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Autore: Mary P_Stark    02/01/2017    3 recensioni
Per chi ha letto "Honey" e desidera rimanere immerso nel mondo di Hannah, Nick e famiglia, ecco una serie di OS dedicate ai vari personaggi della storia. Tra nuovi amori, vecchi amici e piacevoli incontri, ecco cos'è avvenuto prima e dopo la storia narrata in "Honey".FA PARTE DELLA SERIE "HONEY'S WORLD".
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Honey's World'
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Quel pizzico d’amore in più – Parte 2 –
Phillip e Brandon (Agosto 2028 – Aprile 2032)
 
 
 
 
Sacramento – California
 

 
Rivedere le sue adorabili e premurose cognate, era sempre un piacere. In particolare stavolta, visto il lieto evento che stava approssimandosi.

Anche grazie alla presenza di Nick e Hannah, la riunione di famiglia si era svolta nel migliore dei modi.

In ogni caso, Bran aveva preferito non fare menzione di ciò che Phillip gli aveva detto via Skype, poiché desiderava parlarne con lui in prima persona.

Lasciarlo in pasto alle sorelle gli sembrava una punizione davvero esagerata, anche se per un attimo ci aveva pensato.

Bran era più che certo che, di fronte alla bomba che gli era piombata in testa di colpo, sarebbero esplose come tante piccole atomiche, cercando poi di fare la pelle al fratello.

No, meglio evitare spargimenti di sangue, prima di un matrimonio.

Sarebbe stato assurdo portare all’altare Nicolette, mentre Rochelle, Colinne e Prudence erano ammanettate ad altrettanti agenti.

Il solo pensiero lo portò a sorridere e, quando si fermò nei pressi di un campo da calcio ormai dismesso, lanciò un’occhiata all’orizzonte e sospirò.

Il cielo era del color del sangue e dell’oro, e il sole aveva ormai lambito le acque dell’oceano calmo, tingendole di mille colori diversi.

L’aria era immota, profumata di ginestra selvatica e di resina e, in quella viuzza semideserta e tranquilla, nessuno turbava la sua passeggiata solitaria.

Aveva lasciato fratello e cognata all’albergo, con la promessa di rientrare in tempo per la cena e, con calma, si era messo a camminare a caso lungo le vie.

Non aveva fatto caso alla distanza percorsa, né tanto meno a ciò che lo circondava, immerso com’era nei ricordi di lui e Phillip, di come si fosse arrivati a quell’impasse.

Lo aveva amato subito, al primo sguardo, pur se all’epoca aveva avuto molti problemi ad accettarlo, un po’ a causa di sua madre, un po’ per la semplice paura.

Sistemandosi su una vetusta panchina di cemento, ripensò a quel dialogo a due avuto in un luogo molto simile, tanti, tantissimi anni addietro.

Phillip aveva centrato nel segno senza neppure conoscerlo, solo guardandolo negli occhi e Bran, quando li aveva veramente affondati nei suoi, era stato perduto per sempre.

Quelle dense, calde profondità color cioccolato lo avevano fatto sentire apprezzato, capito, e lui aveva cominciato a sperare.

Sperare in un futuro, in una vita che non fosse solo una pantomima, in una possibilità d’amore che, fino a quel momento, aveva bramato ma mai realmente creduto di poter avere.

Il trillo del cellulare lo fece sobbalzare di sorpresa e, quando accettò la chiamata, mormorò: “Bonsoir, Jolie. Comment ça va?”

Bonsoir, mon p’tit bijoux. Scusa se ho potuto risponderti soltanto ora, ma hanno liberato Seb dal dentista solo adesso” sospirò contrita la sua dolcissima amica, mentre in sottofondo si udivano i commenti strambi del figlio undicenne. “Non so cosa gli danno, come anestesia, ma sembrano strafatti, quando escono…”

Brandon rise debolmente di quel commento e Jolie, tornando seria, asserì: “Dimmi tutto, tesoro. Cosa succede. Dal tuo messaggio di casella vocale, sembravi piuttosto alterato. Devo venire lì a picchiare Phill?”

“Venire qui da Toronto? No, cara, non è davvero necessario, ma avevo bisogno di sentire la tua voce, tutto qui.”

“Beh, mi hai a tua disposizione per i prossimi… quaranta minuti” disse lei, come se stesse controllando l’orologio.

In sottofondo, si udì un cinquanta!, urlato chiaramente da una voce maschile e Brandon, nel sorridere, disse: “Ringrazia Leroy da parte mia.”

“Sai che ti vuole bene, e capisce quando è il momento di cedere la sua amata mogliettina per una sana chiacchierata” ironizzò Jolie. “Ebbene?”

“Phill ha avviato le pratiche per un’adozione… senza dirmelo” ammise senza peli sulla lingua, facendo sospirare di sorpresa l’amica.

Merde,… questa sì che è davvero grossa. E ti ha detto perché si sarebbe spinto a tanto, e senza fartene parola?”

“Onestamente, gli ho chiuso il telefono in faccia e non ho più risposto alle sue chiamate. Ero un tantino alterato” asserì suo malgrado Bran, sapendo di non essersi comportato in maniera molto matura. D’altra parte, però, non aveva desiderato urlargli addosso la sua rabbia.

“Oh, beh, poco male. Io lo avrei scannato, quindi…” chiosò l’amica con la sua solita flemma.

Scoppiando in una risatina più rilassata, Bran replicò: “Credo che le sue sorelle potrebbero darti una mano.”

“Oh… non gliel’hai detto. Solo per questo, dovrebbe idolatrarti a vita. Conosco quel trio di valchirie, e so che di fronte a una cosa simile darebbero di matto” ironizzò Jolie, scoppiando in una dolce risatina.

Brandon si appoggiò completamente allo schienale della panchina, ora più tranquillo, e mormorò: “Mi fa sempre bene parlare con te, mia Kalheesi.”

Con tono vagamente altezzoso, lei replicò: “Ne sono consapevole, caro. La tua regina dei draghi è sempre disponibile per renderti felice. Dimmelo, se vuoi che sguinzagli Drogon per te1.”

“Penso che, per stavolta, il tuo drago preferito potrà rimanere al caldo. Non desidero che divori Phill, dopotutto” sorrise Bran.

Tornando seria, Jolie mormorò: “Lo so, tesoro, e credi in questo. Phill è così innamorato di te, che neppure la fine del mondo potrebbe fargli cambiare idea, perciò, se si è spinto a tanto, quello che provava per quel bambino doveva essere davvero potente.”

“Già. Penso tu abbia ragione.”

“Sarò qui, se avrai ancora bisogno di parlare… o di un abbraccio. Prendo il primo volo e ti raggiungo, ovunque tu ti trovi” gli promise Jolie.

Ma Brandon non afferrò le sue ultime parole perché, nel suo campo visivo, era comparso qualcuno che lo aveva del tutto distratto. Rapito.

“Ti chiamerò io, cara. A presto” sussurrò Brandon, chiudendo la chiamata prima di levarsi in piedi. “Phill…”

Lui accennò un mezzo sorriso, si guardò intorno e disse: “Ci siamo parlati davvero in un luogo molto simile, la prima volta. Ricordi?”

Brandon assentì e Phill, avvicinandosi, mise piede sull’erba secca del campo in disuso, calpestandola con le sue scarpe da ginnastica.

Appariva stanco, con pesanti borse sotto gli occhi, e un’ansia sempre crescente brillava in quello sguardo di cioccolato che tanto amava.

Anche Bran si guardò intorno, ammettendo tra sé la somiglianza con quel luogo di tanti anni prima.

Era lieto che lo avesse notato anche Phillip, pur se questo non bastava a chetarne il disagio.

“Era Jolie?” domandò allora l’uomo, e Brandon assentì.

“Come mi hai trovato?” gli domandò a quel punto Bran, infilando il cellulare nel taschino dei pantaloni.

“GPS” ammise Phillip. “Ho seguito le coordinate del tuo cellulare.”

“Come?” esalò Bran, vedendolo sorridere contrito.

“Dom ha giocherellato con il mio smartphone, un po’ di tempo fa, e mi aveva inserito anche questa applicazione. In teoria, doveva servire per trovare in tempo reale i miei capicantiere ma, vista la situazione…”

“Oh. Sei passato in albergo?”

“Già. Nick mi ha detto che eri uscito per una passeggiata, così sono venuto a cercati. E’ stato anche troppo gentile che non mi ha staccato la testa a morsi” ammise Phillip, sedendosi sulla panchina, accanto a lui.

Bran emise un risolino, asserendo: “C’era Hannah. Ti ha salvato questo.”

“Credo sia vero il contrario. Lei non mi ha rivolto la parola” replicò Phill, sorprendendo il compagno. “Ce l’ha a morte con me perché ti ho fatto soffrire.”

“Oh… questa non me l’aspettavo. Pensavo che sarebbe stata dalla tua parte.”

“Non stavolta” sospirò Phillip, passandosi una mano tra i corti capelli. “Stavolta, ho fatto il passo più lungo della gamba, per lei, e ora mi ritiene un traditore.”

“E lo sei?” gli ritorse gentilmente contro Brandon, sorridendogli mesto.

Phillip, per contro, estrasse il suo cellulare, aprì la cartella delle immagini e gli mostrò Eric.

Bran ebbe un fremito, nel vederlo, e Phill assentì.

“Sei tu. O meglio, so che non sei tu, visto che sei un adulto e tutto il resto… ma sei tu. I tuoi occhi, i capelli biondi, quel visino tondo e un po’ triste. Ammettilo. Potrebbe essere tuo figlio, o il tuo clone, se è per questo, tanto somiglia al bambino che vidi nel tuo album d’infanzia” asserì con forza Phillip, mostrandogli altre immagini.

“Dio onnipotente…” ansò Brandon, osservando con avidità quelle fotografie, che sembravano riprese nel suo passato, in un tempo in cui gli orrori della vita non l’avevano ancora sfiorato.

Per questo, doveva essere lui. Per questo, mi sono spinto senza prima dirtelo. Per questo, il cuore mi si è aperto solo per Eric. Deve essere lui, o nessun altro” aggiunse con veemenza Phillip, sfiorandogli un braccio. “Capisci perché ho agito d’impulso?”

“Parlami di lui” mormorò senza forze Brandon, continuando a scrutare il visore dello smartphone di Phill.

“E’ orfano di entrambi i genitori, e non ha parenti in vita che possano prenderlo con sé. I suoi sono stati vittime della mafia russa… affari finiti male, per farla breve, ma i sicari hanno lasciato lui in vita, perché troppo piccolo per sapere qualcosa” gli spiegò sommariamente Phillip. “Ha quattro anni appena compiuti, e ora si trova nell’orfanotrofio comunale di Mosca.”

“Come… come hai saputo di lui?” volle sapere Brandon, guardando finalmente in viso il suo compagno.

“Alcuni colleghi della nostra consociata russa, conoscevano la famiglia. Mi raccontarono della vicenda, mostrandomi poi una loro foto. Giuro che, per poco, non svenni lì sul momento” gli raccontò Phill, sospirando.

Brandon emise un tremulo sospiro, assentendo.

“Posso capirlo. Sarei ammattito io, di fronte a una simile somiglianza” mormorò Bran, passandosi le mani sul viso. “Dio… sembra tutto così assurdo, ma… sì, per la somiglianza che ha con me, potrebbero aver davvero prelevato il mio DNA per farne un clone. Roba davvero assurda.”

“Hai per caso fatto delle donazioni alla Banca del Seme?” buttò lì Phillip, vedendolo scuotere il capo.

“Affatto. Questo è semplicemente… il caso.”

“O il destino” aggiunse Phillip, sorridendogli timidamente. “Quante possibilità c’erano che io venissi a conoscenza di Eric?”

“Nulle” ammise Brandon.

Il sorriso di Phill, allora, si fece più sicuro e aggiunse: “So di avere sbagliato a non dirtelo ma, quando l’ho visto, ho avvertito le stesse sensazioni che avvertii quando vidi te per la prima volta. Amore a prima vista, Bran. Ho amato quel bimbo a prima vista, e sapevo che avrebbe dovuto diventare parte della nostra vita.”

Brandon assentì lentamente, mormorando: “Come quella volta, eh?”

“Sì, come quella volta. Per me, per te e per lui. Sarà difficile, perché siamo una coppia americana e omosessuale, un’accoppiata non certo vincente, in Russia,… ma ti va di provare?” sussurrò Phillip, prendendolo per mano.

Bran, allora, si volse verso di lui, annuì e lo attirò a sé per un bacio.

Fu delicato, privo del fuoco divorante del loro primo bacio, ma rassicurante e caldo, figlio della loro ormai ventennale storia d’amore.

Sì, Phill lo aveva ferito, ma in buona fede, ora capiva il perché.

E, proprio perché lo capiva, avrebbe lottato al suo fianco, per quel miracolo più unico che raro che era capitato sulla loro strada.

Non importava quanto tempo avrebbero aspettato per averlo. Ci sarebbero riusciti.

Se il Fato lo aveva messo sul loro cammino, loro non lo avrebbero più lasciato andare.

 
***
 
Mosca – Aprile 2032
 
La parola ‘logorroico’ aveva assunto tutto un altro aspetto, in quegli interminabili quasi quattro anni.

Lottare contro la legislazione russa non era stato facile, e i viaggi a Mosca si erano sprecati, in quell’estenuante, lunghissimo periodo di tempo.

Il loro avvocato, però, non solo aveva perorato la causa, ma aveva portato prove fisiche ai giurati perché prendessero in causa non solo la legge, ma anche il cuore.

La prima volta che Brandon e Phillip si erano recati assieme all’orfanotrofio, l’incontro tra Erin e Bran era stato filmato dall’avvocato per essere messo agli atti.

Anche la donna era rimasta stupita dall’incredibile somiglianza tra i due, nonostante l’uno fosse un bimbo, e l’altro un adulto.
Inoltre, il bambino aveva subito fatto amicizia con lui, e allontanarli era stata una sofferenza quasi fisica.

Da quel giorno, le visite si erano succedute con scrupolosa regolarità – sempre sotto la supervisione dei servizi sociali – e, nel frattempo, l’avvocato aveva lavorato senza sosta.

V’erano stati rimpalli di responsabilità, delle battute d’arresto, persino dei passi indietro e il rischio concreto di perderlo ma, ogni volta, l’avvocato non aveva ceduto.

Durante una lunga cena di briefing per preparare l’ennesima sessione in tribunale, Phillip le aveva chiesto come mai non avesse mollato la presa sul caso.

Era successo sei mesi prima del loro successo ormai insperato.

Natasha, allora, aveva appoggiato sul tavolo il suo palmare, gli aveva sorriso e si era limitata a dire: “Le immagini parlano chiaro, no?”

Ciò detto, aveva fatto partire uno dei tanti video che ritraevano Eric in loro compagnia, e la donna aveva aggiunto con serietà e forza: “Un bambino merita due genitori così, e io farò il tutto e per tutto per ottenere questo risultato, a costo di lottare anche vent’anni.”

Non era servito giungere a tanto e, quando la sentenza finale era giunta, anche Natasha si era ritrovata con le lacrime agli occhi per la gioia.

Aveva abbracciato sia Phillip che Brandon con calore e, non appena il giudice aveva fatto consegnare loro la documentazione, aveva detto loro: “Non avrei potuto essere più felice di così. Quel bambino avrà una vera famiglia, ora, grazie a voi.”

“E a te” aveva replicato Brandon.

Ora, dinanzi alle porte dell’orfanotrofio, Phillip, Brandon e Natasha sembravano ancora increduli, pur se determinati a portare a termine la loro missione.

Quando entrarono, la direttrice si avvicinò loro con la speranza negli occhi – anche la donna aveva perorato la loro causa – e Natasha, annuendo, disse soltanto: “Da.

“Grazie al cielo!” sospirò di sollievo Elena Antonova, stringendo poi le mani a entrambi gli uomini. “Eric ne sarà felicissimo. E’ di là che gioca con i suoi amichetti. Venite.”

Phill e Bran assentirono all’unisono e Natasha, unendosi a loro, li seguì lungo lo stretto corridoio fino a raggiungere l’ampio salone dei giochi.

Lì, Eric levò il capo per salutarli con un ampio gesto della mano e, quando la direttrice lo chiamò, lui si avvicinò obbediente, fissandoli con espressione seria e curiosa.

Elena lo abbracciò con calore e mormorò: “Mi mancherai moltissimo, dorogoy, caro… ma so che andrai a star bene…”

Eric si irrigidì un attimo, a quelle parole – Elena aveva preso ormai da tempo a parlargli in inglese perché si abituasse, perciò aveva paura di aver capito male – e mormorò: “Vado… vado via?”

La direttrice si scostò da lui, annuendo felice ed Eric, nel levare finalmente lo sguardo verso coloro che aveva ormai da tempo cominciato a considerare come i suoi due papà, esalò: “Vengo… con voi?”

“Sì, tesoro. Sei nostro, ora” assentì Brandon, inginocchiandosi a terra per abbracciarlo con forza.

Eric scoppiò in lacrime di gioia, intervallando frasi in russo a frasi in inglese, mentre Natasha si tratteneva dal piangere e Phillip li osservava con amore.

Quelle due teste bionde, così simili e vicine l’una all’altra, stavano quasi per spezzargli in due il cuore per la gioia.

Quando, infine, si separarono, Brandon si rialzò in piedi tenendo Eric per mano e, nell’osservare Phill, disse: “Penso che si possa partire fin da oggi. I suoi documenti sono validi per l’espatrio, no?”

“Temi possa succedere qualcosa?” ironizzò Phillip.

Bran scosse il capo, limitandosi a dire: “No, voglio solo cominciare questa nostra nuova vita a tre. Tu che ne dici, Eric? Vuoi andare subito?”

Eric, ancora una volta, scrutò dubbioso la direttrice che, per anni, le aveva fatto anche da mamma e, nel vederla annuire con gioia, asserì: “Andiamo subito, papà.”

Brandon si illuminò, al suono di quella parola – Eric l’aveva usata altre volte, nel corso degli anni, ma stavolta aveva un peso del tutto diverso – e assentì, prendendo per mano anche Phillip.

Quest’ultimo, nell’osservare le due donne artefici di quel successo, disse loro: “Senza di voi, tutto questo non avrebbe potuto diventare realtà. Sarete per sempre parte della nostra vita.”

Elena carezzò il capo biondo di Eric, replicando: “Quando puoi salvare uno di loro da un futuro incerto, non esiste gioia più grande. E so che voi lo renderete felice.”

“Lo stesso vale per me” assentì Natasha. “Nessun altro avrebbe potuto avere Eric. Il destino stesso ha scelto per voi.”

Fu con quelle parole che la coppia, assieme al bambino, si accomiatarono dall’orfanotrofio e da Mosca.

Utilizzando il jet privato della V.B. 3000, rientrarono in patria dopo diversi scali per il rifornimento e, quando finalmente videro la sagoma del LAX all’orizzonte, Brandon disse: “Lascio l’azienda.”

“Come?” esalò Phillip, sorpreso.

“Avevo già iniziato a delegare ad altri da tempo, in effetti. Calvin sarà eccezionale, nell’occuparsi delle pubbliche relazioni dell’azienda, e saprà fare un lavoro di prim’ordine, al fianco di Nick, e mio fratello è d’accordo con me” gli spiegò Brandon, sereno e pacifico.

“Ne sei sicuro? Ti è sempre piaciuto occupartene” replicò dubbioso Phillip.

Bran gli sorrise, ammiccò poi a Eric e infine disse: “Mi piacerà doppiamente occuparmi di Eric mentre tu sei in giro per cantieri. Penserai tu a portare a casa la pagnotta.”

Phill scoppiò a ridere – come se avessero problemi di liquidità! – e, nel carezzare i capelli di Eric, gli domandò: “A quanto pare, papà Bran ti starà sempre alle calcagna. Sei pronto a sorbirti le sue attenzioni?”

Eric parve soddisfatto della cosa, perché assentì con vigore e Bran, nel chiudere gli occhi per un istante, mormorò: “Sarà più facile che coi gemelli. La fase dei pannolini è già andata da tempo.”

Tutti e tre scoppiarono a ridere, a quel commento – Eric, ormai, aveva otto anni – e, quando finalmente l’aereo toccò terra, scesero con passo leggero per raggiungere il lounge del LAX.

Lì, l’intera famiglia Van Berger li stava aspettando con striscioni di benvenuto e regali ed Eric, nel vederli tutti assieme, si strinse un poco a Brandon, mormorando: “Sono… tutti lì per noi?”

“E’ la nostra famiglia, Eric. La tua famiglia.”

“E mi vorranno bene? Come voi?” domandò dubbioso il bambino, continuando a camminare stando al fianco dei suoi due papà.

Phillip rise divertito, e chiosò: “Ti stancherai del loro affetto, credimi. I gemelli non vedevano l’ora di avere un altro cuginetto, per non parlare degli zii e dei nonni.”

“Sono tanti” sussurrò il bambino, prima di notare un bimbo più o meno alto come lui.

Sorridendo timido, chiese: “Lui chi è?”

“Tuo cugino Keath. E’ un pilota di kart” gli spiegò Brandon, vedendolo sgranare gli occhi per la sorpresa.

Come sentendosi interpellato, Keath lasciò il fianco dei genitori per correre loro incontro e, quando si ritrovò di fronte a un timido Eric, allungò la mano e disse: “Ciao, Eric. Io sono tuo cugino Keath. Benvenuto in questa gabbia di matti.”

Phillip e Bradon risero sommessamente, a quel commento ed Eric, sorridendo più sicuro, strinse quella mano, replicando: “Piacere, Keath. Ma… sono matti davvero?”

Keath rise di gusto, gli avvolse un braccio attorno alle spalle e lo condusse dalla loro famiglia allargata, presentandolo a ognuno di loro con piglio sicuro e vagamente protettivo.

Phill e Bran lo lasciarono fare. Tra bambini, ci si intendeva alla grande e, se Keath si era voluto fare personale carico di essere il suo protettore, meglio ancora.

Sarebbero diventati grandi amici.
 
***

Il capo biondo di Eric sulle cosce e la mano affondata nei suoi capelli sottili, Hannah sorrise amorevole nel guardarlo dormire dopo quell’intensa giornata.

Alla fine, era crollato addormentato sul divano del salone della villa di Phill e Bran, e ora Hannah se lo stava coccolando con amorevole attenzione.

Era stata una giornata davvero assurda, fatta di mille presentazioni, scoperte susseguenti, risate e lacrime e, alla fine, tutto si era normalizzato, come se Eric fosse sempre stato nelle loro vite.

“Avevo visto le foto mille volte ma, quando è comparso assieme a te, Bran, giuro che mi sono quasi cedute le gambe” ammise Nick, osservando moglie e nipote con occhi leggermente sgranati.

“Fa questo effetto anche a me, ogni volta che lo guardo. E’ anche per questo, che commisi quella follia, quattro anni addietro” asserì Phillip, sorridendo al cognato.

“Mai follia fu foriera di risultati tanto buoni” dichiarò Brandon. “Non potrei amare di più nessun altro bambino. Lui è nostro.

“E voi siete suoi. E’ chiaro che il bambino vi vuole un mondo di bene, e non potevo sperare in niente di meglio, per voi” sorrise Hannah. “Però, ogni tanto, potrò coccolarlo come se fosse mio, vero?”

I tre uomini risero sommessamente, e i due papà di Eric assentirono.

Per la loro sorellona, avrebbero fatto questo e altro. E l’amore non poteva mai essere un danno, se dato con così tanta generosità.




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1 Drogon: Parlo di uno dei draghi di Daenerys Targaryen, signora dei draghi de Il trono di Spade.
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Spero che questa breve storia sull'entrata di scena di Eric vi sia piaciuta. Ho preferito evitarvi l'iter burocratico, saltando direttamente all'arrivo di Eric a L.A. e dalla famiglia Van Berger.
Avviso per tutte/i: la prossima storia che posterò riguarderà i figli di Christofer e Kathleen, già comparsi in "Una pennellata di felicita'"
Spero di farvi cosa gradita... voi tenete d'occhio la mia bacheca. La nuova storia potrebbe comparire da un giorno all'altro. 
A presto!
  
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