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Autore: Ily Briarroot    27/12/2016    7 recensioni
"... Gli occhi di Ranma avevano assunto un'altra espressione. Non erano più limpidi. Il fuoco era l'unica cosa viva in lui in quel momento. Per la prima volta nella sua vita, stava perdendo il controllo. Per la prima volta nella sua vita, aveva l'irrefrenabile desiderio di uccidere l'avversario che aveva tra le mani... "
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sunrise
Era stata una mattinata normale, in fin dei conti. 
Si era svegliato tardi come al solito, mangiando al volo la colazione che suo padre quasi gli lanciava e che lui ingurgitava tra una parola di troppo e un'offesa rivolte alla fidanzata. 
Dopodiché, la rincorreva fuori di casa senza quasi far caso alla cartella che Genma quasi gli dava in testa, colpa della sua dannata sbadataggine. 
Oppure, come spesso Akane gli intimava, colpa solo e unicamente sua. Ma, immaturo com'era, non lo avrebbe mai ammesso. 
E i litigi ricominciavano. Anzi. A volte Ranma aveva l'impressione che non finissero mai. Era un'eterna lotta destinata a non terminare mai. Entrambi orgogliosi, testardi, con molta - troppa - energia per potersi ignorare candidamente. E, ultima ma non meno importante, due artisti marziali. 
Già, perché la ragazza dai grandi occhi castani che tanto facevano girare la testa a tutti i ragazzo della scuola, in realtà era un maschiaccio. Ranma non aveva problemi ad ammettere di pensarlo, ad alta voce e spesso davanti a lei. Quando andava bene se la cavava con un muso da far inciampare chiunque, mentre quando andava male i pugni in testa erano all'ordine del giorno.
Anche quella giornata era quindi iniziata male esattamente come le altre. Ranma sbuffava mentre la seguiva sotto la pioggia di corsa nel vano tentativo di raggiungere l'istituto superiore Furinkan prima che suonasse la campanella che anticipava l'inizio delle lezioni. 
Sapeva che parlare o ribattere sarebbe stato inutile dal momento in cui lei lo aveva superato senza neanche voltarsi, una smorfia tesa stampata sul viso. Quello era il segnale che stabiliva che Akane non gli avrebbe parlato per un bel po'.

Erano passate cinque ore e il ragazzo con il codino era seduto su uno sgabellino al locale di Ukyo, in attesa che la ragazza impiattasse il suo okonomiyaki. 
Faceva freddo, l'umidità rendeva l'atmosfera pesante. 
Ranma sbuffò, poggiando il palmo della mano sulla guancia, lo stomaco che brontolava.
"Oh avanti, cosa c'è? Non avrai di nuovo litigato con Akane?".
La voce squillante di Ukyo lo riportò bruscamente alla realtà. Attese qualche istante prima di rispondere, irritato dal modo in cui non riuscisse a mascherare ciò che provava. Davanti a Ucchan, ancora meno.
"Anche se fosse, ci sarebbe qualche problema? Io non ne vedo".
Ukyo fece una risatina sommessa, dopodiché gli servì l'okonomiyaki ai frutti di mare. 
"Non capisco come possiate vivere insieme se non andate d'accordo. Rimarrà sempre un mistero per me".
"Che ci vuoi fare? Hanno deciso tutto i nostri genitori, fosse per me... è un maschiacchio e non è per niente carina quella" concluse lui, masticando.
"Beh, ricordati che nel caso in cui tu cambiassi idea ci sarei sempre io".
Ukyo gli fece l'occhiolino e Ranma quasi si strozzò, soprattutto perché poco dopo apparve la ragazza che in quel momento mai avrebbe voluto vedere.
"Vedo che ti diverti... " iniziò Akane e Ukyo lasciò in sospeso la sua risatina squillante.
Il ragazzo si riprese, dandosi dei colpettini sul petto finché riuscì a smettere di tossire. 
"Aspetta Akane, da quanto sei qui?"
"Quanto basta" rispose la fidanzata, avanzando di qualche passo "ora so con certezza come stanno le cose tra noi. Ero venuta per avvisarti di una cosa, ma a quanto pare ti trovi meglio qui".
"Ma cosa stai dicendo, scema? Guarda che io-"
"-non mi devi alcuna spiegazione. Non mi interessa. Però almeno adesso so che pensi davvero questo di me".
Gli sorrise, ma non era il suo sorriso dolce, quello che mostrava raramente quando finalmente riusciva a fidarsi e a stare bene. Ranma lo riconosceva e non assomigliava neanche lontanamente a quello che lei gli stava mostrando in quel momento.
Forzato, che nascondeva un qualche tipo di dolore. Che nascondeva le lacrime che minacciavano di traboccarle dagli occhi.
Si sentì maledettamente in colpa. Per quanto potesse essere ottuso, Ranma aveva capito di averla ferita. E, in fin dei conti, sapeva anche di aver esagerato. 

Non tornò immediatamente a casa dopo aver visto Akane scappare via dal locale di Ukyo. 
Forse avrebbe dovuto rincorrerla e cercare di spiegarle la situazione, ma non avrebbe potuto perché non c'era alcuna situazione da spiegare.
Lei aveva sentito tutto, ne era convinto. E, in quel caso, non avrebbe potuto fare nulla per scusarsi. 

Quanto sono stupido... ha ragione...

Dopotutto, le aveva solo dato la conferma che quelle parole le pensava davvero. In particolar modo, stava parlando male di lei con una delle ragazze che la infastidivano.
"Ma che bravo, oggi ho fatto solo danni" ripetè, una mano in tasca e l'altra stretta attorno al manico della cartella. 
Salì sulla recizione che costeggiava il fiumiciattolo che era solito percorrere tutte le mattine e iniziò a correre verso casa Tendo. Non aveva idea del modo in cui poterla affrontare, nel caso fosse stata lì pronta a tirargli qualcosa in testa. 
Quando vide in lontananza la palestra Tendo, qualcosa lo bloccò. Aveva una brutta sensazione addosso, che aumentava man mano che si avvicinava. La porta di casa era chiusa, Genma e Soun non erano presi con la solita partita di mah-jong all'entrata e non vi era alcun mormorio. 
All'improvviso, dei rumori provenienti dalla palestra lo fecero voltare di scatto. Subito dopo, un gemito che conosceva bene e una voce più grossa urlare "Akane!".
Ranma scattò, il cuore a mille. Non appena entrò nell'edificio, sgranò gli occhi, inizialmente facendo fatica a ragionare.
L'intera famiglia Tendo circondava, con un misto di incredulità e terrore stampati sul volto, due figure, una delle quali a terra. Gli occhi chiusi, il sangue che macchiava il pavimento. Un braccio stretto attorno allo stomaco.
Ranma ebbe come l'impressione di non riuscire a respirare per una manciata di secondi che parvero ore. Percepiva qualcosa che gli schiacciava i polmoni, un peso difficile da mandare giù. Non si accorse di Soun che piangeva e che si era avvicinato alla figlia sul pavimento, né di Genma che - stupefatto - non osava avvicinarsi. Le due sorelle erano impietrite, le mano sulla bocca o davanti agli occhi. 
Ancora di meno, vide la seconda figura che gli stava davanti, il ragazzo con il sorriso beffardo che osservava senza muoversi la sfidante ferita.
"Akane!".
Ranma corse verso di lei, mettendole una mano sulla testa. Cercò di tirargliela su delicatamente nel vano tentativo di farle aprire gli occhi, mentre si sporcava con il suo sangue. 
"Akane, mi senti?!  Rispondi!".
Iniziò a chiamarla senza neanche accorgersi di tremare impercettibilmente. 
"Che perdita di tempo. Una tale nullità non merita di avere una palestra come questa" disse con un ghigno il ragazzo, sfidando Ranma con lo sguardo.
Non ci volle molto, perché dopo qualche istante, il moro lo teneva per il collo, sbattendolo contro il muro. 
"Non ti permettere di fiatare, lurido verme! Pagherai per quello che le hai fatto!".
Gli occhi di Ranma avevano assunto un'altra espressione. Non erano più limpidi. Il fuoco era l'unica cosa viva in lui in quel momento. Per la prima volta nella sua vita, stava perdendo il controllo. Per la prima volta nella sua vita, aveva l'irrefrenabile desiderio di uccidere l'avversario che aveva tra le mani prima anche di sapere come stesse Akane. Non osava guardare indietro, perché il solo dubbio che potesse essere morta o in fin di vita o altro ancora lo annientava. 
Lo sconosciuto appoggiò le mani sulle sue, facendo forza per liberarsi. Il ragazzo con il codino, per tutta risposta, strinse di più.
"P... peggio per lei che è una nullità".
"Stai zitto, schifoso! Sei tu la nullità! Non devi neanche permetterti di parlare di lei!".
Ranma strinse ulteriormente e non mollò la presa neanche quando capì che il suo sfidante stava per perdere conoscenza, quasi senza ossigeno. 
Mentre Soun e le ragazze soccorrevano Akane ancora immobile, Genma si gettò sul figlio, attaccandolo nel tentativo di fargli lasciare la presa.
"Ranma, lascialo!".
Non lo ascoltò, non vedeva altro. Non pensava ad altro. Forse, stava cercando di perdere del tutto il poco controllo rimastogli.
"Figliolo, lo uccidi! LASCIALO!".
Neanche Genma riusciva a opporre resistenza al figlio. Per la prima volta, anche Soun che vedeva la scena da lontano, sgranò gli occhi alla reazione del ragazzo che aveva ospitato in casa sua e accolto come un figlio.
Akane mosse appena le palpebre, anche se il forte bagliore della palestra la costrinse a socchiuderli. Aveva male in tutto il corpo e le girava la testa, ma le bastò sentire in lontanza le voci per riconoscere quella del fidanzato.
"R... Ranma... " disse appena, senza riuscire a muoversi.
Il ragazzo si bloccò, il respiro ancora fermo nei polmoni. Il cuore a mille. Allentò la pressione sul collo dello sconosciuto quando, di colpo, la sua attenzione si concentrò unicamente su di lei. La preoccupazione del momento spazzò via la rabbia, anche se da qualche parte dentro se' qualcosa fremeva ancora. 
"Ringraziala che non ti abbia spezzato le ossa. Ascoltami bene, perché non te lo ripeterò. Akane è la mia fidanzata, tu azzardati a sfiorarla di nuovo e io ti ammazzerò con le mie stesse mani, ovunque tu sia".
Lasciò brutalmente la presa da lui, allontanandosi di qualche passo. Lo fece con difficoltà, con enorme difficoltà, a non lasciarsi andare al forte desiderio della vendetta.
"Te la farò pagare, te lo giuro. Ma ora devo pensare a lei. Sparisci prima che cambi idea".
L'altro mantenne lo sguardo fisso, senza mai voltarsi. Grignò appena i denti, deglutendo a fatica, dopodiché si allontanò senza fiatare e uscì dalla palestra.
"... bisogna chiamare il dottor Tofu e portarla in ospedale" stava dicendo Soun in preda alle lacrime, mentre la figlia faticava a tenere gli occhi aperti.
"In fretta però, sta perdendo sangue" disse Nabiki, che stava inginocchiata vicino al padre.
Ranma si avvicinò subito, nonostante non fosse per niente certo di essersi calmato.
"Akane... come stai?" le chiese, sollevandole nuovamente la testa. Lei aprì gli occhi, forzando un sorriso. 
Aveva già capito.
"Grazie... " mormorò, prima di perdere nuovamente conoscenza. 
"AKANE! Resta sveglia, dai!".
Ma si accorse che la ragazza non lo sentiva già più e il peso che schiacchiava i polmoni tornò forte. Soltanto durante il viaggio verso l'ospedale si accorse delle lacrime che minacciavano di traboccargli dagli occhi e che aveva cercato, involontariamente, di ricacciare indietro durante tutto il tempo.

Quando entrò, la vide distesa sul letto, sotto le lenzuola candide. Una benda stretta attorno alla testa era la prima ferita che balzava all'occhio, prima ancora cerotti che coprivano i graffi lungo le braccia. 
Quando lo vide entrare, lei sorrise. Stavolta, non era quello forzato di poche ore prima. Era autentico.
"Ciao, Ranma... ".
Lui le si avvicinò, sospirando nel vano tentativo di mantenere quel poco di autocontrollo che ancora credeva di avere.
"Ciao, Akane. Senti, io... ecco... "
"Tu cosa?".
Lei lo guardava con gli occhioni da cerbiatto spalancati, in attesa.
"Io... cioé... stai bene?".
Akane annuì, sistemandosi meglio sul materasso.
"Sì, ho solo un po' di dolore, ma... passerà. Il dottor Tofu dice che sarebbe potuta andare peggio"
"Sì, infatti" si affrettò a rispondere lui, stringendo un pugno "possibile che tu debba essere così irresponsabile? Hai deciso di farmi spaventare a morte per farmela pagare?!".
La ragazza aveva già aperto bocca per ribattere, ma solo all'ultimo rifletté su ciò che lui aveva detto.
"... cosa? Tu pensi che io ti abbia fatto preoccupare di proposito? Quindi mi diverto ad andare in giro a farmi ammazzare?!"
"Come al solito giungi alle solite conclusioni senza capire niente! A volte sei davvero ottusa! Intendevo solo dire che... avresti potuto dirmi che avevi un incontro in palestra, ti avrei dato una mano a-"
"- e rovinarti il pomeriggio con la tua Ucchan? Non ci penso proprio!"
"Appunto. Ecco ciò che intendevo. Non me lo hai detto solo per ripicca, puoi essere così ingenua?"
"Questi sono affari miei e della mia palestra, se arriva un tipo qualunque che minaccia la palestra della mia famiglia io devo essere in grado di difenderla!"
"Se non fossi arrivato al momento giusto quello ti avrebbe fatto fuori senza tanti complimenti!" quasi urlò, il sangue che gli ribolliva nelle vene. Akane rimase impietrita, mentre un flashback le tornava alla mente. Una voce che la difendeva, che urlava. Lo stesso tono, quello del ragazzo che aveva davanti. Arrossì appena, sentendosi improvvisamente stupida. 
Era davvero un'ottusa a volte. Perché, di colpo, tutto ciò che l'aveva fatta arrabbiare, ora non esisteva più. Le era bastato ciò che aveva sentito dopo a infonderle sicurezza.
Calò un silenzio imbarazzante nel quale nessuno dei due sapeva cosa dire. 
Fu lei a chiamarlo per prima, perché le guance assumevano un leggero color porpora.
"Ranma?"
"Dimmi".
La minore delle sorelle Tendo sospirò, cercando le parole giuste.
"Io non... non ne sono sicura in quel momento, ma... tu hai fatto qualcosa a quel ragazzo?" gli chiese, preoccupata. Ricordava le parole di lui, ricordava di averlo sentito urlare. Ma non aveva idea di cosa fosse successo, se non delle immagini che si era creata in mente.
"No" Ranma sospirò, ricordandosi quell'orrenda situazione nella quale non si riconosceva più. Aveva fatto fatica a spiegarlo alla famiglia Tendo e a suo padre, mentre aspettavano nella sala d'attesa, e non voleva tornare a pensare ai loro sguardi increduli, quasi timorosi.
"Non gli ho fatto niente. Ma per poco. Ho creduto di perdere il controllo, mi dispiace" ammise, sedendosi sulla sedia accanto al suo letto.
"Lo so. So che non lo faresti mai"
"Non l'ho fatto solo grazie a te. Me lo hai impedito tu, Akane".
Lui non la guardò. Abbassò lo sguardo, fissando il pavimento più pensieroso che imbarazzato. La fidanzata lo osservò stupita. Dopodiché decise che non importava. Non importava più.
"Ranma".
Lo fece voltare e finalmente si specchiò nei suoi occhi blu, che ancora lasciavano trapelare tanta confusione.
"Grazie".
Lui non seppe perché, ma sentì il cuore tornare a battere forte. Si sentì un po' più sicuro. Sorrise, prima di alzarsi in piedi e allontanarsi.
"Rimettiti in forze, altrimenti sembri una femminuccia" scherzò, prima di uscire.
"Ti faccio vedere io!".
Akane lo vide scomparire dalla soglia della camera. E un altro sorriso, più timido e sincero, si fece largo sul suo viso. 
  
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