Ritratto n˚38: Il fratello minore
Non c’ era una grandissima differenza d’ età tra lui e suo fratello, poco meno di quattro anni, ma ognuno dei due viveva per conto proprio nel proprio mondo.
Il primogenito avrebbe presto affrontato “l’inferno degli esami” di ammissione all’ Università e spesso tornava tardi dalle ripetizioni serali; lui invece, che era da poco entrato alle superiori, durante le lezioni di storia dormiva sul banco e prendeva tutti gli appunti in hiragana.
Faceva parte degli adolescenti cool del Giappone, lui, e conosceva come le proprie tasche Odaiba, Shinjuku e il Roppongi.
Vestiva griffato, in stile yankee, e si occupava solo di ragazze.
Il mondo del fratello era davvero troppo lontano, irreale, come un’isola incantata circondata da una fitta nebbia, e talvolta si burlava di lui chiamandolo ronin[1].
Ciononostante quel primogenito troppo compassato era per lui un punto di riferimento e un grande amico, forse il migliore: era sempre pronto a consigliarlo e a confortarlo con il sorriso sulle labbra, nonostante i vari screzi, purtroppo quasi sempre causati da lui; e a passargli con un gesto rapido e rassicurante le mani tra i capelli castani perennemente in disordine.
Bastava loro soltanto uno sguardo, dalle iridi marroni del primo a quelle azzurrognole del secondo, per indovinare i pensieri dell’ altro: finivano spesso con l’ avvicinarsi verso la porta di casa, ridacchiando come due scolaretti, diretti al cinema.
Il primogenito avrebbe presto affrontato “l’inferno degli esami” di ammissione all’ Università e spesso tornava tardi dalle ripetizioni serali; lui invece, che era da poco entrato alle superiori, durante le lezioni di storia dormiva sul banco e prendeva tutti gli appunti in hiragana.
Faceva parte degli adolescenti cool del Giappone, lui, e conosceva come le proprie tasche Odaiba, Shinjuku e il Roppongi.
Vestiva griffato, in stile yankee, e si occupava solo di ragazze.
Il mondo del fratello era davvero troppo lontano, irreale, come un’isola incantata circondata da una fitta nebbia, e talvolta si burlava di lui chiamandolo ronin[1].
Ciononostante quel primogenito troppo compassato era per lui un punto di riferimento e un grande amico, forse il migliore: era sempre pronto a consigliarlo e a confortarlo con il sorriso sulle labbra, nonostante i vari screzi, purtroppo quasi sempre causati da lui; e a passargli con un gesto rapido e rassicurante le mani tra i capelli castani perennemente in disordine.
Bastava loro soltanto uno sguardo, dalle iridi marroni del primo a quelle azzurrognole del secondo, per indovinare i pensieri dell’ altro: finivano spesso con l’ avvicinarsi verso la porta di casa, ridacchiando come due scolaretti, diretti al cinema.
[1] Nome che anticamente veniva dato ad un samurai decaduto; oggi indica uno studente che ha fallito gli esami per entrare all’ Università o un pilota senza scuderia.