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Autore: Ziseos    04/01/2017    1 recensioni
Dopo un'incidente avvenuto anni prima, la giovane Nami decide di inseguire un vecchio sogno nella moderna metropoli di Sabaody; per farlo, si ritroverà a convivere con cinque perfetti sconosciuti,ognuno di loro, come lei, intenzionato a seguire il proprio sogno.
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro, Sanji, Trafalgar Law, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo
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Capitolo 4

Pain




“Che cosa vuoi da me?"
Le parole uscirono di getto dalla sua bocca non appena la persona dall'altro capo del lumacofono rispose alla chiamata.
Secondi di silenzio seguirono quella domanda tenendo Nami con il fiato sospeso nell'attesa di una risposta, o anche solo di un segno che le permettesse di capire se il suo interlocutore l'avesse sentita o meno.
Il suo pugno chiuso tremava evidenziando ancora di più il palese nervosismo della ragazza, che ad ogni secondo passato senza ottenere una risposta cominciava a sentirsi sempre più confusa e sull'orlo di una crisi di nervi.
Dopo attimi di tempo che erano parsi più come ore interminabili, la stessa voce che aveva risposto inizialmente alla chiamata tornò a farsi sentire, preceduta da una risata gutturale che fece scorrere un brivido lungo la schiena di Nami.
"Quanto tempo... credevo quasi che mi avessi dimenticato."- disse la voce con calma.
Tuttavia Nami colse il sottile velo di minaccia celato dietro quelle parole.
'Chi dimentica è complice.' - disse fra sè.
"Non ho  dimenticato. Ora dimmi solo cosa diavolo vuoi."- rispose lei con tono secco, cercando di tenere sotto controllo la tensione crescente.
Un'altra risata sprezzante giunse alle sue orecchie.
"Con calma, con calma ... dopo tutti questi anni non ti va neppure di chiacchierare ? Non dirmi che non ti sono mancato nemmeno un pò."
"Stai zitto. Non sono qui per fare conversazione, voglio solo una risposta e basta."- la voce di Nami rischiò di tradire il suo stato d'animo.
Dall'altro lato del lumacofono si sentì uno sospiro rassegnato.
"Niente convenevoli dunque. Me lo sarei dovuto aspettare."- il tono derisorio iniziale aveva lasciato posto ad uno più duro.
Nami trasalì.
“Hai ricevuto il messaggio?”- chiese lui diretto.
“Si. Dimmi solo che cosa devo fare, dopodiché…”- Nami socchiuse gli occhi, fermandosi un’attimo prima di riprendere – “…tu sparirai per l’ultima volta. Farò quello che vuoi , ma solo a questa condizione. Chiaro?”
“Sparire dici? Hm … non è nel mio stile darmi alla fuga dopo aver concluso un lavoro. Credo piuttosto che dopo aver portato a termine il tuo compito, sarai TU quella che dovrà sparire.”
La giovane ebbe un tuffo al cuore.
“Sparire io? Perché diavolo dovrei farlo?!”- rispose lei alzando il tono della voce- “Non ho intenzione di scappare di nuovo per causa tua.”
Dall’altra parte l’uomo sogghignò crudelmente.
“Dimmi Nami …”- disse calmo rigirando tra le mani una vecchia pistola, facendola tintinnare contro i numerosi anelli che portava alle dita. – “Ti ricordi di dieci anni fa, vero?”
A quelle parole Nami si sentì trafitta.
Una morsa le strinse lo stomaco ed un senso di nausea l’avvolse di colpo, lasciandola senza fiato.
Avrebbe voluto vomitargli addosso tutto quello che pensava su di lui e di come si sentisse ancora dopo tanto tempo a causa sua, ma al ricordo di dieci anni prima, tutte le parole pronte ad uscire come un torrente in piena, le morirono in gola.
Era frustrante, si dilaniava interiormente, ma non poteva reagire in nessun modo, essendo completamente preda delle sue emozioni.
“Oh andiamo, non credo tu abbia bisogno che ti racconti di quando tua … “- proseguì lui in tono derisorio.
“STAI ZITTO. LASCIAMI IN PACE.”- urlò lei nel lumacofono stringendo il guscio con tutta la sua forza.- “Dimmi cosa vuoi, ma non ti azzardare a toccarli di nuovo. Nessuno di loro vive più nella tua ombra ormai, e così dovrà continuare ad essere. Queste sono le mie condizioni. Non cambierò idea.”
“Ora ti riconosco! Questa è la Nami che ricordo.”- rispose lui compiaciuto.-“ Condizioni dici, eh? Va bene, potrei anche accettarle …”
“Tu DEVI accettarle. Se vuoi il lavoro fatto devi accettare e basta. Non ci sono altre opzioni.”
“… ma  … tutto dipende da te. Porta a termine il tuo compito e io lascerò in pace tutti loro.”
‘Bene.’- pensò lei sentendosi appena sollevata.
Se lui avesse fatto qualcosa a lei, non le  importava.
Ma non agli altri.
Quell’uomo conosceva bene a cosa tenesse lei davvero, dove e come far leva sui  suoi sentimenti, per questo motivo era pericoloso.
“Cinquecento milioni di berry. Un’anno  di tempo.”- disse infine lui, accarezzando pigramente la superficie liscia e consumata della pistola.
“Cosa…?”- chiese Nami incredula.
“Cinquecento. Milioni. Di berry. Tra un’anno esatto.”- scandì l’uomo agitando in aria l’arma come fosse una bacchetta per dirigere un’orchestra.
“E dove diavolo li trovo tutti questi soldi ?! Non stiamo parlando di poche centinaia, è mezzo miliardo di berry! Neppure il governo ha quasi tutti quei soldi a momenti!”- sbraitò lei paonazza dalla rabbia.
“Non preoccuparti, non dovrai prenderli solo al Governo. Ci sono metodi anche più illegali per farlo, ma questo rientra già nel tuo campo mi pare,e sicuramente ne sai più di me in materia. Vero, Gatta Ladra?”- rispose lui accentuando di proposito le ultime parole.
‘ Sei un maledetto..!’
“Naturalmente, nel caso tu impiegassi più tempo …”- premette il grilletto della pistola e uno sparo rimbombò nella stanza, seguito da un gemito.
Il rumore dello sparo si propagò in tutta la soffitta dove si trovava Nami, continuando a spostarsi come un’eco per tutta la sua lunghezza.
‘No…’
“Una vita per un giorno. Saluti da casa.”- concluse lui abbassando la canna della pistola ancora fumante e riagganciando la  chiamata.
<>
 
I cinque minuti più lunghi della sua vita.
Era rimasta a fissare in silenzio il lumacofono ancora tra le mani per cinque minuti senza nemmeno accorgersene.
Aveva la bocca asciutta e lo sguardo perso nonostante stesse fissando costantemente lo stesso oggetto già da un po’.
Le sembrava di essersi dimenticata ogni movimento, le braccia non si muovevano, le gambe parevano essersi pietrificate al suolo.
‘B…’
Dalle labbra secche uscì solo una lettera.
Dai suoi occhi, una lacrima solitaria si fece strada scorrendo sopra ad una guancia fredda.
“Bast…”
La voce le tornò lentamente.
Sporadici e silenziosi singhiozzi la sorpresero non appena le sue mani tremanti lasciarono cadere a terra il lumacofono.
“Sei un bastardo.” -disse piano, senza forza nella voce flebile.
Si accasciò a terra ancora visibilmente turbata.
“Un maledetto bastardo.”- mormorò con voce spezzata.
Era stata una sciocca ad illudersi che i fantasmi del passato non sarebbero mai tornati a bussare alla sua vita, che sarebbe andato tutto bene, pensando di essere finalmente libera.
‘Una stupida … sono stata una stupida.’- strinse i pugni, convogliando in quella debole stretta tutto il senso di dolore e rabbia che  provava in quel momento
Che senso aveva tutta quella situazione?
Le era chiaro che era stato lui a fare in modo che lei potesse trovare un posto dove stare a Sabaody, illudendola di avere  una possibilità per ricominciare da zero quando in realtà, era stato un abile stratagemma per tenerla lontana da casa e costringerla a lavorare ancora una volta per lui ; ciò significava che sicuramente era in combutta con qualcun altro, forse un altro pezzo grosso, probabilmente il proprietario di quella casa.
Tuttavia non aveva la certezza che quelle fossero ipotesi fondate, anzi,  solo vaghe supposizioni.
G.T.’
Nonostante continuasse a pensarci, non ricordava minimamente di aver mai sentito quelle iniziali prima d’ora e soprattutto non capiva che collegamento potesse mai avere con quel bastardo.
Asciugandosi le guance bagnate di lacrime con il dorso della mano, tirò fuori il contratto che le aveva mostrato Vivi il giorno prima, fissando lo sguardo su quella firma al fondo del foglio.
‘G.T. … chi sei?”
 
Il sangue le scendeva lentamente lungo il braccio, impregnando la sottile camicia bianca che la copriva la ragazza, la quale era seduta a terra con le spalle contro una delle pareti della piccola stanzetta.
Un debole gemito sfuggì dalle labbra di Nojiko quando le sue dita sfiorarono il punto nella spalla dove il proiettile si era conficcato poco prima.
“Hai quasi lo stesso caratterino di tua sorella.”- commentò l’uomo seduto al tavolo dinanzi a lei, con i pesanti scarponi appoggiati sul vecchio mobile di legno.
“…”
“Non sei di molte parole oggi vedo. Beh, anche se provassi a parlare penso che ti  verrebbe difficile con quel foro che ti ritrovi. Fossi in te cercherei di fare qualcosa…”
“Sto benissimo.”- rispose lei socchiudendo gli occhi e cercando di rimettersi in piedi, gemendo debolmente ad ogni movimento.
“Non posso assicurarti per quanto.”- lui si limitò ad alzare le spalle rigirando tra le mani la pistola appena usata per spararle contro.- “Sei stata piuttosto coraggiosa, o meglio dire, sfrontata a metterti fra me e il vecchio.”
“Genzo ha già avuto abbastanza dai tuoi amici anni fa. Anche gli altri. Se vuoi prendertela con me sei libero di farlo.”
“Solo se ci trovo gusto nel farlo. E la tua sorellina farà bene a ricordarlo.”
 
Cinquecento milioni.
Nami passeggiava nervosamente per le vie del quartiere residenziale di Sabaody, mordicchiandosi distrattamente le unghie mentre rifletteva.
Una smorfia di dolore apparve di colpo sul suo volto quando notò una punta di sangue apparire sulle dita, sentendo di avere esagerato nuovamente con quel suo tic nevrotico.
Le brutte abitudini.
Ad ogni modo, nemmeno quello riusciva a distoglierla dal suo pensiero fisso, il quale le ricordava che fardello stesse portando.
‘Dove diavolo trovo tutti quei soldi? E soprattutto come?’
In tutta la sua vita non aveva mai visto così  tanti soldi quanti gliene chiedeva il suo aguzzino
Per un’attimo le balenò nella mente l’idea di scappare via da quell’arcipelago, di andare ancora più lontano dove lui non potesse nemmeno rintracciarla, o di far sparire per sempre le sue tracce, per liberarsi ancora una volta dalla sua ombra.
‘E se non mantenesse la promessa?’
No, l’avrebbe mantenuta.
Non era certo uno stupido, non avrebbe azzardato un passo falso.
Eppure nella sua testa risuonava ancora quel rumore secco di uno sparo, seguito da un rantolo di dolore ed un tonfo sordo.
Forse lo sparo era stato solo una strategia per confonderla, metterla in allerta, un’avvertimento di quanto considerasse questione di vita o morte la riuscita di quella missione.
‘Un’anno eh?’
C’era tempo, agli occhi di altri probabilmente sarebbe sembrato anche tanto, ma questo non impediva a Nami di sentire un profondo senso di angoscia.
Tirò fuori dalla borsa che portava a tracollo uno specchietto acquistato poco prima da un vecchio venditore ambulante, con il quale si era intrattenuta per qualche minuto solo per il gusto e l’abitudine di contrattare sul prezzo. E ovviamente, l’aveva spuntata anche quella volta.
Aprì il piccolo specchio portandoselo all’altezza degli occhi.
Rossi.
Trucco sbavato.
‘Oh grandioso.’- pensò sbuffando e richiudendo con un colpo lo specchietto.
Se fosse tornata a casa in quelle condizioni sicuramente l’avrebbero tempestata di domande, e in quel momento, era l’unica cosa che sperava con tutta se stessa di evitare.
Anche se effettivamente, prendere a pugni quell’idiota di Zoro sarebbe stato utile a sollevarle il morale.
Abbozzò un sorriso a quella prospettiva.
‘Non sarebbe una cattiva idea in fondo.’
Ma un’altra idea continuava a tornarle in mente, come se già non avesse abbastanza idee per la testa.
‘E se gli altri sapessero già tutto? Erano già stati avvisati del mio arrivo, perciò è probabile che sappiano qualcosa. Eppure … faccio fatica a credere che una persona come Vivi possa anche solo avere cercato di ingannarmi in qualche modo.’

Un piccolo stormo di news coo e di altre creature alate sfrecciò nel cielo roseo davanti a lei.
Aveva camminato fino al confine della zona residenziale con una parte intatta della foresta di Yarukiman, la quale conduceva verso una piccola zona portuale situata li vicino, e non si era accorta di quanto tempo fosse trascorso da quando si era lasciata alle spalle il vecchio edificio.
In lontananza tra i rami delle antiche mangrovie riusciva a distinguere lo scintillio del Sole all’ora del tramonto sull’Oceano.
Tutto ciò che la circondava era libero, a modo suo.
 
Tranne lei.

 Si sentiva imprigionata in quel posto, come se delle catene invisibili delle quali non possedeva la chiave, la tenessero lì senza possibilità di fuggire.
 ‘Non posso fidarmi di nessuno qui.’- mormorò continuando a guardare quella luce.
Che senso avrebbe avuto tornare di nuovo in quella casa?
Non aveva idea di cosa fare, la preoccupazione non le permetteva di essere lucida come avrebbe voluto.
‘E se loro non sapessero nulla? Se li stessi solo mettendo in pericolo io?’
La ragione non riusciva ad aiutarla, in quel momento l’unica cosa che si era impadronita di lei era la paura, e l’istinto continuava a guidarla verso quella luce distante.
‘Libertà’.
Avrebbe voluto scappare, andarsene via; non voleva che altri dovessero soffrire per causa sua, non sarebbe successo un’altra volta.
La luce continuava a chiamarla a sé, l’infinito dell’oceano sembrava prometterle qualcosa di più bello, prometteva la libertà.
In quel momento di smarrimento, sentiva solo di dover seguire la strada che aveva davanti.
Si voltò verso la casa, notando le luci accese nell’appartamento.
‘Mi dispiace.’
Voltandosi verso la strada che conduceva verso i quartieri più affollati, si dileguò tra le ombre delle case.
 
 
  
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