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Autore: itstimetolisa    04/01/2017    0 recensioni
Holly Madden sente di star sprecando la sua vita. Nulla le va mai bene. È la tipica ragazza tutta acqua e sapone, e sfiga abbondante. Nella sua vita ci vorrebbe un miracolo.
Finché la sua pazza amica, Camille Devine, non le propone uno dei suoi riti spirituali per il chakra, e Holly viene catapultata nel corpo della bella, affascinante, intelligente Gwen Warlow.
Come potrà tornare nel suo corpo? E soprattutto, perché proprio in quel corpo?

[...]
«Intendevo che ho il rimedio per il tuo affaticamento.»
«Affatica-che?» ripeto. «Oh, lo stress psicologico ed emotivo.» Annuisco. «Bella fregatura.»
«Si, be'...» Camille mi fissa incerta per alcuni secondi. «Per alleviare lo "stress" ho un rituale veramente carino. Si esegue in due secondi.»
«Okay.»
«Non dovresti cedere così facilmente. E se dovessi bere sangue umano?»
«Con Damon Salvatore? Allora, sì!»
[...]
Genere: Comico, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ex(s)pelled;

 

 

La mattina arriva fin troppo presto, e non mi sento ancora pronta a iniziare una nuova giornata di corse frenetiche, critiche costruttive - come direbbero loro - dei vecchi australopitechi dei professori che mi ritrovo, o anche solo sentire l'irritante voce di quella stramba della mia coinquilina. Mi propone incantesimi satanici spacciandoli per rituali di rilassamento e si aspetta che ci caschi come una noce di cocco da una palma...su una bella spiaggetta delle Hawaii, con il mio mojito in una mano, mentre nell'altra stringo quella di Joseph Morgan. I suoi occhi ghiaccio mi guardano come mia madre guarda un flacone di detersivo in saldo; i suoi capelli sono arricciati dalla salsedine del mare e il costume mi permette di osservare il tatuaggio delle rondini che prendono il volo sul suo petto. 

Mugugno nei miei pensieri perversi delle sei del mattino, mentre lo immagino uscire dall'acqua con il torace bagnato e le goccioline che lentamente delineano la sua pelle. Ma improvvisamente la figura borbottante del professor Mackey mi si piazza davanti, con i suoi sopracciglioni brizzolati e la pelle a macchie rugosa. Il mio sogno romantico viene spazzato via da un uragano di urla e rimproveri. 

Apro di scatto gli occhi pur di non torturarmi psicologicamente un secondo di più con quel pensiero ripugnante. La prima cosa che mi trovo davanti sono i numeri lampeggianti della sveglia che segnano le nove del mattino. È davvero una bella sveglia, comunque, a forma di nuvoletta rosa cavalcata da un angelo intento a suonare un gong. Quasi rido a quella scena. Chiudo gli occhi ancora pensando a quanto i miei gusti però si siano rammolliti: prima dell'università non mi sarei mai permessa di comprare qualcosa di rosa e così sdolcinato e dozzinale. Una spesa superflua. 

E realizzo in quel momento, spalancando gli occhi, che in effetti io non ho mai comprato una sveglia a forma di nuvola con tanto di angelo incorporato.

Mi alzo di scatto, le coperte scivolano via dal mio corpo, mostrando una lingerie nera di pizzo, e un gran bel corpo tonificato e secco. Sgrano gli occhi, trattenendo il respiro.

Possibile che i miei innumerevoli riti sacrificali alla Dea della bellezza (indipendentemente dalla religione) abbiano portato buon frutto? Chissà in quale corpo mi ritrovo. Jennifer Lopez non credo, la tonalità della mia pelle è troppo chiara, quasi come una porcellana. Jennifer Lawrence? Magari, ma le ciocche che circondano il collo e coprono i seni sono di un castano chiarissimo, ma non biondo. Sarò qualche altra Jennifer? Chi più esiste? Dovrei fare una ricerca. Se solo avessi qui con me il mio fidato laptop. 

Perdendomi nei miei pensieri, dimenticando l'oscenità della sveglia, comincio a osservarmi le punte dei capelli. Nemmeno una doppia punta, un leggero strato di crespo, una decolorazione finita male, epico, non è uno scherzo! Nulla. Zero. Nada. Nichts. Devo avvisare Camille di lasciar perdere i suoi rituali zen e alle erbe e concentrarsi sulla religione. In effetti, sarebbe anche ora di andare a svegliarla, o faremo tardi a lezione. 

Al mio fianco sento una presenza, si muove, si attorciglia le coperte attorno al corpo, tirandole leggermente verso la sua parte. Credendo che sia la mia coinquilina che sotto l'effetto dei fumi aromatici ha sbagliato stanza – è già successo, potrebbe sempre ricapitare -, dico: «Camille, devi assolutamente vedere questo!» con una voce stridula ed emozionata, non stando più nella pelle...ed è davvero così.

Mi volto per guardarla, appoggiando la schiena alla spalliera del letto. È un letto comodo, stranamente comodo rispetto al giorno prima, o tutti gli altri giorni da quando mi sono trasferita in questo appartamento fatiscente. E scoprendo che la figura che dorme dall'altra parte del letto non è la mia amica bionda, mi rendo conto che quella non è nemmeno la mia stanza.

I mobili sono di un nero lucido, le pareti sono coperte da vernice chiara e alla mia destra, dietro la sveglia degli incubi, sbuca una lampada zebrata rosa e crema.

Sussulto sul posto, togliendomi le coperte di dosso e capitolando malamente a terra con un tonfo sordo, naturalmente a discapito del mio didietro. Scatto in piedi a una velocità mai avuta, energicamente, e noto la chioma sempre bionda della persona dall'altro lato del materasso, la pelle leggermente abbronzata, il fisico asciutto ma tonico e un piercing al labbro inferiore. Le lenzuola a malapena fasciano i fianchi, scoprendo dei boxer neri e grigi.

Mi corpo la bocca con una mano prima di emettere uno squittio poco umano. Cosa diamine ci fa quell'energumeno barra adone greco barra figo da paura nel mio letto? O meglio, cosa ci faccio io nel suo? Perché definitivamente il tappetto a peluche, strettamente rosa, sul quale sono seduta non è mio. 

Dietro di me si staglia la porta della stanza in vernice laccata bianca. La osservo con probabili occhi a cuoricino, come la mia via di fuga e salvezza. Potrebbe evitarmi situazioni scomode. La apro e sbuco in un lungo corridoio. L'aria è calda, come il parquet riscaldato; un lusso che non potevo permettermi nemmeno quando stavo a casa dei miei genitori. Attorno ci sono altre sei stanze, ma non mi ci soffermo. Appena scorgo le scale mi ci fiondo all'istante.

Ma ovviamente sperare che la fortuna fosse rimasta con il vecchio corpo è troppo; a quanto pare la mia anima è stata maledetta dal giorno in cui mia madre mi ha dato alla luce. 

Holland Madden, il Mad nel tuo cognome non sarà mai una casualità finché vivrai sotto questo cielo! Era la mia interpretazione del malocchio lanciatomi dal dio della sfiga. 

E dunque a pochi centimetri dal primo gradino, sento qualcosa venirmi addosso. È alto, più di me, e deduco sia una persona dal verso di dolore sofferto che emette. Entrambi cadiamo a terra. È la seconda volta in quanto, un minuto scarso?

Mi massaggio la parte dolorante, sbuffando e sospirando. Evito parole poco consone, anche perché la mia mente sembra non poterne concepire, ancora assopita.

«Mi dispiace tanto, Gwen» si scusa una voce. È piuttosto acuta, ma roca al punto giusto. 

Spinta dalla curiosità guardo chi ho urtato e be'...può urtarmi quante altre volte vuole. Può darmi tutti i botti di Capodanno che vuole!

Ha dei folti capelli color del miele, alcune punte ricciolute sbucano da una bandana nera e bianca. Gli occhi sono grandi e acquosi, di un nocciola chiarissimo e sembrano saperti leggere nel profondo. Ci metto alcuni secondi a recepire quelle parole. Ha l'aspetto di un Dio a tutti gli effetti. «Gwen?» ripeto, alla fine.

Il ragazzo deglutisce rumorosamente. «Ti ha dato fastidio? Credevo avessi il permesso di chiamarti così.» Comincia a torturarsi le mani, in maniera nervosa e si guarda attorno. «Gwendolyn, per favore, non dirlo di nuovo a Luke, non lo farò più.»

Sinceramente non capisco nulla del discorso del ragazzo, impegnata a non staccare i miei occhi dai suoi, ma dallo sguardo percepisco l'insicurezza e l'agitazione. «Gwendolyn?» Inarco un sopracciglio. Ha l'aria di uno che sta scappando dalla Mafia cinese e chiede aiuto a un mafioso cinese.

Il ragazzo si alza, pulendosi i pantaloni, e mi porge una mano, titubante. La accetto, ma lo sento irrigidirsi al contatto con la mia pelle. Ritira la mano frettolosamente non appena ritrovo l'equilibrio. «Signorina Warlow, allora? Insomma, non mi hai mai detto di chiamarti così, però se è quello che vuoi...»

Porti entrambe le braccia davanti al mio corpo, trovandole incredibilmente magre, ossute e cineree. Il ragazzo smette di parlare di colpo. «Cosa stai blaterando?» gli chiedo.

Il ragazzo boccheggia per alcuni secondi, stranito. Mi guarda come mio fratello guardava le foche all'acquario. Giustamente lui inizia a borbottare cose a caso e quella strana sarei io. Ho capito che ho subito un intervento plastico durante la notte e che sia andata a letto con un Adone, ma non esageriamo.

«Tutto bene?» azzarda poi il ragazzo.

Lo guardo di sottecchi e lo vedo sussultare. Quasi mi sto abituando all'effetto che ho su di lui. Grossomodo l'effetto che avrebbe un respiro di Josh Hutcherson sulla mia schiena. 

«Tutto bene?» dico retorica. «Un pazzo mi sta molestando!» sbotto, incrociando le braccia. Un gesto che mi esce naturale, ma che in realtà non ho mai sentito mio fino a quel momento.

«Oh.» Il ragazzo si indica con un dito. «Sarei io?»

Sospiro. «No, l'anima di mio zio Paul che infesta la casa. Sì, genio, tu!» Lo indico teatralmente.

«Scusami, me ne vado subito, allora. Stavo andando giù per la colazione» continua a parlottare a disagio. Si passa la mano tra i capelli almeno tre volte.

È carino, ma sembra piuttosto male per quanto riguarda il cervello.

«Gwen.» Sento dire a una voce esterna, dato che il ragazzo ha le labbra serrate e l'espressione spaurita non proviene decisamente da lui. È più roca e bassa.

Inizialmente non mi giro, ancora impegnata a squadrare il ragazzo. Passa lo sguardo con agitazione da me alla provenienza della voce.

«Gwen?» ripete questa voce. Non mi giro, persa nei miei pensieri. Non mi ha ancora detto il suo nome. Potrei indovinarlo dalla sua faccia. Non sono una sensitiva come la stramba Camille, ma chi sa che la fortuna non abbia deciso di farsi vedere, per una volta. Sicuramente l'incontro con questo bel pezzo di manz...

«Gwenny!» quasi grida la voce. Sento afferrarmi per un braccio. Mi chiedo perché tutti stiano cominciando a chiamarmi in quel modo. Mi sento come catapultata nel mondo reale e mi volto con espressione confusa. Mi trovo inchiodata da un paio di occhi ghiaccio, seducenti, un viso spigoloso e delle labbra dannatamente seducenti. Boccheggio per alcuni secondi. Ho dovuto aspettare diciannove anni perché il mio desiderio di diventare una strafiga si avverasse...e ora sono circondata da Adoni peggio dell'opera di Marino. Insomma, se persino Jane Bingum* aveva così tanti spasimanti, perché Holly Madden non può? Eccoti servita, sfiga, ho vinto io.

«Ashton, cosa le hai detto?» sibila minacciosamente il ragazzo con cui probabilmente ho passato la notte, rivolto al ragazzo con cui mi sono scontrata. Accidenti quanti ragazzi! Ci sono più piselli qui che nel minestrone di zia Dahlia.

Il riccio alza le mani come in segno di resa, sgranando gli incredibili occhi da cerbiatto davanti a due fanali. «Assolutamente niente. Per errore ci siamo scontrati, ma...»

Improvvisamente il biondo copre la distanza che gli separa con due grandi falcate. Ha davvero delle gambe lunghe e mi sento a disagio. Persino il riccio stenta a eguagliarlo. «Ci sei andato in contro?» sbotta, afferrandolo per il colletto della maglietta nera. Le nocche sbiancano e sono certa che un pugno faccia male peggio di due ore di matematica la mattina.

«Non l'ho fatto di proposito, Luke. Non guardavo dove stavo andando» tenta di giustificarsi l'altro.

Due ragazzi stanno veramente per intraprendere una faida alla Montecchi e Capuleti per me? Al liceo, al massimo litigavano per chi avrebbe dovuto avermi nella squadra di pallavolo...ed ero l'ultima rimasta. E ancora non capisco perché ci tengano tanto a tenermi su un vassoio d'argento.

«Farai meglio a stare più attento la prossima volta» prorompe con voce minacciosa. Lancia uno sguardo gelido al riccio, carico di un significato e qualcosa mi dice che c'è altro dietro al battibecco. Ma quella sensazione svanisce insieme alla furia improvvisa del biondo più chiaro. Tuttavia, se per caso volevano azzuffarsi senza maglietta, non li avrei di certo fermati.

Decido però intervenire, anche perché non mi sembra giusto che gli si venga addossata tutta la colpa. In realtà è stata colpa mia: se non mi fossi fatta prendere dallo spirito libero dell'animale nella savana, adesso non saremmo in questa situazione. «Non è un problema. Insomma, capita a tutti» intervengo, separando i due ragazzi frapponendomi tra loro. Non ho ancora avuto la possibilità di guardarmi allo specchio, ma dalla loro espressione devo essere stravolgente, perché mi fissano come dei pesci fuori dall'acqua. «Che c'è?» ribatto, confusa. Mi tocco la faccia, sentendo gli zigomi spigolosi e le labbra carnose sotto il tocco delle mie dita affusolate. Mi trattengo dal ringraziare Dio e tutti i Santi del Paradiso. Devo essere una dea!

Il ragazzo con il piercing al labbro mi sfiora delicatamente un braccio. Quel tocco mi fa rabbrividire. «Gwenny, sicura di stare bene? Non è che hai la febbre?»

Socchiudo gli occhi. Io cerco di non fare la parte di Elena la Troia – che non c'entra assolutamente nulla con la sua provenienza – e lui mi chiede se sono malata? A questo mondo nulla ci è riconosciuto.

«Credo che poco prima abbia fatto una battuta» continua Ashton. Luke lo fulmina con lo sguardo. Ashton si zittisce all'istante, le labbra serrate in una linea dura.

«Quale battuta, scusami?» lo guardo e aspetto che risponda, ma le sue labbra rimangono immobili. Sbuffo, alzando gli occhi al cielo. Santo Padre, ma dove sono finita?

«Ashton, rispondi» parla al posto mio il ragazzo biondo.

«Quella dell'anima di tuo zio Paul» chiarisce, gesticolando animatamente, visibilmente a disagio.

Incrocio le braccia sotto il seno. Ashton distoglie lo sguardo, imbarazzato. «E allora? Non mi sembra tanto divertente. E comunque non c'è da scherzare sullo zio Paul, potrebbe passare a miglior vita da un momento all'altro se non smette di bere birra come si cambia le mutande...» mi fermo un attimo a pensare a quella metafora. «Anche se in effetti non credo che si cambi così spesso. Forse dovrei dire come perde i capelli. Sì, chiarisce meglio la situazione.» Annuisco soddisfatta di me stessa, schioccando la lingua sul palato. In questo caso, Camille avrebbe riso con me, avendo incontrato di persona zio Paul, ma i due ragazzi mi osservano come se fossi un fenomeno da baraccone. Di rimando li fisso anche io.

«Non sapevo avessi uno zio che si chiama Paul. Anzi, non credevo avessi uno zio, punto» risponde con espressione offesa il ragazzo biondo.

Lo guardo di sottecchi. «Perché mai dovresti conoscere il mio albero genealogico?»

«Be', forse perché mi hai presentato la tua famiglia?» replica in tono retorico. Mi fa venire voglia di dargli un pugno dritto in faccia. Dopo una semplice notte di passione pretende già di conoscere la mia famiglia, e che per di più sia stata io a presentargliela.

Sto per controbattere a tono, quando una strana consapevolezza si fa largo nella mia mente come una ragazzina al concerto dei One Direction per entrare prima di tutte. Quale notte di passione? L'ultimo ricordo che ho è quello di essere andata a dormire dopo aver visto l'ultima puntata di Arrow, beandomi della bellezza di Oliver Queen. Non ricordo nessuna festa speciale, o di essere uscita. Camille dormiva nella stanza a fianco, come tutte le sere. Perciò, come diamine ero finita lì?

Non aspetto nemmeno di esporre quei pensieri ad alta voce. Scendo di fretta le scale, diretta alla porta d'entrata. In un angolo trovo l'attaccapanni con cinque giubbotti appesi e sotto, quasi in un ordine compulsivo, sono posizionate in fila cinque paia di scarpe. Quattro vans nere, alcune con fantasie varie, e paio di tacchi neri laccati. In alcun modo riconosco le mie, perciò afferro le prime sneaker che trovo davanti e le infilo senza pensarci troppo. Indosso un cappotto a caso, verde bottiglia e imbottito. Apro la porta e mi precipito nel cortile. Non ci metto molto a riconoscere una delle periferie della città di Dublino, e grazie ai miei tanti momenti di smarrimento appena arrivata in città, mi oriento verso il centro. Inizio a camminare nell'umidità della mattina.

Durante i miei gesti affrettati e sconsiderati, i due ragazzi non hanno mai smesso di gridarmi dietro, sperando forse di convincermi a tornare indietro.

«Gwendolyn!» grida la voce più acuta. La ignoro.

«Gwenny» urla l'altra, più bassa. Ancora una volta la ignoro.

L'ultima cosa che sento sono altre grida ripetute di quel nome. Ma che poi, chi è questa Gwendolyn Warlow? Perché se la Dea della bellezza deve aver scelto proprio questa celebrità in cui immettere la mia anima, avrebbe anche potuto sceglierne una più conosciuta.

x

Attraversare un intero quartiere, prendere il Dart e girovagare per il centro della città non era stata forse la più grande delle idee, ma ormai è tardi per starci a pensare. Sono ferma davanti al Trinity College di Dublino, scrutando la folla di studenti che sciama fuori dall'altra parte della strada. Il traffico e i lavori in corso rendono difficile individuare la chioma rossastra della mia amica pazza, però non mi perdo d'animo. A quanto pare l'animo è l'unica cosa rimastami.

Mi stringo nel cappotto, fulminano con lo sguardo un gruppo di turisti ficcanaso che scattano foto alla me nuova. Stranamente inizio a sentire uno strano tic all'occhio, e con arroganza sento la mia bocca muoversi per pronunciare: «Almeno togliete il flash, imbecilli!»

Mi tappo la bocca con entrambe le mani, sgranando gli occhi sbalordita. Ma imbecilli va ancora di moda? E da quando? Cosa mi sta succedendo!

Individuo la mia coinquilina, e giuro che non sono mai stata così felice di vederla. Prenoto il semaforo dei pedoni e aspetto con impazienza il mio turno. Le auto sfrecciano da una parte all'altra, ignorandomi completamente.

Camille sta uscendo da lezione con il solito Jakey tutto in ghingheri nei suoi gilet a fantasie variopinte e papillon a pois. E lui si definisce gay? Con quel gusto? A questo punto avrebbe proprio bisogno di una lezione di moda da Gordon Ramsay.

Ed è allora che la vedo. O meglio, mi vedo. I capelli corvini, gli occhi chiari, le fossette alle guance. E, Dio mio, sono veramente brutta! Tra tutti i capi che mi ritrovo nel guardaroba, dovevo proprio scegliere quella maglietta verde acqua da abbinare con i pantaloni rossi?

Mi corpo gli occhi a quella vista e sento di star per svenire. Non mi è mai importato della moda, ma ora sento come se ne dipendesse la mia vita. A un certo punto, però, sempre a rilento come dall'inizio della giornata, mi rendo conto che non posso essere in due posti contemporaneamente.

Se io sono nel corpo di questo stambecco di Victoria's Secret, chi diamine si è permesso di appropriarsi del mio scempio di corpo? E perché questa merda di semaforo non vuole scattare?

Alzo la testa totalmente fuori di me, e con rammarico osservo il semaforo passare dal giallo al rosso. Mi sono distratta per due secondi e ho perso la mia occasione. Lancio un calcio al palo e un gemito di dolore lascia le mie labbra, mentre mi massaggio un piede. Le vans non sono esattamente adatte per tirare calci di punta.

«Ma porca merda» sbraito e sbatto un piede a terra come una bambina viziata; il che mi fa innervosire ancora di più. Non ho mai fatto quel gesto in vita mia!

«Ehi, ehi, ehi, non c'è bisogno di essere così sgarbati» ammonisce qualcuno. Roteo gli occhi e non mi degno nemmeno di girarmi, premendo di nuovo il pulsante circolare, questa volta con più veemenza del dovuto.

«Ehi, carina, mi stai ascoltando?» Vedo una mano pararsi davanti ai miei occhi e sventolare. Senza troppi preamboli ne afferro il polso e cerco di storcerlo - come mi ha insegnato mio fratello dopo anni e anni di torture per aiutarlo con il corso di difesa personale – ma la mia mano passa attraverso la pelle e perdo l'equilibrio, venendo catapultata in avanti. Mi preparo al botto con il suolo, ma stranamente tarda ad arrivare. Con un po' di coraggio apro gli occhi e mi guardo attorno.

Il mondo sembra essersi fermato. I pedoni smettono di camminare, le auto di rombare, e soprattutto quella macchina che per poco non mi viene addosso si ferma; sfioro il paraurti con il mio naso talmente è vicina. Qualcuno mi aiuta a rimettermi in piedi. Ha un tocco gelido e rabbrividisco nel mio parka, ricordandomi che sotto indosso una semplice accozzaglia di biancheria sexy. Mi giro a guardare il mio salvatore, chiedendomi come abbia potuto muoversi se tutto il resto è fermo. E semplicemente me ne accorgo dal suo corpo evanescente con un contorno lucente e un paio di ali candide e piumate che sbucano dalle sue spalle possenti.

Spalanco la bocca e sento che la mascella potrebbe toccare la strada se fosse possibile, biologicamente parlando. Indietreggio spaurita, sentendo il freddo metallo del palo dietro la schiena.

«Sembra che hai visto un fantasma!» L'essere scoppia in una fragorosa risata, che naturalmente non accompagno. Vedendo che è l'unico a ridere si blocca di colpo, aggiustandosi la giacca in pelle bianca. Schiocca le dita e un foglio arrotolato compare nelle sue mani. Si schiarisce la voce. «Va bene, allora passiamo al nostro lavoro. Holland Madden, a seguito di interventi illegali nel continuum delle anime, sono stato inviato per ricondurti sulla giusta strada della tua vita...»

«...di merda» aggiungo istintivamente.

L'angelo mi scocca un'occhiataccia ma continua imperterrito. «Al fine di riportare l'ordine naturale e assicurare che non capiti più nulla del genere. Tutto chiaro?» domanda, percorrendo il mio corpo con i suoi occhi grigi.

Tento di coprirmi come meglio posso. «Diciamo.»

Il ragazzo luminescente sospira. «Cosa non ti è chiaro?» Schiocca nuovamente le dita e la lunga pergamena svanisce nel nulla con uno sbuffo di fumo.

Mi trattengo dal fare un fischio prolungato, anche perché credo che questo corpo non ne sia capace. «Chi cazzo sei tu? E da dove sei sbucato. Come conosci il mio nome?» borbotto infervorata.

Il ragazzo sbuffa ironico e sbatte le braccia contro i fianchi. «Ho appena riferito che ha commesso un'azione illegale e lei pensa al suo nome. Incredibile. E sei veramente una ragazza rude!» Scuote la testa incredulo, rivolto al cielo.

Seguo il suo sguardo, trovando solamente le nuvole grigie di Dublino. È pazzo, chiaramente andato. Matto da legare. Kaputt.

«D'accordo. D'accordo» dice in fine. Ancora non capisco con chi stia parlando. Potrei provare a scappare, o a cercare aiuto. Ma a meno che le belle statuine non tornino in vita, sono bloccata con questo tizio strambo, peggio Caroline che non sa scegliere Klaus, e lei è matta forte.

«Scusami» pronuncio, dopo attimi di silenzio in cui il ragazzo non ha fatto altro che sospirare e parlottare fra sé.

«Sì, dimmi» mi incita, additandomi con una strana luce negli occhi.

«È possibile premere il tasto play? No, perché questa situazione è un po' inquietante.» Con un ampio gesto della mia mano gli indico il traffico e la folla di persone.

L'angelo si sbatte una mano in fronte, più volte. Se vuole aiuto, potrei farlo al posto suo, con molto piacere.

Schiocca le dita e lo sciamare e il caos cittadino ricomincia come se nulla fosse. L'auto che stava per investirmi ci passa davanti come se nulla fosse. Accidenti se tutto questo è da uscire pazzi. Forse sto ancora dormendo, o forse Camille mi ha dato qualche roba forte attraverso il fumo delle candele. Questo spiegherebbe perché lei è così...fantasiosa.

«Comunque» soggiunge il ragazzo, attirando la mia attenzione su di lui, «Io sono Elliott, e ti scorterò in questo viaggio all'inverso.» Mi porge una mano. Titubante, cerco di stringerla, ritrovandomi con la mano serrata a pugno, incontrando solamente la mia pelle.

Il ragazzo fissa la scena imbarazzato e ritira la mano. Mi sento così stupida, soprattutto perché le persone fissano una ragazza che tiene un pugno davanti a sé praticamente mezza nuda. Mi stringo nelle spalle. Almeno sono attraente.

«Forse è meglio andare in un luogo più appartato» suggerisce l'angelo, seguendo con lo sguardo giudicatore un gruppo di studenti che ridacchia. Sento una folata di vento attraversarmi tutto il corpo, scorrere nelle vene e gelarmi sul posto quando le sue ali mi attraversano. «Ops, scusa» mormora. 

Apro e chiudo gli occhi più volte. «Forse è meglio aspettare che l'effetto di quelle candele passi.» 

 

 

 

 

 

HELLOOOO

Ecco qui il secondo capitolo! Potete trovare questa storia anche su Wattpad: itstimetolisa

Comunque passiamo alle cose serie:

a.  Auguri di buon Natale anche se in ritardo, ma non avendo pubblicato niente non ho potuto farli;

b. Felice anno nuovo!! Che sia un 2017 sfortunato come il numero stesso, sperando di non ritrovarvi come Holly! Gli auguri gentili sono troppo banali. 

c. Spero che la storia cominci a piacervi, perché dal prossimo capitolo le situazioni si smuoveranno leggermente. Ho un paio di capitoli pronti pronti, ma non so quando aggiornerò, perché io sono imprevedibile. 

d. Se vi interessano le storie sui One Direction, passate pure dal mio profilo, vi pago! 

Passiamo alla storia:

Elliott ha fatto la sua entrata in grande stile, e posso solo dirvi che lo a-do-ro! E piacerà anche a voi! Ashton e Luke non potevano mancare, mentre Calum e Michael faranno la loro entrata nei prossimi capitoli. Non posso svelarvi niente, ma avete notato che Ashton si comporta in modo strano? Be', scopriremo il perché solo vivendo! 

Noi ci vediamo a un prossimo aggiornamento

BYEEE

 

*Jane Bingum è la protagonista del telefilm Drop Dead Diva  da cui ho preso ispirazione per questa storia. E Grayson è troppo bello!

   
 
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