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Autore: Soul of Paper    01/01/2017    7 recensioni
Camilla, ad un passo dal Capodanno, dopo aver ricevuto una “doccia fredda”, si ritrova a lottare contro i fantasmi che la tormentano – veri e figurativi. A cercare di ricordare la persona che era e a capire chi vuole diventare e chi NON vuole diventare. Perché spesso quella che chiamiamo libertà, diventa in realtà una prigione. E solo la verità, anche quella che ci fa più male, può renderci davvero liberi.
Genere: Malinconico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Camilla Baudino, Gaetano Berardi, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fantasmi


 

Nota dell'autrice: Cucù! Ebbene sì, sono ancora viva, per chi si ricordasse di me dopo questa lunghissima pausa dalla scrittura, causata da un terribile blocco dell'autore durato più di un anno, provocato essenzialmente dal traumatico finale di PAP 6. Questa storia è un lungo progetto, partito durante le feste dell'anno scorso, ma abbandonato a causa appunto del succitato blocco. Quest'anno, grazie anche alle atmosfere di festa e ad un po' di tempo libero in più, sono riuscita a riprenderlo il mano e a ricominciare a scrivere di buona lena. La storia si ispira mooolto liberamente ad un celebre romanzo natalizio che, per non spoilerarvi questo primo capitolo, non posso svelarvi ora ;). Troveremo Camilla che, ad un passo dal Capodanno, dopo aver ricevuto una “doccia fredda”, si ritrova a lottare contro i fantasmi che la tormentano – veri e figurativi. A cercare di ricordare la persona che era e a capire chi vuole diventare e chi NON vuole diventare. Perché spesso quella che chiamiamo libertà, diventa in realtà una prigione. E solo la verità, anche quella che ci fa più male, può renderci davvero liberi.

Vi ringrazio se vorrete dare una possibilità a questo piccolo esperimento natalizio, che si svilupperà in pochi capitoli, cinque o sei al massimo, a seconda di come li dividerò. Il primo capitolo, ve lo preannuncio, è soprattutto introduttivo e serve a dare a Camilla quella famosa “doccia fredda”, oltre ad essere servito a me per farmi fare un minimo di pace con “quel” finale. Dal prossimo capitolo la storia entrerà nel vivo e avremo molte, moltissime scene natalizie tra una certa prof. ed un certo commissario/vicequestore. Vi preannuncio anche che il secondo capitolo è quasi terminato (ho atteso appositamente prima di pubblicare il primo, onde scongiurare nuovi blocchi) ed arriverà o mercoledì 4 o al massimo domenica 8 (dal cinque all'otto sono in viaggio senza PC e non potrò pubblicare).

Voglio fare un ringraziamento speciale a chi ha continuato a darmi fiducia e ad insistere perché tornassi a scrivere e pubblicare. E' davvero difficile riprendere dopo una lunga pausa: il terrore di fare una schifezza illeggibile c'è, non ve lo nego, quindi grazie appunto a chi mi ha spronato a cercare di superare il blocco e queste mie paure.

Non vi faccio perdere ulteriore tempo, che vi ho già annoiato troppo con questa introduzione, e, se vi andrà di leggerlo, vi lascio al primo capitolo ;).


 

Capitolo 1: “Sola”

 

Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi detentori di copyright. Questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

“Tu vai qui… tu vai qui… e con te ho finito!”

 

Osserva soddisfatta le scatole, disposte ordinatamente sul tavolo, e contenenti le statuine del presepe che ha appena terminato di riporre.

 

Sei diventata più ordinata di Renzo, tra un po’ farai concorrenza a quel nevrotico di De Matteis! – le sussurra una vocina nella testa, che suona stranamente familiare e che si affretta a scacciare.

 

Effettivamente nelle ultime settimane e, soprattutto, durante queste vacanze, ha scoperto una nuova passione per le faccende domestiche, quelle stesse faccende domestiche che aveva sempre detestato.

 

Ma deve approfittarne per mettere un po’ d’ordine, ora che ha il tempo di farlo.

 

Finalmente, dopo mesi di caos totale, non le sembra più di vivere in un campo di battaglia: tra poppate, pannolini sporchi, un deejay inglese che adorava allagare il bagno e rompere lavatrici ed una neomamma in piena crisi ormonal-estetica e da mancanza di sonno.

 

Livietta – anzi, Livia, deve ancora abituarsi a chiamarla così – quando quell’adorabile tornado di sua nipote non piangeva per la fame, per il sonno, per le colichette o giusto così, tanto per attirare l’attenzione, passava un sacco di tempo in bagno a truccarsi, o a pianificare regimi fitness e regimi dietetici da far scattare non appena terminato l’allattamento. Più volte l’aveva beccata a cercare di infilarsi in vestitini e pantaloni attillatissimi dell’anno passato, che ormai non si chiudevano più nemmeno pregando in aramaico, e aveva cercato di rassicurarla che, con un po’ di impegno, sarebbe presto tornata ad indossarli.

 

Sei una gran pallista, Camilla! – commenta sarcastica la vocina, che di nuovo viene messa a tacere con un rapido cenno del capo.

 

Lo sa anche lei che la forma dei diciott’anni non è facile da recuperare dopo una gravidanza. E, del resto, Livie- Livia rimane comunque snella, anche se con un fisico più da… da adulta e meno da teenager.

 

Sua figlia e adulta sono vocaboli che ancora fatica a ricollegare, ma sa che deve augurarsi che Livia lo diventi sul serio e in fretta, adulta, per il bene di Camilla Jr. e forse pure un po’ di Camilla Sr..

 

Fare la nonna è bellissimo, anche se stancante: le basta un sorrisone sdentato di sua nipote per sentirsi ripagata di tutte le ore di sonno perse. Ma non vuole rischiare di ritrovarsi a farle praticamente da madre: non sarebbe giusto, soprattutto per la piccola, che ha bisogno di due genitori veri e non di una specie di onnipresente nonna-mamma.

 

Da quel punto di vista, deve ammettere che la decisione di Livia e George di portare la bimba a trovare i nonni paterni durante le vacanze natalizie, l’ha un po’ rassicurata sul fatto che i neo-genitori si sentano finalmente in grado di occuparsi della bimba da soli – o almeno di sbolognarla per un po’ anche ai suoi consuoceri.

 

E se la casa, senza i tre uragani, sembra stranamente silenziosa e vuota, Camilla per una volta è più che felice del silenzio e di quest’occasione per ricaricare le batterie e prendersi un po’ di tempo solo per sé.

 

“Che pace, eh, Potti?!” proclama, lanciando un’occhiata di sghimbescio al re della casa, accoccolato, come sempre, su uno dei suoi piedi.

 

Potti, per tutta risposta, apre un occhio sonnacchioso e si esibisce in un sonoro sbadiglio.

 

Con un mezzo sorriso, Camilla afferra le scatole delle statuine per richiuderle e riporle nello scatolone che finirà in cantina, per essere riesumato al prossimo natale.

 

WOF!

 

CRASH!

 

“Merda!”

 

Colta di sorpresa, la scatola le era sfuggita dalle mani ed un gregge di povere pecorelle si era appena sfracellato sul pavimento.

 

“Potti, che mi combini?! Tra un po’ mi fai venire un infarto, lo sai?!” esclama, chinandosi per raccogliere le statuette.

 

È un secondo: una nuvola nera si avventa sul bianco e corre via, ghermendo la preda nella bocca.

 

“Potti! Potti, torna subito qui!” urla, lanciandosi all’inseguimento, afferrando il fuggiasco appena in tempo, prima che si rifugi sotto a un mobile.

 

Una volta non ci saresti riuscita! – le sussurra quella voce, quasi a ricordarle che, sì, il suo Potti non è più il giovanotto di una volta: sta diventando vecchio e lento, che a lei piaccia o no.

 

“Lascia! Dai, Potti, lascia!” ordina inutilmente, perché il cane, testardo come un mulo, oppone una fiera resistenza.

 

“Potti, lascia!” ripete, cercando di aprirgli la bocca, preoccupata che possa ingoiare la statuina – i veterinari saranno ancora quasi tutti in ferie! – sbottando, “e dai, capisco che ti piaccia l’abbacchio ma-“

 

WOF!

 

Abbacchio, la parola magica: Potti, abbaiando, apre la bocca e la statuina, intrisa di bava, cade per terra.

 

Camilla si affretta ad afferrarla, decidendo, dopo un’analisi sommaria, di porre fine alle sofferenze del povero agnello sacrificale, ormai mezzo maciullato, gettandolo nel cestino.

 

E meno male che non è pasqua!

 

Quello che resta del gregge viene rapidamente riposto nella scatola, lontano dalle grinfie canine e dall’istinto da cacciatore di Potti.

 

WOF! WOF!

 

“Eh, no, Potti, stavolta non mi freghi!” lo prende in giro, finendo di incastrare le scatole nello scatolone e chiudendolo con il nastro adesivo.

 

WOF! WOF! WOF!

 

“Ma si può sapere che c’è ancora? Che cos’hai oggi?” sospira, lanciando un’occhiata a Potti che continua ad abbaiare accanto ai suoi piedi.

 

“Sì, lo so che è un po’ presto per ritirare le decorazioni natalizie, ma almeno mi porto avanti. E poi, tanto a che servono? Non le vede nessuno: siamo solo io e te! Se è per via delle pecorelle, ti prometto che presto rispolvero la ricetta dell’abbacchio-“

 

WOF! WOF!

 

“Sì, ho detto abbacchio!” ribadisce con un altro sospiro, quando il cane riprende ad abbaiare.

 

Scuotendo il capo, afferra lo scatolone e si avvia verso la porta d’ingresso, che spalanca a fatica con un colpo d’anca.

 

“Potti, ma che fai?!” esclama, evitando per un soffio di inciampare nella palla di pelo che sguiscia tra i suoi piedi e si precipita sul pianerottolo.

 

WOF! WOF! WOF! WOF! WOF!

 

“Potti, shhh! Potti, che fai?! Stai buono!” intima, invano, perché il cagnolino si è piazzato di fronte… alla porta di fronte e continua ad abbaiare furiosamente.

 

SGRAT! SGRAT! SGRAT!

 

“Potti, vieni qui!” urla, rassegnandosi a mollare per terra lo scatolone per prendere in braccio il cane prima che righi irrimediabilmente il legno a furia di unghiate.

 

“Potti, ma si può sapere che ti prende oggi?” sbotta, cercando di tenerlo fermo mentre il cane continua a divincolarsi ed abbaiare in direzione dell’appartamento di fronte, “è inutile che fai tutto questo casino: Gaetano non è in casa! È partito stamattina, quando l’abbiamo incrociato con le valigie, ti ricordi? È andato a trovare Tommy in Svezia, lo-”

 

Il latrato che le perfora i timpani ed i guaiti strazianti che seguono, le provocano una fitta all’altezza dello sterno ed uno strano senso di bruciore in gola.

 

Due secondi, il tempo di deglutire, quelle sensazioni spariscono ed è di nuovo tutto ok.

 

Non fosse per un cane da calmare.

 

“Ti manca Tommy, eh? In effetti… in effetti è un sacco di tempo che non giocate insieme,” ammette, accarezzandogli la testa e facendogli due grattini dietro alle orecchie, “dai, su, che vi vedrete presto, promesso! Adesso però calmati, ok?”

 

Sei davvero una grandissima pallista, Camilla! – commenta con un mezzo sogghigno quella maledetta vocina.

 

E Camilla, prima di metterla a tacere scuotendo il capo, deve ammettere che la voce tutti i torti non ce li ha: la verità è che, da quando è nata sua nipote, i rapporti tra lei e Gaetano si sono ridotti al minimo sindacale ed è molto improbabile che le cose cambino a breve.

 

Si era buttata full-time nel suo ruolo di nonna e, almeno per le prime settimane, aveva cercato di evitare ogni possibile incontro casuale con Gaetano: conoscendo alla perfezione i suoi orari ed essendo in ferie, non le era stato per niente difficile.

 

Ma era stato probabilmente uno sforzo inutile: nemmeno Gaetano l’aveva più cercata e, anche dopo aver ripreso la scuola, contava sulle dita di due mani le volte in cui si era imbattuta nel commissario sulle scale o in cortile. Occasioni durante le quali Gaetano, lo doveva ammettere, si era dimostrato civile, anzi cortese, in maniera assolutamente inappuntabile… almeno per un perfetto vicino di casa.

 

Ma nulla più di questo e anzi, da qualche settimana a questa parte, nemmeno questo.

 

Le uniche prove tangibili del fatto che Gaetano fosse ancora il suo vicino e che non fosse sparito dalla faccia della Terra erano: qualche commento di Livia, che ogni tanto lo incrociava durante le sue corse mattutine al parco, un futuristico passeggino da corsa, ed un bellissimo ciondolo di acquamarina, diamantini ed oro bianco, recante l’incisione “Camilla” sul dorso, che giaceva in cassaforte in attesa del giorno, molto remoto, in cui sua nipote avrebbe potuto indossarlo.

 

Regali di battesimo, recapitati direttamente a Livia alla fine di una delle suddette corse mattutine, dopo aver gentilmente rifiutato l’invito alla cerimonia, adducendo impegni di lavoro.

 

Se questi ultimi – veri o presunti che fossero – l’avevano sollevata da possibili imbarazzi, i regali avevano invece avuto lo spiacevole effetto di turbarla.

 

Non solo per il loro valore economico, decisamente eccessivo, ma… non appena aveva posato gli occhi su quel ciondolo, il suo sesto senso si era messo in allerta.

 

Aveva provato a protestare con Livia che era davvero troppo e che non avrebbe dovuto accettare quei doni, soprattutto il ciondolo, ma la risposta della figlia l’aveva messa a tacere, confermando i suoi sospetti e l’origine di quella strana sensazione.

 

Come facevo a rifiutarlo, mamma? È anche inciso! E poi… e poi se posso proprio dirla tutta, secondo me in origine l’aveva comprato per te: almeno non andrà buttato! – l’aveva freddata con un’occhiata eloquente, per poi aggiungere, in un evidente tentativo di sdrammatizzare – che poi… ti fossi chiamata, che ne so… Maria… Chiara… Laura… magari il povero Gaetano qualche speranza in più di riciclarlo con una futura fidanzata ce l’aveva pure. Ma trovarsi un’altra Camilla… quante sono le probabilità?

 

Le era toccato sorridere ed abbozzare: se Livia non voleva restituire quel ciondolo, di sicuro non sarebbe stata lei a farlo. Anche perché Gaetano la conosceva bene – forse non la capiva tanto quanto aveva un tempo sperato, ma era innegabile che la conoscesse bene – e sicuramente non poteva non sapere che lei avrebbe avuto la stessa intuizione di Livia. Non ci voleva certo Sherlock Holmes o Miss Mar-

 

Scuote il capo, troncando quel pensiero sul nascere.

 

Il ciondolo era un messaggio: una specie di bandiera bianca, un segno di resa, forse addirittura un addio.

 

Tutte le sue manovre evasive erano assolutamente inutili: non c’era proprio niente da evadere.

 

Gaetano aveva gettato la spugna e non si sarebbe più fatto avanti con lei, aveva definitivamente rinunciato all’idea che potessero mai un giorno tornare insieme e di avere quindi un’altra occasione di regalarle quel ciondolo.

 

Se mai erano stati insieme!

 

Si ritrova per un secondo a chiedersi quando Gaetano l’avesse comprato, in che occasione avrebbe voluto donarglielo ma, di nuovo, ricaccia quei pensieri, assolutamente inutili, in un angolo della sua mente.

 

Era ed è meglio così: Gaetano non è l’uomo giusto per lei, non è l’uomo che credeva. Quello che pensava fosse un sogno dal quale non avrebbe mai voluto svegliarsi, era diventato ben presto un incubo, uno di quelli in cui ti senti presa in trappola e da cui ti svegli con il fiato corto e-

 

Sai te la novità! Come tutti i sogni che hai fatto sul tuo commissario da dieci anni a questa parte! – sibila la vocina, con tono malizioso, prima di venire bruscamente messa a tacere con un rapido movimento del capo.

 

WOF! WOF!

 

L’abbaiare di Potti la riporta definitivamente alla realtà: lui sì che la conosce e, soprattutto, sì che la capisce e... sembra tutt’altro che convinto dalle sue promesse da marinaio di poco prima riguardo a Tommy.

 

In effetti, l’unica volta in cui si erano incrociati sul pianerottolo, due mesi prima, Tommy l’aveva salutata a fatica e su sollecito proprio di Gaetano.

 

Tommy era e probabilmente è ancora arrabbiato con lei: comprensibile in fondo. Se da un lato si sente un po’ in colpa, dall’altro avrebbe voluto strozzare Gaetano per aver detto subito di loro a Tommy, per averlo probabilmente illuso con la storia della sua separazione da Renzo. Quell’uomo aveva il brutto vizio di correre troppo in fretta e di ignorare il fatto che non sono più due adolescenti ma due genitori con delle responsabilità a cui pensare. Lei poi, ormai, è addirittura una nonna.

 

Ma ti è piaciuto fare l’adolescente, no, Camilla? Quella senza responsabilità, che viveva alla giornata che-

 

WOF! WOF!

 

Per una volta è grata a Potti che, da solo, ha messo a tacere la vocina nella sua testa. Gratitudine che dura circa un secondo: quando continua ad abbaiare senza sosta, sembrando un disco rotto, sa che è ora di passare al piano B.

 

“Va bene, Potti, ho capito… che ne dici se ci facciamo un giro al parco, eh? Che almeno magari ti stanchi un po’…” sospira, spingendo con il piede lo scatolone delle statuine, fino a fargli varcare la soglia di casa, e precipitandosi in cerca di un guinzaglio, prima di esaurire del tutto la pazienza.

 

Altro che pace!

 

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“Allora, ci siamo dati una calmata?”

 

Potti, accucciato sotto la panchina dopo l’ennesima corsa dietro ad un rametto e dopo essersi lasciato coccolare da almeno dieci bambini ed altrettante mamme – venduto! – si limita a borbottare come il vecchio brontolone che evidentemente sta diventando.

 

Almeno ha smesso di assordarmi, finalmente un po’ di silenzi-

 

Non fa in tempo a finire il pensiero, che il cellulare squilla: un messaggio.

 

Michele.

 

Ci vediamo alle quattro in piazza San Carlo. E no, non puoi dirmi di no: alla terza buca si paga pegno ;)!

 

Non riesce a trattenere un mezzo sorriso: è vero, aveva rifiutato ben due inviti ad uscire. Uno a novembre ed uno ad inizio dicembre.

 

Troppi impegni con la nipotina e poi… e poi non è sicura che sia una buona idea frequentare Michele adesso: vuole starsene da sola a riflettere, non incasinarsi di nuovo la vita.

 

Si era stupita di non aver saputo più nulla di lui a natale: aveva anche avuto il dubbio di averlo offeso e che non l’avrebbe mai più risentito. Ma evidentemente Michele, come sempre, non è uno che si attenga alle tradizioni.

 

In ogni caso, nel caos del cenone natalizio, tra figlia, genero e nipotina, quasi ex marito –Renzo ancora una data per la separazione non l’aveva fissata – Carmen, Lorenzito… aveva avuto ben altro a cui pensare.

 

Sì, alla fine aveva invitato Renzo: era stato un po’ surreale passare di nuovo il natale tutti insieme. Ma, del resto, dovevano pur provarci a costruire questa stramaledetta famiglia allargata, no? E, tra poppate e pannolini, sapeva benissimo che sia lui che Carmen non avrebbero di sicuro avuto il tempo di preparare cenoni, né tantomeno avrebbero potuto andare in un ristorante con un bimbo di sei mesi appena.

 

E così aveva ingoiato il boccone amaro e alla fine… non era stato poi così amaro. Forse perché erano stati tutti troppo impegnati a stare dietro a due piccoli adorabili frignoni che richiedevano attenzione – e latte – ogni due per tre, facendo a gara di decibel. Gara da cui la piccola Camilla, anzi, Millie, come era stata presto ribattezzata da George per evitare confusioni tra nonna e nipote, ne era, nomen omen, naturalmente uscita vincitrice. O forse ormai si era assuefatta, e vedere Lorenzito, Renzo e Carmen insieme non le faceva più così tanto effetto. Forse è proprio anestetizzata, in generale: a volte ultimamente le sembra di non sentire più niente.

 

Ma il niente è quasi una benedizione, se pensa a come aveva trascorso il natale dell’anno scorso. Il primo senza Renzo, dopo la seconda mazzata sui denti. Il primo con una figlia incinta che vomitava ogni cinque minuti. Il primo con Ga-

 

Ferma di nuovo questo pensiero, guarda il messaggio e sospira.

 

Perché no? – si chiede: in fondo sarà sola anche per i prossimi giorni e magari uscire un po’, almeno per un pomeriggio, le farà bene.

 

“E almeno tu ti stanchi, anzi, ti sfianchi e non mi fai più disperare!” minaccia, puntando il dito verso Potti, che le lancia un’occhiata fintamente innocente, “sì, proprio tu: guarda che non attacca! Tutti uguali voi uomini: prima combinate i casini e poi sfoderate lo sguardo da cucciolo indifeso!”

 

Un altro sonoro sbadiglio e Potti si lascia condurre mollemente verso l’uscita del parco.

 

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“Terra chiama Camilla! Camilla! Camilla!”

 

“EH?!” sussulta, voltando lo sguardo ed incontrando quello del suo accompagnatore.

 

“Sembravi su un altro pianeta: stavo cominciando a pensare di dover chiamare la NASA per venirti a recuperare. Houston, abbiamo un problema!”

 

“AH! AH! Molto spiritoso!” esclama, altrettanto sarcastica, scuotendo il capo.

 

Errore tattico, visto che lo sguardo le cade di nuovo su quella fontana.

 

“Sì può sapere che ti succede?” le domanda, portandola di nuovo a concentrare l’attenzione su di lui, squadrandola con un’occhiata inquisitoria.

 

“Niente… scusa, forse sono solo un po’ stanca…” deflette, desiderando ardentemente tagliare corto e cambiare argomento.

 

“Eh, lo immagino… tua nipote non ti farà chiudere occhio!”

 

“Già…” abbozza, gli occhi piantati a terra, che incrociano quelli di Potti, mentre la solita vocina le domanda perché non abbia ancora detto a Michele che figlia, genero e nipote sono circa ad un migliaio di chilometri di distanza da lì. E di essere quindi sola in casa.

 

“Una volta ti faceva un altro effetto…”

 

“Che cosa?” chiede, colta di sorpreso dall’affermazione e dal tono quasi… malizioso con cui è stata pronunciata.

 

Ma come fa a sapere che-?

 

“Non chiudere occhio: una volta ti faceva un altro effetto,” ribadisce, con sguardo e mezzo sorriso sornione.

 

“AH! AH!” enuncia nuovamente, scuotendo il capo, esasperata, ma non potendo evitare una punta di sollievo al fatto che no, Michele non si stesse riferendo a quello che lei temeva, “una volta avevo neanche vent’anni e un altro fisico.”

 

“A me sembra che il tuo fisico stia benissimo anche adesso,” sussurra con quel tono caldo che aveva sempre riservato solo a lei, fulminandola con quei suoi occhi castani.

 

Camilla, le guance che avvampano, si sente davvero per un attimo di nuovo ventenne, devia lo sguardo, imbarazzata, e-

 

E di nuovo quella maledetta fontana!

 

“Ma certo, adesso ho capito qual è il problema: la fontana della Dora!” esclama all’improvviso, paralizzandola per un secondo.

 

Ma che è? Un veggente? – si domanda, incredula e sbigottita.

 

E bella mia! Che pretendevi? Sono due ore che, ogni volta che ti cade l’occhio su quella fontana, sembra che tu abbia visto un fantasma! Michele sarà pure caduto in disgrazia come manager, ma mica è scemo! – le fa notare la vocina, come sempre fin troppo sollecita.

 

“Come?” si limita a sussurrare, cercando lo sguardo di Michele che sembra guardarla con preoccupazione, mista però ad una certa soddisfazione.

 

“La fontana della Dora è dove è stato trovato il cadavere del dottor Neri,” chiarisce Michele, il tono che si scurisce sulle ultime due parole, “scusami, avrei dovuto pensarci prima. Però… in fondo quel gran bastardo almeno una cosa buona l’ha fatta: mi ha permesso di rincontrarti. E non fare quella faccia e non dirmi che non si parla male dei morti, che lo sai bene come la penso.”

 

“No, no, per carità… se uno è bastardo in vita non è che la morte lo lavi di tutti i peccati, neanche se finisce morto ammazzato in una fontana,” replica Camilla, non potendo certo spiegargli il motivo di quella faccia, mentre tira internamente un sospiro di sollievo.

 

“Comunque non pensavo che la cosa ti turbasse ancora… voglio dire… neanche lo conoscevi… certo, se pensi che in quella fontana c’è stato dentro un cadavere… capisco che non sia una bella immagine…” sospira Michele, con il tono di chi si sta dando dello stupido, prima di illuminarsi e di proporle, “e se andassimo da un’altra parte? Che ne dici?”

 

“Dico che è un’ottima idea!” conferma Camilla, che vorrebbe stare dovunque tranne lì, e non certo per il cadavere di Neri, a cui non aveva peraltro minimamente pensato.

 

“Un amico di Oreste ha una giostra in un luna park qui vicino e mi ha detto un sacco di volte di passarlo a trovare, ma non ho mai avuto l’occasione giusta… che ne dici? Ti andrebbe?” propone, con un tono ed uno sguardo lievemente esitanti, che le ricordano per un attimo il ragazzo di cui si era perdutamente innamorata trent’anni prima.

 

“Non saremo un po’ fuori età per un luna park?” ironizza, stupita da quell’iniziativa… ma del resto Michele era sempre stato un tipo imprevedibile.

 

“Non dirmi che ti preoccupi delle convenzioni, Baudino,” la schernisce, ritornando a chiamarla per cognome, come si divertiva a fare, per sfotterla, ai tempi del viaggio in Grecia, visto che, quando si erano incontrati sul traghetto, si era presentata come Camilla Baudino, con nome e cognome – deformazione familiare dopo essere stata cresciuta da un generale e una generalessa.

 

“E poi mi sembra di ricordare che una volta li adorassi i luna park, Camilla.”

 

“Appunto, una volta, trent’anni fa… quando avevo vent’anni e-“

 

“E le notti in bianco ti facevano un altro effetto. Ma magari potresti scoprire che ti piacciono ancora moltissimo… sia i luna park che le notti in bianco,” si inserisce, sornione, facendole l’occhiolino e provocandole di nuovo quella sensazione di calore alle guance.

 

“Michele!” intima, un’occhiata di avvertimento, faticando però a trattenere un mezzo sorriso.

 

“Baudino!” ribatte, lo stesso medesimo tono, non perdendo un colpo e continuando a fissarla senza distogliere minimamente lo sguardo.

 

“E va bene, va bene, ho capito: vada per il luna park!” cede infine, abbassando lei per prima gli occhi con un sospiro, “certo che quando ti metti in testa una cosa…!”

 

“Senti chi parla!” rimanda al mittente con una risata, per poi farsi più serio e aggiungere, con una punta di imbarazzo, “però… al luna park non ci possiamo arrivare a piedi e… e muovere il mio camper… non so se…”

 

“Tranquillo, tranquillo, ho capito: guido io!” acconsente con un altro sospiro, grata di poter finalmente dare le spalle a quella fontana ed allontanarsi di lì.

 

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“E no, maledizione!”

 

Non riesce a trattenere l’ennesimo sorriso mezzo esasperato della giornata, di fronte al tono quasi infantile ed al modo in cui Michele getta la pistola ad aria compressa sul bancone: gli uomini sono davvero tutti uguali, non sanno proprio perdere!

 

Deve essere qualcosa di insito nel cromosoma Y.

 

“Va beh, non ti preoccupare, tanto direi che di peluche e pesci rossi, alla mia età, posso pure farne a meno,” ironizza, dandogli una pacca consolatoria sulla spalla, con la mano libera dal guinzaglio di Potti.

 

“Beh, ma almeno avrei avuto qualcosa da regalare alla tua nipotina – che mi devi ancora fare conoscere, tra parentesi!” le ricorda, un velo di recriminazione nel tono, per quanto scherzoso ed affettuoso.

 

“Sì, lo so…” abbozza imbarazzata, cercando di deviare, “va beh… non fa niente, tanto Millie di peluche ne ha già a sufficienza e-“

 

“E ci credo: quando è venuta qui l’ultima volta, il suo amico s’è vinto metà della mercanzia, mannaggia a lui! Anzi, quando l’ho vista, per un attimo m’è venuto un colpo e stavo per chiudere bottega e scappare a farmi una lunga pausa caffè. Poi ho visto che era con Michele e mi sono tranquillizzato,” commenta Angelo, il padrone del tiro a segno, con una risata cavernosa seguita da un paio di colpi di tosse, evidentemente frutto delle troppe ore passate a lavorare a poco più di zero gradi.

 

Ma non è il freddo a farle correre un brivido lungo la schiena.

 

L’amico di Michele le era sembrato familiare e anche il luna park, ma quando ci erano venuti – a marzo, se non ricorda male – aveva guidato Gaetano e lei era stata distratta da Tommy, che non stava più nella pelle all’idea di andare alle giostre. Erano mesi che gliel’aveva promesso, dall’estate ancora precedente ma, dopo la nuova separazione da Renzo, per un bel po’ di tempo non era stata proprio dell’umore adatto.

 

A marzo invece eri di ottimo umore, no, Camilla? – le ricorda quella vocina, ormai come un ronzio sempre più insopportabile.

 

“Il tuo amico?” le domanda Michele, stupito, azzittendo la vocina e rivolgendole un’occhiata che passa presto dalla curiosità alla consapevolezza.

 

Sa benissimo che Michele ha già capito di chi si tratti: del resto, di nuovo, non serve certo un grande intuito per arrivarci.

 

“Sì, un tipo alto, biondo, piazzato, l’aria da uomo che non deve chiedere mai… mi ha vinto i tre peluche giganti: non sbagliava un colpo, mai vista una cosa simile in vent’anni di carriera, per fortuna!” chiarisce Angelo con un’altra risata, eliminando così ogni possibile dubbio, “meno male che poi si è fatto perdonare con una bella mancia, se no mi rovinava sul serio! Anche perché quei cosi attirano i clienti, solo che, con tutto lo spazio che occupano, tengo giusto quelli in esposizione, tanto non li vince mai nessuno! E invece… invece mi è toccato correre la mattina dopo a fare scorta.”

 

“Una mancia?” chiede Camilla, colta di sorpresa da quella parola inattesa, in mezzo a ricordi che erano ancora più che vividi.

 

“Sì, cento euro! Praticamente il valore della mercanzia…” conferma il giostraio, con un sospiro che solleva nuvole di vapore nell’aria, “bello essere ricchi… ce li avessi io cento euro da buttare così!”

 

“Ma… non mi sono accorta di niente…” sussurra Camilla, più tra sé e sé che rivolta al giostraio.

 

“E ci credo! Con due peluche giganti in braccio e quel bimbo con l’argento vivo addosso… e poi… il suo amico me li ha passati un po’ sottobanco… c’aveva un atteggiamento che per un attimo mi sono detto: questo o è un criminale o è uno sbirro!” commenta, aggiungendo, con un’altra risata, “visti i cento euro, avrei scommesso per il criminale: gli sbirri di solito non c’hanno soldi da buttare.”

 

“Magari non ce li hanno ma li trovano lo stesso, se si tratta di far felice un bambino, o se si tratta di non toglierli a chi ne ha ancora di meno!” non riesce proprio a trattenersi dallo sbottare, cominciando ad innervosirsi e maledicendo il destino che non è nemmeno beffardo, no, è proprio stronzo, “va beh… forse è il caso di andare… comincio ad avere un po’ freddo…”

 

“Non vuole prima provarci lei a sparare? Un giro glielo offro io e magari è più capace di Michele – non che ci voglia molto!” replica Angelo, con l’aria di chi si è appena reso conto di aver fatto una gaffe e di volere rimediare.

 

“No, io… io odio le pistole. Non sono proprio capace di sparare,” ammette, volendo, di nuovo, solo levarsi al più presto da lì.

 

“Beh, direi che allora siete proprio fatti l’uno per l’altra!” scherza Angelo, per poi aggiungere, con tono suggestivo, “su con la vita, Michele: sfortunato al gioco, fortunato in amore. Vi lascio andare a… scaldarvi.”

 

Camilla non rimane nemmeno ad aspettare di sentire la risposta che sta cercando di balbettare Michele. Si avvia a passo deciso nella direzione in cui c’è meno gente, ansiosa di mettere più spazio possibile tra lei, Angelo e le sue battute.

 

Almeno fino a che una mano le afferra la spalla.

 

“Non avevi detto di non avere più l’età per i luna park? O per il tuo amico commissario fai un’eccezione?” le sussurra a poca distanza dall’orecchio, una nota accusatoria nella voce, portandola a voltarsi per guardarlo negli occhi.

 

“Infatti io non ho più l’età, e neanche Gaetano, se è per questo. Ma Tommy, suo figlio, ha sette anni – anzi, ormai ne ha quasi otto – e lui quindi l’età per i luna park ce l’ha eccome…”

 

“E per i peluche giganti, addirittura tre!” commenta Michele in un modo che fa capire perfettamente a Camilla quello che sta pensando ma non dicendo espressamente: che Gaetano vizi suo figlio. O che sia uno sbruffone.

 

“Di peluche ne ha dovuti vincere tre perché uno era per Tommy, uno per per la mia nipotina, quando sarebbe nata, e uno, su richiesta di Tommy, per Lorenzito – il figlio di Renzo,” chiarisce, non riuscendo a non fare trapelare la punta di fastidio che prova.

 

“Insomma, per tutta la famiglia al completo!” ironizza Michele, allargando le braccia.

 

“Beh, sì, Gaetano… Gaetano è di famiglia e quindi anche Tommy. Che c’è di male?” gli domanda, squadrandolo e serrando la mascella, stanca e stufa di dover dare giustificazioni, quasi sfidandolo ad obiettare.

 

Erano di famiglia, Camilla! – le ricorda l’onnipresente vocina.

 

“Niente, ovviamente. Mi chiedo solo che… che ruolo abbiano in questa grande famiglia,” ribatte Michele, sostenendo il suo sguardo senza battere ciglio, “e soprattutto mi chiedo che ruolo ho io nella tua vita.”

 

È di nuovo lei ad abbassare gli occhi e a guardarsi intorno, in cerca di un modo per evadere da quella domanda implicita, alla quale non ha alcuna voglia di rispondere, perché richiederebbe troppe spiegazioni che non è intenzionata a dare.

 

“Cioccolata!” esclama, indicando un banchetto che offre cioccolata calda e vin brulè, la risposta invernale al classico zucchero filato, “dai, che mi sto surgelando!”

 

Senza aspettare risposta, si mette in coda, dietro ad una famigliola e ad una coppia di adolescenti. Lo sente alle sue spalle, avverte nettamente la sua presenza ed il suo sguardo fisso sulla nuca ma, se Michele ha qualcosa da dire, evidentemente non lo farà ora.

 

Si augura che la coda duri il tempo sufficiente perché l’argomento venga definitivamente archiviato.
 

***************************************************************************************

 

“Che c’è?”

 

“Cioccolata…” pronuncia lui con un sorriso, prima di chiarire, di fronte allo sguardo perplesso di lei, puntandole l’indice all’angolo sinistro della bocca, “qui!”

 

Il tempo di un secondo e quel dito le sfiora le labbra, pulendole dallo sbaffo marrone.

 

Una mano che le afferra il mento e se lo ritrova vicino, troppo vicino, la testa che le va nel pallone e-

 

WOF!! WOF!! WOOFF!! GRRRRRRRR! WOF!! WOF!! WOOOFF!!

 

“Ehi, stai buono, che ti prende?” lo sente esclamare rivolto a Potti, che abbaia e ringhia come un ossesso, lasciandole il mento, lasciandola libera.

 

“Mi sa che non gli sto molto simpatico…” sospira, lanciandole una rapida occhiata prima di rivolgere tutta l’attenzione al cane, che continua a rimanere in posa d’avvertimento, sembrando quasi pronto all’attacco.

 

“Potti, dai… calmati, basta!” interviene Camilla, abbassandosi per cercare di prenderlo in braccio, ma lui le sfugge dalle mani, continuando ad abbaiare.

 

“No, decisamente non gli piaccio per niente…” commenta Michele con un altro sospiro, passandosi una mano tra i capelli, “anzi, direi proprio che non mi sopporta!”

 

“Ma no, non è per te… è che… Potti ultimamente è diventato molto geloso se qualcuno… diciamo se qualcuno mi si avvicina troppo,” lo rassicura, ribadendo, di fronte al suo scetticismo, “no, sul serio, non c’è niente di personale! Figurati che lo faceva anche con-“

 

Si blocca bruscamente, rendendosi conto di essersi appena fregata da sola. Ma ormai è troppo tardi.

 

“Con il tuo amico commissario, per caso?” finisce per lei la frase, in quella che più che una domanda è un’affermazione.

 

“Michele-” prova ad intervenire, ma lui la stoppa.

 

“Camilla, se hai una relazione con… con un altro uomo… credo di avere almeno il diritto di saperlo, no?”

 

Altro uomo?” gli domanda, con un sopracciglio alzato, “mi devo essere persa il nostro fidanzamento. Quando è successo esattamente?”

 

“Camilla… non divagare, lo sai benissimo cosa intendo!” sbotta, l’aria di chi sta perdendo la pazienza, “dai, non prendiamoci in giro. In questi mesi penso di non averti mai chiesto niente e di non avere mai preteso niente: ho rispettato i tuoi tempi, i tuoi rifiuti, i tuoi silenzi. Ma se sei impegnata con un altro… almeno questo credo di avere il diritto di saperlo!”

 

Il diritto?” ripete lei di nuovo, incredula, un tono che è tutto un programma.

 

“Sì, Camilla, non guardarmi con quella faccia. Non mi interessa nemmeno sapere chi sia, nel caso, anche se me lo posso immaginare ma… ma almeno non mi faccio… diciamo che non mi faccio illusioni, ecco. Se non vuoi farlo per me, dovresti volerlo fare per Lui, no? Anzi, per voi!” sottolinea con tono amaro e lievemente sarcastico, fulminandola con un’occhiata che sembra leggerle dentro, senza esitazioni, senza paure.

 

È nuovamente Camilla a cedere, le palpebre che si chiudono mentre sospira, indecisa per un secondo sul da farsi.

 

Ma sa anche lei che ormai non c’è alternativa: si è incastrata con le sue stesse mani.

 

La storia della sua vita.

 

“Non sono… non sono impegnata con nessuno al momento, Michele. Non ho nessuna relazione: l’unico uomo della mia vita è Potti,” scherza, abbassandosi lievemente per accarezzare la testa del cagnolino, che sbadiglia soddisfatto.

 

“Al momento. Ma… ma qualcosa c’è stato, non è vero, con il tuo amico commissario? Non è sempre stato solo un amico,” deduce, paralizzandola ed infrangendo quel momentaneo senso di sollievo, all’idea di essersela sfangata con poco.

 

“Va bene, d’accordo…” capitola Camilla, alzando gli occhi al cielo, sapendo benissimo che la confessione è l’unico modo per archiviare rapidamente questo argomento e che, se fornisce lei qualche piccolo dettaglio, si eviterà altre domande scomode, “sì… abbiamo avuto… diciamo che abbiamo avuto una breve relazione che però è finita e-“

 

“Per volontà sua o per volontà tua?” si inserisce, non dandole un attimo di tregua.

 

“Non vedo come questo ti riguardi e-“

 

“Mi riguarda eccome, perché cambia le carte in tavola e di molto, dato soprattutto che, per tua stessa ammissione, è un qualcosa che è avvenuto ultimamente. Anche perché, visto che una gravidanza dura nove mesi e, quando ci siamo rincontrati, il figlio del tuo ex marito non era ancora nato… deve essere successo tutto nell’ultimo anno… anzi, negli ultimi mesi…”

 

“Vedo che le esperienze degli ultimi mesi a te invece hanno lasciato una grande passione per l’indagine,” ironizza Camilla, cercando di deflettere con lo humour e di svicolare da quello che ha sempre più l’aria di essere un vero e proprio interrogatorio.

 

“Senti chi parla! E comunque non divagare: guarda che ti conosco, Baudino,” intima con un mezzo sorriso e l’aria di chi non cederà fino a non avere avuto una piena confessione.

 

“Va bene, d’accordo, hai vinto: è stata una mia decisione, contento?!” sbotta Camilla, il tono che trasuda sarcasmo, cominciando ad irritarsi: non ha mai amato le confessioni, soprattutto non quelle mezze estorte.

 

“Sì, molto,” ammette Michele, per tutta risposta, mordendosi il labbro con l’aria di chi sta trattenendo il sorriso, un’espressione da schiaffi sul viso, “ed è successo prima o dopo che ci siamo rincontrati?”

 

“Michele, per favore-“

 

“Camilla,” la blocca con quel tono deciso, completamente sicuro di sé, che spesso, in maniera imprevedibile, emergeva dall’apparente dolcezza e timidezza: un lato di lui che l’aveva sempre affascinata, sin da quell’indimenticabile viaggio in Grecia, “è successo dopo, non è vero?”

 

“Sì, è successo dopo! Soddisfatto?” ammette con un sospiro e alzando gli occhi al cielo, sapendo benissimo che sarebbe inutile mentire: lui conosce già la risposta.

 

“Moltissimo!” pronuncia Michele, sfoderando un sorriso pieno e trionfante, che non tenta nemmeno di dissimulare.

 

Camilla sa benissimo cosa sta pensando Michele: che lei abbia lasciato Gaetano per lui.

 

Ed è proprio quello che voleva evitare che pensasse. Non solo perché non è così, ma anche perché è consapevole che questo gli avrebbe dato un’impressione sbagliata-

 

E quale sarebbe l’impressione giusta, Camilla? No, perché io e almeno la metà dei tuoi neuroni ce lo staremmo ancora chiedendo… da circa sei mesi a questa parte, se non di più! - le domanda la vocina nella sua testa e, se non fosse assolutamente incorporea, la proprietaria della vocina sarebbe già stata ritrovata strangolata da quel dì.

 

Nella fontana della Dora, per caso, Camilla? La tua fantasia è decisamente un po’ morbosa. No, aspetta, dove l’ho già sentita questa? Ma sì, certo da-

 

Cinque dita. Cinque dita sulla spalla ed una sensazione di calore sulla schiena mettono a tacere la maledetta scocciatrice e le fanno quasi fare un salto sulla panchina.

 

Il borbottio di Potti, il suono che precede il ringhio, quasi si perde dietro il rumore dei battiti del suo cuore che le rimbombano nelle orecchie. Si volta e trova il viso di Michele di nuovo troppo vicino al suo, mentre, con la coda dell’occhio, lo vede muovere l’altro braccio.


Fa appena in tempo a bloccargli la mano prima che le si posi sulla vita.

 

“No, Michele, ascolta, forse non… non ci siamo capiti,” pronuncia, cercando di scostarlo o di scostarsi, “io non-“

 

“E invece ci siamo capiti benissimo… ti assicuro che ti capisco benissimo, Camilla, come tu hai sempre capito me. Ti sei separata da poco da tuo marito… sono successe un sacco di cose nella tua vita: tuo marito ha avuto un altro figlio, sei diventata nonna, a quanto pare hai pure archiviato una… una liaison con il tuo commissario, anzi, con il tuo ex commissario,” precisa, un tono lievemente canzonatorio e vittorioso insieme, “insomma… è stato un anno difficile e complicato, lo so, ma-“

 

“Ma questo dovrebbe farti capire perché… perché questo non sia assolutamente una buona idea, Michele,” ribatte, scostandosi del tutto da quel mezzo abbraccio ed indicando prima se stessa e poi lui, “ho bisogno di tempo e non voglio più fare errori: ho bisogno di fare chiarezza e non di aggiungere altra… confusione.”

 

“Beh ma… a me invece sembra tutto perfettamente chiaro, Camilla. Insomma… tuo marito ti ha tradita e… l’hai lasciato dopo vent’anni di matrimonio. È un lutto da superare, un grande lutto. E allora, come spesso succede, ti sei… ti sei aggrappata alle… alle spalle larghe e muscolose di un amico per consolarti,” proclama Michele, sembrando non poter proprio evitare di fare dell’ironia su Gaetano.

 

“Ma che fai? Mi prendi in giro adesso?!” sbotta Camilla, non potendo contenere l’irritazione, “no, perché non c’è proprio niente da ridere! E in quanto a… a Gaetano, lui-“

 

“Camilla, ti garantisco che non voglio prenderti in giro, anzi! E in quanto a Gaetano, è evidente che si è trattato del classico caso di Uomo Caronte,” chiarisce, come se fosse un’ovvietà.

 

“Uomo che?!” gli domanda, incredula, non capendoci più niente.

 

“Professoressa Baudino, non mi dica che non conosce Dante: Caronte, il-“

 

“Il traghettatore di anime, sì, so benissimo chi è Caronte, ovviamente!” sbuffa Camilla, continuando ad essere a dir poco confusa, “quello che non capisco è il nesso tra… tra Caronte e Gaetano.”

 

“Il nesso è che, come Caronte traghettava le anime, Gaetano ti ha traghettata in un momento difficile. Insomma… chiodo scaccia chiodo.”

 

“Veramente io non-“

 

“Camilla,” la interrompe di nuovo, prima che possa terminare, rassicurandola, sempre con quel tono comprensivo e allo stesso tempo sicuro di sé, “non c’è niente di male: succede spessissimo, è un meccanismo di difesa per… per tirare avanti, per non soccombere al dolore ed attutirlo mentre si cerca di superarlo. Una volta elaborato il lutto, almeno un po’, e terminata l’emergenza… ti sei resa conto che non eri innamorata di lui e che la vostra relazione non aveva più senso di continuare. Soprattutto… soprattutto quando poi invece… il destino mette o… rimette sulla nostra strada qualcuno che ci interessa sul serio.”

 

“E questo qualcuno saresti tu?” domanda, sorprendendosi della mezza risata che spontaneamente le esce dalla gola e dal tono duro e quasi sprezzante con il quale ha pronunciato quelle parole.

 

Non sa che cosa le prenda ma… ma ultimamente le succede sempre più spesso, soprattutto quando si tratta di… di uomini, inutile negarlo.

 

Di uomini che le fanno pressioni, che fanno proclami, che si ostinano a non capire che-

 

“Beh, Camilla… dovrai ammettere che… insomma, io che rientro nella tua vita dopo trent’anni, proprio ora che ti sei lasciata con… con tuo marito, che sei di nuovo una donna libera… non puoi non chiamarlo destino questo!” proclama Michele, dopo un attimo di pausa, sembrando ignorare completamente il tono e la risata, o almeno decidere di passarci sopra.

 

“Destino, destino, destino! Se avessi un euro per ogni volta che ho sentito quella parola ora dovrei essere ricca sfondata e, se il destino esistesse sul serio e avesse dei poteri magici, a quest’ora dovrei essere… dovrei essere felice con Gaetano. E invece sono qui con te: quella del destino è una palla colossale!” esclama, amara, aspra e pungente, di nuovo più di quanto avrebbe voluto.

 

Ma non può farne a meno, è così e basta: lei al destino non crede più.

 

“Che c’entra adesso Gaetano?” domanda Michele, sorpreso, l’aria di chi si aspettava tutto tranne quella reazione.

 

“C’entra che… ci siamo conosciuti a Roma dieci anni fa, Michele e… per fartela breve, dopo un numero infinito di traslochi, miei e suoi, ci siamo ritrovati, dopo anni che non ci vedevamo né sentivamo, ad abitare uno di fronte all’altra. Ci sono più probabilità di vincere all’Enalotto, credo. Se non è destino quello… non so cosa potrebbe esserlo! Eppure… eppure non c’è stato nessun magico lieto fine, anzi, praticamente è finita ancora prima di cominciare. Quindi…”

 

“Quindi magari era questo il vostro destino, non ci hai pensato? Che-“

 

“Che Renzo mi tradisse per l’ennesima volta? Che aspettasse un figlio da un’altra? Che Gaetano mi facesse da… com’è che l’hai chiamato? Uomo Caronte? Beh, allora, scusa se te lo dico, Michele, ma il destino è proprio un grandissimo stronzo!” afferma Camilla, guardandolo negli occhi, perentoria come in pochi altri momenti della sua vita, “e, a maggior ragione, non voglio più averci niente a che fare o dargli minimamente retta, al destino!”

 

“E perché io cosa dovrei dire, allora? Pensi che con me il destino sia stato meno stronzo?! Sono passato da brillante promessa del MIT di Boston, a top manager in una multinazionale americana, a top manager in un’azienda italiana, a… cosa? Cittadino senza fissa dimora? Trailer trash, come dicono in America. Un poraccio, come dicevamo a Roma,” dichiara con una mezza risata sarcastica ed autoironica, “ma sai che c’è? Che tutto sommato… mi va bene così! Mi va bene così, se significa essere qui con te e… e magari avere finalmente la possibilità di diventare quello che saremmo potuti essere, se non fossi partito come un cretino per l’America, lasciandoti qui da sola e-“

 

“E se non l’avessi fatto, te ne saresti pentito per sempre. Probabilmente saresti arrivato a rinfacciarmelo un giorno ed io non me lo sarei mai perdonata,” ribatte Camilla, posandogli una mano sull’avambraccio, addolcita da quelle parole, “Michele, ascoltami: è successo una vita fa, trent’anni fa! Non abbiamo più vent’anni e-“

 

“Quando sono con te mi sembra di avere ancora vent’anni, che il tempo si sia fermato!” la interrompe con un sorriso, posando la mano sulla sua.

 

“Ma il tempo non si è fermato, Michele, non abbiamo più vent’anni e lo sai… ed è inutile pensare al passato, a quello che avrebbe potuto essere… perché… è tutto diverso, è cambiato tutto. Io sono cambiata, tu sei cambiato… il nostro mondo è cambiato e non si torna indietro.”

 

“E allora non torniamo indietro, ma guardiamo avanti. Non pensiamo al passato: pensiamo al futuro!” la esorta con un altro sorriso, stringendole lievemente la mano.

 

“Al futuro?”

 

“Sì, al nostro futuro…”

 

Nostro?” ripete, non riuscendo a celare lo scetticismo nel tono di voce.

 

“Sì, nostro. Perché no, Camilla? Perché non dovrebbe essere possibile? Tu sei… single e io sono single. Ci siamo amati tanto e siamo stati felici insieme e-“

 

“Ed è stato una vita fa e-“ prova a protestare e a lasciargli la mano, ma lui mantiene la presa.

 

“E potrebbe anche essere la nostra nuova vita. Potremmo ancora essere felici insieme, Camilla, molto felici, ne sono sicuro. Camilla, una donna come te io… io non l’ho mai più trovata e non solo perché… sopporti il mio brutto carattere,” ironizza, strappandole un mezzo sorriso, per poi aggiungere, serissimo, stringendole la mano in modo quasi disperato, “ma perché… perché mi capisci con un solo sguardo… sai come sostenermi quando ne ho bisogno e… e senza che io debba chiedertelo. Avresti sacrificato tutto per me, per tirarmi fuori dai guai e… e anche nei momenti peggiori, sai sempre come farmi ridere. Ci sei stata per me quando ero a terra, anzi, quasi sottoterra, e mi hai aiutato a rialzarmi, a ritrovare la fiducia in me stesso come… come uomo. Ad essere di nuovo un uomo. Capisci che significa?”

 

“Sì… credo… credo di sì…” sussurra Camilla, un senso di bruciore agli occhi ed un dolore… piacevole al petto che non riesce a spiegarsi, guardando davanti a sé senza vedere realmente nulla.

 

Anzi, sì, intravede qualcosa: lo schermo di un cellulare, con un messaggio che però ora non riesce a decifrare, i vetri di una finestra, mezza nascosta dietro tende bianche e poi… e poi mani, mani che stringono convulsamente le sue, proprio come sta succedendo ora. Ma mani grandi, forti e calde, così diverse da quelle sottili e gelide di Michele.

 

Immagini e sensazioni sfocate, come un sogno che le sfugge tra le dita e che non sa interpretare.

 

“La sai una cosa, Camilla? È da… è da quando ho perso tutto… che… che non ho più pensato al futuro, se non… solo all’oggi, al sopravvivere, ad avere qualcosa da mangiare e un tetto sulla testa. E, quando ero in depressione, nemmeno di quello mi importava più: avrei solo voluto sparire, smettere di soffrire, di essere un peso per me stesso e per gli altri. Ma… da quando ti ho ritrovata… è come se… è come se sentissi di avere di nuovo una possibilità… non solo con te ma… ma con la vita. Di poter di nuovo guardare avanti, di avere qualcosa di… di bello per cui guardare avanti, lo capisci?

 

“Sì…” mormora con un filo di voce, un sorriso che le si allarga sul volto senza che possa evitarlo, ed i suoi occhi ora vedono solo il blu: stoffa blu che ondeggia, come percossa da un lieve vento.

 

Riesce perfino a percepire la brezza fresca sul viso e quel tepore che la avvolge, mentre dita leggere le sfiorano il braccio e poi il collo e la guancia destra.

 

Quasi inconsciamente, chiude gli occhi ed inclina il capo, perdendosi per qualche istante in quelle sensazioni a cui non è più abituata, nel tornare finalmente a sentire dopo mesi di intorpidimento.

 

Si rende conto solo in quel preciso istante di quanto le sia mancato tutto questo, di quanto le sia mancato-

 

Umido: un tocco insistente ed umidiccio sulle labbra, tra le labbra, un sapore estraneo e… e sbagliato, le congelano bruscamente i pensieri ed i sensi. Il pilota automatico, dal quale si era lasciata guidare fino a quel momento, si disattiva, lasciandole solo un moto di nausea che le chiude lo stomaco e la gola.

 

Istintivamente, respinge quell’invasione molliccia e sgradevole serrando labbra e denti, mordendo lievemente ed involontariamente prima la punta della lingua e poi il labbro inferiore dell’invasore.

 

Mentre un sentore di rame si unisce al gusto amaro della bile che le risale la gola, l’invasore, per tutta risposta, sembra sorriderle sulla bocca, probabilmente interpretando quei morsi come… come parte di un gioco. Dopo un attimo di pausa fin troppo breve, rinnova l’assalto con ancora più vigore, conficcandole le dita tra i capelli e baciandola con irruenza, gli incisivi a catturarle e tirarle il labbro, quasi ad imitare il suo gesto di poco prima, per poi lanciarsi in un nuovo tentativo di invasione della sua bocca.

 

“Mi- Mi- Miche-“ prova a pronunciare in mezzo all’assalto, le mani e le braccia che finalmente si riattivano e riescono ad infilarsi tra il suo petto e quello dell’uomo, cercando prima di allentare la stretta e poi di spingerlo via, “no- no! NO! BASTA!”

 

Solo quando lo vede precipitare indietro ed aggrapparsi al bordo della panchina, evitando solo per un soffio di ruzzolare a terra, si rende conto di quanto forte l’ha spinto.

 

Di quanto forte ha urlato.

 

Michele la guarda, ancora mezzo spalmato sul sedile di metallo, gli occhi spalancati in un’espressione di sorpresa e quasi di… di spavento.

 

“Che… che ti prende?” esala, la voce roca, tentando faticosamente di rimettersi a sedere ma non smettendo un attimo di guardarla negli occhi.

 

“Che mi prende?! Casomai, che prende a te?!” non può trattenersi dall’esclamare in quello che è quasi un urlo, mentre Potti, con un ringhio agghiacciante, balza sulla panchina, in mezzo a loro, sembrando pronto ad attaccare alla minima mossa di Michele.

 

“In che senso?!” le domanda, sembrando sinceramente confuso, alternando ora lo sguardo tra lei e il cane, per poi implorare, con tono quasi intimorito, “Camilla… per favore, puoi…?”

 

“Potti, vieni qui!” sospira, prendendo in braccio il cane, che continua ad abbaiare, cercando di tranquillizzarlo ma continuando, inconsciamente, a farsene scudo.

 

Qualche attimo interminabile di silenzio, mentre rimangono a studiarsi: Michele ancora mezzo aggrappato allo schienale della panchina, confuso, sorpreso e intimorito tanto quanto lo era lei fino a qualche istante prima.

 

Prima che tutto fosse spazzato via da un senso di irritazione, anzi, proprio di rabbia e di tradimento che monta e ribolle dentro di lei.

 

“Ma si può sapere come ti è saltato in mente di... di.. di saltarmi addosso in quel modo, eh?!” sibila, gelida, mentre Potti, di riflesso, riprende a borbottare e vibrare minaccioso.

 

“Saltarti addosso??!! Io??!!” esclama Michele, con un tono e uno sguardo tra l'incredulo e lo spiazzato che la mandano in bestia.

 

“Non mi sembra che qualcun altro in questo parco abbia tentato di infilarmi la lingua in gola, grazie al cielo!!” esplode, sarcastica, “scusa il francesismo!”

 

“Che cosa??!!!” sbotta, non riuscendo a trattenersi dall'alzare ulteriormente la voce, indignato, “ma se sei tu che mi hai baciato!!!”

 

“EH??? Che cosa avrei fatto io???!!! Ma certo che c'hai una faccia tosta da primato!! Non provare a girare la frittata, non-”

 

“Senti chi parla!! Sarò stato e forse sarò ancora un poco depresso, ma non sono pazzo!! Io ti ho accarezzato il braccio e il viso e tu mi hai sorriso, mi hai detto shhhh, mi hai preso per la nuca e mi hai baciato!”

 

Un colpo netto al cuore, una stilettata che le leva il fiato, a tradimento.

 

Non è possibile... non è possibile... non è possibile!

 

“Io... io credo sia meglio andare... ti pago un taxi,” balbetta, tentando di rimettersi in piedi, nonostante le gambe che le tremano: la voglia, anzi il bisogno di allontanarsi da lì è più forte di tutto.

 

“Eh no, non mi puoi liquidare così: tu mi devi una spiegazione!!” la blocca Michele, afferrandola per una spalla e costringendola a rimettersi a sedere, incurante di Potti che ringhia e scalpita come un pazzo e che Camilla fa sempre più fatica a trattenere.

 

“Io non ti devo proprio niente!!” ribatte, fulminandolo con uno sguardo che potrebbe uccidere, “lasciami andare!!”

 

“Eh no, Camilla: non funziona così! Prima mi baci, poi mi tratti come se fossi un maniaco, poi mi... mi paghi un taxi??!!” sbotta con una mezza risata amara ed incredula, “ma che pensi che sia? Un pupazzo?! Una spiegazione me la devi eccome, Camilla!”

 

Rimangono a fissarsi negli occhi per qualche interminabile istante. Camilla combattuta tra l'istinto di fuggire e il tentativo disperato del suo cervello di formulare uno straccio di scusa che le consenta di concludere quell'incontro, al quale ora si pente amaramente di aver acconsentito, con un minimo di dignità e senza scenate – chiudere con dignità? Non mi sembra che sia proprio il tuo forte, Camilla.

 

Camilla serra le palpebre per un secondo, il tempo di zittire l'odiosissima vocina. Un secondo di troppo, perché Michele sembra ritrovare la forza e le parole, che tracimano come un torrente in piena.

 

“Camilla... mi hai dato buca per mesi, per mesi! Tanto che mi ero detto che, se non avessi accettato l'invito di oggi, avrei lasciato perdere. Avrò fatto un po' una vita da recluso in questi ultimi anni, ma i segnali li so ancora cogliere, grazie al cielo!” proclama, sempre con quel sorriso amaro, per poi aggiungere, dopo una pausa e un sospiro, “perché sei venuta qui oggi, Camilla, eh? Per umiliarmi e darmi il colpo di grazia?!”

 

“Perché pensavo di uscire con un amico e... avevo bisogno di un amico oggi,” ammette, ricambiando il sospiro, quella che in fondo è la pura e semplice verità.

 

“Ma io e te NON SIAMO MAI STATI AMICI. E lo sai! Lo sapevi benissimo che segnali mi avresti lanciato accettando il mio invito oggi! È tutto il giorno che sei distante, che sembri con la testa altrove. E poi invece ti... ti commuovi insieme a me, mi prendi, mi baci e poi pretendi di-”

 

“Pretendo??!! A me sembra che sei tu che pretendi!! Ma che avete voi uomini eh??!!! Deve essere qualcosa nel cromosoma Y!! Una vi dà un dito e voi subito a prendervi il braccio, a pretendere tutto!! Il fatto di essere uscita con te oggi non mi obbligava e non mi obbliga a starci con te, non mi obbliga a un bel niente!!” sbotta in quello che è praticamente un urlo, l'indignazione e quel senso di... di fastidio che le bruciano in gola.

 

“Non ho detto questo, Camilla, maledizione! Dico solo che non puoi continuare a lanciare segnali opposti e confusi e poi, se uno li coglie, liquidarlo così!! Ho una mia dignità anche io, nonostante tutto! Capisco che tuo marito ti abbia ferita, che tu sia stata delusa dagli uomini, ma non puoi prendertela con me e sfogare il tuo livore su di me!! Io non ti ho mai fatto niente di male e non mi merito tutto questo! Ho già abbastanza problemi e casini per conto mio e non posso prendermi pure i tuoi, perché mi pare evidente che tu di problemi da risolvere ne abbia parecchi, forse pure più di me! E diventare il tuo sacco da pugilato è l'ultima cosa di cui ho bisogno in questo momento!!”

 

“Che cosa?! No, aspetta, aspetta!! Altro che faccia tosta!! Fino a pochi minuti fa ero una specie di angelo salvatore, che ti aveva aiutato a ricominciare a vivere e a ritrovare la forza di andare avanti, e ora sarei una specie di psicopatica?! Solo perché non ci sono stata??!!” grida a voce piena, incurante del contesto, l'indignazione che è ormai rabbia, anzi, furia, “quello che ha problemi e pure ENORMI sei tu, Michele, altro che brutto carattere!! Ci credo che non hai più trovato uno straccio di lavoro e che sei rimasto solo come un cane!!”

 

Silenzio.

 

Un silenzio assordante e perfetto li avvolge per momenti che sembrano dilatati all'infinito, gli occhi a fessura, le mascelle serrate, le mani ad afferrare il legno della panchina fino a che le nocche diventano bianche.

 

“Quando si dice un colpo basso... complimenti! Complimenti davvero!” proclama infine Michele, scuotendo il capo, il tono basso, duro, amaro, incredulo.

 

“Io... io non so che cosa ti sia successo e che cosa ti abbia fatto tuo marito ma... avevi ragione su una cosa: sei davvero cambiata, Camilla. Non sei più la persona che ricordavo. La Camilla che conoscevo io non... non era così! Era una persona buona, generosa, altruista. Una persona che metteva la felicità delle persone a cui teneva prima della propria. Come quando mi hai lasciato andare a Boston. Ora invece... ora invece... sembra che ci godi a fare del male agli altri, soprattutto a chi ti-” si blocca, prima di esalare, come se gli costasse fatica, “a chi a te ci tiene davvero. E io sarò rimasto anche solo ma tu pure se continui così... solo un masochista potrebbe riuscire a sopportarti! Ma l'avrei dovuto capire prima: l'avrei dovuto capire da come trattavi quel poraccio del tuo... amico commissario.

 

“Che c'entra adesso Gaetano??!” esclama Camilla, il senso di colpa momentaneo per quelle parole a dir poco infelici che gli aveva sputato addosso, che svanisce di fronte alla rabbia che nuovamente preme e scalpita per essere lasciata libera, quasi più forte di Potti.

 

“C'entra che mi ricordo benissimo come ti comportavi con Gaetano quando ero sospettato di omicidio. E se a lui va bene essere trattato come una pezza da piedi e rimanere uno di famiglia, a scodinzolarti intorno come un cagnolino fedele, pure dopo che l'hai piantato in asso, sperando magari che tu cambi idea, come del resto, a quanto mi dici, mi sembra abbia fatto negli ultimi dieci anni.... Beh, mi spiace per lui, ma io non sono così!”

 

“Ma chi te lo chiede??!! Chi ti ha mai chiesto niente??!! Sei stato tu a decidere che volevi continuare a starmi appresso e che non volevi arrenderti, mi sembra!” urla, furente come raramente si è mai sentita, “e comunque Gaetano non è un cagnolino, ma è un vero signore, cosa che tu non sei e non sarai mai!”

 

“E meno male!” erompe in una risata sarcastica, “se essere un signore significa farsi umiliare con il sorriso sulle labbra, beh, no grazie!”

 

“Ah sì? Peccato che fino a quando, secondo te, umiliavo Gaetano e lo trattavo come una pezza da piedi, ero comunque la donna che ti aveva fatto tornare alla vita e con la quale volevi costruire il tuo futuro. Anzi è tutto il giorno che fai battutine sarcastiche e sprezzanti proprio su Gaetano! Mentre invece se oso rifiutare TE, allora divento una sadica e la peggiore delle stronze!! E Gaetano che, lo ribadisco, è un signore e che peraltro sa difendersi benissimo da solo, diventa una povera vittima!! Mi sembri la volpe che non arriva all'uva e dice che è acerba!!”

 

“Al massimo la volpe che ha scoperto che l'uva è ormai diventata marcia e che l'unica cosa che otterrà mangiandola è un gran mal di stomaco!”

 

“Peccato che ci hai provato in ogni modo a mangiartela sta uva, prima di decidere che era andata a male! E guarda caso proprio quando hai capito che l'uva col cavolo che si sarebbe lasciata mangiare!” sputa, acida e tagliente, provando una voglia straripante di mollargli un ceffone da lasciargli le cinque dita stampate per almeno una settimana.

 

“È vero, Camilla, oggi ci ho provato con te, perché pensavo davvero che ci potesse essere un futuro tra noi e non lo nego. Come non nego che tu sei stata una specie di faro in un momento davvero buio della mia vita. Mi hai evitato la galera e mi hai salvato la vita, perché io dalla galera non ne sarei mai uscito vivo, non nelle condizioni in cui ero. Non lo sto negando e di questo ti sono grato e te ne sarò sempre grato. Ma quello che è successo prima ti sembra una cosa... una cosa normale?! Lo ribadisco, se Gaetano ha tendenze masochiste, buon per te, ma io non sono così! Quando ci siamo ritrovati, vedendo come ti comportavi con me, quanto eri pronta a rischiare e sacrificare per me... ho voluto pensare che se eri così fredda e sprezzante con il tuo amico commissario, era perché eri arrabbiata con lui, perché sembrava avermi già condannato solo per un'antipatia, perché mi percepiva come un rivale. Che se ti comportavi così era per difendermi e perché lui era troppo opprimente nei tuoi confronti. Pensavo che il problema fosse lui. Ma ora tratti anche me allo stesso identico modo, come se avessi preteso chissà che, quando non ti ho mai chiesto niente e-”

 

“Come no!! Tu pretendi, pretendi eccome! È tutto il giorno che pretendi e-”

 

“Sono mesi e mesi che ti ho aspettata pazientemente, e no, senza pretendere niente, se non un minimo di sincerità. Ma non serve più, Camilla, perché la verità è che... non ho voluto vederla la verità. E la verità è che il problema non era Gaetano: il problema eri tu. La verità è che quello che hai fatto per me, tu non l'hai fatto davvero per me! La falsa testimonianza, l'andare contro a tutti, anzi, diciamo pure contro Gaetano per scagionarmi... tu non l'hai fatto per difendermi, ma per difendere te stessa!!”

 

“Ma che stai dicendo??!! Io-”

 

“Tu ti eri stufata dell'uomo Caronte, Camilla, ti andava stretto, no? E allora hai trovato un modo per liberartene e per chiudere quella relazione definitivamente. A questo ti servivo io, solo a questo. Per questo mi sei stata appresso per settimane e poi... e poi quando il caso è finito e l'uomo Caronte ha avuto il suo benservito... puff, sei sparita di nuovo! Sei pure riuscita a tenerti il fedele e signorile Gaetano come amico di famiglia e a tenermi lì in caldo, in panchina. Ma io ho ancora una mia dignità e ci tengo alla mia salute mentale, per quanto precaria, e di sicuro non la butterò via rimanendo qui a scondinzolarti intorno per altri dieci anni, anzi nemmeno per dieci secondi di più!”

 

L'aria intorno a lei si fa ancora più gelida quando, con un movimento brusco, Michele si alza in piedi, guardandola, letteralmente, dall'alto in basso, in un modo che la manda in bestia. Quasi non si accorge che Potti ha finalmente smesso di ringhiare e divincolarsi.

 

“Su una sola cosa hai ragione: non sarei MAI dovuta venire qui oggi!!” sibila, il tono letale quasi quanto lo sguardo, “e meno male che ti ho lasciato andare a Boston e non sono stata così cretina da seguirti!”

 

“La sai una cosa? Concordo in pieno! E risparmiati il taxi: non solo posso permettermelo, ma piuttosto che chiederti un solo euro, mi faccio la tangenziale a piedi!” ribatte, con un tono tra il disprezzo e il compatimento che le fa di nuovo venire un prurito incontenibile alle mani, “buona vita e buona fortuna Camilla, ne avrai bisogno!”

 

***************************************************************************************

 

“Stronzo!”

 

La fitta lancinante alla mano e il guaito spaventato di Potti, la bloccano per un secondo, la porta di casa che rimbomba ancora peggio di un gong, vibrando sulle nocche della mano destra, sulla pelle che è appena riuscita a spaccare con un pugno ben assestato contro al muro.

 

Si disfa rapidamente del cappotto, lanciandolo sul divano – al diavolo l'ordine!

 

Sa che dovrebbe disinfettare la mano e medicarla, ma non ne ha la forza: vuole solo infilarsi sotto le coperte e rimanerci fino all'epifania, che anche queste stramaledette feste si porterà via.

 

In fondo, la Befana le è sempre stata simpatica.

 

Un altro guaito di Potti la spinge a guardare in basso e a rendersi conto che ha ancora il guinzaglio in mano e lo sta praticamente strattonando verso la stanza da letto.

 

“Scusa, Potti, scusa, adesso ti libero!” lo rassicura, chinandosi per aprirgli il moschettone e prenderlo in braccio, sia per farsi perdonare, che per sentirne il calore.

 

“Con gli uomini ho chiuso, Potti. Chiuso!” proclama solenne, incrociando lo sguardo dubbioso del cagnolino, “se mi senti di nuovo anche solo parlare di accettare un invito da qualcuno, per favore mordimi!”

 

Ma Potti, per tutta risposta, la guarda dubbioso, con la testa inclinata verso destra e poi si lancia in un altro guaito, che sembra farsi più forte mano a mano che Camilla si avvicina al letto.

 

“E dai, Potti, ti ho chiesto scusa. Non fare il permaloso!” sospira, facendogli un altro grattino sulla testa e buttandosi sul letto, ancora vestita, “ora ci facciamo una bella dormita, che la mamma ne ha proprio bisogno.”

 

WOF! WOF!

 

Non appena molla la presa, per abbassarsi a slacciare gli stivali, una palla di pelo nera si getta giù dal letto e si precipita con sorprendente rapidità verso la porta.

 

“Potti!! Potti, dove vai??!!” esclama, barcollando in piedi e inseguendolo con uno stivale allacciato e uno che le penzola dalla caviglia, “dai, Potti, per favore, sono stanca! Non ti ci mettere pure tu!”

 

SGRAT SGRAT SGRAT

 

“Non dirmi che hai bisogno di... fare un bisogno! Siamo appena rientrati!” sbuffa, rassegnata, chinandosi di nuovo a prenderlo in braccio prima che rovini la porta di ingresso.

 

WOF WOF!!

 

O almeno provandoci, visto che Potti non sembra intenzionato a farsi afferrare.

 

“Va bene, va bene, vuoi scendere con le tue zampe?! D'accordo! Però una cosa veloce e poi a nanna!” concede, affrettandosi a chiudere lo stivale e infilarsi nuovamente il cappotto.

 

WOF!! WOF!!! WOF!!! CAIIII!!! CAIIIII!!! CAIII!

 

“Ma che fai, Potti??!!!” esclama, esasperata, cercando di afferrare il fuggiasco che, come la porta di casa si è aperta, si è nuovamente lanciato sulla porta di fronte, ricominciando a grattare come un ossesso.

 

“Ti ho già detto che Gaetano non c'è e nemmeno Tommy!! Vieni qui!!! VIENI QUI!!” grida, forse più forte del dovuto, riuscendo finalmente ad agguantarlo e a riportarlo in casa.

 

Ma, come lo poggia per terra per levarsi il cappotto, di nuovo Potti si lancia verso la porta di ingresso.

 

“Potti, adesso basta! Basta, hai capito?! Dobbiamo andare a letto!!” intima, agguantandolo di nuovo e riportandolo con sé in camera.

 

Come riprova a slacciarsi gli stivali e di nuovo, vede la nube nera volare verso la porta, Camilla capisce che questa è una lotta persa in partenza e che, soprattutto, non ha le energie di combattere.

 

SGRAT SGRAT SGRAT

 

“Senti, Potti, Gaetano non c'è, Tommy non c'è. Ci sono solo io e sono esausta! Se vuoi continuare a stare lì e grattare la porta, fai pure: io vado a letto!!” annuncia, solenne, lanciandogli un ultimo sguardo prima di ritornarsene in camera da letto, infilarsi nel pigiama e sotto le coperte.

 

Tanto tra un po' cede... figurati... lo fa sempre! - pensa, chiudendo gli occhi ed aspettando di sentire il picchiettio delle zampe di Potti, il suo peso sul materasso e il suo calore sul petto.

 

Come al solito.

 

Ma passano interminabili minuti e niente, silenzio. Quantomeno sembra avere smesso di grattare la porta.

 

“Va bene, d'accordo!! Abbandonami pure tu, traditore! Tutti uguali vuoi uomini!!” esclama, in un tono che vorrebbe essere ironico ma che risulta solo amaro, un senso reale di tradimento che le opprime il petto, insieme ad un fin troppo familiare calore negli occhi.

 

Li serra ancora più forte, deglutisce, respira, quella sensazione svanisce ed è di nuovo tutto ok.

 

Almeno per cinque secondi. Poi il maledetto calore e il pizzicore la riassalgono, più forte di prima.

 

“Eh no, Camilla, non facciamo scherzi!” si intima da sola, accendendo la luce sul comodino, lo sguardo che le cade automaticamente sulla foto di Andreina che sembra osservarla materna e comprensiva, accanto a una foto di Livia, Millie e George.

 

“Se solo fossi ancora qui...” sospira, tracciando con un dito il contorno del viso di sua madre, prima di prendere in mano la foto, “avremmo passato le feste a discutere su tutto, lo so: dalla cottura del tacchino, al centrotavola, alla tovaglia. Mi avresti rimproverato per la mia cucina scadente e le mie scarse abilità domestiche, fino a farmi impazzire!”

 

“E poi... avresti passato tutto il giorno di natale a fulminare Renzo e a fare battute di pessimo gusto a Carmen, già lo so,” sussurra con un sorriso, lasciandosi ricadere sul cuscino, la foto stretta al petto, “ma avresti coccolato lo stesso Lorenzito, quando Renzo non ti vedeva, ovviamente. Perché ti conosco, mamma, anche se forse non ci siamo mai capite del tutto. E poi... e poi avresti preso in braccio la tua nipotina e avresti fatto mille raccomandazioni a Livietta e... e poi-”

 

Il nodo in gola per un secondo le toglie il fiato.

 

“E poi... anche oggi... mi avresti dato della cretina per essere uscita con Michele. A te non è mai stato molto simpatico... forse perché temevi che mi portasse via, lontano da te. O forse perché ci hai visto più lungo di me... chi lo sa. Ma, vedendomi rientrare, avresti capito, mi avresti preparato un tè e... avresti cercato di ficcanasare, facendo finta di non volerti immischiare... e... e forse oggi te l'avrei pure permesso, sai, mamma? E mi avresti abbracciata e-”

 

Le lacrime bastarde tentano di nuovo la fuga, rendendole difficile anche solo deglutire.

 

“Basta!! Basta, Camilla, basta!!” esclama, strizzando gli occhi per ricacciarle indietro, strappandosi la foto dal petto e gettandola sul comodino.

 

È inutile perdersi in illusioni che non portano da nessuna parte: sua madre non c'è più, quella vita semplice, lineare, rassicurante, non c'è più.

 

Quella Camilla non esiste più.

 

“Ce l'hai fatta fino ad ora, da sola, nonostante tutto!” si ricorda, tirando tre forti respiri fino a calmarsi, “non hai bisogno di nessuno per essere felice, di nessuno! Ora ti dai una calmata e ti metti a dormire. E da domani ti dedichi solo ed esclusivamente a te! Anno nuovo vita nuova. Libera, indipendente e soprattutto senza pesi morti da trascinarti dietro!”

 

La gola è ritornata libera, il pizzicore è svanito ed è di nuovo tutto ok. Soddisfatta, Camilla spegne la luce e si rimette sotto le coperte.

 

“Sul morto possiamo pure concordare, ahimé, ma sul peso... senti chi parla! Perché, tu pensi di essere una piuma, per caso?”

 

Il cuore che le vola in petto, non solo per la voce improvvisa, ma perché quella voce è di-

 

“Mamma??!!” esclama, incredula, precipitandosi a riaccendere la luce.

 

Un altro tuffo al cuore, non appena i suoi occhi incrociano quelli di ghiaccio della figura seduta ai piedi del letto, con una posa di assoluta nonchalance, impeccabilmente vestita e pettinata, esattamente come nella foto che giace riversa sul comodino.

 

“Mamma!”

 

Chissenefrega se è solo un sogno: il tempo di un secondo e Camilla si proietta verso la madre, la necessità di quell'abbraccio ormai si è fatta insostenibile.

 

“Ahi!” non può fare a meno di esclamare, quando si ritrova spalmata sul materasso, la mano già mezza martoriata che picchia contro il pavimento.


Temendo di stare allucinando, si risolleva a fatica, ma sua madre è ancora lì: placida e tranquilla.

 

Tremante, allunga una mano per sfiorarle il braccio ma l'unica cosa che riesce a percepire è aria: aria fredda, gelida.

 

“Non fare quella faccia, figlia mia: che ti aspettavi? Gli spiriti non hanno un corpo, dovresti saperlo, se no non sarebbero spiriti...” proclama Andreina, con il tono di chi sta pronunciando un'assoluta ovvietà.

 

“Spiriti??” chiede Camilla, ancora basita, prima di sospirare, “per una volta che riesco a sognarti, non potevo fare un sogno normale, ovviamente, no! Sarebbe pretendere troppo!”

 

“Sogno?!” la schernisce la madre, con quel tono che le aveva sempre fatto venire voglia di ammazzarla, “e per quello sei arrivata un po' tardi, figlia mia.”

 

“Per cosa?!” domanda, completamente confusa.

 

“Per ammazzarmi, naturalmente!” ribatte con un altro sorrisetto soddisfatto, “e non fare quella faccia, che ti peggiorano solo le rughe sulla fronte! Sì, riesco a sentire i tuoi pensieri, ovviamente. È uno dei vantaggi di essere uno spirito, non che mi serva realmente: le conosco fin troppo bene, le tue occhiate omicide. Poi in quest'ultimo anno... mi sembra che tu ci abbia un po' preso gusto, no, Camilla? E infatti, guarda: una, due, tre, quattro rughe nuove.”

 

“Solo io posso fare un sogno così su mia madre. Solo io!!” esclama Camilla, incredula ed esasperata, “ma non potevo fare uno di quei sogni che fanno tutti quanti, con il genitore che li rassicura che andrà tutto bene e che è fiero di loro e-”

 

“Ah, se potessi dirtelo, te lo direi, Camilla, credimi! Ma non ho mai amato le bugie – sì, ok, a parte su Amedeo e la povera Sandra... e su Edmondo, d'accordo! Certo che non te ne sfugge mai una: tutta tuo padre!”

 

“Senti chi parla!! Che poi... che poi sono sempre io, ora che ci penso! Questo è il mio sogno e quindi mi sto praticamente rimproverando e criticando da sola?! E dire che pensavo di avere smesso con i sogni da TSO!” sbuffa, mettendosi la testa tra le mani e chiedendosi perché il suo subconscio ce l'abbia tanto con lei.

 

“Ancora con questa storia del sogno! Guarda che non stai affatto dormendo, Camilla. E se il tuo subconscio ce l'avesse con te, credimi che non avrebbe poi tutti i torti: ultimamente non lo stai trattando molto bene. Anzi, diciamo che non stai trattando molto bene nessuno, inclusa te stessa.”

 

“Sì, va beh, d'accordo. Quindi questo non sarebbe un sogno?”

 

“No, affatto!”

 

“E tu quindi saresti uno... com'è che ti sei definita? Uno spirito?”

 

“Sì, esatto. Uno spirito.”

 

“Quindi tipo... un fantasma? Di quelli che fluttuano nell'aria con catene e sonagli e-”

 

“Mi sa che ti sei vista troppe volte Ghostbusters e Casper con Livietta, quando era piccola. Preferisco decisamente i miei soliti vestiti e... figurati se mi metterei mai a fare tutto quel baccano, che siamo pure in un condominio e c'è gente che dorme: neanche morta!” esclama, prima di bloccarsi ed aggiungere con una mezza risata, “scusa, mi devo ancora abituare a non usarli certi modi di dire.”

 

“Ok, va beh, supponiamo per un attimo che questo davvero non sia un sogno e che tu sia uno... spirito: che ci fai qui?” le domanda, con un tono che lascia trasparire tutta la sua incredulità e confusione di fronte a questo sogno a dir poco bizzarro, “messaggi dall'aldilà? Numeri fortunati del lotto, che ne avremmo pure bisogno?!”

 

“Non sono una postina e mi dispiace, ma non sono in grado di prevedere il futuro: non è la mia specializzazione.”

 

“La tua specializzazione? Oltre ad essere uno spirito, sei pure un medico, adesso?”

 

“Prendila pure a ridere, Camilla... tanto ti renderai conto tu stessa a breve che non c'è proprio niente da scherzare, anzi,” sospira, riaggiustandosi la gonna: uno dei suoi classici segnali di fastidio. Di solito associato ad un rifiuto di Camilla di fare qualcosa nell'unico modo che la madre, nella sua testardaggine, riteneva universalmente corretto.

 

“D'accordo, e allora sentiamo: quale sarebbe la tua specializzazione?”

 

“Il passato, naturalmente! Per essere precisi, sono lo Spirito delle Festività Passate!” pronuncia con solennità pari a quella di un nobile che si inchina di fronte alla sua regina, enunciando con orgoglio i suoi titoli.

 

“Lo spirito di che?!” domanda con la voce che le si strozza su una mezza risata.

 

“Camilla, mi stupisco di te! Insegni ancora lettere, o sbaglio?” ribatte Andreina, precisando con un sopracciglio sollevato, “sì, ovviamente è una domanda retorica.”

 

“Charles Dickens. Canto di Natale. Certo che lo riconosco. Ma, prima di tutto lì c'era lo Spirito del Natale Passato e la vigilia è passata pure quella, e da un pezzo: domani è l'ultimo dell'anno!”

 

“Ma Dickens viveva nell'Ottocento: qua bisogna modernizzarsi un po', essere... com'è che si dice? Politicamente corretti? Non tutti lo festeggiano il natale! E poi... figlia mia, che ci possiamo fare, se tu arrivi sempre in ritardo perenne su tutto? Per natale non è stato possibile, si fa quel che si può! Ma meglio tardi che mai... sempre se non è già troppo tardi.”

 

Una risata amara sfugge dalle labbra di Camilla: forse avrebbe davvero dovuto dare retta a Francesca e andare a fare qualche seduta dalla psicologa, quando aveva scoperto il tradimento di Renzo e aveva avuto gli attacchi di panico. Sapeva di avere un subconscio molto originale e fantasioso, ma questo sogno decisamente li batteva tutti! E non aveva nemmeno mangiato pesante, anzi, non aveva proprio cenato!

 

“Ancora con questa storia del sogno?! Lo vuoi capire che non stai affatto sognando?!” sbotta Andreina, l'aria di chi sta perdendo la già scarsa pazienza.

 

“Sì, certo, come no! Non sto sognando e sono finita nella riedizione moderna di Canto di Natale, nel ruolo di Scrooge, per di più – che poi non sono né tirchia né misantropa!”

 

“Non sarai tirchia ma in quanto al misantropa... se vai avanti così, figliola, ora che arrivi all'età di Scrooge, lo farai impallidire al tuo confronto!”

 

“Ma se mi faccio in quattro per gli altri! E ho tutta una famiglia che-“

 

“Qui non vedo nessuno!” le fa notare Andreina, indicando la casa fredda e vuota con quello stramaledetto sopracciglio alzato.

 

“Perché sono dovuti andare via per vari motivi ma-“

 

“Ma tu saresti potuta andare con loro, se avessi voluto. Certo, per fortuna, se non altro, non ti è saltato in mente di partirtene per la Spagna con quel mostro del tuo ex, che almeno ha avuto l’istinto di sopravvivenza di aspettare che tirassi le cuoia, prima di mettere incinta quella-“

 

“MAMMA!”

 

“E dai, su Camilla, se non si può nemmeno essere onesti dopo morti... e poi tanto non mi sente nessuno, visto che non c'è nessuno qui, a parte te,” reitera, rimettendoci il carico da undici.

 

“Ok, adesso basta! Camilla, questo è il tuo sogno ed è arrivato il momento di svegliarti. Ma come posso fare? Di solito... chiudere gli occhi per un po' funziona,” ragiona tra sé e sé, serrando le palpebre più forte che può.

 

“Quando hai finito di parlare da sola come una pazza e di farti venire ancora altre rughe pure nel contorno occhi, potresti riaprirli che avrei un compito da portare a termine e stiamo già facendo tardi?”

 

“Ma sei ancora qui?!” domanda Camilla, esasperata, maledicendo ardentemente tutte le volte in cui ha desiderato di sognare la madre.

 

“Sì, sono ancora qui, perché, per l'ennesima volta, questo NON è un sogno e-”

 

“Ah, no? E allora dimostramelo, avanti!”

 

“Camilla...”

 

“Avanti, se questo non è un sogno e tu sei davvero uno spirito, dimostramelo, convincimi. Avanti!” la inziga con tono di sfida, sperando vivamente di portare il sogno ad un'escalation tale da svegliarsi.

 

“E va bene, l'hai voluto tu!”

 

“AHIA!”

 

Camilla si porta la mano alla bocca: il pizzicotto alla mano è stato talmente forte da riaprire la ferita sulle prime due nocche, che hanno ripreso a sanguinare.

 

“Se fosse un sogno, dovresti essere già sveglia e non sanguineresti. Quindi-”

 

Andreina si azzittisce bruscamente quando Camilla, di nuovo, prova invano a toccarla con la mano sana, incontrando solo l'aria.

 

“Cioè, fammi capire: tu avresti il potere di darmi un pizzicotto così forte da farmi sanguinare, ma non di darmi un abbraccio?” domanda Camilla, ancora incredula e confusa, ma con uno strano senso di tradimento che le sale in gola – eh no, non ti starai mica convincendo sul serio che questo non è un sogno, Camilla!

 

“Beh, forse questo dovrebbe farti capire che evidentemente hai più bisogno del primo, che del secondo,” ribatte Andreina, serissima, ma con una certa malinconia e – preoccupazione? - che traspaiono dallo sguardo e dal tono di voce.

 

“Che stai dicendo? Io-”

 

“Dai forza, alzati: è ora di andare!”

 

“Ma mamma, io-”

 

Ogni protesta viene zittitta quando avverte cinque dita gelide chiudersi intorno al suo polso e sollevarla in piedi di peso, con una forza straordinaria ed impensabile per sua madre quando era viva.

 

“Dove... dove stiamo andando? Dove mi porti?!” protesta, provando di nuovo ad afferrare la madre e a divincolarsi, ma fendendo solo il nulla e il gelo.

 

“Ci sono molte cose che devi vedere stanotte, e molti posti che devi visitare. Ed è già tardi: non c'è più tempo!”

 

“Mamma, ma... aspetta!! Almeno fammi cambiare: sono in pigiama!!”

 

“Sinceramente rispetto ai tuoi... chiamiamoli completi da giorno... non è che ci sia tutta questa differenza,” la rimbecca con un altro di quei suoi sorrisetti tra il sarcastico e l'affettuoso.

 

“Mamma! Io-”

 

La porta della camera che si spalanca, una luce accecante e poi il vuoto.

 

“AAAAHHH!” urla, sentendosi cadere – ora mi sveglierò, ora mi sveglierò, ora mi sveglierò, devo svegliarmi!

 

“AHIA!”

 

Riapre gli occhi, convinta di essere caduta dal letto, ma trovandosi invece a fissare delle piastrelle bianche striate di nero, stranamente familiari, ma assolutamente fuori posto nella sua camera da letto.

 

Queste piastrelle erano... erano nel corridoio della-

 

Rumore di passi, forti e decisi, cadenzati, quasi marziali. Camilla solleva il capo ed incontra due scarpe nere lucide, pantaloni scuri impeccabilmente stirati, capelli color argento e due occhi nocciola incredibilmente simili ai suoi.

 

“Papà?!” sente la sua voce chiamarlo, seppure le sue labbra, per lo shock, siano rimaste completamente immobili.

 

E lo vede sorridere, di quel sorriso ampio e senza filtri che troppe poche volte gli aveva visto sul volto. Ma non rivolto verso di lei, lì stesa ai suoi piedi sul pavimento: suo padre continua a guardare dritto davanti a sé, come incantato, non sembrando nemmeno notarla.

 

Volta il capo, seguendo la direzione di quello sguardo quasi ipnotizzato, ed incrocia altri due occhi nocciola, nei quali può, letteralmente, specchiarsi.

 

“Non è possibile...” sussurra, portandosi la mano al viso, mentre la figura davanti a lei continua a sorridere, non sembrando né vederla né sentirla.

 

Il vestito bianco premaman, a coprire le forme ancora morbide, dopo il parto recente. Un caschetto corto, liscio, tanto quanto la pelle del viso, che appare completamente disteso. Gli occhi che brillano quasi più del sorriso. Quel sorriso di chi si sente la persona più fortunata del mondo, mentre osserva con amore immenso il frugoletto di poche settimane che culla tra le braccia e che la fissa di rimando, senza realmente vederla, con due enormi occhioni azzurri.

 

“Camilla!”



 

Nota dell'autrice: Per chi fosse arrivato vivo a fine capitolo, innanzitutto grazie mille per aver letto i miei deliri fino a qui :). Come già anticipato nei dialoghi tra Andreina e Camilla, questa storia è la mia versione in chiave PAP di Canto di Natale di Charles Dickens, con le dovutissime proporzioni ;) (che se no il signor Dickens si rivolta nella tomba, altro che i fantasmi!). Nel prossimo capitolo avremo numerose scene di natali passati e potremo tornare insieme alle magiche atmosfere delle prime serie di PAP. Se non vi ho già troppo annoiato con questo primo capitolo e se vi andrà, vi do appuntamento tra pochi giorni al prossimo :).

   
 
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