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Autore: lady lina 77    04/01/2017    1 recensioni
Cosa sarebbe successo se Demelza, dopo il tradimento di Ross, se ne fosse andata di casa?
Dopo la lite furiosa fra i due in cui ha rovesciato ogni cosa dal tavolo, urlando al marito tutta la sua rabbia, Demelza decide che non ha più senso rimanere a Nampara, con un uomo che non la desidera più e che sogna una vita con un'altra donna.
Prende Jeremy e Garrick, parte per Londra e fa perdere le sue tracce al marito, ricominciando una nuova vita lontana da lui e dalla Cornovaglia.
Come vivrà? E come la prenderà Ross quando, al suo ritorno da Truro, non la troverà più a casa?
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Era tornato a Londra, come promesso mesi prima, per saldare il suo debito. Non aveva annunciato il suo arrivo ma sapeva da Dwight che Caroline si trovava in città per cominciare a pensare a come organizzare il loro matrimonio e quindi sapeva per certo che l'avrebbe trovata. Gli pareva così strano pensare che certe persone avessero bisogno di quasi un anno per prepararsi a una cerimonia a cui, a lui e Demelza, erano serviti solo due giorni, quando si erano sposati. Ma forse era diverso, lui e sua moglie non si erano corteggiati, sposarla era stato un qualcosa di irrazionale ed istintivo, dettato dalla necessità di non farla vivere nello scandalo, dopo quanto successo fra loro. Nessuno dei due, quel giorno, pretendeva chissà che dall'altro e solo in seguito, piano piano, il loro rapporto era diventato così forte e indissolubile, d'amore e passione. Sembravano passati secoli da allora e in un certo senso era così... Era cambiato tutto, aveva perso tutto e si sentiva come invecchiato di colpo di vent'anni, ogni volta che pensava a lei.

Il maggiordomo lo accompagnò nella consueta saletta dove Caroline usava riceverlo.

Ross si sedette sulla sedia, godendosi la calda brezza estiva che arrivava dalla finestra aperta che dava sul giardino. Era un'estate splendida e con un clima meraviglioso, quella. Anche Londra, di solito grigia e nebbiosa, sembrava aver preso colore e vita, in quei mesi.

Caroline giunse all'improvviso, vestita di un sobrio abito rosa. Stranamente i capelli erano lasciati liberi, senza boccoli o fronzoli ad ornarli, ed era evidente che non aspettasse visite per quella giornata. "Capitano Poldark, mi riuscite sempre a cogliere di sorpresa" – commentò, stranamente nervosa.

"Vi disturbo? Sono solo passato per saldare il mio debito e poi andrò via subito, vorrei essere a casa quanto prima possibile".

Caroline si sedette sulla sedia, sventolando il ventaglio. "Nessun disturbo, siete il mio salvatore, dopo tutto. Non avete debiti con me, per quanto mi riguarda, mi avete aiutata a ritrovare il mio uomo e l'amore e dovrei essere io a essere in debito nei vostri confronti".

Ross sorrise, mettendo sul tavolo i documenti relativi al prestito. "Finanziariamente, sono io il debitore. Ma da oggi, salderemo ogni cosa e ci dedicheremo solo al vostro matrimonio".

"Dwight vi vuole come suo testimone, lo sapete?".

Ross annuì. "Sì, me lo ha chiesto".

Caroline, firmando i documenti che Ross gli aveva posto, lo guardò di sottecchi. "Preparatevi, sarà una giornata interessante e particolare".

Ross scoppiò a ridere. "Sì, immagino. Li conosco gli sfarzi dei vostri matrimoni da ricconi".

Caroline gli strizzò l'occhio. "Niente di troppo sfarzoso, Dwight sarebbe in imbarazzo. Sarà una cosa elegante ma sobria". Piegò i documenti e poi sospirò, appoggiando il mento alla mano. "Non vedo l'ora".

"Lo immagino".

Improvvisamente la porta si aprì quasi con violenza e davanti a loro comparve una bimbetta di circa un anno e mezzo-due, dai boccoli rossi, che corse nella stanza lanciandosi verso Horace che, tranquillo, stava dormendo davanti al camino spento.

Ross osservò la piccoletta e poi Caroline, sorpeso. "E questa da dove spunta?" - disse, indicando la piccola che, incurante di loro, cercava di svegliare il cane.

Caroline osservò la bambina e poi lui, passando lo sguardo fra loro più e più volte. "Lei è Clowance, la figlia di una cara amica. La mia migliore amica, a dire il vero. Me la lascia ogni tanto e ne approfitto per insegnarle a portare gli anelli, sarà la mia piccola damigella alla cerimonia e porterà le fedi a me e a Dwight".

Ross spalancò gli occhi. "Quella bambina? Siete sicura? Mi sembra così piccola".

Caroline sorrise. "E' sveglia e avrà tempo di crescere, prima che arrivi il giorno del matrimonio. E poi, non la trovate carinissima? Pensate che amore che sarà, con il suo vestitino da damigella".

Ross osservò la bimbetta. Era molto graziosa in effetti, con quei boccoli lucenti e morbidi, quel visino vispo e furbo, quegli occhi azzurro-verdi e quelle guance rosse e piene. Indossava un abitino azzurro di pizzo e fra i capelli aveva un nastrino del medesimo colore mentre ai piedi aveva delle eleganti scarpine di vernice che la rendevano simile a una bambolina. Doveva appartenere all'alta aristocrazia londinese, di certo non era figlia di popolani, pensò... "Carina, molto. Ma secondo me troppo piccola per portare gli anelli, si distrarrà".

Caroline si voltò verso la bimba. "Clowance, vero che sarai capace di essere la mia damigella?".

La bimba si voltò verso di lei, imbronciata e arrabbiata per essere stata distratta dai suoi giochi. "Sì" – rispose, di malavoglia.

A Ross venne da ridere. Doveva avere un gran bel caratterino, quella piccoletta, Caroline si sarebbe pentita presto di averla scelta come damigella. "Beh, istruitela bene" – disse, alzandosi.

"Ve ne andate già?" - chiese Caroline, sorpresa.

"Beh, ho fatto quel che dovevo e non vorrei disturbare oltre. Avete da fare, a quanto vedo" – disse, indicando la bimba.

L'ereditierà rimase in silenzio alcuni istanti, pensierosa. Poi si alzò dalla sedia. "Vi fermereste due minuti in più? Ho bisogno di un favore".

"Quale favore?".

"La bimba... Devo assentarmi un attimo perché attendo il mio banchiere che dovrebbe arrivare a momenti per farmi firmare dei documenti. Questione di pochi minuti, potete dare un occhio a Clowance mentre vado a riceverlo?".

Ross spalancò gli occhi, guardandola come se fosse stata pazza. "Io? Ma non la conosco, non ho idea di...".

"E' una bimba, mica morde".

"Ma se piange? Se vi cercasse...? Se... Se...".

Caroline sbuffò. "Perché dovrebbe piangere? Non vorrete mica trattarla male, no?".

Ross arrossì. "Certo che no, ma...".

La donna scosse la testa, quasi esasperata. "Capitano Poldark, siete sopravvissuto a un anno sui campi di battaglia e dubito che una bambinetta vi ucciderà. Gioca col cane, nemmeno vi guarda. State seduto, datele un occhio e io sarò subito da voi".

"Ma non avete domestiche che possano farlo?" - chiese lui, esasperato.

"No, hanno il pomeriggio libero, oggi". Si avviò verso la porta, senza attendere la sua risposta. "A dopo e grazie" – disse, col più amabile dei sorrisi. "E tu Clowance, fai la brava".

"Brava..." - ripeté la bimba, continuando a tormentare il povero Horace.

Ross, deglutendo, osservò sgomento la porta che si chiudeva. E adesso? Santo cielo, lui insieme a una bimbetta da curare, da solo! Guardò la piccola, sperando non smettesse di giocare col cane e pregando al contempo che quell'irresponsabile di Caroline tornasse presto.

La bimba, nonostante tutto, pareva non far caso a lui, intenta a giocare col povero Horace che, in silenzio e non troppo felice, subiva la sua irruenza infantile.

Si chiese come era stato possibile. Era venuto a Londra per saldare un vecchio debito e parlare d'affari e si era trovato, senza quasi accorgersene, a fare da bambinaio a una scalmanata bimbetta dai capelli rossi. La osservò, senza muoversi, dalla sedia su cui era seduto. Stava tormentanto quel povero cane, tirandogli coda e orecchie, e il povero animale iniziava a dare segni di insofferenza con delle sommesse ringhiate. Fu però quando la vide allontanarsi, prendere la rincorsa e lanciarsi sul cane, che decise di intervenire prima che l'animale la mordesse. "Hei, no" – disse, prendendola al volo e sollevandola di peso da terra. Non aveva voglia di sentirla strillare per un morso di cane che, fra l'altro, si sarebbe pure meritata.

La bimba si voltò verso di lui con un'espressione piccata ed imbronciata, guardandolo con l'eloquente espressione di chi si sta chiedendo cosa voglia da lei lo sconosciuto che ha davanti.

Rimase stordito da quel viso, non se n'era accorto fino a quel momento, finché l'aveva guardata da lontano. Aveva quei capelli rossi e mossi così simili a quelli di Demelza e anche quell'espressione corrucciata le ricordava tanto sua moglie. Probabilmente era un segno distintivo delle rosse di capelli, pensò.

La bimba fece per dimenarsi e Ross maledì Caroline che non si sbrigava a tornare. "Agitati quanto vuoi ma non ti lascerò tormentare ancora quel povero cane" – le disse, serio.

Clowance fece per strillare ma, incurante, la portò al tavolo, sedendosi sulla sedia e mettendosela sulle ginocchia. La piccola faceva resistenza, dimenandosi e dimostrando un caratterino già notevole, per la sua età. Guardò il tavolo, cercando un'idea per tenerla impegnata nell'attesa che Caroline tornasse . Alla fine la sua attenzione cadde su una pila di fogli e gli venne in mente che, quando era piccolo, suo padre gli aveva insegnato a fare forme di draghi ed animali piegando la carta. "Sai, io so fare i draghi! Vuoi vedere?".

La bimba si voltò verso di lui, apparentemente incuriosita e più tranquilla. "Si".

Prese un foglio in mano, lo piegò e ripiegò finché davvero, non ne uscì la forma di un drago. "Visto?".

"Bello!". La bimba spalancò gli occhi stupita, sfiorando la sua creazione. Poi sorrise, finalmente contenta. E anche in questo le parve tanto simile a Demelza, che gli si contorse lo stomaco. Era identica... Quasi senza accorgersene, mentre la piccola gli prendeva il drago dalle mani, le accarezzò quei lucenti boccoli rossi, morbidi come seta. "Sai, tu somigli tanto alla mia Demelza" – le sussurrò.

Clowance, a quelle parole, alzò lo sguardo su di lui. "Mamma" – eclamò.

Ross tornò a guardarla e sorrise. Doveva essere una bambina molto amata e curata, si vedeva da quanto fosse serena, ben vestita con abiti eleganti e di pregio e dai suoi capelli, tenuti a bada da quel grazioso nastrino che sua madre, probabilmente, le aveva sistemato con cura. "Vuoi la mamma? Ah, sta serena, arriverà presto, credo. O almeno, te lo auguro, altrimenti dovrai sorbirti quell'irresponsabile di Caroline fino a stasera".

Clowance lo fissò ancora per alcuni istanti e poi, dopo un'alzata di spalle, si sporse verso il tavolo, prendendo gli altri fogli. "Ancora!" - disse, mettendoglieli in mano e facendogli capire che voleva altri draghi.

E suo malgrado dovette ubbidire, davanti al tono perentorio che la bambina aveva usato. "Tu sei abituata ad avere tutto quello che vuoi, è?".

"Si".

Gli venne da sorridere, era piuttosto buffa e sicuramente simpatica nelle sue espressioni e nei modi di fare. Un po' gli spiaceva che appartenesse all'aristocrazia, un mondo che, crescendo, avrebbe finito per rovinarla.

Piegò altri fogli, perdendo la cognizione del tempo, mentre Clowance, sulle sue ginocchia, sembrava catturata dai movimenti delle sue mani e stava ferma e in silenzio ad aspettare che finisse il suo lavoro. Quando ebbe fatto dieci draghi, decise che forse erano abbastanza. "Basta?".

"No".

"Ma guarda, abbiamo una famiglia di draghi, adesso. Ci sono il papà drago, la mamma drago e i figli drago... Devi scegliergli dei nomi, non possiamo farne altri"... Dove diavolo si era cacciata Caroline???

Clowance si imbronciò, saltò giù dalle sue gambe, si mise le mani sui fianchi e poi batté il piedino per terra. "No, ancora!".

Ross la guardò, un po' divertito, un po' in difficoltà. Era dannatamente cocciuta! "Sai che sei davvero testarda? Però ti dico un segreto, fai bene! Bisogna sempre affermare le proprie idee e non farsi schiacchiare da quelle degli altri...". Le accarezzò la guancia. "Solo, potresti farmi un favore? Questa tua affermazione della tua personalità, potresti farla con qualcun altro e non con me? Non sono troppo abituato ad avere a che fare con dei bambini". Già, suo malgrado era così. Julia era morta prima che fosse abbastanza grande per costruire un rapporto vero e proprio con lei e Jeremy... beh, per suo figlio lui non c'era mai stato e si era perso mille cose di cui ora, che era troppo tardi, si pentiva. Prese un drago fra le mani, guardandolo e mettendoglielo davanti agli occhi. "Sai che fanno? Volano?".

"Oh". Clowance ne prese uno da terra, lo guardò e poi, con uno scatto che lo colse di sorpresa, si lanciò di corsa verso la finestra aperta.

"Nooo". Ross balzò in piedi, prevedendo le mosse della piccola, prendendola al volo prima che, eventualmente, si lanciasse giù dalla finestra cercando di volare col suo drago. La prese in braccio, col cuore che gli balzava nel petto. Aveva perso forse dieci anni di vita, in quegli ultimi secondi. "Non farlo mai più".

Davanti al suo tono di voce brusco, la bimba spalancò gli occhi che poi, dopo pochi istanti, divennero lucidi.

"No... Non piangere". Santo cielo, Caroline quando tornava?

Clowance si stropicciò gli occhi con le manine, frignando. "Vola, vola..." - ripeté.

Ross sbuffò, rimettendola a terra. La prese per mano, accompagnandola verso il tavolo, ma la bimba fece resistenza. "Noooo, non vollo...".

"Non vuoi?".

"No".

Alzando gli occhi al cielo, cercando un modo per tenerla lontana dalla finestra, gli venne in mente una storiella che poteva tenerla occupata. "Sai, non puoi farli volare, sono troppo piccoli questi draghi, non sanno farlo. Ma sanno sputare fuoco e fare le battaglie, vuoi vedere?".

Non troppo convinta, Clowance annuì. "Sì". Lo prese per mano e lo tirò fino al camino, facendogli segno di sedersi per terra accanto a lei. "Vollo vedere".

Ross si sedette sul pavimento, sentendosi davvero ridicolo. Se i suoi minatori l'avessero visto, gli avrebbero riso dietro per anni. "Prenderemo tutti e dieci i draghi, adesso, poi faremo due schieramenti da cinque e faremo una guerra fra loro. Ti intendi di strategie militari?".

Clowance lo guardò storto, malissimo, grattandosi la guancia, pensierosa. E si accorse di essere davvero ridicolo, davanti a quella reazione! Che diavolo stava facendo, stava raccontando di guerra e strategie belliche a una bambina di nemmeno due anni? Sospirò, arrendendosi al fatto che era davvero goffo... "Lascia stare, facciamo altro, ti va?".

Clowance ci pensò un po' su e poi si portò le mani alla testa, sciogliendo il nastrino che le teneva in ordine i capelli. "Toh" – gli disse, mettendoglielo in mano.

A quel gesto, Ross sorrise. "Ti ringrazio, sei gentile. Ma credo stia meglio a te".

"No, non vollo. Tuo!".

"La tua mamma non si arrabbierà se non te lo vede addosso, stasera?".

"Sì".

Scoppiò a ridere, era davvero fenomenale discutere con lei. "E non ti importa?".

"No".

Pensò che era davvero fantastica, benché all'inizio non l'avesse entusiasmato l'idea di prendersene cura. Stranamente stava bene, la spontaneità di quella bambina lo divertiva e lo faceva sentire sereno come non gli capitava da anni. Le accarezzò la testolina, piegando il nastrino e mettendoselo in tasca. Lei glielo stava regalando e forse stare al gioco le avrebbe fatto piacere. Lo avrebbe restituito più tardi, senza farsi vedere, a Caroline, nel caso si fosse decisa a tornare.

Clowance gli saltò in braccio, ridendo. "Draghi".

Ross sospirò. "Draghi". Si alzò in piedi, prendendola in braccio e tornando con lei al tavolo. Prese altri fogli e iniziò a piegarli, costruendo altri draghi di carta. La bimba lo osservava rapita, canticchiando una canzoncina che gli pareva davvero incomprensibile, piena di parole ancora sgrammaticate, vista l'età. Anche in questo gli ricordava Demelza e stare con lei gli sembrò talmente piacevole che il tempo parve dilatarsi piacevolmente, in sua compagnia, tanto che, quando diversi minuti dopo la porta si aprì e ricomparve Caroline, provò uno strano dispiacere. La donna entrò, seguita da un uomo un po' in la con gli anni.

"Capitano Poldark, siete sopravvissuto!".

Ross sorrise. "Dove diavolo siete stata? Non dovevano essere due minuti?".

"Le cose si sono dilungate". Si avvicinò a loro, strizzando un occhio a Clowance. "Guarda chi è venuto a prenderti?".

La bimba osservò l'uomo e poi le si illuminò il viso in uno splendido sorriso. "Nonno Martin!" - esclamò, correndo incontro all'uomo che, evidentemente abituato, la prese al volo fra le braccia.

Ross sentì una strana fitta al cuore, quando la piccola si allontanò da lui. Non ne capì il motivo, non era che una bimbetta come tante, eppure l'idea di separarsene lo intristiva. Ma nonostante tutto era giusto così, era arrivato suo nonno e lei si era dimenticata subito di lui e dei draghi, attirata dal calore della sua famiglia.

"Clowance!" - esclamò l'uomo, baciandola sulla guancia. Poi si rivolse a lui, chinando il capo. "Vi ringrazio per esservene preso cura".

"Di nulla".

Caroline diede un bacio alla bimba. "E ora, dove vai?".

Nonno Martin la mise a terra, prendendola per mano. "Prima di andare a casa, andiamo a comprare le carote e poi andiamo al parco a dare da mangiare ai pony, vero?".

Clowance annuì. "Vero!".

L'uomo sorrise alla piccola. "Saluta Clowance! E ringrazia quel signore per aver giocato con te".

Clowance si voltò verso di lui poi, staccando la sua mano da quella del nonno, gli corse incontro, gli saltò fra le braccia e gli diede un bacio sulla guancia. "Glassie signore" – sussurrò. Poi si rialzò in piedi e, dopo un goffo tentativo di inchino, corse da suo nonno, lo riprese per mano e scomparve con lui dietro la porta.

Caroline li osservò uscire e poi, finalmente, tornò a rivolgergli le sue attenzioni. "Carina, vero?".

Ancora stordito da quel bacio, Ross annuì. "Molto! E con un gran bel caratterino". Era strano, Clowance era riuscita a scalfire, per un breve attimo, il ghiaccio che si sentiva addosso dal giorno in cui aveva perso la sua famiglia. Forse era il candore infantile, la sua allegria, la sua testardaggine o quanto fosse buffa nei modi di fare ma, qualunque cosa fosse, lo aveva fatto star bene. Era da tanto che qualcuno non gli rivolgeva un gesto di affetto spontaneo e sincero come quel bacio e attraverso Clowance, ancora di più, si rese conto di quanto aveva perso. Anche lui aveva un figlio, altrettanto simpatico e bello, che avrebbe potuto donargli le stesse emozioni di Clowance, se lui fosse stato meno idiota e superficiale e se non avesse fatto tanto male alla donna che amava, fino a spingerla ad andarsene per sempre.

"Somiglia a sua madre" – disse Caroline, vaga.

A quelle parole si trovò a pensare, stupidamente, a quanto fosse fortunato l'uomo che aveva accanto una donna e una figlia così belle, riflettendo sul fatto che probabilmente quell'uomo non sarebbe mai stato idiota quanto lui e non avrebbe mai permesso a niente e a nessuno di rovinare la sua famiglia. "Bene, se non ci sono altri bambini da curare, io me ne andrei. E' ormai tardi".

Caroline ridacchiò. "No, i bambini sono finiti, per oggi! Ci vediamo settimana prossima, torno in Cornovaglia per passare alcuni giorni con Dwight".

Ross si rimise il cappello in testa. "E allora, a presto".

"A presto".

Uscì dalla casa di Caroline e si rimise subito sulla carrozza. Due ore dopo era già in piena campagna inglese, circondato dal silenzio dei pascoli.

Si mise una mano in tasca per cercare un fazzoletto, quando si accorse che aveva ancora con se il nastrino di Clowance. "Accidenti, mi sono dimenticato di darlo a Caroline!".

Lo prese fra le mani, accarezzandolo, mentre il visino della bimba gli tornava in mente. Sorrise, ricordandola, realizzando che l'avrebbe rivista al matrimonio, visto che Dwight lo voleva come testimone. Chissà se si sarebbe ricordata di lui?

Il pensiero di Clowance, lo riportò ai suoi figli. Avrebbe pagato oro per riavere Jeremy, per essere un padre migliore per lui. Quando lo aveva visto l'ultima volta, aveva pressapoco l'età di Clowance e ora probabilmente nemmeno si ricordava più il suo volto...

E infine pensò a Julia, la sua piccola, stupenda Julia. L'aveva amata più della sua stessa vita, la sua morte lo aveva annientato e forse non l'avrebbe mai davvero superata del tutto. Era la paura di affezionarsi e di soffrire ancora che l'aveva allontanato da Jeremy e da Demelza, pian piano, era quel mondo perfetto e creduto indistruttibile e rivelatosi poi fragile che l'aveva fatto impazzire e lo aveva spinto a cercare nuovamente un amore idealizzato, perfetto e senza sbavature e problemi, senza rendersi conto che la perfezione era dovuta solo al fatto che era una fantasia. Il vero amore, quello reale, era quello con Demelza, quello che affrontava gioie e dolori, le tempeste della vita vera, trovando in sua moglie un porto sicuro, un rifugio dove rintanarsi e trovare affetto e sostegno quando tutto attorno a lui crollava. Aveva perso tutto, la gioia di amare, di essere uomo, marito e padre a causa di un sogno infantile, a causa della sua arroganza e di tutti gli errori fatti. Strinse a se il nastrino di Clowance, alzando gli occhi al soffitto della carrozza, cercando di scorgere il cielo oltre ad esso. "Julia, ti ho delusa, vero? Ho trattato male la mamma e tuo fratello e ora se ne sono andati... Sai, oggi ho conosciuto una bimba che mi ricordava tanto te... Era da tanto che non stavo con una bambina, da quando c'eri tu... Mi manchi, mi manca la mamma e mi manca tuo fratello, vorrei poter tornare indietro, darei via tutto quello che ho per riavervi. Ma non posso, non si puo'. Perdonami per non essere riuscito a salvarti e non essere stato capace di evitare alla tua mamma tanto dolore".

Abbassò lo sguardo, rilasciando la presa sul nastrino che si appoggiò contro la sua gamba. E decise. Sapeva che Demelza, prima di partire, aveva chiesto a Prudie di prendersi cura della tomba di Julia. Beh, da quel giorno lo avrebbe fatto lui, era suo padre dopo tutto e prendersi cura di quella tomba era l'unica cosa che, ormai, potesse fare per ciò che rimaneva della sua famiglia. Erano anni che non andava al cimitero, vedere la tomba di sua figlia lo annientava ancora ma se era davvero un uomo, se voleva ancora sentirsi un padre degno di questo nome, doveva sforzarsi e farlo.

Il ricordo di Julia era tutto quello che gli rimaneva...


  
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