modo. Ma ho pensato che non può finire così la nostra amicizia. Possiamo ancora essere ancora amici, come una volta? Riproviamoci, ti prego, supera il ricordo di quella notte….fallo, io non sono più quello lì. Ho capito il mio errore….non dovevo aprirti il mio cuore: io l’ho capito, davvero, e non succederà più. Sono il solito Andrè, fidati. Io mi sono rasserenato e ho imparato ad accettare la realtà. So cosa provo, e quello non lo posso cambiare, ma so anche che è solo una cosa mia e va bene così, perché ciò che più mi interessa è la nostra amicizia. 
 
Mi parlò con tanta dolcezza, accarezzando ogni tanto le mie mani, e sostenendo il mio sguardo stupefatto con dignità e umiltà. 
Era bellissimo e colmo d’amore per me….lo capivo senza ombra di dubbio. 
Mi faceva battere il cuore sempre più forte quel suo discorso, del quale colsi a metà il senso perché ero semplicemente ammaliata da lui. 
Continuava a parlare ma io non lo ascoltai più…. 
Sciolsi le mie mani dalle sue e gli tappai la bocca. 
 
- Basta parlare Andrè….basta….Non ho mai smesso di essere amica tua, né di volerti bene come te ne voglio…da sempre. Mi sei mancato in questo periodo e…ho capito tante cose anch 'io…su…di me…di te…di noi – ripresi a balbettare mentre l’emozione mi faceva tremare le gambe e lo stomaco si chiudeva in una morsa. 
 
- Cos’hai capito? – mi domandò teso ed emozionato a sua volta. 
 
Volevo urlargli che lo amavo, che volevo stare con lui per il resto della mia vita, che mi baciasse e mi abbracciasse, che mi consolasse, che mi aiutasse a essere pienamente me stessa….che senza di lui, io non mi riconoscevo…. 
E non ci riuscivo! 
Distolsi lo sguardo in preda all’imbarazzo più forte di cui avessi memoria e mi accorsi che accanto al vassoio era poggiata una rosa bianca….una rosa bianca in pieno inverno? 
Andrè mi lesse nella mente. 
 
- Ah…quella è per te: è del roseto della serra di Arras. E’ il mio regalo per te…. 
 
La prese e me la offrì. 
Io la presi delicatamente tra le mani e la odorai ad occhi chiusi. 
 
- Sei bella e speciale come questa rosa, Oscar….- osò Andrè. 
 
- Tu…tu di più….Sei importante per me, Andrè….sei….oh, aiutami, sciocco! 
Eh, sì…quando io mi trovavo in difficoltà, ed era colpa mia, esattamente come faceva sua nonna, me la prendevo con lui! 
 
- Cosa devo fare? – mi domandò strabuzzando gli occhi. 
 
- A dirtelo….- risposi io. 
 
- A dirmi…cosa? – riprese lui con voce tremante e interrogativa allo stesso tempo. 
 
- ….che ti amo, Andrè….ti amo…. – gli sussurrai timida ma guardandolo decisa negli occhi. 
 
E poi mi strinsi al suo petto, abbracciandolo forte. 
Lui, dopo qualche istante di sbigottimento, penso, si decise a chiudere le sue braccia intorno alla mia schiena. 
E quando, completamente ammutolito, adagiò la sua testa sulla mia, sentii il suo petto scuotersi mentre sussurrava infinite volte il mio nome, fino a percepire poi lievi singulti. 
Solo allora, si staccò da me. 
Mi guardò con gli occhi lucidi per lunghi istanti e mi mormorò che mi amava anche lui, immensamente, e che l’avevo reso felice. 
E io gli credevo. 
Gli sorrisi e mi decisi: sfiorai le mie labbra sulle sue e gli diedi un piccolo bacio. 
Un momento perfetto di gioia, poi fu lui a baciarmi e non smise più per un tempo infinito…. 
Eravamo ritornati a casa. 

ANGOLO DELL'AUTRICE
In extremis, come sempre, eccomi anch'io a festeggiare il compleanno di Oscar con questa OS!
Buone feste!
Un abbraccio...
Sandra

 
  
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