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Autore: Killu93    31/12/2016    2 recensioni
Questa storia narra le vicende dell'eroe del Kazakhstan, Otabek, che intraprende un viaggio in Russia per salvare il proprio Paese. Da sempre ligio ai suoi doveri, pronto a seguire la strada segnata da altri per lui, cambierà il suo modo di essere e di pensare dopo l'incontro con la fata Yurio che gli insegnerà a credere nella magia e nel destino.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Otabek Altin, Yuri Plisetsky
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo I- L'incontro

Era una notte limpida e stellata, una di quelle notti che hanno in sé un qualcosa di magico, mistico, inspiegabile. Il freddo pungente della notte russa non preoccupava l’Eroe del Kazakhstan. Egli sedeva sull’erba bagnata, accanto a sé riposava il suo nero destriero, immancabile compagno di mille battaglie e avventure. Otabek fissava il fuoco che danzava allegro davanti a lui, i suoi occhi scuri riflettevano le scintille delle fiamme. Era come ipnotizzato dal quel movimento aggraziato. E non pensava più al suo destino, non lo tormentavano più i sogni infranti, in quella danza aveva finalmente trovato l’oblio. Avrebbe voluto poter fermare il tempo in quel preciso attimo, quando nulla era ancora compiuto, quando tutto poteva essere ancora scritto, ma il giovane non si era mai illuso nella sua vita e non aveva mai creduto alla magia. Tutto ciò che aveva compiuto e soprattutto quello che era diventato lo doveva solo a se stesso, alla sua sua forza, alla sua tenacia ed alla sua ambizione. Nessuno lo aveva mai aiutato, nessuno lo aveva mai salvato e non sarebbe successo neppure questa volta. La fiamma continuava ancora a danzare, libera, leggera. La invidiò.

Per la prima volta, dopo una settimana di viaggio, l’Eroe si addormentò.

 

Un’improvvisa folata di vento spense la fiamma. Otabek si svegliò di soprassalto. Egli si guardò intorno, sentiva nel petto una strana sensazione. Non riusciva a capire cosa fosse e se si trovasse in pericolo o meno, ma portò istintivamente la mano alla spada. Si voltò verso il suo cavallo. Dormiva beatamente. Che fosse solo un sogno? Ma il fuoco si era spento e continuava ad avere quella spiacevole sensazione che iniziava a togliergli il respiro. Mai si era sentito così impotente come allora e non riusciva a spiegarsi il motivo. Il bosco alle sue spalle era stranamente spaventoso. Gli alberi gettavano lunghe ombre sul suolo fino ai suoi piedi, quasi lo stessero invitando ad entrare. Lanciò un’ultima occhiata al limpido cielo, sguainò l’arma ed entrò.

Ben presto si trovò nel fitto della foresta dove regnava sovrano un buio pesto, la luce della luna non riusciva a penetrarvi all’interno. Il silenzio inquietante di quel luogo era rotto soltanto dai passi pesanti ma decisi del cavaliere. Si sentiva a disagio, come se stesse profanando un tempio sacro inaccessibile ai mortali, ma non si arrestò. Sentiva anche che era lì che doveva essere, proprio in quel luogo e proprio in quel momento della sua vita. Senza rendersene conto, immerso in quei pensieri, aveva iniziato a correre verso un qualcosa di indefinito, verso un qualcosa che lo chiamava e che, forse, stava aspettando proprio lui.

Ed ecco che la vide. Una luce. Una luce bianca, pura. E come una falena si scagliò verso di quella, senza esitare un attimo. Il mantello gli si impigliava tra i rami, i rovi si intrecciavano agli stivali, quasi volessero impedire la sua corsa, quasi volessero impedirgli di raggiungere la sua luce. Otabek non si lasciò fermare, la vedeva avvicinarsi sempre di più, diventare più vivida, grande, finché non lo avvolse del tutto.

 

Quella luce così intensa feriva i suoi occhi neri, ma il ragazzo non riusciva a distogliere gli occhi dal panorama che gli si parava davanti. Non avrebbe mai creduto che nella parte più profonda e scura della foresta si nascondesse una tale meraviglia.

Era un semplice specchio d’acqua, non molto grande né troppo profondo. Probabilmente si era formato con l’accumulo di acqua piovana. Proprio in quel punto vi era una leggera depressione del terreno e le fronde degli alberi non riuscivano neppure a sfiorarsi. Che fosse una casualità anche quella? Otabek non lo sapeva, né ci pensava minimamente, tanto era rapito da quell’atmosfera così magica. Tutto riluceva e brillava intorno. La superficie dell’acqua, come le gocce di rugiada sulle fronde riflettevano la luce lunare. Non aveva visto nulla di più bello in tutta la sua vita.

Ma si sbagliava.

 

Apparve senza far rumore una figura eterea.

 

Aveva i capelli biondi, intrecciati sui lati e raccolti sulla nuca.

La sua veste era rossa e nera, aderiva perfettamente al suo corpo snello ed elegante ma allo stesso tempo sembrava essere leggera.

L’essere si avvicinò all’acqua, non si immerse, bensì vi danzò sopra.

E quella danza era elegante, armoniosa, aggraziata, ipnotica, proprio come quella delle fiamme che poco prima Otabek aveva ammirato.

Che stesse sognando? Era tutto troppo assurdo per essere reale.

Come poteva un essere camminare e persino danzare sopra l’acqua!

Ma nonostante questo, Otabek non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.

In quel preciso momento, capì che non avrebbe mai visto qualcosa di più bello.

Forse il suo viaggio aveva come scopo quell’incontro. Forse era un altro il destino riservato a lui. Forse non tutto era perduto. Forse quello era il suo raggio di speranza.

Forse quell’essere avrebbe potuto salvarlo.

E questi pensieri gli colmavano il cuore di coraggio. E questi pensieri gli mossero il piede verso la figura danzante.

 

Un fruscio.

 

Un fruscio che in quel silenzio rimbombò come un boato.

 

L’essere interruppe la sua danza. Si voltò verso il cavaliere e fu il buio.

 

Otabek si risvegliò accanto al suo destriero, il fuoco era spento e l’alba si stava affacciando dietro i profili delle montagne.

Un sogno probabilmente, un bel sogno.

Si alzò da terra, destò il suo cavallo, era pronto per ripartire.

Una folata di vento proveniente dalla foresta lo colpì alle spalle. Si voltò. Sorrise.

 

No, non era stato soltanto un semplice sogno, ne era certo.

Quegli occhi freddi come il ghiaccio, quegli occhi che lo avevano trafitto nel momento in cui si era fatto scoprire, non potevano non essere reali.

Perché quelli, erano gli indimenticabili occhi di un soldato e Otabek li avrebbe ritrovati a qualunque costo.

 

   
 
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