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Autore: Amber    27/12/2016    2 recensioni
-Sei un bugiardo Merlin- Arthur scivola a sedere e punta gli occhi nei suoi, serio e accusatore -E sei un codardo- Il moro fa un verso indignato ma il Re pare implacabile -Hai ragione sai? Butterei via tutto, anche se non lo vorrei perché amo essere ciò che sono, ma lo farei per te. Non a causa tua ma per te. Pensarci mi fa solo male, non ho bisogno di farlo. Lo sai anche tu, sono un uomo di azione, agisco e basta e anche se tu credi che i contro sono maggiori dei pro, per me non è così- Trattiene a stento un sospiro -Ma non posso fare tutto da solo. È una decisione che devi prendere tu Merlin, quindi...- Prende in mano la spiga mezza rotta e torna ad allungargliela in un chiaro invito.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gaius, Gwen, Merlino, Principe Artù | Coppie: Gwen/Artù, Merlino/Artù
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Eh niente, avevo questa immagine in testa e dovevo scriverla: una casina in pietra, un orto e questo immenso campo di grano incendiato al tramonto. Un po' irreale a dirla tutta ed è il pensiero su cui si basa un po' questa one-shot. Merlin non è un sognatore, è uno un po' terra a terra che sa quanto è difficile la vita proprio perché è cresciuto in un mondo in cui si doveva dare una mossa se voleva campare; in più c'è questo destino, questo grande progetto che vede Arthur come Re di tutta Albion e non può permettersi distrazioni. Arthur al contrario è... più propenso nel buttarsi, perché lui ci crede, lui sa che possono.

Anche io credono che possano, devono solo avere il coraggio di buttarsi... beh, Merlin deve averlo... e lo avrà.

Ci rivedremo di sicuro presto (con i miei tempi ovviamente) perché amo questi due come una pazza isterica!

Amber

 

***

 

SPIGHE DI GRANO PER DIRTI TI AMO

 

-Facciamo a chi arriva prima?-

-E' stupido, non abbiamo dieci anni-

-Bah, hai solo paura di perdere-

-Scusami?-

-Dai Arthur!-

Sente il vento tra i capelli, la risata gli sorge spontanea. Pochi metri davanti a lui Merlin ride. La foresta intorno a loro scorre priva di pericoli e ostacoli e quando finalmente si apre il biondo sa di essere a casa: c'è una casupola in pietra isolata, un orticello, una stalla e un piccolo recinto. Il sole tramonta quando Merlin si volta verso di lui con l'affanno.

-Idiota. Sei partito prima- sbuffa scendendo

-Asino. Hai comunque perso-

Lo fa scendere, immerge la mano tra i capelli neri e posa la fronte sulla sua.

Lo sfondo che li incornicia è il loro piccolo campo di grano che ondeggia al sole morente, incendiandolo.

 

Arthur si sveglia di soprassalto, sta male, si sente soffocare. Gwen dorme al suo fianco ma scalcia comunque le coperte, sudando freddo e tremando, i pensieri che vanno troppo veloci per la sua mente ferita. Il moro entra in quel momento, silenzioso come un gatto, ma appena si accorge di lui gli sorride

-Buongiorno sire- Corre ad aprire le finestre e quando si volta verso di lui la luce del mattino è abbagliante da far male -Dormito bene?-

Il biondo distoglie lo sguardo da lui e deglutisce a vuoto, le parole incastrate in gola che non escono.

Fa male.

 

***

 

Merlin sa che c'è qualcosa di strano nell'aria.

Lo percepisce come un formicolio sulla pelle che gli fa drizzare i peli sulla nuca e gli chiude lo stomaco in una morsa. Lo rende nervoso, inquieto, non lo fa dormire la notte e sa che non deriva da un suo personale problema.

Non ha bisogno che Ginevra, la sua Regina, gli sussurri in un angolo del corridoio -lontani da occhi e orecchie indiscrete- che con lui Arthur è strano negli ultimi tempi: il moro lo avverte già da se anche se non sa dire il perché, ed è assurdo che parlando del suo Re lui non sappia il perché di qualcosa, o il come, o il dove.

Eppure si sente un maledetto ago smagnetizzato alla ricerca del suo Nord, perché se Arthur è strano, inquieto e nervoso anche lui di riflesso si sente tale e non sapere la causa scatenante lo rende decisamente apprensivo, ansioso ed asfissiante.

Lui dovrebbe sapere sempre il perché.

Insomma, oltre a Gwen lui è la persona più vicina ad Arthur, quella con cui passa più tempo e con cui si confida maggiormente, eppure questa specifica volta non capisce cosa sia successo, cosa gli sia sfuggito nell'ambiente circostante il suo Re per rendere Arthur così poco... Arthur.

Nemmeno a dirlo il biondo passa le sue giornate a sfinirsi sul campo di allenamento, distruggendo i fantocci a colpi di spada e sfiancando i suoi cavalieri come se dovesse prepararli a un'imminente battaglia inesistente; trascorre le serate davanti al fuoco a scrutare le fiamme impassibile e certe volte sembra che quelle stesse fiamme gli ardano negli occhi quando lo guarda, come se il moro avesse commesso chissà quale atrocità, facendolo sussultare inquieto aspettando una parola che puntualmente non arriva.

Non che Merlin abbia fatto chissà cosa per essere rimproverato di recente... insomma, niente di così grave da quando Arthur aveva scoperto la sua magia salvandogli la vita da Mordred ecco. Ma quel momento era passato e a dirla tutta il moro si stupiva ancora di quanto avevano tutti gestito bene la situazione.

Quindi il moro aspettava pazientemente che il suo amico gli parlasse, che gli spiegasse cosa avesse fatto di così grave oltre a svolgere le sue solite mansioni come servitore personale, ma niente: la vita procedeva, ma non come avrebbe dovuto. E quando Gaius gli chiese, sopracciglio alzato e sguardo esasperato, cos'avesse combinato questa volta, Merlin si rincuora solo nel constatare che non è tutto nella sua testa.

 

In ogni caso ora gli sta sistemando addosso l'armatura da allenamento e Arthur lo osserva in silenzio, senza pronunciare una sillaba e a Merlin verrebbe quasi voglia di sbagliare qualcosa nella vestizione pur di sentire la sua voce mentre lo riprende dandogli dell'idiota. Ma non lo fa: continua a fare i suo lavoro come ha sempre fatto -sempre meglio, sempre più veloce, sempre più preciso- e quasi sospira di sollievo quando ha finito

-Ecco qui. Cercate di non ammaccarla di nuovo oggi. Sistemarla è un casino tutte le volte- lo riprende con leggerezza alzando gli occhi per guardarlo in faccia e gli occhi azzurri del suo Re sono lì, a guardarlo implacabili come se non avesse fatto altro. E in effetti è proprio così.

Arthur prende in mano la spada senza filo ed esce, senza una parola.

Possibile che avesse fatto inconsapevolmente qualcosa che lo aveva infastidito?

La cosa peggiore, pensa Merlin nel silenzio della stanza, l'eco dei passi di Arthur che si allontanano nel corridoio, è che non sa come rimediare a qualcosa che non sa di aver fatto.

 

Il suo Re pare più tranquillo quando lui non è nei paraggi.

Se ne accorge un giorno per caso mentre sta camminando velocemente per i corridoi del castello con una commissione per Gaius da svolgere nel più breve tempo possibile, eppure si blocca senza fiato appena sente da dietro un angolo la risata di Arthur. È quella risata piena che si concede di tanto in tanto, quando il regno è in pace e lui è solo un giovane uomo e non il Re, quella che fino a poco tempo fa scaturiva soprattutto in sua presenza.

Non si sa rispondere quando si domanda quand'è stata l'ultima volta che loro due sono riusciti a parlare con la leggerezza sufficiente da poter ridere insieme. È un pensiero brutto, triste, che gli fa piombare un peso sul cuore come a volerlo soffocare.

Quindi si sporge, non per spiarlo, ma perché vuole davvero vederlo ridere di nuovo ed eccolo lì infatti, Arthur insieme a ser Lion che gli sta raccontando chissà cosa tanto da fargli inclinare la testa all'indietro per ridere più liberamente. Merlin si perde un secondo a scrutarlo, perché vederlo in quel modo rilassa anche lui e gli dà l'illusione che sia tutto a posto. Ma nulla è a posto quando finalmente Arthur lo vede con la coda dell'occhio, mezzo nascosto dal muro e intento a fissarlo. Il biondo si blocca, si raddrizza e i lineamenti si induriscono quasi istantaneamente, fa un cenno del capo a ser Lion e se ne va, prendendo la strada opposta.

È come una tacita condanna di abbandono ed è insopportabile

-Merlin... che hai fatto al Re?-

E davvero, il moro vorrebbe saper rispondere.

 

Quando è iniziato?

Lo stregone se lo chiede appoggiato alla staccionata al di là del campo di allenamento accompagnato dal clangore delle lame e dagli ordini secchi del suo Re; mentre versa da bere ad Arthur e Ginevra durante una festa; mentre rassetta la camera lanciandogli occhiate brevi ma frequenti durante i suoi studi; durante una riunione della tavola rotonda dove può permettersi di studiare sfacciatamente la nuca bionda e la rigidità delle spalle ampie; durante i pasti che gli serve in solitaria osservandolo mangiare, fermo in un angolo e in silenzio.

Insomma, se lo chiede spesso e volentieri e obbiettivamente non lo sa. Semplicemente un giorno si è reso conto che Arthur non gli parla, che non gli risponde e che tra di loro è scesa una patina strana, fredda.

Non crede che sia stato per qualcosa che ha detto. Insomma, loro due si insultano costantemente e se ne sono dette tante e di sicuro peggiori... è il loro modo di fare: parlano senza darci peso, come se parlassero del tempo, ed entrambi sanno che al di là di tutto provano rispetto l'uno per l'altro, affetto e amicizia. Soprattutto ora che Arthur sa e che Merlin non è più costretto a nascondersi

“Devo salvarlo” pensa sdraiato insonne nella sua camera, lo sguardo fisso al soffitto “Questo rapporto, a qualunque costo devo salvarlo”

 

Merlin si è sempre vantato di essere un uomo di petto.

Tenere i guai lontani va bene ed è cosa buona e giusta, ma quando c'è bisogno del confronto lui non è uno di quelli che si tira indietro, anzi. Perciò decide che quella è la sera in cui parlerà con quello stupido asino e gli chiederà qual'è il suo problema e qualunque risposta sarà ben meglio del vuoto di cui si sente circondato.

Quindi prende la cena dalle cucine e gliela porta, passo deciso e testa alta.

Lo trova come sempre solo alla sua scrivania, la testa china alla luce della candela e rimane fermo a guardarlo sperando in un'illuminazione improvvisa sul suo comportamento, ma appena il biondo alza gli occhi su di lui, le sopracciglia sollevate e il dito che tamburella il legno, capisce che il silenzio non è più un'opzione

-Vi ho portato la cena- esordisce ovvio e gli si avvicina.

Il biondo si limita ad annuire e attende in silenzio che il moro compia il suo dovere.

Aspetta che finisca di mangiare -perché un Arthur affamato è ancora più irritabile- quindi spazientito sparecchia appena ne ha la possibilità, la tensione sotto pelle ai mille

-Puoi andare, non ho bisogno di te- lo congeda il Re tornando al rapporto che ha sotto mano, lo stesso di prima, ma il moro scuote il capo e non si muove

-Dobbiamo parlare- esordisce diretto e il nervosismo gli fa tremare la voce.

Arthur è implacabile mentre lo fissa, il bagliore del fuoco nel camino lo rende puro marmo

-No, non dobbiamo-

-Si invece, perché voi siete strano e sorprendentemente la cosa rende strano persino me, quindi se foste così gentile da dirmi qual'è il problema io potrei finalmente scusarmi per qualcosa che non so di aver fatto in modo da poter far tornare tutto come prima- vomita senza prendere fiato e trovandosi con l'affanno che nasconde stringendo le labbra l'una con l'altra. Rimangono fermi a fissarsi ed è chiaro che il biondo non si smuoverà di un passo. Sospira, gli occhi socchiusi, l'esasperazione evidente: forse deve impegnarsi un po' di più... -Se ho fatto qualcosa che vi ha offeso...-

-L'hai fatto-

-Mi dispiace-

-Ti dispiace?- Arthur ride e sembra che una coltre di brina abbia abbassato la temperatura nella stanza tutto in una volta, anche se Merlin sa che il fuoco sta ardendo arzillo nel camino a pochi metri da loro: non lo percepisce, non lo sente, è in balia dell'umore di Arthur e non riesce a liberarsi. È irritante -Per cosa ti stai scusando?-

-Non lo so! Ditemi cos'ho fatto e...-

-Vattene- ordina scuotendo la testa

-No-

-Merlin, vattene!-

-No!- si impunta.

Arthur scatta in piedi furioso, la sedia viene ribaltata all'indietro e le carte sulla scrivania volano via insieme alla candela che rotola a terra. Davvero, Merlin non sa con quale lucidità alza la mano e usa la magia per spegnere la fiamma che potrebbe dar fuoco all'intero palazzo.

È sconvolto e non può fare a meno di osservare il biondo davanti a se, la scrivania ancora a dividerli. Eppure il Re troneggia su di lui e la stanza diventa improvvisamente piccola, talmente piccola da sembrare soffocante

-Smettila di guardarmi Merlin-

-Cosa?-

-Smettila di guardarmi!- ripete e la voce pare tremare mentre assottiglia gli occhi

-Io non devo...? Ma siete il mio Re e sono il vostro servitore personale come... come faccio a non guardarvi?-

E' ridicolo... ai limiti dell'assurdo. E anche se non fosse tutte queste cose sarebbe impossibile per lui non guardarlo visto che, senza ombra di dubbio, lui è il suo destino. In quale universo potrebbe non guardarlo? Non seguire abbagliato la luce naturale della sua aura ed essere immensamente grato di poter vivere sfiorato da essa?

-E allora non essere più il mio personale servitore-

E' come una secchiata di acqua gelida giù per la schiena. Probabilmente è barcollato perché la stanza ondeggia e... no, no forse ha capito male.

Lo guarda. Arthur ha i pugni chiusi lungo i fianchi e l'espressione del suo viso è indurita da una smorfia

-E' un ordine?- mormora -Me lo stai ordinando o... o posso dire la mia?-

-No-

Merlin si chiede a quale domanda risponde quel no. Ma non è sicuro di volerlo sapere. Fa un passo indietro, poi un altro

-Se ti ho offeso in un qualche modo perdonami. Credevo solo...- Fossimo amici, sono le parole con cui non finisce la frase -Pensavo...- Avessi capito. Capire che ormai gli è entrato talmente tanto nelle ossa, nel sangue e nella mente che non potrebbe più essere un servitore qualunque al servizio di chissà chi; che bandirlo sarebbe peggio di morire; che non sarebbe mai più riuscito a tornare a casa da sua madre e fare finta che quegli anni fossero solo un bel ricordo; che non potrebbe sopravvivere senza il biondo al proprio fianco, senza quella brillante luce di cui si accontenta essere solo sfiorato e che non osa bramare per se.

Ma le parole non escono. Rimangono incastrate tra lo stomaco e la gola e improvvisamente deve uscire, ha bisogno d'aria, non può rimanere in quella stanza un minuto di più.

Quello non è l'Arthur che conosce: è un maledetto sconosciuto nella pelle del suo Re, con gli occhi del suo amico, con la sua voce vibrante di cui conosce ogni sfumatura e il corpo di un ragazzo divenuto uomo a causa delle troppe cicatrici che potrebbe disegnare a occhi chiusi.

Si dirige alla porta e la apre, la salvezza a un palmo dal naso, ma la mano di Arthur la richiude con un tonfo secco. Merlin sussulta alla vicinanza e si gira per affrontarlo, gli occhi scintillanti di rabbia

-Ma qual'è il tuo problema?- grida furioso, l'etichetta definitivamente dimenticata.

Arthur non gli risponde. Non che ultimamente sia una novità.

Rimane fermo a un passo da lui, la mano sulla porta accanto al suo viso, gli occhi piantati nei suoi e la bocca piegata in una linea triste.

Il moro si sente improvvisamente stanco: stanco di quegli sbalzi di umore, stanco di provare a capire, stanco di quella giornata che non finisce, stanco di obbedire. Eppure si sforza di distogliere gli occhi da Arthur e li punta sull'angolo della scrivania dietro al biondo, concentrandosi sulle venature del legno.

Non guardarlo, sussurra la sua mente, non guardarlo

-Ti sei mai chiesto come sarebbe se io non fossi il Re?- domanda il biondo improvvisamente, i muscoli del corpo in tensione, pronto ad attaccare in qualunque momento.

Attaccare cosa o chi Merlin non lo sa. Vorrebbe ridere, perché si stanno accumulando troppe cose che non sa. Forse dovrebbe solo farsi da parte e lasciarlo libero... evidentemente lui ha perso la capacità di comprenderlo e Arthur ha ragione a non volerlo più al suo fianco: cosa se ne potrebbe mai fare di un servitore che non capisce come lavora la sua mente?

-Cosa?-

Non guardarlo, continua a ripetersi. Ma le venature non sono interessanti e la sua attenzione si sposta alla trama del tappeto sul pavimento, dove la macchia nera del fuoco della candela fa bella mostra di se

-Secondo te come sarebbe la nostra vita se io non fossi il Re?-

E' una conversazione che avevano già fatto tanto tempo prima, quando erano alla ricerca di Balinor per salvare Camelot. Il forse saremmo amici se non fossi un principe di allora Merlin credeva di averlo superato da un sacco di tempo, ma a quanto pareva tendeva a sbagliarsi più di quanto immaginasse visto che evidentemente tanto amici non lo erano. Ed era assurdo dopo l'infinita quantità di volte in cui si erano salvati la vita!

-Non saprei. Direi che faremmo come tutti gli altri, provando a campare giorno per giorno. Forse io darei una mano a te e Ginevra con certi lavori e voi dareste una mano a me con altri, probabilmente noi due ci scambieremmo favori proprio come buoni vicini e sarei stato il vostro testimone di nozze, chissà?-

Ginevra avrebbe fatto da mangiare più di quanto avrebbe dovuto sapendolo solo nella sua casupola e lo avrebbe invitato a cenare con loro ogni giorno; lui avrebbe portato alla loro tavola i frutti della sua terra e si sarebbe fermato a parlare con Arthur fino a notte inoltrata accompagnati da un buon bicchiere di birra; poi, quando ci sarebbero stati, avrebbe insegnato ai figli di Arthur e Ginevra tutto quello che sapeva, proprio come un buon tutore.

Ah, sembrava proprio un bel quadretto

-No- esordisce il biondo con un sospiro e stavolta Merlin non può impedirsi di lanciargli un'occhiataccia risentita. Come no? Arthur stacca la mano dal legno della porta e se la porta al viso e pare così distrutto che Merlin si preoccupa all'istante

-Arthur?-

-Avremmo sicuramente un orto, sarebbe un impegno giornaliero da curare e ci sarebbero dei pomodori, delle patate... dell'insalata addirittura, ma noi siamo bravi a tenere in vita le persone e non penso che un orto sia tanto differente. Ci sarebbe anche un recinto con un bue, forse una pecora, due cavalli sarebbe bello ma anche uno basterebbe. Di sicuro avremmo questo immenso campo di grano perché è un'immagine che mi lascia senza fiato con la sua quieta vastità, le spighe che ondeggiano al vento e il sole che le colpisce durante il giorno sono lo sfondo perfetto della nostra vita quotidiana. La casa in pietra non sarebbe troppo grande, dopotutto non avremmo bisogno di molto: un focolare dove cucinare e scaldarci, un tavolo e due sedie, un angolo con il letto. Nessun vicino, non ci piacciono i vicini e poi la gente parla anche se a noi non interessa nulla. Tu daresti una mano con le tue arti curative girando nei villaggi vicini e io aiuterei con i lavori manuali, con le piccole riparazioni, cose così. Sarebbe sfiancante ma ci renderebbe immensamente felici vedere i nostri sforzi ripagati con quello che gli altri possono offrirci. Ci incontreremmo al tramonto, le spighe avrebbero quel colore tipico, come se potessero prendere fuoco da un istante all'altro. Tu useresti la magia per accendere il fuoco e semplicemente ce ne staremmo lì, in silenzio, insieme. Non ci sarebbe nessun regno a cui badare, nessun obbligo a cui sottostare, nessun matrimonio da rispettare, nessun segreto solo... solo noi due. Non avremmo bisogno di niente perché ci basteremmo. Noi due ci basteremmo- ripete piano e le labbra si stringono fino a diventare una linea bianca, gli occhi ancora nascosti dalla mano, le dita che premono sulle tempie come a volersi sfracellare il cranio.

Merlin lo fissa e ha l'impressione che qualcuno gli abbia tirato un pugno nello stomaco visto che non ha più fiato.

Ha l'immagine in mente, davvero non deve sforzarsi per sentire le risate, le prese in giro, gli spintoni. Sente il fuoco che scoppietta e vede il sole che sorge e tramonta su una casupola isolata in pietra, con il grano che ondeggia al vento e il nitrire dei cavalli nella stalla. Sente la porta che si chiude e può percepire nitidamente le braccia di Arthur attorno a se, sente appoggiato all'orecchio il fruscio di un sorriso e il sussurro indistinto Sono a casa e...

Si addossa alla porta e scaccia l'immagine come se fosse appestata, come se potesse esplodergli nel cervello e ucciderlo. Lo guarda con gli occhi enormi e smarriti di chi non sa chi ha davanti.

Ma quello è Arthur. Arthur che non lo guarda. Arthur il suo...

-Sei il mio Re- gli risponde piano e il biondo si irrigidisce -Sei il Re di Camelot e c'è il progetto di Albion in corso e... sei sposato con Ginevra. Hai degli obblighi e dei doveri e... e sei il Re- gli ripete con forza e glielo vorrebbe ripetere ancora, più forte. Vorrebbe urlarglielo e colpirlo violentemente perché... perché Arthur non può farlo, non può sognare una vita irrealizzabile e scaricargliela addosso, ferirlo in quel modo e basta, incidergli nel cervello quell'immagine perfetta e poi credere che tutto rimanga come prima.

Ma niente è come prima, giusto? Arthur ha qualcosa che non va già da un po' di tempo e ha questo comportamento strano e... possibile che sia a causa di quello?

Il biondo abbassa la mano e lo guarda

-Sono il Re- concorda, ma gli si avvicina lo stesso di un passo... ed è vicino, troppo vicino

-Arthur no- Merlin lo afferra per la spalla ma il biondo gliela scrolla via e gli afferra il viso con entrambe le mani. Il moro gli prende i polsi e cerca di sgusciare via ma Arthur lo preme contro la porta e semplicemente appoggia la fronte sulla sua -Arthur, fermati ti prego... ti prego fermati-

-Sono il Re- gli ricorda ed eccolo lì: Arthur punta gli occhi nei suoi terrorizzati ed è calmo, immenso come il cielo, limpido.

Merlin sa che basterebbe un niente, che se solo si abbandonasse all'illusione di un campo di grano e di risate segrete dentro una casupola isolata, il soffio di respiro che li divide verrebbe annullato e sarebbe naturale come respirare, il completamento finale del loro destino intrecciato. Ma loro non sono soli in quella vita che li vede Re e servitore e il tempo di qualche ora o di qualche giorno e nessuno dei due si perdonerebbe quel cedimento.

Merlin ha smesso da tempo di essere un sognatore

-Sei il Re di Camelot e tu non tradirai Ginevra-

Gli fa pressione sui polsi e il biondo si lascia allontanare di un passo staccandosi da lui. Respirare ora che non condividono più lo stesso spazio vitale è improvvisamente... difficile

-E' come se lo facessi già- gli rivela il biondo spiazzandolo e davvero non riesce a non guardarlo -Ogni volta che mi guardi, ogni volta che ti guardo... io la tradisco. Ogni volta che siamo nella stessa stanza. Ogni volta che ridi, che ti arrabbi o che ti preoccupi. Ogni volta che distruggo un fantoccio da allenamento. Ogni volta che compi una magia. Ogni volta che salvi la vita a qualcuno. Ogni volta che respiro, ogni volta che cambio direzione sperando di non incontrarti, ogni volta che desidero incontrarti-

Stavolta è arrossito. Lo sente scaldargli il collo e il viso, gli sudano le mani e non sa da che parte scappare, o che cosa guardare o cosa urlare. Dio, vorrebbe proprio urlare tutta la sua frustrazione

-Perché non me lo hai mai detto?- domanda a fatica sussurrando, cercando di tenere la voce salda

-Perché sono il Re di Camelot e, anche se non lo sono, voglio provare ad essere un buon marito per Ginevra- spiega e un po' gli scappa da ridere mentre fa un altro passo indietro, lontano da lui. Cielo, da quando non sa più respirare bene? -Quindi no Merlin, noi non discuteremo mai più di questo e si, anche se non è colpa tua, mi hai offeso e ferito, mi hai distrutto, mi hai disintegrato l'anima e non riesco a rattopparla insieme. Non posso non guardarti e non posso comportarmi come prima, non posso permetterti nulla perché tutto questo è... troppo- Prende fiato e inclina la testa guardandolo, gli occhi socchiusi e il mago si chiede come diavolo abbia fatto il biondo a nascondere dentro di se tutto quello che ora gli sta permettendo di vedere in ogni ora di ogni minuto di ogni giorno, quando lui si sente soffocare e vorrebbe solo ficcarsi sotto le coperte e scomparire -Quindi non guardarmi- Ma non può non farlo, non può obbedirgli -Ti prego- E Arthur non dovrebbe pregare -Se hai un po' di pietà per me ti prego... non guardarmi-

Merlin cerca la maniglia dietro di se ed esce, le ali ai piedi mentre scappa da quella stanza soffocante ed è bellissimo quando finalmente si ferma fuori dalle mura, il cielo scuro sopra di se, l'aria frizzante tutta intorno e... ride, isterico... un campo di grano, le spighe non ancora mature che gli sfiorano le ginocchia. Crolla a sedere e si sdraia buttandosi all'indietro. Le spighe di grano ondeggiano sotto il suo peso e da quella posizione paiono così alte da nascondere tutto.

Vorrebbe non pensarci, ma è impossibile.

Spezza un gambo e la magia agisce per lui facendo volteggiare la spiga sopra i suoi occhi.

Come si doveva agire quando si veniva a scoprire che la persona per cui hai vissuto e sei nato ti ama?

Perché Arthur lo ama. Ed è certo che anche lui lo ama.

La spiga cade a terra e lui chiude gli occhi.

 

Il giorno dopo, quando entra nella camera reale come tutte le mattine per svegliarlo, il cuore in gola e le mani umidicce, non sa se gioire o deprimersi nel rendersi conto che Arthur non c'è. Ginevra, nel più delicato modo possibile, gli comunica che il Re per quel giorno non ha bisogno di lui e assiste impotente al declino che quelle parole causano al suo amico a cui prende la mano, stringendogliela

-Merlin, avete parlato ieri, non è vero? Puoi fidarti di me se me ne vuoi parlare... Arthur anche stanotte era un po' agitato-

Il moro non riesce a guardarla. Anche lui la sta tradendo e lei non se lo merita, non Ginevra

-E' tutto a posto Gwen- Si sforza. Le sorride. Condivide la stretta delle sue dita e sa di aver preso la decisione giusta -Lo sai come siamo io e Arthur, tempo qualche giorno e non ce lo ricorderemo nemmeno più-

Ed è una bugia. Oh, che immensa, terribile bugia.

 

I giorni si susseguono e adesso nemmeno Merlin parla. Per dirsi cosa poi? Stanno insieme da soli così raramente che le poche volte che succede è solo perché hanno finito le scuse a disposizione da rifilare agli altri per farli restare.

Merlin non lo segue più alle riunioni se non è strettamente necessario e non lo aiuta a vestirsi o a farsi il bagno. Lo segue negli allenamenti solo per passargli le armi, vanno a caccia rimanendo ben distanti l'uno dall'altro, gli serve la cena quando c'è anche Gwen e gli rassetta la stanza solo quando il biondo è fuori.

Gaius è uno dei pochi che non gli lascia scampo, la sera chiusi nella loro stanza, ma il moro si rifiuta di parlarne facendo orecchie da mercante. Anche i cavalieri lo punzecchiano ma sono davvero facili da ignorare.

Come è facile ignorare i campi di grano e lo scoppiettare del fuoco, la voce nella propria testa che sussurra cose, le visioni nitide a cui non si era mai concesso di pensare e il ricordo noi due ci basteremmo, perché parole non erano mai state più vere.

Se non parlargli è facile, non guardarlo non lo è altrettanto. Ma Arthur lo ha pregato e come minimo lui deve sforzarsi: così impara a memoria il numero di pietre della camera o la trama del tappeto; è certo di conoscere il numero esatto delle assi di legno e dei chiodi che compongono la staccionata che circonda il campo di allenamento; si perde nel contare le piume e i merletti delle vesti delle dame e dei nobili che arrivano al castello; e di sicuro non ha mai trovato così belli i vestiti di Ginevra.

Eppure non è sempre così bravo. Ci sono dei momenti in cui è impossibile non osservarlo: quando ride, per esempio, o quando ha la corona in testa e pare portare il peso del mondo sulle spalle; quando sale a cavallo e il mantello rosso gli si adagia attorno; quando il sole brilla nel cielo e i suoi capelli diventano una nuvola dorata; quando alla sera si abbassa la temperatura e soffi di condensa escono ad ogni suo respiro; quando ha la spada in mano e pare un'estensione del suo braccio fatto di nervi, vene e muscoli.

No, Merlin non è sempre bravo.

Ma nemmeno Arthur lo è.

Il mago sente il suo sguardo gelido incidergli la pelle e scavare, trapassandolo da parte a parte fino a incidergli il cuore. A volte deve fuggire via per non sentirselo più addosso, pesante come acqua densa, e gli piace la sensazione della fredda parete di un qualunque corridoio che lo sostiene -è bello sapere che almeno il castello di Camelot non cambierà mai.

Si chiede come ne potranno mai uscire e di nuovo non sa rispondersi.

 

Lo capisce il giorno in cui entrando in camera sua trova sul suo giaciglio una spiga di grano. Non ha bisogno di sapere chi gliel'abbia portata. La prende in mano con le labbra strette, gli occhi lucidi di lacrime e sente che potrebbe scoppiare, la magia che vortica nelle sue vene impazzita. Forse ha fatto tremare qualcosa visto che Gaius arriva di corsa

-Merlin! Cosa stai facendo?- domanda

-Niente- il mago lo scosta gentilmente e scende gli scalini della sua stanza -Vado a parlare con il Re-

-Con una spiga in mano?-

Il moro si volta verso di lui e sente lo stelo piegarsi sotto le sue dita

-Gaius, mi dispiace tanto- Torna indietro e lo abbraccia -Ti prego, scusami-

E se ne va lasciando il suo mentore nella completa confusione.

La strada che lo conduce agli appartamenti di Arthur è breve, ma gli sembra lunga e tortuosa, peggio di qualunque cammino abbia mai affrontato. Un po' lo odia per rendergli sempre tutto così difficile.

Richiude la porta dietro di se sbattendola e il biondo sussulta a quella intrusione non richiesta. È solo e va bene così. Merlin va verso di lui a passo di marcia e sbatte la mano davanti a lui, sui suoi preziosi rapporti, e quando la allontana la spiga è abbandonata in mezzo a loro spezzata, distrutta da quanto l'ha torturata.

Almeno Arthur pare un po' colpevole

-Cosa dovrei farci?- domanda Merlin stringendo i pugni e... è così bello poterlo guardare di nuovo in faccia senza doversi imporre nulla. Il Re non gli risponde e si limita ad alzare gli occhi verso di lui -Pensavo fossimo d'accordo-

-Anche io-

Il moro vorrebbe prendergli la piuma dalle mani e ficcargliela in un occhio. Perché lui ci sta provando ok? Davvero, con tutte le sue forze. Invece Arhur pare fregarsene e basta

-Quindi me l'hai fatta trovare perché oggi ti sei svegliato con il piede sbagliato e hai ben deciso che non ti interessa più di niente? Che il nostro discorso non vale più nulla?-

-Forse è il piede giusto- gli risponde piano

-Beh, non lo è- Merlin fa un passo indietro -Sei ancora il Re e sei ancora sposato con Ginevra che non ho intenzione di tradire. Hai ancora dei doveri verso il tuo popolo, verso Albion e non butterai via tutto a causa mia- gli ricorda e lo ignora quando lo vede alzarsi, posando le mani sulla scrivania -Quindi no-

Si sente a disagio quando il biondo lo guarda ma non vuole distogliere lo sguardo, deve mostrarsi certo e sicuro

-Rispondi a una sola domanda: sei felice? Io e te, in questo modo, ti rende felice?-

No

-Si-

Il biondo inclina la testa e pare quasi in ascolto, almeno finché non gli scappa da ridere scuotendo il capo

-Sei un bugiardo Merlin- Arthur scivola a sedere e punta gli occhi nei suoi, serio e accusatore -E sei un codardo- Il moro fa un verso indignato ma il Re pare implacabile -Hai ragione sai? Butterei via tutto, anche se non lo vorrei perché amo essere ciò che sono, ma lo farei per te. Non a causa tua ma per te. Pensarci mi fa solo male, non ho bisogno di farlo. Lo sai anche tu, sono un uomo di azione, agisco e basta e anche se tu credi che i contro sono maggiori dei pro, per me non è così- Trattiene a stento un sospiro -Ma non posso fare tutto da solo. È una decisione che devi prendere tu Merlin, quindi...- Prende in mano la spiga mezza rotta e torna ad allungargliela in un chiaro invito.

Quindi le scelte sono due: può prendere quel simbolo di felicità e insieme affrontare il mondo; o può girarsi dall'altra parte, uscire da quella stanza e non tornare mai più, salvare Arthur e il suo matrimonio, permettere a Camelot di innalzarsi e vedere da lontano la nascita di Albion.

Come sarebbe la nostra vita se io non fossi il Re?

Ma lui è il Re. Quindi non può.

Non può.

Merlin fa un passo indietro e qualcosa si rompe in fondo allo sguardo del biondo e fa davvero male

-Scusa- il moro trema appena, chiude gli occhi e vorrebbe solo piangere -Forse per te non è così ma distruggerti mi ucciderebbe-

-Tranquillo- lo gela il biondo facendogli mancare il fiato, la spiga gli scivola tra le dita e cade sulla scrivania -Sei bravissimo a farlo-

Torna alle sue carte, ignorandolo ed è in quel momento che entra Ginevra, sorridendo tranquilla e ignara

-Merlin! Che ci fai qui?- domanda perplessa notando l'ora tarda -Arthur, smettila di fargli fare le ore piccole. Questo povero ragazzo ti sta dietro tutti i giorni a tutte le ore- lo riprende

-Se ne stava andando infatti- gli risponde atono senza alzare lo sguardo

-In realtà...- Balbetta. Oddio, datti un contegno -Sono venuto a congedarmi- afferma e in un istante ha lo sguardo del biondo addosso che scava, squarta e uccide

-A congedarti?- ripete Gwen sorpresa -In che senso?-

-Torno da mia madre. Parto domani- La trama del tappeto se la sognerà di notte se lo sente. Sognare, come se avesse messo in conto di dormire... che illuso -Non so se tornerò-

E' difficile. Gli gira la testa. Gli manca l'aria. Si sta punendo da solo per qualcosa che non ha mai commesso. Ma se rimanesse succederebbe e sarebbe la rovina di tutto.

Oh, come vorrebbe colpire Arthur per avergli aperto quella voragine nel cuore.

Gwen è sconvolta quando lui si inchina per congedarsi e finalmente si permette di guardarlo e di osservare la mano che trema appena e gli occhi che accusatori lo stanno uccidendo

-Sei un'idiota- lo insulta facendo sussultare Ginevra che si gira a guardarlo di scatto

-Arthur!-

-E' stato un onore servirvi maestà. Vi auguro ogni bene e la pace per il vostro regno-

Si allontana richiudendo la porta della stanza dietro di se e si incammina verso la propria camera. Spiegarlo a Gaius sarà molto più complicato. Sempre che riesca a smettere di piangere in tempo.

 

Il giorno dopo ci sono solo il vecchio mentore e Ginevra a salutarlo. Non che si aspettasse altro. La Regina trattiene a stento le lacrime

-Non c'è niente che posso dire per impedirti di andare?- chiede stringendogli la mano. Merlin scuote il capo e le sorride

-Perdonatemi Ginevra se potete-

-E per cosa? Tu non hai fatto niente ne sono sicura-

Merlin osserva Gaius che sospira

-Fai buon viaggio e scrivimi-

-Anche voi-

Lo abbraccia e parte, il fagotto sulla spalla e null'altro. Si ferma appena lo percepisce e alza gli occhi verso la torre: Arthur è immobile e lo sta guardando da lontano. Non lo vede bene, ma si immagina il taglio degli occhi, le labbra strette, i pugni chiusi. Alzare la mano per salutarlo non è un'opzione. Rimangono fermi così finché il Re non gli da le spalle e sparisce all'interno del castello. Ma Merlin sa che non è Arthur che lo sta abbandonando... è lui.

Attraversa la cittadella ed esce dalle mura, la strada che lo porterà ad Eldor è lunga e polverosa ma l'ha già fatta una volta all'andata e non lo spaventa. Ciò che lo terrorizza è la consapevolezza di quello che sta facendo: sta abbandonando la sua missione, il suo destino e Arthur. Crede in quello che sta facendo, sa perché lo sta facendo ma non è giusto. Non può essere giusto se l'unica cosa che sente a ogni passo è una morsa al petto.

Si ferma e chiude gli occhi, sente le lacrime sul viso e allunga la mano per sentire la consistenza delle spighe sul suo palmo.

Forse Merlin si è sempre vantato di essere un uomo di petto. Ma Arthur ha ragione: è un codardo.

 

Quando entra a portargli la cena, Arthur non è alla scrivania come sempre ma sta guardando fuori dalla finestra spalancata da cui entra un freddo polare che il fuoco non riesce a sconfiggere.

Ha la spalla appoggiata contro pietra e lo sguardo perso puntato all'orizzonte.

A Merlin fa un po' di tenerezza e allo stesso tempo riprenderlo è d'obbligo mentre posa il cesto che ha sotto braccio a terra

-Vi verrà un malanno a stare lì davanti-

E' divertente vedere come sussulta alla sua voce e come incespica sui suoi stessi piedi nella fretta di girarsi. Il moro posa la cena sul tavolo e con un guizzo di luce dorata negli occhi chiude la finestra e ravviva il fuoco

-Merlin?-

-Non state studiando- gli fa notare il ragazzo

-Cosa ci fai qui? Credevo... Pensavo fossi...- Arthur è impossibilitato a continuare. Deglutisce e si morde le labbra, preso in contropiede

-Lo credevo anche io- afferma il mago trattenendo un sospiro -E' stato difficile spiegarlo a Gaius, ve l'assicuro. Ora mi crede un'idiota-

-Beh, almeno adesso non sono l'unico-

Sbuffa e quasi gli scappa da ridere

-Avete ragione... l'ho pensato spesso anche io oggi di me stesso e anche il contadino me lo ha gridato dietro mentre scappavo a gambe levate- afferma e con il pollice gli indica il cesto a terra. Arthur lo fissa, le labbra contratte e le sopracciglia aggrottate mentre fa guizzare le iridi verso il cesto accanto alla porta di cui non può vedere il contenuto. Il moro rotea gli occhi e lo va a prendere avvicinandoglisi subito dopo -Mica mordono- lo riprende borbottando.

Il biondo trattiene il fiato quando scorge ciò che il cesto contiene: spighe di grano, a decine. Se ne stanno lì, pigre, gialle, finalmente mature e Merlin ne sfiora una arrossendo

-Avevi detto che non ne volevi sapere- lo riprende piano e il moro annuisce

-Non potevo andarmene- mormora abbracciando il cesto, proteggendosi. Le spighe sono davvero belle, eleganti e perfette -Scusami, ma non potevo farlo-

Arthur appoggia le mani sulle sue, sono fredde ma non spiacevoli

-Sono ancora il Re, con dei doveri e degli obblighi- Merlin annuisce -E sono sposato con Ginevra- Chiude gli occhi e torna ad annuire, le ciglia umide tremanti

-Staremo attenti, possiamo farcela. Prenderemo le precauzioni necessarie e ce la caveremo. Possiamo far procedere tutto nel migliore dei modi- Arthur come Re, Merlin come suo servitore personale, Ginevra come Regina e moglie, Camelot, Albion... -Insieme, perché noi due ci bastiamo, giusto?-

Arthur sospira trattenendo il fiato e gli prende il viso tra le mani, fa congiungere le loro fronti e rimangono lì, immobili

-Merlin-

-Si?-

-Guardami-

Le spighe di grano recise cadono a terra insieme al cesto e il silenzio che segue è semplicemente pieno di tutte quelle parole che prima Merlin non riusciva a sentire.

 

Io ti amo.

  
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