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Autore: Ode To Joy    29/12/2016    3 recensioni
(Kageyama x Hinata)
(Iwaizumi x Oikawa)/(Ushijima x Oikawa)
“La senti? È la tua Forza che chiama la mia. Lasciala entrare... Lasciami entrare, Tobio.”
In questo universo non può esistere Luce senza Ombra. Così è sempre stato e così sempre sarà e l'equilibrio non è altro che un momento sospeso nel tempo prima che l'eterna lotta continui.
“Non hai ragione di temere il Lato Oscuro, Shouyou. È esso che dovrebbe temere te. Tu splendi... Le ombre si diradano intorno a te.”
Il tumulto dei sentimenti non ammette nessuna forma di equilibrio ma cosa rimane senza di essi? Una pace vuota, misera.
“Facciamo un patto: tu fai di me un Jedi ed io ti faccio diventare invincibile.”
Alla fine, ciò che conta non è scegliere tra Ombra e Luce ma trovare il modo di farle convivere entrambe dentro di sè.
(Star Wars-AU indipendente dalla saga originale.)
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4
It is during our darkest moments that we must focus to see the light


 

 
Risate. Allegria.
Aprì gli occhi, sebbene avesse ancora tanta voglia di dormire.
“Oh,” due occhi scuri lo guardarono sorpreso. “Buongiorno!”
Un sorriso.
“Ma quanto siamo belli questa mattina!”
Ancora risate. Ancora allegria.
“Sei bello come la tua mamma, lo sai? Questi capelli, però, devono essere del papà…” Suonarono strane quelle ultime parole, come se nascondessero una domanda.
Non rispose. Non sapeva ancora parlare.
Qualcun altro lo fece. “No,” rispose una voce dolce, malinconica. “Non ha ereditato nulla da suo padre…”
Era sollievo? Tristezza?
Non ne era certo. Sapeva solo che l’atmosfera intorno a lui era agrodolce, nonostante le risate.
Chiuse gli occhi e si addormentò di nuovo.

 
 
Shouyou non si risvegliò bruscamente ma il sonno lo lasciò andare completamente non appena aprì gli occhi. Si sentiva riposato come se avesse dormito per un giorno intero. Sollevò gli occhi ma dalla finestrella vicino al soffitto penetrava solo la luce argentata della luna: il mattino non era ancora arrivato.
Si mise a sedere lentamente, come se avesse paura che il pavimento della sua piccola camera potesse cedere sotto il suo peso. Gli girava un poco la testa ma stava bene. Semplicemente, sentiva che c’era qualcosa di strano intorno a lui, come un’assenza.
Scivolò fuori dalla sua stanzetta e si affacciò sul corridoio buio. Sapeva che non c’era nessuno su quel piano, a parte lui e Tobio ma si mosse comunque in punta di piedi. La spia verde accanto alla porta della camera del suo Maestro lo informò che non era chiusa a chiave.
Nonostante i suoi continui agguati notturni o di prima mattina, Tobio non aveva ancora preso quell’elementare provvedimento per toglierselo dai piedi.
“Stupido come sei, ti spaccheresti la testa contro la porta nel tentativo di sfondarla,” aveva detto un giorno con la sua solita espressione annoiata. Shouyou si era offeso ma, in cuor suo, gli piaceva credere che lo facesse per permettergli di andare da lui se i suoi sogni fossero stati disturbati da qualcosa.
I Jedi non hanno incubi.
Una di quelle lezioni che non avevano alcun senso per lui e sapeva che era lo stesso anche per Tobio, anche se non glielo avrebbe mai confessato. Non avrebbe potuto. Era lui il Maestro, dopotutto e combattere con gli incubi doveva essere una battaglia ben più dura di quella contro le emozioni.
Entrò senza annunciarsi in alcun modo. “Tobio?”
Il letto era vuoto ma sfatto. Il suo Maestro era rientrato in camera dopo la cena nella sala comune come tutti gli altri ma i sogni dovevano essere stati poco magnanimi anche con lui. Non poteva essersi svegliato dopo, però, un incubo o lo avrebbe sentito.
Shouyou richiuse la porta ed andò a vestirsi senza accendere la luce: non sarebbe riuscito a riaddormentarsi comunque, tanto valeva andare in giro a curiosare e scoprire come il Re dei Jedi passava le sue notti.
Le sue labbra si piegarono in un sorriso furbetto: non vedeva l’ora di vedere con che espressione Tobio lo avrebbe guardato quando si sarebbe reso conto che non poteva liberarsi di lui nemmeno nel cuore della notte.
 
 
Non trovò quello che si aspettava.
Non sapeva nemmeno quello che stava cercando, in realtà ma quello che vide lo sorprese niente meno. Era scivolato fino al grande atrio del Tempio senza incontrare nessuno che potesse rispedirlo a letto e rovinare i suoi piani ma, fin dalle scale, gli era parso di udire il familiare ronzio di due spade laser che vibravano e si scontravano.
Ancora in punta di piedi, Shouyou si avvicinò al parapetto della balconata che dava sui grandi giardini del Tempio e per poco non lasciò andare un’esclamazione sorpresa.
Vostra Maestà, i comuni mortali vorrebbero riposare nel cuore della notte.”
“Taci, Kei e raccogli la spada!”
Shouyou non poteva credere ai suoi occhi.
Le due persone più antipatiche che avesse mai conosciuto si stavano allenando insieme, nel cuore della notte e lo stavano facendo come se fosse qualcosa di completamente normale. “Ma… Ma…” Shouyou si ritrovò a balbettare con se stesso, mentre sia Tobio che Kei tornavano in posizione d’attacco, pronti a cominciare un altro duello.
Quella scena non aveva alcun senso.
Tobio era incapace di farsi degli amici per ragioni che gli erano dolorosamente note e quel Kei lo aveva insultato con velenoso sarcasmo quando si erano parlati durante quella prima pausa pranzo in cui Shouyou aveva tentato di socializzare. Gli aveva anche risposto per le rime sentendosi in dovere di difendere l’onore del suo Maestro.
Aveva solo sprecato il fiato, quindi?
Aveva mal interpretato la situazione e gli aveva attribuito una negatività che non esisteva?
Oppure, probabilmente, sia Tobio che Kei erano tanto incapaci nelle relazioni sociali da far passare per inimicizia un legame che, evidentemente, non lo era.
“Oh, sei sveglio anche tu!”
Shouyou sobbalzò e si voltò con espressione allarmata: ci mancava solo che qualcuno lo avesse visto e che per colpa sua anche gli altri due dovessero prendersi una punizione. Non sarebbe vissuto abbastanza per vedere il loro astio per lui sfumare, in quel caso.
Sospirò nel riconoscere il sorriso gentile di Tadashi nella penombra. Si portò una mano al petto. “Mi è quasi venuto un colpo, pensavo fosse uno dei Maestri.”
Tadashi si avvicinò. “Non volevo spaventarti, scusami.”
Shouyou scosse la testa. “Anche tu sei qui per…” Indicò i due ragazzi impegnati a duellare.
Tadashi scosse la testa. “Il Re dei Jedi non verrebbe mai a tirarmi giù dal letto per allenarmi nel cuore della notte, temo,” disse con un poco di malinconia. “Dormo in stanza con Tsukki e li ho sentiti, tutto qui. Sono sceso per guardarli perché non sono più riuscito a prendere sonno.”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Tobio s’infila nelle stanze altrui nel cuore della notte per trascinare i suoi compagni ad allenarsi di norma?”
Tadashi ridacchiò e scosse la testa. “Non di norma e non con tutti,” rispose. “Lo fa solo con Tsukki e solo quando è nervoso. Tsukki dice sempre con aria annoiata che il Re lo usa come il suo punch-ball personale, eppure si alza sempre dal letto quando Tobio viene a svegliarlo.”
Shouyou non sapeva davvero cosa pensare di quella confessione. “Non sapevo fossero amici,” ammise arrossendo un poco. “Non gli avrei risposto così male quella volta a pranzo, se avessi saputo che…”
“Oh, se lo chiedi a loro ti diranno che non lo sono,” spiegò Tadashi. “In un certo senso, è vero, non lo sono.”
Shouyou reclinò la testa da un lato. “Non conosco troppo bene Kei ma penso che se fossi io a svegliarlo nel cuore della notte, mi spezzerebbe l’osso del collo e tornerebbe a dormire.”
Tadashi rise divertito. “Non hai torto,” rispose. “Tsukki, però, non è solo così. Un giorno, quando avrà i suoi Padawan, sarà un ottimo Maestro per loro.”
“Ti dice continuamente di stare zitto,” gli fece notare Shouyou.
L’altro sospirò. “Immagino che Tobio usi gli stessi toni con te, no?”
“Sì ma che c’entra?” Shouyou s’imbronciò immediatamente. “Sono forti e sono bravi ma questo non significa che ci devono trattare come delle nullità.”
Tadashi scrollò le spalle. “Non posso parlare per Tobio,” confessò. “Tsukki, però, non è solo quello che mostra, te lo posso assicurare.”
Shouyou incrociò le braccia contro il petto. “Sarà…” Concluse. “Ma perché Tobio viene sempre da lui quando è nervoso?”
“Tsukki mi ha detto che il Re sostiene che lui è l’unico con cui valga remotamente la pena allenarsi.”
Remotamente,” ripeté Shouyou come se quell’insulto fosse stato rivolto a lui. Poteva quasi immaginarla la faccia da schiaffi di Tobio mentre diceva quella parola. “E Kei accetta di farsi buttare giù dal letto da uno così!”
Aveva sprecato fiato per difendere l’onore del suo Maestro ed ora avrebbe rimediato remando nella direzione opposta.
“In realtà, Tsukki riconosce il valore di Tobio,” intervenne Tadashi.
Shouyou per poco non si strozzò con la sua stessa saliva.
“Tsukki è così, te l’ho detto,” aggiunse Tadashi. “È bravo, molto più bravo di tutti quelli della nostra generazione, a parte Tobio. Tuttavia, anche lui riconosce il suo potenziale.”
Shouyou aggrottò la fronte. “Non so per quale ragione ma avevo come la sensazione che la vera promessa dopo Tobio qui fosse quel Yuu… Yuutaro?”
Tadashi sospirò tristemente. “Se lo chiedi a chiunque degli adulti, tranne i Maestri Daichi e Koushi, forse ti risponderebbero che, sì, Yuutaro viene immediatamente dopo il Re… Sebbene la differenza tra loro sia abissale.”
Shouyou guardò i due ragazzi duellare. Nessuno dei due aveva ancora avuto la meglio sull’altro. “Tobio non la pensa così, evidentemente.” E, nonostante la naturale antipatia, sapeva che il giudizio del suo Maestro aveva un certo valore.
“Tsukki non s’impegna,” spiegò Tadashi. “Gli riesce facilmente quello che Padawan del mio livello riescono ad imparare dopo anni ed anni di pratica. Semplicemente, non gli interessa essere il migliore, dimostrare di esserlo.”
Shouyou ci pensò. “Non è una buona cosa?” Domandò. “Voglio dire, i Jedi devono controllare emozioni e desideri perché non influenzino le loro azioni, no?”
Tadashi annuì. “Ma il disinteresse è pericoloso,” spiegò. “Un guerriero che non crede nella causa per cui combatte non è un uomo di fiducia.”
Shouyou sgranò gli occhi. “Stai cercando di dirmi che Kei potrebbe…”
“No!” Lo interruppe Tadashi duramente. “Kei non potrebbe mai cedere al lato oscuro!”
Shouyou si chiese se si era reso conto che aveva chiamato il suo amico per nome per la prima volta dall’inizio di quella conversazione. Decise di non farglielo notare. “Chi è il suo Maestro?”
L’espressione di Tadashi si fece triste. “Era suo fratello.”
Shouyou si sentì gelare a quelle parole. “Era?”
Tadashi annuì tornando a guardare i due giovani duellanti. “Furono presi insieme,” raccontò. “Tsukki era piccolo e non ricorda nulla di quel giorno. Akiteru era troppo grande, troppo legato alla famiglia che si sono dovuti lasciare alle spalle.”
“E che c’è di male?” Domandò prontamente Shouyou. “Anche io sono legato alla mia mamma e mi manca.”
Tadashi lo guardò dritto negli occhi. “Non dirlo così apertamente. È sbagliato. È proibito.”
“Ci puniscono per provare nostalgia?”
“No, certo che no, ma…” Tadashi si umettò il labbro inferiore. “Questi sentimenti sono pericolosi. È questo il genere di emozioni che hanno distrutto Akiteru.”
“Perdonami, non comprendo,” disse Shouyou. “Stiamo parlando di un Jedi ucciso in battaglia o…?” Non riuscì a chiederlo ad alta voce e Tadashi non riuscì a rispondergli. Quel silenzio fu ciò che servì a Shouyou per capire.
Riportò gli occhi sulla figura di Kei. Il duello era finito ed aveva perso di nuovo, la spada di Tobio era a pochi millimetri dal suo collo. Il laser blu scomparve ed il suo giovane Maestro fece un passo indietro per raccogliere la spada volata in aria del suo avversario. “Ancora,” lo sentì dire.
Kei fece una smorfia. Probabilmente, aveva alzato gli occhi al cielo. “Sei il solo, unico ed imbattuto Re dei Jedi! Ora ne hai la conferma e puoi anche convincere i Sith che stai andando a massacrare!”
Tobio si limitò a premere l’arma contro il suo petto. “Ancora,” disse e fece un passo indietro.
Kei sorresse la spada solo per non farla cadere a terra.
Ripresero a duellare.
Niente di diverso da quello che avevano fatto fino a quel momento ma Shouyou non poteva fare a meno di guardarli. Da una parte c’era questo ragazzo antipatico, Kei Tsukishima, portato via dalla sua famiglia in tenera età ed addestrato da un fratello maggiore che era passato al lato oscuro perché, da quel che aveva capito, sentiva troppa nostalgia di casa.
E dall’altra c’era Tobio. Il giovane ed inesperto Maestro a cui lo avevano affidato.
Antipatico quanto il primo, un Jedi dotato come altri non ce ne erano per quella generazione.
Non c’era nessun passato a raccontare la sua storia. Nessuna storia che potesse spiegare tutto il potere nel suo sangue. Tobio non era nessuno, solo un orfano che una generazione di giovani Jedi aveva raccolto e cresciuto nel tentativo di dargli una sorta di famiglia a cui appartenere.
Shouyou era certo che anche quello andava contro le regole del Consiglio.
“Che cosa c’è?” Domandò Tadashi turbato dal suo silenzio.
Shouyou tirò su col naso e scosse la testa. “Niente,” rispose ma non era vero. “Io ho scelto di essere qui,” aggiunse. Tadashi non replicò in alcun modo e Shouyou non seppe mai se aveva capito quello che aveva cercato di dirgli.
Non seppe mai nemmeno che cosa spinse Tobio a sollevare lo sguardo verso la balconata.
“Ehi! Che cosa ci fai fuori dalla tua stanza a quest’ora, idiota!”
Shouyou si fece indietro intimorito ma si riprese quasi subito. “Non sono l’unico che dovrebbe essere nella sua stanza, stupido!” Urlò.
“A chi hai dato dello stupido, idiota?”
“Non crederti intelligente se continui ad urlare così nel cuore della notte,” intervenne Kei.
Tadashi, invece, appoggiò le mani sulle spalle di Shouyou. “Abbassa la voce o ci sentiranno!”
Il danno, però, era già fatto. Qualcuno dai piani alti accese una luce e si affacciò. “Che cosa ci fate in piedi a quest’ora della notte?!” Tuonò la voce del Maestro Keishin Ukai.
Un’altra luce. Un’altra voce. “Chi è in piedi?” Domandò il Maestro Takeda.
Seguirono altri.
“Issei, tempo di sculacciare qualcuno dei mocciosi!”
“Finalmente… Cominciava a divenire noioso qui!”
Shouyou se ne rimase immobile, congelato. Non vide Kei e Tobio risalire le scale del Tempio a velocità impensabile e non si accorse del primo che afferrava malamente Tadashi per un braccio e lo trascinava via. Il suo cervello tornò a funzionare solo quando si sentì tirare e si rese conto che avrebbe dovuto muovere i piedi per non cadere a terra. Sollevò lo sguardo e gli occhi blu di Tobio lo fissarono minacciosi nella semi-oscurità. “Muoviti…” Sibilò.
Shouyou ingoiò a vuoto e corse senza fare domande.
 
 
“Giuro sull’intera galassia che se li becco…” Sibilò il Maestro Keishin spostando la torcia da una direzione all’altra.
“Non sarebbe meglio accendere la luce?” Domandò Ittetsu spostando lo sguardo sulle sagome scure delle navicelle ferme nell’hangar. “Sarebbe più facili trovarli, non ti pare?”
“E attivare il generatore di questo hangar con il pericolo che i vecchi si sveglino e comincino uno dei loro lunghi discorsi che ai loro tempi sì che li educavano bene i giovani! No, grazie, preferisco brancolare nel buio!”
“Andiamo a cercare di sopra, però,” propose Ittetsu. “Dubito che siano scappati qui sotto per nascondersi e col chiasso che avete fatto tu e gli altri Cavalieri, sicuramente saranno già tornati nelle loro camere di volata.”
Keishin si passò una mano tra i capelli. “Ci fosse stata un po’ più di luce, li avrei anche riconosciuti!”
“Inutile sprecare energie su una ragazzata innocente,” concluse Ittetsu con un sorriso gentile. “Domani è un giorno importante e dobbiamo essere tutti nel pieno delle forze. Noi non partiremo per Karasuno per combattere ma ciò non toglie che dobbiamo essere preparati.”
Suo malgrado Keishin annuì.
Mandare Tobio a Karasuno col Re dei Sith pronto ad aspettarlo. Che cosa fosse venuto in mente al vecchio per mettere insieme un piano simile era un mistero anche per lui. Comprendeva Hajime. Lo comprendeva nel modo più umano che gli era concesso, eppure non era riuscito in alcun modo a convincere il vecchio a lasciarlo partire a sua volta.
Nessuno aveva osato dire ad alta voce quello che tutti temevano: se il Re dei Sith avesse giocato bene le sue carte, non sarebbe stato difficile per lui portare al lato oscuro quel giovane dall’animo tumultuoso che era Tobio. Tenere Hajime al Tempio era come impedire al nemico di acquisire due potenti alleati al prezzo di un singolo sforzo.
Allo stesso tempo, però, era tempo che Tobio affrontasse di petto l’oscurità nel suo cuore e dimostrasse una volta per tutte che era degno del titolo di Cavaliere Jedi, anche se questo significava metterlo alla prova con l’inganno.
“Andiamo a dormire Ittetsu,” concluse.
Li aspettavano dei giorni tutt’altro che facili.
 
 
Tobio si affacciò oltre il pannello di controllo del ponte di comando con cautela. “Sembra che se ne siano andati,” disse tornando ad accovacciarsi.
Nel frattempo, Shouyou stava vivendo un attacco di euforia completamente fuori dalla norma. “Non ci credo… Non ci credo…” Continuava a ripetere, come se nel suo cervellino si fosse rotto qualcosa. Le mani premute contro le guance, gli occhi grandi e brillanti. “Sono sulla leggendaria Tobio Starship. La nave spaziale protagonista di tutte le grandi storie della scorsa generazione di Jedi!”
Tobio alzò gli occhi al cielo. “Andiamo, torniamo nelle nostre stanze…” Fece per alzarsi.
“No!” Esclamò Shouyou aggrappandosi al suo braccio come se fosse una questione di vita o di morte. “Restiamo qui ancora un altro po’, ti prego.”
“Ma sei completamente scemo?”
“Solo cinque minuti, ti prego!”
Tobio ci mise poco a capire che l’alternativa era assecondarlo, oppure portarlo via di forza rischiando che facesse un baccano infernale ed attirasse tutti i Maestri del Tempio su di loro. Sbuffò e si rimise a sedere sul pavimento freddo.
Shouyou continuò a guardarsi intorno come se stesse vivendo un sogno. “Partirai con questa domani?”
“No,” rispose Tobio annoiato. “È un modello vecchio, ormai. Non vola più.”
Shouyou sgranò gli occhi. “Nessuna nave è vecchia finché può essere migliorata!” Esclamò. “Io lo so! Sono cresciuto su di un pianeta di contrabbando! Posso provare ad aggiustarla! Posso farla volare di nuovo! Tutto purché non vada distrutta come ferro vecchio.”
Tobio inarcò un sopracciglio. “Nessuno ha intenzione di distruggerla,” disse.
Shouyou si calmò e lo guardò. “Ah, no?” Domandò
“No,” Tobio scosse la testa. “Io e Hajime la stiamo aggiustando pezzo per pezzo, comunque. L’ha costruita lui ma io so come meglio usare le nuove tecnologie.”
Shouyou sbattè le palpebre un paio di volte. “Sei bravo anche in queste cose?”
Tobio gli rivolse un ghignetto arrogante. “So anche pilotare.”
Shouyou sbuffò. “Sarebbe stupido non saperlo fare, il tuo Maestro ha pilotato questa nave per anni! Ti ha insegnato lui anche questo, vero?”
Tobio annuì.
Il Padawan storse la bocca. “Ma ci sarà pure qualcosa in cui non sei bravo.”
“Sì, sopportarti!”
“Antipatico!” Shouyou sbuffò di nuovo. “Io non sono bravo con i libri…” Cominciò. Forse, aprirsi gli sarebbe tornato utile per rendere il loro rapporto un po’ meno spiacevole. “Mi piacciono le storie. Imparo bene con la pratica… Anche se all’inizio faccio sempre disastrosi pasticci ma… Essere un uomo di conoscenza non farebbe per me. Mi piace vederle le cose di cui parlano i libri, non so se mi spiego.”
Si aspettò una replica sarcastica, annoiata ma non arrivò.
Al contrario, Tobio lo guardava come se lo stesse ascoltando davvero. La sua espressione non tradiva nulla ma era meno inquietante di quando non era proprio di buon umore. “Nemmeno io sono un uomo da libri,” ammise. “A Koushi piacciono e me ne leggeva parecchi quando ero bambino. Penso volesse provare a passarmi qualcosa di suo. Anche Daichi, pur essendo un Cavaliere, è bravo con quel genere di cose,” sorrise appena. “Certe volte, quando ero bambino e credevano che nessuno li guardasse, andavano in biblioteca insieme e passavano ore a leggere libri e commentarli… Sembravano felici.”
Shouyou si fece coinvolgere dalla tenerezza di quel ricordo e sorrise a sua volta ma, di colpo, gli angoli della bocca di Tobio si abbassarono e così fecero i suoi. “Oh…” Mormorò ricordandosi che Koushi e Daichi non erano a casa ma prigionieri del Re dei Sith. Strinse le labbra e si fece coraggio. “Sono certo che stanno bene!” Esclamò di colpo.
Tobio lo guardò sorpreso, poi s’imbronciò. “Certo che lo sono!” Ribatté. “E non dirlo come se avessi bisogno di essere rassicurato.”
“E finiscila!” Disse Shouyou. “Certo che hai bisogno di essere rassicurato. Sono parte della tua famiglia ed è normale che tu abbia paura per loro!”
Calò il silenzio.
Tobio strinse i pugni. “Io non ho paura,” replicò. Non con rabbia, però. Con fermezza.
Fu il turno di Shouyou di guardarlo sorpreso.
“Che cosa c’è?” Domandò Tobio insicuro. “Ho qualcosa in faccia?”
Il Padawan ridacchiò e scosse la testa.
“Che ti prende, stupido?”
Shouyou scosse la testa. “È che per un attimo, per la prima volta, ti ho guardato e ho visto un Cavaliere Jedi.”
Tobio rilassò le spalle e voltò il viso di lato non appena avvertì uno strano calore salirgli al viso. “Stupido…”
Shouyou continuò a ridere sotto voce.
 
 
Nessuno dei due si accorse di Hajime fermo nel corridoio fuori dal ponte di comando e non udirono i suoi passi quando se ne andò.
 
 
***
 
 
L’amore era una cosa che non gli apparteneva.
Amare era una cosa che non gli era concessa.
Era passionale. Era irrazionale.
Era tutto ciò che non avrebbe dovuto provare.
Invece, aveva acceso il suo giovane cuore per troppo tempo. Insieme alla disperazione.
Per questo era finito in quella situazione orribile. Per questo si era pentito di non aver dato ascolto agli insegnamenti dei suoi Maestri.
Si era pentito, sì…
Se fosse potuto tornare indietro… Se avesse potuto avere una seconda occasione…
“Sei bellissimo…” Mormorò alla creaturina appena nata stretta contro il suo petto.
… Non avrebbe fatto nulla di diverso.

 
 
Koushi si svegliò in lacrime.
Si strinse le braccia intorno al corpo alla ricerca di quella fonte di calore che aveva sentito contro di sé nel sonno. Non la trovò. Non avrebbe mai potuto trovarla perché era stata una sua decisone rinunciarci.
Prese un respiro profondo e si alzò in piedi.
La notte di Karasuno era calda, silenziosa e completamente ignara dell’assedio che stava avendo in corso nella sua capitale.
Koushi uscì sul balcone ed appoggiò stancamente la schiena contro una delle colonne ricoperte di edera. Sollevò gli occhi sulle stelle e provò a mettere in pratica il gioco che loro facevano da bambini e che avevano provato a passare a Tobio per farlo sentire meno solo. Sotto qualunque cielo si trovassero, le stelle erano sempre le stesse e, guardandole, avrebbe anche potuto illudersi di essere a casa.
”Sei bellissimo…”
Non funzionò. Il dolore al petto si fece più intenso e Koushi scivolò sul freddo pavimento di marmo mentre le lacrime gli rigavano le guance. Tooru lo aveva colpito su di una ferita che non si era mai rimarginata ma con quel dolore aveva imparato a convivere.
Koushi non aveva avuto altra scelta.
Se non fosse andato avanti, sarebbe impazzito ed avrebbe perso anche quel che gli era rimasto.
Tooru non aveva tutti i torti a giudicarlo, ad essere arrabbiato con lui.
Erano uguali loro due. Erano stati complici per anni ed era solo per pietà che i vecchi Maestri non sottolineavano come Koushi avesse ceduto alla tentazione della ribellione molto prima di quello che ora era il Re dei Sith.
La grande differenza tra Koushi e Tooru era che quest’ultimo non aveva avuto paura di mettere in discussione ogni cosa per la persona che amava. Tooru e Hajime si erano innamorati crescendo insieme, si erano sfiorati nel tentativo di nascondere i loro sentimenti ed erano finiti per toccarsi perché, in quella vita di continue battaglie, quell’amore era il fiore più bello che sarebbe mai sbocciato nella loro fanciullezza sprecata.
Koushi non aveva avuto lo stesso coraggio e la stessa fortuna. Aveva guardato Daichi per anni e per troppo tempo aveva ricevuto in cambio sorrisi amichevoli e gesti gentili. Troppo gentili.
C’erano stati momenti in cui Hajime aveva avuto paura di toccare a Tooru di fronte a loro per timore che potesse rivelare qualcosa. Daichi quella paura non l’aveva mai avuta perché le sue mani non l’avevano mai toccato in quel modo.
Koushi aveva passato anni a sentirsi sporco per quel desiderio.
Fino a che qualcun altro non aveva cominciato a rispondere al suo sguardo.
Un altro fanciullo ribelle come lui ma che, come Tooru, non aveva paura di dimostrare di esserlo.
La serratura della sua stanza venne sbloccata. Koushi trattenne il fiato per alcuni istanti, poi si sporse oltre la colonna: non c’era nessuno sulla porta.
Se si fosse trattato di un nemico, avrebbe pensato ad una trappola ma Tooru non avrebbe mai fatto una cosa del genere a lui. Sith o non Sith, aveva ancora il suo onore o nessuno dei bambini al Tempio Jedi sarebbero rimasti in vita.
Si avvicinò lentamente, però ed esitò per diversi istanti prima di varcare la soglia e trovarsi nel corridoio buio. Si guardò intorno mentre allungava pochi, incerti passi.
“Koushi…”
Si era aspettato chiunque, forse Tooru ma, di certo, non lui. Non ancora.
Wakatoshi lo attendeva dalla porta opposta del corridoio con un casco scuro sulla testa ed uno tra le mani. “Vieni,” disse con un cenno della mano.
Koushi ubbidì semplicemente perché non aveva altra scelta. “Che cosa c’è?” Domandò quando furono a meno di un metro di distanza. “Dov’è Tooru?”
Wakatoshi non gli rispose subito. Allungò un braccio premendogli il casco contro il petto in un invito quasi gentile. “Ti porto da lui.”
Koushi lo guardò confuso. “Perché?”
Wakatoshi non rispose e si voltò per uscire nel cortile del palazzo. Il Jedi non potè fare altro che seguirlo.
 
 
Il Signore Supremo fermò la moto sulla riva del lago e scese per primo.
Koushi non ebbe il coraggio di muoversi, gli occhi grandi fissi sulle vetrate rotte dell’edificio sulla cima della collina. Wakatoshi gli porse la mano ma non era il suo aiuto che Koushi aspettava per scendere a terra.
Il Jedi lo guardò come se gli avesse puntato un blaster alla tempia. “Perché mi hai portato qui?”
“Perché questo luogo ha importanza per entrambi, vero?”
Koushi scosse la testa. “Non c’è nessuna buona ragione per essere qui.”
Wakatoshi riadagiò il braccio lungo il fianco. “Questo è il Tempio in cui è finito tutto, vero?”
Il Jedi continuò a guardare la costruzione in cima alla collina. Lo chiamavano il Tempio dei bambini perché era lì che venivano portati i Padawan più piccoli ed era nelle mani di sole Jedi donne. Un vano tentativo creare figure materne per creature che erano state strappate dalle braccia di chi aveva dato loro la vita per un bene superiore.
Koushi non aveva mai riflettuto su quanta crudeltà si nascondesse dietro quella gentilezza, avrebbe dovuto guardare in faccia i suoi peccati a quel punto.
“O dove è cominciato tutto,” aggiunse Wakatoshi. “Dipende dai punti di vista…”
“Questo è il luogo in cui è nato Tobio,” disse Koushi quasi con astio. “Non c’è bisogno di girarci tanto intorno…”
“E perché fa soffrire tanto anche te?” Domandò il Signore Supremo dei Sith.
Koushi lo guardò con sospetto. “Non è stato Tooru a dirti di portarmi qui, vero?”
“Non l’ho mai detto,” gli ricordò Wakatoshi.
Koushi scese dalla moto da solo e si tolse il casco dalla testa lasciandolo cadere a terra. “Tooru non è nemmeno qui, vero?”
Wakatoshi non abbassò gli occhi nemmeno per un istante. “Tooru si sta preparando ad accogliere Tobio.”
Accoglierlo,” ripeté Koushi con astio. “Mi piacerebbe tanto conoscerli i dettagli di questa sua accoglienza.”
“Non li ha rivelati neanche a me.”
“Non ci credo!” Esclamò il Jedi. “Non posso credere che tu sia all’oscuro dei suoi piani, dei suoi pensieri.”
Wakatoshi scosse la testa, superò la moto e si fermò per guardare il suo prigioniero dall’alto al basso. “Non sono mai riuscito ad entrare nella testa di Tooru,” confessò. “Né metaforicamente né letteralmente.”
Koushi sospirò e la sua espressione si addolcì. “Lo so,” disse. “Eri molto bravo ad entrare nella mia, però.”
Wakatoshi sollevò le sopracciglia. “Non mi sono mai permesso di… Le volte che l’ho fatto è stato col tuo consenso, non avrei mai…”
“No, lo so,” lo interruppe Koushi. “Ti avrei fatto del male se ci avessi provato.”
Wakatoshi strinse le labbra. “Già, avresti avuto il potere di farlo.”
“Non è una cosa che mi fa piacere,” aggiunse immediatamente Koushi.
“Sei sempre stato gentile,” disse il Signore Supremo. “La tua forza, la tua debolezza… Tutto sta qui, nella tua gentilezza.” Sollevò una mano e sfiorò la frangia di capelli chiari con la punta delle dita.
Koushi accettò il gesto in silenzio. “Gentilezza non è sinonimo di debolezza, Wakatoshi.”
“L’unico che ti ha mai giudicato debole sei stato sempre e solo tu, Koushi.”
Il Jedi sorrise amaramente. “Tooru me lo ripeteva continuamente. Anche se voi due siete sempre stati gli unici ad essere sinceri nei vostri giudizi.”
“Non eri un soldato ma questo non faceva di te un debole.”
Koushi mosse qualche passo verso la sponda del lago. “Perché mi hai portato qui, Wakatoshi?”
Il Signore Supremo lo fissò a lungo, poi si portò una mano alla cintura ed afferrò la sua spada. Il laser rosso trafisse l’oscurità della notte e Koushi trasalì indietreggiando.
Wakatoshi lo fissò senza espressione. “Hai paura, Koushi.”
Non era una domanda.
Il Jedi strinse i pugni, un nodo gli stringeva la gola e sentì le lacrime pungergli agli angoli degli occhi. Aveva sempre saputo che quello era il suo destino, che essere Jedi non gli avrebbe permesso di andare incontro alla sua dipartita in modo naturale. Strinse le labbra e trattenne un singhiozzo ma non riuscì a fare lo stesso con le lacrime che, inevitabilmente, gli solcarono le guance. “Quindi devi essere tu…” Mormorò con un sorriso tristissimo.
“Sì,” rispose Wakatoshi. “Devo essere io.”
Il laser vibrò nell’aria della notte e Koushi chiuse gli occhi aspettando che la sua sorte si compiesse.
Non accadde nulla. Sollevò le palpebre e non fu il raggio rosso quello che trovò puntato nella sua direzione ma l’impugnatura. Koushi la guardò esterrefatto, poi sollevò lo sguardo sul viso inespressivo di Wakatoshi.
“Fallo,” disse il Signore Supremo.
Koushi lo guardò esterrefatto. “Che cosa stai dicendo?”
“Eravamo in tre, Koushi,” gli ricordò Wakatoshi. “Di noi solo Tooru si è dimostrato il figlio della Forza ma io ero nato per la battaglia almeno quanto tu eri fatto per la conoscenza.”
Koushi scosse appena la testa. “Tu e Tooru eravate il futuro della galassia. Io ero solo un bambino senza talento con un livello di Midichlorian fuori dal comune ed un carattere abbastanza docile da incantare Maestri vecchi e stanchi di dover rimettere in riga piccoli ribelli prescelti dalla Forza.”
“Hai tutto quello che ti serve per uccidere me, salvare i tuoi compagni ed offrire ai Jedi una speranza per riprendere questo pianeta,” gli offrì Wakatoshi come se la sua vita non avesse alcun valore. “Affronta il lato oscuro su queste rive e potrai riavere il tuo uomo, Koushi.”
Il Jedi lo fissò tremante, la spada laser aspettava solo di essere afferrata.
“Non ha senso quello che stai facendo, Wakatoshi.”
“Ti sto offrendo una via di fuga,” replicò il Signore Supremo.
“Tieni così poco alla tua vita?”
“Un Maestro deve essere pronto a sacrificarsi per permettere al suo Padawan di crescere.”
Gli occhi di Koushi si tinsero di rancore. “Non sei più il mio Maestro, Wakatoshi.”
“Ma sono io che ti ho reso un Jedi,” replicò il Signore Supremo.
“Tu mi hai reso un ribelle!”
“Quello lo eri già,” la voce di Wakatoshi non esprimeva alcuna emozione. “Io ti ho solo permesso di essere te stesso.”
Koushi strinse i denti sul labbro inferiore e si odiò per le lacrime che continuavano a rigargli le guance.
“Avanti, Koushi. Sappiamo entrambi che è così che deve finire.”
Il Jedi abbassò di nuovo lo sguardo sulla spada dal laser rosso. Era un inganno? Una trappola?
No…
No, Wakatoshi non lo avrebbe mai fatto.
C’era una particolarità nelle relazioni tra Jedi, tra Padawan e Maestro in particolare: non aveva importanza quanto il primo crescesse, il secondo non perdeva mai il suo titolo.
Era così per Tobio e Hajime. Tooru era una storia completamente diversa...
Era una prova quella di Wakatoshi. Un test per rendersi conto del suo potenziale.
Koushi si rese conto di aver sollevato la mano solo quando le sue dita sfiorarono il palmo del Signore Supremo e si strinsero intorno alla superficie di metallo. La spada vibrò nella sua stretta come animata di vita propria.
Koushi si era aspettato qualcosa, un contatto di qualche tipo. Evidentemente, il legame tra lui e Wakatoshi non era abbastanza profondo per permettergli di sentire qualcosa toccando la sua spada.
O, semplicemente, era come temeva e non c’era più nulla da sentire nell’animo di Wakatoshi.
“Tu lo ami, non è vero?” Domandò fissando il viso del Signore Supremo attraverso il laser rosso.
Un colpo, pensò. Un colpo ed avrebbe avuto la possibilità di salvare Daichi, i ragazzi e tornare a casa prima che il Consiglio intervenisse. Prima che Tobio e Hajime arrivassero dove Tooru li voleva.
“Non è una risposta che posso dare a parole,” disse Wakatoshi.
Koushi si umettò le labbra. “Lo amavi quando non potevi averlo, però.”
“Lo desideravo quando non potevo averlo. È diverso.”
Il Jedi si sentì stranamente sollevato da quella risposta. “Lui ti ama?” Era una domanda crudele.
Wakatoshi, però, non era divenuto il signore dei Sith per niente. “Tu ami Daichi?” Un quesito ancor peggiore.
Koushi ingoiò a vuoto ma si rese conto che combattere il nodo che gli stringeva la gola era inutile quanto cercare di trattenere le lacrime. Disattivò la spada laser e la porse al suo legittimo proprietario. “Ho già tradito me stesso una volta e l’ho pagato a caro prezzo. Non lo farò di nuovo.”
Wakatoshi lo fissò ancora, poi afferrò l’arma e riabbassò il braccio. “Nemmeno per salvare chi ami?”
Koushi gli rivolse un sorriso tristissimo. “Ho fatto sacrifici peggiori.”
 
 
 
***
 
 
Di norma, un Jedi viaggiava leggero.
Per tanto, quella mattina, Tobio non dovette fare altro che vestirsi ed uscire dalla sua camera per raggiungere gli altri nell’atrio del Tempio. Tra i Maestri più esperti, sarebbero partiti molti dei più cari compagni di suo padre. Issei e Takahiro per primi ma anche un Cavaliere dall’aria rabbiosa a cui, nonostante gli anni di esperienza, non erano ancora riusciti a dare un Padawan: il suo nome era Kentaro ed era noto a tutti che non seguiva gli ordini di nessuno, se non di Hajime.
“Fa tutto quello che ti viene detto,” stava dicendo per l’appunto il suo vecchio Maestro quando scese gli ultimi gradini. “Issei e Takahiro saranno al comando della spedizione. È a loro che devi ubbidire.”
Kentaro si voltò verso i due Jedi in questione e questi annuirono come a sottolineare una certa superiorità su di lui. Ringhiò in segno di approvazione. Hajime cercò Tobio con gli occhi e lo trovò che parlava con Kei e Tadashi. Guardò i tre amici negli occhi. “Fate il vostro dovere ma non permettete a Tobio d’incrociare lui sul suo cammino. Mi sono spiegato?”
Sia Issei che Takahiro annuirono con aria terribilmente seria. Kentaro ringhiò di nuovo e Hajime seppe che il suo Padawan era nelle mani migliori a cui potesse affidarlo in quella situazione. “Tornate a casa,” furono le ultime parole che disse loro.
Si voltò e notò che il piccoletto era comparso sulla scena e Tobio gli stava rivolgendo i suoi saluti. Si avvicinò con discrezione.
“Credo che ti affideranno a Hajime in mia assenza,” disse Tobio con voce incolore. “È più paziente di me, quindi non dovrebbe avere problemi con la tua naturale stupidità.”
Shouyou s’imbronciò e Kei e Tadashi risero a bassa voce.
“Ho imparato da lui tutto quello che so,” aggiunse Tobio. “Imparare da lui non varrà meno che imparare da me.”
Shouyou annuì due volte.
Tobio lo scrutò con particolare attenzione. “Non fare cose stupide fino a che non torno.”
Il Padawan non si offese ma si fece improvvisamente serio. “Questo vale più per te che per me,” replicò.
Tobio storse la bocca. “Sei preoccupato per me?”
“Affatto!” Esclamò Shouyou con fare pizzuto. “Se non sarà la tua spada, la tua antipatia stenderà tutti i Sith che ti minacceranno, ne sono certo!”
Tobio mosse una mano per afferrargli la testa ma Shouyou fu più veloce. Il Padawan sorrise per quella piccola vittoria. “Mancato!” Esultò.
Il giovane Maestro alzò gli occhi al cielo e si trattenne dal tirargli addosso la spada laser appesa alla sua cintura.
“Tobio…”
Si voltò e Hajime gli strinse immediatamente le spalle, come se avesse un gran bisogno di toccarlo. Per un lungo momento di silenzio si guardarono negli occhi e basta, poi il Maestro sorrise. “Diventerai più alto di me, alla fine,” concluse.
Tobio inarcò le sopracciglia. “Cosa?”
Hajime scosse la testa, poi divenne improvvisamente serio. “Torna a casa,” disse. “È l’unico ordine che t’impartisco per questa missione: qualunque cosa succeda, torna a casa.”
Tobio annuì, sul suo viso vi era la stessa serietà.
Hajime esitò un attimo, poi lo lasciò andare. Avvertiva qualcosa di definitivo in quel momento, qualcosa di dolorosamente familiare nel modo in cui Tobio continuò a guardarlo negli occhi mentre si voltava. Nessuno glielo aveva insegnato, nessuno glielo aveva nemmeno mostrato. Tuttavia, per un attimo, quei capelli neri divennero più chiari, più ribelli e quegli blu non persero la loro espressione sicura ma si tinsero di scuro.
Perché così erano gli occhi per cui aveva tradito tutto, compreso se stesso, prima che quel maledetto oro li contaminasse.
Hajime avvertì una spiacevole sensazione allo stomaco, come se stesse rivivendo una scena che avrebbe tanto voluto cancellare. Una di quelle che se avesse potuto evitarle, tante brutte cose non sarebbero successe. Mosse un passo in avanti e dischiuse le labbra ma non riuscì a dire niente.
“Tobio!” Chiamò Shouyou.
Il Cavaliere Jedi si fermò e si voltò a guardarlo.
Hajime guardò quel piccoletto e vide che sorrideva, come se non stessa guardando il suo Maestro mentre partiva per una battaglia da sarebbe potuto non tornare mai più e non a causa della morte. Dopotutto, però, quel piccolo raggio di sole di quel mondo non conosceva nulla e questo impediva all’oscurità che era intorno a tutti loro di toccarlo. Almeno per ora.
“La Forza sia con te!” Esclamò Shouyou allegro.
Un arrivederci, non un addio.
Shouyou non aveva nulla da temere. Per lui, Tobio sarebbe tornato a casa senza dubbio e non c’era alcuna ragione di avere paura.
Suo malgrado, Hajime sorrise.
”Iwa-chan! Iwa-chan! Iwa-chan!”
“Cos’altro c’è, Tooru?”
“Che la Forza sia con te.”

Tobio annuì e basta, quell’aria determinata ancora al suo posto e Hajime decise di avere fiducia nell’ottimismo di Shouyou: sarebbe andato tutto bene.
 
 
***
 
 
Koushi e Wakatoshi tornarono alla Capitale senza dire una parola.
Il Jedi non seppe mai se aveva superato la prova del giovane uomo che era stato il suo Maestro ma Wakatoshi non si era mai fatto problemi a dimostrargli la sua delusione quando prendeva la direzione sbagliata ed in quell’occasione non accadde.
Per una piccola parentesi di tempo, Koushi riuscì quasi a fingere che il tempo che li aveva divisi non fosse mai trascorso, che stessero vivendo ancora quella stagione delle loro vite in cui si poteva permettere di credere che ancora tutto fosse possibile.
Quel tempo in cui Wakatoshi era il Jedi più giovane e forte della sua generazione e Tooru era la speranza che avrebbe riportato equilibrio nella Forza.
Quanti segreti Koushi aveva celato in quei ricordi e molti non aveva avuto la forza di confidarli nemmeno a Tooru. Era stata quella la stagione in cui aveva commesso tutti i suoi peccati, gli stessi per cui avrebbe pagato per tutta la vita ma non c’era giorno in cui non si svegliasse e non desiderasse poter rivivere almeno uno di quegli istanti.
Anche se era stato tutto sbagliato, anche se non era il cuore di Daichi quello che possedeva a quel tempo… Anche se quel fuoco li aveva consumati tutti rendendoli cenere…
Se solo Hajime avesse saputo quanto avevano in comune, forse avrebbe ascoltato le sue parole di conforto dopo il tradimento di Tooru con più attenzione.
Koushi, però, aveva fatto del fanciullo che era divenuto il Re dei Sith il suo confessore e non avrebbe macchiato con le sue colpe anche l’animo tormentato di un Cavaliere Jedi che aveva perso quasi tutto ma che aveva giurato di proteggere quel che era rimasto restando fedele a se stesso.
E così avevano cresciuto Tobio.
Quando si tolse il casco da sopra la testa e lo riconsegnò a Wakatoshi, Koushi sentiva il cuore leggero come non gli capitava un po’. Si sarebbe sentito tremendamente in colpa per quell’emozione di lì a poco ma il sole non aveva ancora tagliato l’orizzonte di Karasuno e poteva permettersi di sognare ad occhi aperti come un ragazzino ancora per un po’.
La sua mano sfiorò quella del Signore Supremo per un istante e, per un momento, fece per chiedergli che cosa aveva voluto dimostrare portandolo al lago del Tempio Jedi ed offrendogli la possibilità di sconfiggerlo facilmente, di salvare tutti.
Wakatoshi, però, gli rispose senza che avesse bisogno di chiedere nulla. “Sei troppo gentile per questo mondo, Koushi. Lo sei ancora dopo tutto quello che è successo.”
Il peso dell’angoscia tornò a gravare sul suo petto ma lo sorresse con dignità. “Sono sempre stato un debole, Wakatoshi. Tu e Tooru siete sempre stati gli unici ad essere sinceri in questo.”
Il Signore Supremo scosse la testa. “Se fossi debole, Koushi, la tua gentilezza non esisterebbe più da tano tempo.”
Koushi strinse le labbra. “Non posso essere il tuo ambasciatore per l’Ordine dei Jedi,” gli disse con voce sorprendentemente ferma per le emozioni che gli facevano vibrare dolorosamente il petto in quel momento. “Dovrei credere in te e Tooru per darvi questa possibilità.”
“Ci crederai…”
Il Jedi si fece rigido. Guardò Wakatoshi dritto negli occhi ma non trovò nessuna emozione su quel viso. Nulla di nuovo.
Si voltò.
Il Re dei Sith gli sorrideva in modo oscuro, gli occhi dorati scintillanti di aspettativa. “Ci crederai, prima o poi, Koushi.”
Il Jedi non replicò. Guardò un’ultima volta Wakatoshi ed il Signore Supremo non dovette sforzarsi per vedere riflesso in quelle iridi d’ambra il dolore del tradimento. Era una sfumatura che conosceva dolorosamente bene.
Koushi non degnò Tooru di una parola mentre lo superava per tornare nella sua stanza.
Il Re dei Sith fece una smorfia. “Cos’era quell’aria da cucciolo abbandonato?” Domandò. “Lo hai fatto arrabbiare?”
“Ha pianto,” rispose Wakatoshi.
“Non mi sorprende,” replicò Tooru incrociando le braccia contro il petto e rivolgendo gli occhi alla porta chiusa in fondo al corridoio. Poi tornò a sorridere all’indirizzo del Signore Supremo. “Ancora con la testa attaccata al collo, eh?”
Il viso di Wakatoshi non cambiò di una virgola. “Hai davvero creduto che mi avrebbe ucciso per salvare il suo amante ed i suoi compagni?”
Tooru scrollò le spalle. “Se tra i tuoi Padawan, fosse stato lui a farti saltare la testa sarebbe stato un gran colpo di scena, lo devo ammettere!”
“E tu non avresti sopportato l’umiliazione di esserti lasciato sfuggire la tua rivincita.”
Tooru rise. “Mi conosci così bene, Wakatoshi!” Si calmò. “Dicevi di conoscere i punti giusti in cui premere per convincere Koushi a liberarsi, alla fine. Non mi pare che sia andata secondo i piani. Dovremmo provare uno dei buoni e vecchi metodi del nostro predecessore.”
Wakatoshi lo guardò con attenzione. “Puntare una spada alla gola di Daichi non permetterà a Koushi di capire.”
“No,” concordò Tooru. “Ma se non si dimostra collaborativo, dobbiamo spingerlo ad esserlo. Non credi anche tu?”
Era diabolico il sorriso del Re dei Sith ed era vuota l’espressione di Wakatoshi.
“Per pura curiosità,” aggiunse Tooru. “Quali erano quei punti tanto sensibili che volevi toccare per convincere Koushi a dare una possibilità alle tue parole?”
Wakatoshi tornò a guardare di fronte a sé, nel punto dove Koushi era sparito.
”Ho fatto sacrifici peggiori.”
“Non credo che fossero così importanti per lui come credevo,” rispose.
 
 
***
 
 
”Ci sono domande che ti poni da quando hai memoria ma a cui non riesci a trovare una risposta?”
Urla. Urla di dolore.
“Lascia che ti dia un indizio…”
Urla e ancora urla. Le sue urla.
“Tutta la tua vita è una menzogna costruita ad arte.”
Dolore, dolore… Ancora dolore.
“Una bugia per renderti quello che loro volevano che fossi. Capisci?”
Non era un dolore fisico. Era qualcosa di più profondo, più oscuro.
“Tu desideri la verità, non è vero? Tu brami la verità!”
Avrebbe voluto replicare, avrebbe voluto combattere ma non poteva fare altro che urlare.
“Allora lascia che te la mostri. Lasciami entrare…”

 
 
“Qualcosa non va?”
Shouyou sollevò lo sguardo dalla sua colazione dopo quelli che dovevano essere stati dieci minuti abbondanti. “Eh?”
L’espressione di Tadashi era sinceramente preoccupata. “Non hai toccato cibo e di solito divori tutto in un lampo.”
Shouyou tornò a guardare il vassoio intoccato sotto i suoi occhi. “Oh…” Commentò afferrando un cucchiaio meccanicamente.
Dalla parte opposta del tavolo, Kei gli lanciò un sorrisetto di scherno. “Brutti sogni senza il tuo Maestro che ti dome accanto?”
Shouyou non reagì alla provocazione. Si portò un boccone alle labbra e lo ingoiò senza nemmeno registrarne il sapore. “Sì, brutti sogni,” rispose.
Erano passati tre giorni da quando Tobio era partito ed il Maestro Hajime non si era nemmeno degnato di rivolgergli la parola da allora.
“Immagino sia preoccupato per il suo allievo,” aveva detto il Maestro Ittetsu quando Shouyou era andato da lui a chiedere spiegazioni. “Meglio lasciarlo in pace, piccolo. Quando sarà pronto, verrà lui da te ma credo che Tobio sarà già tornato a casa per allora.”
In altre parole, non c’era nessuno disposto ad addestrarlo o a dargli qualcosa da fare in attesa che quell’antipatico del suo Maestro facesse il suo trionfante ritorno a casa da gran vincitore. Pur di non stare solo, aveva provato di nuovo a fare amicizia con Tadashi e Kei ed era andata notevolmente meglio rispetto alla prima volta, quando ancora non sapeva che il biondo antipatico era un non amico del suo altrettanto antipatico Maestro.
“Sul serio hai fatto brutti sogni?”
Shouyou sollevò di nuovo il viso. Kei non lo guardava più con espressione divertita e la serietà nei suoi occhi fece scivolare via ogni traccia di sonno che gli era rimasta addosso. Passò gli occhi d’ambra da Tadashi a Kei con sguardo confuso. “Capita a tutti di fare brutti sogni,” disse come se fosse una cosa completamente naturale.
”No!” Lo riprese immediatamente la voce di Tobio nella sua testa. ”Ai Jedi no!”
“Hai sognato qualcosa in particolare?”
Shouyou scrollò le spalle. “Dormo male quando affronto un cambiamento. Non credo ci sia nulla di cui preoccuparsi.”
Tadashi annuì. “Forse, ha ragione, Tsukki,” lo rassicurò. “Se avesse avuto degli incubi di quel genere se ne sarebbe accorto… Insomma, lo sentirebbe.”
Kei lo guardò come a dirgli di fare silenzio. “Allora?” Insistette. “Che cosa vedi?”
Shouyou gli rivolse un ghignetto. “Ti rispondo solo se mi fai allenare con te!” Propose.
Kei rimase in silenzio per qualche istante. “Ha ragione Tadashi, non devono essere incubi significativi…” Concluse finendo di bere il suo latto.
“Antipatico!” Esclamò Shouyou lanciandogli il suo cucchiaio.
Kei si spostò prontamente e lo schivò. “Lento, prevedibile… Il Re non ha fatto un gran lavoro con te nell’ultimo mese,” commentò sarcastico.
“È passato troppo poco tempo!” Si giustificò Shouyou incrociando le braccia contro il petto. “Abbi pazienza e supererò la prova per divenire Jedi prima di te.”
“Oh, non ne dubito!” Disse Kei con evidente sarcasmo.
“Smettila di prendermi in giro!”
“Però, dobbiamo ammettere che Shouyou ha talento,” intervenne Tadashi. “In quattro settimana ha recuperato quasi tutto quello per cui noi siamo stati addestrati per tutta l’infanzia!”
Gli occhi di Shouyou si fecero grandi, le guance rosse. Annuì con convinzione. “Sì! Sì! È così!”
“Non possiamo metterci a confronto con un nanerottolo con un livello di Midichlorian assurdo,” replicò Kei annoiato. “È come cercare di superare Tobio: inutile, una perdita di tempo. Quelli come Yuutaro finiranno per farsi male inseguendo un simile obbiettivo. Inoltre…” Puntò l’indice contro il piccolo Padawan dalla parte opposta del tavolo. “Fallo pure essere poco talentuoso e non avrebbe ragione di stare qui con quel corpo da bambino. Strano che non ti abbiamo mandato a Karasuno per sbaglio!”
Suo malgrado, Tadashi rise.
Shouyou li guardò in cagnesco ma si riprese immediatamente. “Perché?” Domandò. “Che cosa c’è a Karasuno?”
“I bambini più piccoli vengono mandati lì quando lasciano le loro famiglie,” spiegò Tadashi. “Il Tempio è nelle mani di una Principessa della Repubblica, Jedi anche lei. Sua sorella minore è la ragazzina che tu e Tobio avete salvato dalla navicella finita nel lago.”
“Oh…” Shouyou annuì registrando velocemente quelle informazioni. “Quindi, anche voi siete stati lì? Su Karasuno, intendo…”
Tadashi annuì. “Abbiamo tanti ricordi legati a quel pianeta, vero Tsukki?”
“Non fare il sentimentale, Tadashi,” lo rimproverò Kei.
“Anche Tobio?” Domandò Shouyou curioso.
I due Padawan si lanciarono un’occhiata veloce.
“Esattamente che cosa sai del nostro Re, Shouyou?” Domandò Kei.
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Quello che sanno tutti… Credo…” Aggiunse esitante. “Che è stato cresciuti dai membri della squadra della Tobio Starship. Mi ha detto che il suo nome viene da lì! Hajime Iwaizumi è il Maestro che lo ha reso un Jedi ma mi par di aver capito che anche Koushi abbia avuto una certa influenza nella sua educazione. So che a tredici anni era già un Jedi ed è il solo ad essere riuscito in una simile impresa.”
“Non è il solo,” lo interruppe Kei.
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Come?”
Il Re dei Sith,” spiegò Kei. “Tobio è il primo di questa generazione, sì… Ma è stato il Re dei Sith a stabilire il record prima di lui e nessuno sa con certezza come e quando il Signore Supremo sia divenuto un Jedi.”
“Shhh…” Tadashi si premette l’indice contro le labbra. “Parla piano, Kei…”
“Tobio mi ha detto che il Re dei Sith era un Jedi molto talentuoso ma…”
“A Tobio non piace questa similitudine,” spiegò Kei. “Ci sono stati infiniti paragoni quando è divenuto un Jedi prima del tempo ed il fatto che si sia guadagnato il soprannome di Re tra i suoi pari non ha contribuito molto a rendergli le cose più facili.”
Shouyou lo guardò storto. “Allora perché continui ad usarlo?”
“Non l’hai mai visto in un combattimento serio, vero?” Domandò Kei.
“No,” Shouyou scosse la testa. “Non mi permettono nemmeno di andare in missione ancora…”
“Quando lo vedrai capirai.”
“Che cosa?”
“Perché quel soprannome gli sta a pennello,” chiarì Kei. “Nessuno ha il coraggio di dirlo ad alta voce, nemmeno Tobio ma quando hai un nemico come il Re dei Sith, tutto quello che puoi fare è crescere un alleato altrettanto forte da mettergli contro.”
Shouyou sgranò gli occhi, il respiro bloccato in gola. “Vuoi dire che…”
Kei scrollò le spalle. “È impossibile non fare il paragone per chi non lo ha conosciuto, non riesco ad immaginare che cosa passi per la testa di chi ci è cresciuto insieme o che lo ha addestrato prima della sua caduta al Lato Oscuro. Suona fin troppo come un passaggio di trama delle grandi storie che piacciono tanto a te ma qualunque cosa faccia da quando era bambino, Tobio finisce sempre per riconfermarsi come l’erede del fanciullo geniale che poi è divenuto il Re dei Sith.” Una pausa. “Di conseguenza, è il suo rivale perfetto.”
Shouyou rifletté. “Tobio odia parlarne,” ammise ricordando la prima conversazione che avevano avuto in merito a quell’argomento.
“Per Tobio è un’ossessione,” disse Kei. “Non lo biasimo…”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Che vuoi dire?”
“Beh… Se per tutta la vita venissi paragonato all’incarnazione del Lato Oscuro, prima o poi chiunque ne farebbe una fissazione,” spiegò Kei. “Tutti si domandano curiosi chi tra i due vincerebbe in uno scontro e alcuni si domandano se questa somiglianza di Tobio con il Re dei Sith non sia un presagio.”
“Un presagio?” Domandò Shouyou.
“Riflettici,” lo invitò Kei. “Se ti ritrovi a percorrere lo stesso cammino del più temuto dei Sith senza che nessuno ti abbia dato una spinta, anche a te verrebbe il dubbio che, presto o tardi, andrai incontro allo stesso destino, no?”
Shouyou non rispose immediatamente. Strinse le labbra per un istante e rifletté su quelle parole con attenzione. “È questo che pensano tutti?” Domandò. “Temono che Tobio diverrà l’erede del Re dei Sith in tutto e per tutto?”
Tadashi sospirò. “Ci sono tante persone invidiose di Tobio,” disse. “E Tobio non è un carattere amichevole, così capita che i ragazzi dicano delle cattiverie…”
“Per i Maestri non è una cattiveria,” lo interruppe Kei. “Perché pensi che il Maestro Hajime sia tanto preoccupato? Lui conosce l’animo di Tobio meglio di chiunque di noi ma persino io posso dire con assoluta certezza che non c’è nessuno equilibrio dentro di lui ed è questo a renderlo pericoloso agli occhi degli anziani.”
Shouyou non capiva. “Lo condannano ancor prima che abbia una colpa in questo modo, però.”
“Nessuno condanna nessuno,” disse Kei. “Tobio è l’arma più potente di cui l’Ordine disporrà una volta che la vecchia generazione non avrà più la forza di combattere. Una volta, lo era il fanciullo che oggi è il Re dei Sith. Lo chiamavano speranza, Figlio della Forza… Era destinato a fare grandi cose, dicevano.” Un sospiro annoiato. “Avevano ragione ma non ne avevano previsto la natura. È naturale, dopotutto… Se hai vissuto una storia e ti ritrovi ad assisterne ad un’altra identica nei dettagli, non puoi fare a meno di prevederne la fine.”
“O sperare che non vada come è andata la volta precedente,” aggiunse Tadashi. “Alcuni Maestri sono timorosi, vero ma chi ha cresciuto Tobio vive nella speranza. Neanche tu credi che ci tradirà mai, Tsukki, ammettilo…”
Kei fece una smorfia e voltò il viso altrove.
Shouyou si umettò le labbra. Non sapeva perché ma aveva un’orribile presentimento.
Tadashi gli toccò una spalla. “Se vuoi puoi venire con me dalla Principessa.”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Come?”
“Se nessuno dei Maestri ha tempo di prendere il posto di Tobio, puoi passare la giornata con me. Non faccio molto, non sono tra i migliori della mia generazione ma la Principessa è una buona compagnia e potrebbe aiutarti a distrarti un po’.”
Shouyou ci pensò. “Hitoka? La ragazzina che io e Tobio abbiamo salvato?”
Kei ridacchiò. “Il Re sostiene che ha fatto tutto da solo mentre tu lo fissavi con gli occhi fuori dalle orbite per la sorpresa.”
Shouyou gli fece la linguaccia.
“Sì, lei!” Confermò Tadashi. “Anche lei ha qualcuno di caro su Karasuno, quindi vi comprenderete bene.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Io non ho nessuno di caro su Karasuno,” replicò. “Voglio dire, sono preoccupato per il Maestro Koushi ed il Maestro Daichi e spero che tornino sani e salvi, ma…”
“Io scendo in giardino,” disse Kei alzandosi in piedi. “Troppe sciocchezze a colazione mi danno il voltastomaco.”
Shouyou lo guardò storto. “Io non sono preoccupato per Tobio!” Esclamò.
Il Padawan dai capelli biondi lo guardò annoiato. “E chi ha detto il contrario?”
Shouyou arrossì e chinò la testa. “Maledizione…”
Tadashi rise ma non voleva essere derisorio. “Non c’è ragione di vergognarsi, sai?” Disse con un sorriso amichevole. “Anche io mi preoccupo molto per Tsukki quando partecipiamo a missioni diverse e so che lui si preoccupa per me.”
“Tadashi, non contribuire a riempire la testa del novellino di sciocchezze,” lo avvertì Kei da distanza.
Shouyou ringhiò nella sua direzione ma finì solo per assomigliare ad un cucciolo di cane offeso.
Tadashi rise di nuovo. “Vieni, portiamo la colazione alla Principessa Hitoka.”
 
 
***
 
 
“Bene, ragazzi,” disse Issei con espressione neutra portandosi davanti al gruppetto di giovani Padawan. “Stiamo per uscire dall’iperspazio e, con molta probabilità, questo ci renderà visibili ai radar nemici ancor prima che entriamo nell’atmosfera del pianeta Karasuno. Per tanto, probabilmente verremo attaccati dalle forze in cielo da ogni lato e rischieremo una morte per schianto ancor prima di avvistare terra. Tutto chiaro fino a qui?”
I Padawan si scambiarono delle occhiate tra il confuso ed il terrorizzato.
Tobio, rimasto seduto in fondo alla nave, alzò gli occhi al cielo ed aspettò pazientemente che qualcuno avesse la prima crisi di panico della missione. Quella era la parte che odiava di più dell’andare in missione con i vecchi compagni del suo Maestro: non erano mai davvero divenuti degli adulti ed i Padawan di turno ci cadevano sempre.
“Ma… Ma…” Bofonchiò un ragazzino di cui Tobio non ricordava il nome. “Non dovremmo avere un piano di attacco.”
“Come no!” Esclamò Takahiro dalla cabina di pilotaggio senza voltarsi. “Ci sediamo, ci allacciamo le cinture e se le cose si mettono male prima che atterriamo mettete la testa in mezzo le gambe e date un bacio d’addio alle…”
“A quanto l’uscita dall’iperspazio?” Domandò Tobio di colpo alzandosi in piedi.
Tutti i giovani Padawan si voltarono a guardarlo. Fu impossibile non sentire su di sé le occhiate astiose di Yuutaro ed Akira ma Tobio non dava loro abbastanza importanza perché fosse un peso.
Issei scrollò le spalle. “A quanto di preciso, Takahiro?”
“Tre minuti al massimo!” Esclamò il pilota.
“Bene,” commentò Tobio superandoli tutti senza dare spiegazioni e sedendosi al posto del secondo pilota. Lanciò una breve occhiata a Kentaro che era in piedi accanto a lui e quella sorta di cane rabbioso approvò la sua presenza con un ringhio a bassa voce.
“Come intendi muoverti, ragazzino?” Domandò Takahiro continuando a guardare di fronte a sé.
“Posso oscurare i radar,” disse Tobio. “Se riesco a farlo e nessuno interviene, potremmo anche atterrare vicino alla Capitale indisturbati.”
“Se nessuno interviene?” Domandò Issei appoggiando il braccio alla poltrona del secondo pilota.
“Il Re dei Sith è su Karasuno, no?” Disse Tobio. “Se oscuro tutti i radar chiunque sarebbe capace di accorgersi di un movimento nella forza ed il nostro nemico è molto più di chiunque.”
“Se ti entra nella testa sei fottuto, moccioso,” disse Kentaro.
Issei e Takahiro lo guardarono sbalorditi.
Tobio ghignò. “Allora non dovrò lasciargli nessuno spirargli per entrare,” concluse.
Takahiro abbassò gli occhi sul pannello di controllo. “Un minuto…” Comunicò.
“Che inizino le danze,” disse Issei tornando sul retro della nave. “D’accordo, Padawan, non è un’esercitazione. Tutti ai vostri posti fino a che non tocchiamo terra… E speriamo di arrivarci con gli arti tutti attaccati.”
Tobio sentì gli altri ragazzi sollevare un brusio noioso e spaventato. Accanto a lui, Takahiro ridacchiò.
“Che branco d’idioti,” commentò il Re dei Jedi senza preoccuparsi di essere sentito.
“La tua genialità non deriva dalla tua simpatia, Tobio, tienilo a mente,” replicò Takahiro. “Meno dieci, nove, otto, sette…”
Tobio si aggrappò ai braccioli della poltrona con forza.
Una volta là fuori, il vero scontro sarebbe stato tra lui ed il famigerato Re dei Sith.
Era solo questione di tempo…
“…E la galassia intera saprà chi è il più forte.”
“Meno uno…”
La nave si arrestò di colpo e le stelle divennero di nuovo visibili tutt’intorno a loro. Non erano soli, come si erano immaginati ed era solo una questione d’istanti prima che le navi dei Sith cominciassero a fare fuoco su di loro da tutti i fronti.
Tobio, però, teneva gli occhi fissi solo sul pianeta verde ed azzurro di fronte a sé.
Karasuno.
Inspirò l’aria dal naso, chiuse gli occhi e sentì
 
 
***
 
 
Il Re dei Sith ed il Signore Supremo erano seduti sulla balconata della stanza che avevano fatto loro quando Reon entrò senza chiedere il permesso.
Wakatoshi allontanò immediatamente la mano dai capelli di Tooru e quest’ultimo si alzò in piedi.
“Reon,” disse il Signore Supremo sorpreso da una simile mancanza di rispetto. “Che cosa succede?”
Il Sith aveva il fiato corto e pareva agitato. “Una nave della Repubblica è appena uscita dall’iperspazio ed è comparsa in mezzo alla nostra flotta.”
“C’è Eita lassù?” Domandò Tooru.
Reon annuì. “Attendono ordini.”
Il Re dei Sith sorrise: i suoi uomini sapevano bene quando era il momento di farsi da parte e lasciarlo giocare.
“Non fate assolutamente nie…” Un brivido attraversò con violenza la schiena di Tooru. Si voltò di colpo a guardare il cielo limpido come se esso fosse da biasimare. Accanto a lui, anche Wakatoshi si era fatto rigido.
“Tooru?” Lo chiamò. “Tooru, lo hai sentito?”
Appena un istante dopo, uno dei loro soldati più giovani entrò nella stanza correndo. “Maestro Reon, miei signori… È sparita!” Esclamò.
“Che cosa è sparita, ragazzo?” Domandò Reon quasi gentilmente.
“La nave della Repubblica!” Esclamò il giovane. “Si è data alla fuga ed è sparita da ogni radar…”
Wakatoshi fece per dire qualcosa ma fu Tooru ad interrompere il silenzio per primo. “Sì…” Disse con un filo di voce. “Sì, Wakatoshi,” i suoi occhi dorati splendevano diabolici ed il suo sorriso era orribile da guardare. “L’ho sentito…”
 
 
***
 
 
Shouyou impiegò pochi minuti a decidere che Hitoka gli era simpatica.
Non urlava. Non era brusca e lo trattava con gentilezza, proprio come il Maestro Koushi.
“Così, tua sorella è una Principessa della Repubblica ed una Jedi,” disse muovendo il pezzo di un gioco da tavolo che Tadashi aveva recuperato per rendere il loro tempo insieme meno noioso.
Hitoka annuì. “Mia sorella è la Principessa di Karasuno e, al contempo, è la prima Maestra del Tempio dei bambini.”
Shouyou inarcò le sopracciglia e guardò Tadashi. “Si può fare?” Domandò.
Il Padawan prese i dadi e li lanciò, “non è una cosa comune ma il Consiglio adora la Principessa Kiyoko. Tra le donne è probabilmente la più forte della sua generazione.”
Shouyou spalancò gli occhi e sorrise. “Quindi anche tu sei una Padawan, Hitoka?” Domandò con allegria.
La ragazzina arrossì e scosse velocemente la testa. “Io non ho ereditato lo stesso talento di mia sorella,” disse. “Il livello di Midichlorian nel mio sangue non è considerabile…”
“Oh…” Disse Shouyou abbassando lo sguardo. “Strano con una sorella così.”
“Non è una legge fissa,” intervenne Tadashi muovendo la sua pedina sulla tabella da gioco. “Ai Jedi non è permesso farsi una famiglia normalmente. Nessuno qui è figlio di qualche guerriero, a parte alcune eccezioni.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Ma il vecchio Ukai non è il nonno del Maestro Keishin…”
“Ho detto normalmente, infatti…”
“Oh!” Shouyou sgranò occhi e bocca. “Il vecchio ha disubbidito alle regole dell’ordine e si è fatto una famiglia!”
“Shouyou, non urlare!” Lo rimproverò Tadashi.
Hitoka rise.
“Non conosco la storia del vecchio Maestro Ukai nei dettagli ma, sì, penso abbia avuto una figlia e che questa figlia abbia poi avuto il Maestro Keishin… La figlia in questione, però, non ha mai fatto parte dell’Ordine dei Jedi. Visto? Non è una legge fissa.”
“Quindi i Midichlorian non sono ereditari?” Domandò Shouyou confuso.
“Lo sono ma non sempre.”
“Non ha senso quello che dici, Tadashi.”
“Mia sorella me lo ha spiegato così,” intervenne Hitoka prendendo i due dadi tra le dita. “Ci sono Midichlorian ovunque. È un po’ il modo in cui la Forza si fa materia o qualcosa del genere.”
Shouyou annuì ascoltando con attenzione.
“E quando due persone con dei Midichlorian alti ma non abbastanza da Jedi hanno un bambino insieme è probabile, non certo, che questo figlio abbia dei poteri. Al contrario, due persone con un livello di Midichlorian basso difficilmente daranno alla luce un possibile Jedi. E così le persone si uniscono, le famiglie di creano e nelle generazioni possono nascere bambini destinati.”
Shouyou passò lo sguardo dal viso di Hitoka a quello di Tadashi. Non era certo di aver capito ma decise di provare a ragionarci su ad alta voce. “Perciò… Mia mamma potrebbe essere una Jedi mancata?”
Hitoka sbatté le palpebre un paio di volte. “Conosci la tua mamma?” Era sorpresa.
“Sì!” Shouyou sorrise. “Non te lo hanno detto? Io sono qui solo da quattro settimane. Sono stati il Maestro Koushi ed il Maestro Daichi a trovarmi. Hanno detto che il livello di Midichlorian nel mio sangue è assurdo e mi hanno chiesto se mi sarebbe piaciuto divenire un Jedi. Ho accettato!” Il suo sorriso morì immediatamente. “E mi hanno messo nelle mani di Tobio…”
Tadashi rise pur non volendo.
Shouyou gonfiò le guance. “Non c’è nulla di divertente nelle disgrazie altrui.”
Hitoka parve più confusa di prima. “Non sei un po’ troppo grande per essere addestrato?” Si morse subito la lingua. “Scusa, scusa, scusa! Non dovrei permettermi di giudicare così, io…”
“Hai ragione!” Esclamò Shouyou. “Koushi e Daichi mi hanno detto che se fossi nato all’interno della Repubblica mi avrebbero trovato molto prima ma hanno deciso di darmi un’occasione lo stesso! Così…” Scrollò le spalle. “Dato che il mio livello di Midichlorian è così alto, magari la mia mamma sarebbe divenuta una Jedi anche lei se fosse nata nella Repubblica.”
Tadashi lo guardò. “Chi era tuo padre?”
Shouyou scrollò le spalle. “Non so niente di lui,” ammise. “La mamma diceva che era un pilota di passaggio nella nostra città… È un pianeta commerciale il mio, sapete? Si può trovare di tutto lì, se sai da chi andare… Anche merce di contrabbando. In alcune zone del mio pianeta, i pirati galattici fanno da padroni.”
“Oh…” Commentò Tadashi abbassando lo sguardo. Hitoka fece lo stesso.
“No! No! No!” Esclamò Shouyou scuotendo la testa. “Non siate tristi! Io e la mamma stavamo bene anche da soli! Anzi, adesso che so questa storia dei Midichlorian posso anche dire in giro che mio padre era un Jedi di passaggio sul mio pianeta… Suona forte, vero?”
Tadashi non comprendeva. “Ma sarebbe una storia inventata…”
“Lo so,” ammise Shouyou scrollando le spalle. “I valori del mio sangue sono reali, quindi non posso essere figlio di un uomo qualunque, no?”
Hitoka scrollò le spalle. “Ha senso…”
“Sì ma non mettiamo in giro la voce che i Jedi concepiscono figli su di ogni pianeta su cui mettono piede o sarà la fine!” Esclamò Tadashi preoccupato.
“Ah, già è una voce ricorrente!” Esclamò Shouyou divertito.
Tadashi lo guardò basito. “Davvero?”
“Nei pianeti come il mio storie come queste sono ormai vecchie. Potrei farti una lunga lista di persone che affermato di essere figli o di aver avuto un figlio con un Jedi.”
Tadashi si prese la testa tra le mani. “Non c’è da sorprendersi che i vecchi del Consiglio non sappiano più dove sbattere la testa, allora.”
“Credo che accada anche all’interno dell’Ordine…”
Entrambi i Padawan sollevarono gli sguardi sulla Principessa.
Hitoka arrossì imbarazzata. “Voglio dire, non ne sono certa ma… Ecco…” Ingoiò a vuoto. “Qualche volta, quando ero bambina e giocavo con i piccoli Padawan del tempio, vedevo cose strane…”
Shouyou reclinò la testa da un lato. “Che genere di cose strane?” Domandò.
Tadashi si strinse nelle braccia. “Non so se voglio sapere.”
“In realtà, non ci ho mai pensato molto,” ammise Hitoka. “In teoria, i piccoli Padawan che arrivano al Tempio dei bambini vengono allevati dalle Jedi che sono lì.”
“Ma?” La incoraggiò Shouyou.
“Ma io ho visto delle mamme al Tempio, qualche volta.”
I due Padawan si fecero silenziosi, poi si guardarono. Tadashi parlò per primo. “Che vuoi dire, Hitoka?”
La Principessa abbassò lo sguardo. “C’erano delle giovani donne che stavano per divenire mamme… Sì, col pancione. Capite?”
Tadashi arricciò il naso. “Ma, di norma, non si fanno test su bambini non ancora nati. Sì, i Jedi vengono allevati fin da piccoli ma è estremamente raro che un neonato venga… No?” Guardò Shouyou.
Il piccolo Padawan scrollò le spalle. “Io ne so quanto te.”
“Shouyou è il tuo turno,” disse Hitoka passandogli i dadi.
L’argomento venne chiuso lì e ripresero a giocare.
 
 
***
 
 
“Vedi niente?” Domandò Ryuu.
Yuu se ne stava in piedi sulle sue spalle cercando di vedere qualcosa dalla minuscola finestrella della loro cella. “Sembra tutto tranquillo,” commentò deluso.
“Come fa ad essere tutto tranquillo dopo una vibrazione nella forza di tali dimensioni?!” Esclamò Ryuu.
Yuu portò lo sguardo sulla parete che li divideva dalla cella accanto alla loro. “Non hanno portato via nessuno,” disse. “E non mi pare che abbiamo messo insieme un piano di fuga.”
“Quindi?”
“Quindi non si tratta di Tooru,” concluse Yuu. “Una potenza simile si sprigionerebbe solo durante un combattimento o nel caso in cui serva usare la Forza su larga scala o…”
Ryuu rise. “Come se ci fosse qualcuno col potere di usare la Forza con tanta libertà ed efficacia, a parte il Re dei Sith.” Si fece serio un istante dopo. Alzò lo sguardo e Yuu abbassò il suo.
“Stai pensando quello che penso io?” Domandò quest’ultimo con un ghigno.
“Arrivano i nostri!” Esclamò Ryuu facendo un saltello trionfante che fece perdere l’equilibrio a Yuu.
Entrambi caddero a terra.
 
 
Daichi si era alzato in piedi di colpo e così Asahi.
“Che potenza…” Commentò quest’ultimo rivolgendo lo sguardo alla piccola finestra vicino al soffitto.
“Sì,” concordò Daichi con un’espressione tutt’altro che ottimista. “Impossibile non riconoscerla…”
E così il consiglio aveva mandato Tobio a salvarli.
“La tua vera prova comincia qui, figliolo,” mormorò. “Che la Forza sia con te…”
 
 
“No…” Koushi scosse appena la testa, gli occhi sbarrati, il respiro bloccato in gola. “No, non possono averlo fatto davvero…” Indietreggiò fino a che la sua schiena non aderì ad una delle colonne della balconata.
Era limpido e sereno il cielo di Karasuno ma Koushi lo guardava come se fosse incendiato da uno scontro armato. Era solo questione di tempo, probabilmente…
“Perché?” Domandò a qualcuno che non c’era.
Per quale ragione il Consiglio aveva deciso di mandare Tobio? Quale era la loro strategia?
Koushi chinò il viso e scoppiò a piangere. “Non dovevi venire qui,” disse tra i singhiozzi. “Non dovevi assolutamente venire qui…”
“Ma ora è qui.”
Il Jedi sollevò lo sguardo di colpo: il Re dei Sith era accanto a lui e lo fissava con espressione vittoriosa. “I vecchi del consiglio erano stolti quindici anni fa e continuano ad esserlo!” Esclamò divertito. “Più di un decennio a cercare di proteggere la loro nuova speranza ed ora me la servono su di un piatto d’argento in modo che me la gusti a modo mio!”
Gli occhi di Koushi erano ardenti d’ira.
“Oh!” Tooru si finse sorpreso. “È rabbia quella che vedo, Koushi? Il Jedi pupillo degli anziani che perde ancora una volta la sua perfezione per un sentimento mater…”
Koushi scattò in avanti, lo afferrò per la casacca e lo costrinse contro il parapetto di marmo della balconata. Avrebbe potuto spingerlo di sotto, se le sue mani non avessero tremato tanto. Poco importava, però: non sarebbe bastata una spinta nel vuoto ad uccidere il Re dei Sith.
“Non lo avrai,” sibilò tra le lacrime. “Non avrai mai Tobio e sarà lui stesso ad impedirtelo.”
Tooru era divertito dalla sua disperazione. “Certo, allo stato attuale non avrebbe ragione di venire con me,” disse afferrando il polso di Koushi e facendo un passo in avanti, allontanandosi dal parapetto. “Che ragione avrebbe un piccolo orfano cresciuto da degli amorevoli Maestri di tradire l’Ordine Jedi, l’unica famiglia che abbia mai avuto?” Domandò.
Di colpo, per Koushi divenne difficile respirare. Lasciò andare Tooru e si portò le mani alla gola.
“Nessuna,” concluse il Re dei Sith facendo ancora un passo avanti.
Il Jedi continuò a combattere contro la morsa invisibile stretta intorno al suo collo ma non poteva nulla.
“Peccato che la sua vita sia tutta una bugia.”
Come sentì le vie respiratorie liberarsi di nuovo, Koushi cadde in ginocchio e prese ad ingoiare aria disperatamente.
Tooru lo guardò dall’alto al basso. “Darò a Tobio l’unica cosa che voi non gli avete mai concesso: la verità,” disse allontanandosi dal Jedi a terra. “A quel punto, starà a lui decidere per quale Lato della Forza combattere.”
 
 
***
 
 
”Ci sono domande che ti poni da quando hai memoria ma a cui non riesci a trovare una risposta?”
Urla. Urla di dolore.
“Lascia che ti dia un indizio…”
Urla e ancora urla. Le sue urla.
“Tutta la tua vita è una menzogna costruita ad arte.”
Dolore, dolore… Ancora dolore.
“Una bugia per renderti quello che loro volevano che fossi. Capisci?”
Non era un dolore fisico. Era qualcosa di più profondo, più oscuro.
“Tu desideri la verità, non è vero? Tu brami la verità!”
Avrebbe voluto replicare, avrebbe voluto combattere ma non poteva fare altro che urlare.
“Allora lascia che te la mostri. Lasciami entrare…”
“Mai…”
“Smettila di combattere. È inutile.”
“Mai! Mai!”
“Lasciami entrare, ho detto!” Ordinò il suo carnefice. “Lasciami entrare, Tobio!”

 
 
 
“Tobio!”
Shouyou si ritrovò a fissare il soffitto della sua camera con gli occhi spalancati.
Tutto era immobile e silenzioso intorno a lui. Il dolore era scomparso ma quando inspirò fu come se una morsa invisibile gli avesse stretto il collo fino a quel momento.
Il suo viso era umido: aveva pianto nel sonno.
Il braccio destro era teso in avanti, come se stesse cercando di afferrare qualcosa d’invisibile.
Impiegò quello che parve un tempo infinito per rendersi conto che era al sicuro ma quando riuscì a mettersi a sedere, gli occhi fissi sull’oscurità della stanza, l’unico pensiero coerente che riuscì a fare era che Tobio non era lì.
No, ricordò. Tobio era partito quasi quattro giorni prima per Karasuno, per combattere il Re dei Sith e liberare il pianeta ed i Jedi che erano finiti nelle mani del nemico.
“Tobio…”
Reagì d’impulso. Si alzò dal letto e corse fuori dalla sua stanza.
Fece tanto rumore da svegliare l’intero Tempio.
 
 
La Tobio Starship, anche dopo tutti quegli anni, era ancora il luogo sicuro di Hajime.
Non era altro che un ferro vecchio, certo. Non navigava tra le stelle da più di un decennio e aveva un posto nell’hangar solo per motivi affettivi ma questo non significa che avesse perso la sua importanza. Lì sopra avevano riso, avevano pianto, erano diventati grandi ed avevano desiderato di poter restare bambini. Un’intera generazione di Jedi era cresciuta a bordo di quella nave.
“Guarda! Guarda! Ha il mio naso!”
Ed una nuova era venuta al mondo.
“E guarda qui! Ha la mia bocca! Vedi?”
“Io non ci capisco assolutamente niente e tu vorresti farmi credere che è già identico a te?”
“Oh, Iwa-chan, non è così difficile! Guarda, questa è la forma della testa, il nasino…”
“Lo vedo quello, idiota!”
“E allora come fai a negare che quel broncio sia identico al mio?”

Hajime non sapeva cosa provare fissando quell’immagine in bianco e nero che si muoveva a stento, che aveva delle linee, dei contorni ma nessun dettaglio. La voce fuori campo di Tooru che continuava a ripetere idiozie non lo aiutava affatto.
”Guardalo! È arrabbiato!”
“Io continuo a chiedermi che cosa stai guardando!”

A distanza di quindici anni, Hajime riusciva a vederlo benissimo, invece. Il piccolo naso, il broncio di cui parlava Tooru…
Tutto era già lì, in quell’immagine che non era riuscito a decifrare. Piccolo, minuscolo…
Ora, a nemmeno quindici anni di età, Tobio era già alto quanto lui.
“Hajime!”
Il Cavaliere Jedi riuscì ad interrompere il video un istante prima che il Maestro Ittetsu mettesse piede nella cabina di comando. Aveva il fiato corto e l’espressione preoccupata.
“Che cosa succede?” Domandò alzandosi in piedi.
“Mi spiace disturbarti, Hajime.”
“Si tratta di Tobio?”
“No, cioè…” Il Maestro Ittetsu si umettò le labbra in difficoltà. “È di gran lunga più semplice se mi segui e lo vedi con i tuoi occhi.”
 
 
La sala del Consiglio era illuminata a giorno e questo fu sufficiente a far capire a Hajime che non doveva trattarsi di una questione da poco. Tutti erano seduti al loro posto con espressione assonnata ed annoiata al tempo stesso. L’unico ad essere in piedi era il vecchio Ukai ma non sembrava affatto divertito da quanto stava succedendo.
Hajime dovette farsi strada tra la folla di Jedi che si erano radunati per capire quale fosse la causa di tutta quella confusione.
“Vi dico che l’ho visto!”
Shouyou era in piedi al centro della stanza circolare vestito solo dei suoi abiti da notte e a giudicare da quanto era alto il tono della sua voce i vecchi non stavano dando la giusta importanza ad una questione che per lui era vitale.
Hajime non se ne sorprese: l’Ordine stava cadendo a pezzi da anni grazie alla loro incapacità di vedere oltre la loro ottusità.
“Ho visto il Re dei Sith torturare Tobio! L’ho visto in un sogno!”
Hajime sentì il cuore mancare un battito ed il respiro venire meno.
“Il tuo Maestro ti ha insegnato nulla sui sogni dei Jedi, ragazzino?” Domandò il vecchio Ukai con pazienza. Erano l’unico degli anziani che non sembrava aver solo una gran voglia di tornare a dormire, questo Hajime doveva riconoscerglielo.
Shouyou scosse la testa. “Che cosa poteva mai insegnarmi Tobio sui sogni?” Domandò con l’espressione scocciata di qualcuno che non ha tempo da perdere. “Arrivano quando devono arrivare, no?”
Il vecchio Ukai alzò gli occhi al cielo. “Interpretazione, ragazzino,” replicò. “Bisogna saper interpretare…”
“Che cosa c’è interpretare?!” Lo interruppe Shouyou senza preoccuparsi di suonare irrispettoso. “Ho sentito la sofferenza di Tobio come se fosse mia!”
“Calma il tuo spirito, giovane.”
“Non posso!” Insistette Shouyou e Hajime ebbe la sensazione che stesse per scoppiare a piangere. “Non si stava arrendendo, capite? Qualunque cosa il Re dei Sith volesse da lui, Tobio stava continuando a combattere e questo significa che, mentre stiamo qui a parlare di cose inutili, continuerà a fargli del male fino a che non cederà.” Una pausa. “Sempre ammesso che ceda…”
Hajime strinse i pugni e si costrinse a rimanere in silenzio.
La frustrazione di quel ragazzino era palpabile e la rabbia sarebbe seguita presto.
A quel punto, nessuno del consiglio lo avrebbe ascoltato e nemmeno il vecchio Ukai avrebbe potuto fare niente. Piccolo stupido… Aveva agito d’istinto e non si era reso conto che attirare l’attenzione di tutti su di sé nella sua attuale posizione sarebbe stato pericoloso.
Non c’era ragione di dare a quei vecchi qualcos’altro d’inutile su cui ragionare.
Keishin pareva dispiacersi per Shouyou almeno quanto suo nonno e, a differenza del vecchio, lo portava scritto in faccia. Fu il primo a vederlo. “Oh, Hajime…”
Inevitabilmente, gli occhi di tutti furono su di lui, compresi quelli pieni di lacrime di Shouyou.
Il Cavaliere Jedi continuò a tenere i pugni stretti, a fingersi calmo e fece un paio di passi in avanti portandosi vicino al piccolo Padawan. “Le mie scuse, Maestro Ukai,” disse stringendo con forza una delle spalle di Shouyou e sperando che questo bastasse a fargli recepire il messaggio. “Il ragazzino è ancora nuovo ed è stato privato del suo Maestro troppo presto. Da quando Karasuno è stato invaso, la Forza emette vibrazioni ingannevoli e non possiamo biasimarlo se queste hanno influenzato i suoi sogni.”
Il vecchio Ukai lo guardò sospettoso. Hajime poteva riconoscergli una lunga lista di difetti ma non era di certo uno stupido. “Bene,” disse comunque. “Allora assicurati che questo ragazzino non crei altre noie, in attesa che il suo Maestri ritorni.”
Hajime chinò la testa con rispetto. “Sarà fatto, Maestro.”
Shouyou si guardò intorno disperato. “Ma io ho visto…!”
Hajime gli strinse la spalla con più forza e dovette fargli male perché sentì il ragazzino farsi rigido sotto la sua presa. Quasi dovette trascinarlo fuori dalla sala del Consiglio e sperò con tutto il cuore che nessuno li seguisse.
Per sua fortuna, Shouyou aspettò che svoltassero per un corridoio buio prima di parlare di nuovo. “Maestro Hajime, ve lo giuro, io…”
Hajime gli afferrò la una guancia e gliela tirò con poca grazia. “Prima lezione che da Tobio non imparerai mai: se devi cacciarti nei guai, non farlo sotto gli occhi di tutti.”
“Cosa?” Chiese Shouyou massaggiandosi la guancia lesa.
“Seconda lezione,” aggiunse Hajime. “Se proprio devi farlo: crea un piano, non agire d’istinto e, se ce la fai, trovati qualche complice degno di tale nome.”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. Poi sorrise. “Voi mi credete, vero?”
Hajime accennò un sorriso. “Una lezione che ho imparato tramite l’esperienza, ragazzino,” disse, “se sogni qualcosa che hai paura che divenga reale, agisci prima che possa succedere.”
 
 


***
Angolo dei deliri e delle inutili giustificazioni.
Come annunciato, ecco il grande ritorno di queste vacanza natalizie!
Ci tengo particolarmente a ringraziare tutti i lettori che in questi mesi si sono continuati ad interessare a questa storia. Non è mai stata mia intenzione abbandonarla e con un po’ di fortuna prima dell’estate sarà completa. Grazie di cuore per la vostra pazienza.
La citazione che fa da titolo a questo capitolo è firmata A. Onassis.
Alla prossima!
 
 




 
   
 
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