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Autore: MaxB    05/01/2017    5 recensioni
La storia d'amore di Gajeel e Levy ha toccato i cuori di migliaia di fangirl e fanboy.
Sembra che i loro personaggi siano nati per stare insieme per sempre, prima ancora che Hiro Mashima preventivasse un tale sviluppo dei loro sentimenti.
Per questo è, per molti, l'OTP perfetta.
...
Ma se Levy lasciasse Gajeel per un motivo che non vuole spiegargli?
Come si comporterebbe lui, di nuovo single dopo nove mesi di relazione?
Riuscirebbe a convincerla a tornare insieme e a farsi spiegare il perché della rottura?
~~~~~~~~~~○~~~~~~~~~~
Scrivere questa cosa è stata fisicamente dolorosa, ma necessaria dal momento che l'ho sognata (letteralmente, ho fatto un sogno su loro che si lasciavano). Mi ha assillata e l'unico modo per liberarmi della tortura è stato scriverla.
Spero che vi piaccia e... GAJEVY FOR LIFE, FOREVER AND EVER❤
[College AU][Tanto fluff][2 capitoli]
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gajil Redfox, Gray Fullbuster, Levy McGarden, Lucy Heartphilia, Natsu
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IL PASSATO


- Mi dispiace Gajeel, ma non posso andare avanti così. Penso che sia il momento di finirla.
Quelle parole gli rimbombavano ancora in testa come l’eco sordo di un tamburo indigeno, accompagnato dal battito del suo cuore devastato che andava avanti spinto dall’inerzia e dall’intrinseca volontà del suo corpo di vivere.
Gajeel sbagliò a passare la palla, di nuovo, e Gray l’acciuffò tirandola a Natsu, per poi girarsi e lanciare a Gajeel un’occhiata preoccupata e truce insieme.
Era un freddo lunedì pomeriggio e la neve cadeva lenta fuori dalle finestre della palestra del Fairy Tail College, trasmettendo un senso di caldo e letargico rilassamento anche ai membri della squadra di basket della scuola, che si stavano allenando in vista del torneo universitario che si sarebbe tenuto da lì a poco.
Ma Gajeel Redfox, che aveva quasi ventun anni e una borsa di studio sportiva, come i suoi amici Natsu e Gray, non riusciva a concentrarsi. Anzi, non riusciva proprio a capire nulla, era come se si fosse scordato le regole del gioco.
In quel momento Laxus gli fregò la palla da sotto il naso, scattando con una falcata disumana fino al canestro, facendo un tiro da tre punti. Bixlow e Freed, insieme a Jet e Droy, gli diedero un cinque veloce, mentre Natsu si metteva le mani tra i capelli, Gray scuoteva la testa, Elfman guardava stranito il ragazzo che non aveva piazzato un colpo e Gerard faceva il gesto di spararsi un colpo in testa.
Gajeel incurvò la schiena e appoggiò le mani alle ginocchia, riprendendo fiato, e lanciò un’occhiata alle ragazze pon-pon che si stavano allenando tanto duramente quanto loro.
Lei era lì, splendida nei colori della scuola e nella tenuta da cheerleader rossa e bianca, che esaltava i suoi fianchi e il colore brillante dei suoi capelli celesti. Per una frazione di secondo a Gajeel parve di cogliere un guizzo dei suoi occhi verso di lui, ma quando si concentrò su di lei la vide ridere con le sue amiche e scherzare come se tutto andasse bene.
Forse perché, per lei, tutto andava bene.
Non era lei quella che era stata mollata il giorno prima. Lei era quella che aveva mollato.
L’allenatore, Gildarts, un donnaiolo che si presentava ad un allenamento sì e a quattro no, suonò il fischietto e diede la vittoria alla squadra blu, quella di Laxus, mentre la squadra gialla di Gray sospirava e lanciava altre occhiatacce spaesate a Gajeel.
Nel giro di due minuti i dieci ragazzi della Fairy Tail Basket League si fiondarono, stramazzando come oche, in spogliatoio, lieti di togliersi le casacche blu e gialle che li rendevano avversari e di tornare a far parte della stessa squadra.
Anche le ragazze pon-pon vennero congedate, e Gajeel poté scorgere il lampo di capelli azzurri della sua ex mentre si dirigeva ordinatamente verso il suo spogliatoio.
- Gajeel, che diavolo ti ha preso oggi? Non hai fatto un canestro e non hai azzeccato un passaggio! Non ti ho visto ridotto così male nel gioco dal tempo in cui Laxus, Jet e Droy ti hanno dato una ripassata di boxe dopo aver scoperto quello che avevi fatto a Levy! – sbottò Gray, con poco tatto.
Anche se non si notava, i due si volevano bene e in quei due anni di college erano diventati buoni amici, così come con gli altri membri della squadra. Gray non intendeva essere duro, Gajeel sapeva che il tatto era a lui confacente quanto i vestiti, che non teneva addosso per più di mezza giornata. Eppure, per quella volta non riuscì a passar sopra ai modi bruschi dell’amico, e serrando la mascella scattò in piedi e lo sbatté contro un armadietto.
- Non azzardarti nemmeno a pronunciare il suo nome, mi hai capito?! – sibilò, mentre le sue iridi innaturalmente rosse sembravano prendere fuoco, alimentandosi della sua ira.
- Ehi, Gajeel, calmati! – sbraitò Laxus, allontanando il compagno di squadra da Gray, insieme a Natsu.
- Una giornata no capita a tutti Gajeel, Gray è solo preoccupato perché il torneo è imminente – intervenne Jet, sostenendo Gray che si massaggiava la spalla con una smorfia di dolore.
- Tu potevi anche evitare di nominare la vicenda di noi e di Levy, comunque – fece notare Droy all’amico aggredito. – Non è il caso di rivangare certe cose.
- Non volevo punzecchiarlo o ferirlo, non sono un bastardo! – sbottò Gray, irritato. – Volevo solo dire che non ha mai fatto così tanta pena in campo, se non quando era cosparso di lividi e aveva un occhio nero e praticamente accecato dal gonfiore. E quella volta ha giocato meglio di oggi!
Natsu, per una volta, stette zitto invece di fare il cretino, e si fece da parte quando Gajeel si liberò dalla stretta sua e di Laxus con uno strattone.
Prese le sue cose e, con ancora i vestiti da basket addosso, si diresse verso l’uscita. – Forse allora dovete trovarvi un altro giocatore da tenere in panchina, perché al momento questo è ciò che posso dare – sancì, lapidario, prima di sbattere la porta alle sue spalle.
Gildarts, in palestra, alzò lo sguardo e gli fece un cenno di saluto a cui Gajeel rispose a fatica.
Dallo spogliatoio femminile si levava un cicaleccio allegro e spensierato che gli fece venire il voltastomaco.
Si chiese se fosse il caso di aspettare l’uscita di Levy dallo spogliatoio, ma sapeva che la ragazza dopo gli allenamenti era solita tornare a casa con Lucy, e lui non voleva dare spettacolo. Non era nemmeno sicuro di volerla vedere, quella sera.
Così uscì a passo sostenuto e indossò il giubbotto pesante prima di inforcare la porta che dava sull’esterno. La neve lo accolse in maniera fredda e implacabile, posandosi sui suoi capelli corvini e formando tanti piccoli diamanti d’acqua tra le ciocche dei suoi capelli tenuti indietro dal gel. Quel giorno si era persino scordato di legarli.
Con un sospiro di devastazione interna, più che di stanchezza, si avviò verso casa senza degnare di uno sguardo la fermata dell’autobus. Quella sera, a dispetto del freddo pungente contro i polpacci nudi e contro il torace accaldato, sarebbe andato a casa a piedi, sperando in una qualche risposta divina che gli facesse capire perché il giorno prima Levy l’aveva mollato, di punto in bianco.
O forse avrebbe chiesto ad una macchina di passaggio di portare via il suo dolore in maniera permanente, schiacciando quel peso che aveva nel petto sotto le sue ruote bagnate e ignare.
 
Quasi due ore dopo, Gajeel era seduto sul divano di casa sua con Lily, il suo gatto dal pelo scuro, accoccolato in grembo. Lo stava accarezzando distrattamente mentre fissava senza davvero vederli la pizza che aveva ordinato, ancora chiusa nella scatola sul tavolino di fronte a lui, e il libro di chimica che sapeva non avrebbe mai aperto, nonostante il compito del giorno successivo.
Non aveva la testa per studiare, quella sera, e senza la sua ragazza a spiegargli in termini semplici cosa significassero quegli ammassi di termini astrusi sulla pagina, l’idea di aprire il libro era inconcepibile.
Il caotico ingarbugliamento di pensieri che aveva in testa, che si traduceva in una completa assenza di ragionamenti, venne interrotto quando il campanello di casa suonò e Lily alzò di scatto la testa, incuriosito.
Dopo aver squadrato Gajeel, sincerandosi del fatto che non ci fosse nulla di cui preoccuparsi, sbadigliò e tornò a sonnecchiare.
Il ragazzo non aveva intenzione di alzarsi.
Poi si rese conto che poteva essere la sua ragazza, e scattò in piedi mettendosi Lily sotto al braccio.
Sordo alle proteste del gatto, si fiondò alla porta proprio mentre il secondo squillo del campanello si spandeva per la casa.
- Levy, tu…! – esordì, senza fiato, quando spalancò la porta, prima di bloccarsi di fronte agli ospiti che aveva davanti.
Natsu aveva ancora il dito sollevato a pochi centimetri dal campanello e Gray sembrava felice di essere lì quanto un maiale al macello.
Gajeel chiuse la bocca, aggrottò le sopracciglia e meditò se chiudere loro la porta in faccia o mandarli via a calci, ma Natsu lo spinse via con molta grazia e si accomodò in casa sua.
- Prego, fate pure – borbottò il padrone di casa quando anche Gray entrò, senza proferire parola.
Solo allora si rese conto di una cosa.
- Ehi, aspettate, come siete arrivati fino a qui?
Natsu lo fissò confuso, prima di far uscire dalla giacca il suo gatto blu, Happy.
Gajeel non capiva più niente.
- Con la macchina, genio? – rispose retoricamente Gray, accomodandosi sul divano e afferrando una fetta di pizza già tagliata, dopo aver aperto la scatola.
- Ho portato Happy così può giocare con Pantherlily – comunicò Natsu, proprio mentre Lily si liberava dalla stretta di Gajeel e correva a sistemarsi su una poltrona. Happy, idiota quanto il suo padrone, lo seguì e iniziò a giocare con la sua coda, facendolo ringhiare.
Natsu sorrise e si stravaccò di fianco a Gray, prendendo a sua volta un po’ di pizza.
- Hai un po’ di Coca? – chiese Gray, con la bocca piena, servendosi la seconda fetta.
Gajeel, più infuriato che sconvolto, si avvicinò a loro e mise la pizza fuori dalla loro portata. – Che accidenti ci fate qui? E come siete arrivati davanti alla mia porta, visto che il cancello del giardino è chiuso? – chiese a denti stretti.
Faceva quasi paura.
- Abbiamo scavalcato – rispose semplicemente Natsu, leccandosi le dita.
- E siamo venuti a vedere che succede – aggiunse Gray, sporgendosi per riprendere la pizza.
Gajeel ringhiò e allontanò il cartone ancora di più.
- Non succede nulla. Ora potete andarvene, grazie della visita indesiderata.
- C’entra Levy, vero? – chiese Natsu.
Gajeel assottigliò lo sguardo e si sporse per afferrarlo per il colletto della felpa, ma Gray lo bloccò. – Jet e Freed ci avevano detto che poteva c’entrare Levy, a quanto pare avevano ragione. Non te la dà e quindi tu ti senti represso? – indagò l’amico, con una sensibilità umana seconda solo a quella di un zombie.
Gajeel ringhiò ancora e chiuse gli occhi per non saltare alla gola del ragazzo, prendendolo a pungi tanto da renderlo incapace di parlare.
- Non gli dà cosa, la pizza? – indagò Natsu, che non spostava lo sguardo dal cartone ancora caldo che Gajeel reggeva.
Poi Gray spalancò gli occhi, capendo al volo: - Ti ha mollato!
Gajeel si diresse in cucina a passo di marcia e, buttata la pizza sul tavolo, tirò fuori dal frigo una birra che scolò tutto d’un fiato.
Sentir pronunciare quelle parole significava renderle vere e lui ancora non riusciva a crederci, ad accettarle e a capirle.
Gray si affacciò alla cucina poco dopo, sbirciando per capire se aveva il via libera o doveva temere la fatalità di qualche piatto volante. – Perché ti ha mollato? – buttò lì quando vide che Gajeel era più o meno innocuo. Più o meno.
- Chi ti dice che mi abbia mollato lei? Magari l’ho lasciata io – gli fece notare Gajeel, vantando una sicurezza di cui non era padrone.
- Tu non l’avresti mai lasciata, questo lo so. E poi saresti proprio un idiota a lasciare qualcuno per poi starci così male – sancì Gray, sedendosi al tavolo della cucina e invitando Gajeel a fare lo stesso.
Natsu si sedette silenziosamente accanto all’amico e, cercando di essere furtivo, prese un’altra fetta di pizza.
Gajeel sospirò e afferrò tre birre, prima di accomodarsi di fronte a loro.
- Quindi Levy ti ha piantato – esordì Natsu, facendo sussultare Gajeel.
- Potete smetterla di ripeterlo, per favore? – si lamentò quest’ultimo, sentendo che la furia e la disperazione stavano lasciando lentamente spazio ad un dolore sordo e pulsante e ad un gigantesco punto interrogativo che batteva come un martello pneumatico nel suo cervello.
Gray cercava di capire come comportarsi, mentre Natsu si uccideva di pizza come se non esistesse un domani.
- Perché ti… insomma, perché? – lo interrogò Gray dopo poco, a disagio. Non era granché bravo in quegli argomenti e la sua relazione-non-relazione con Juvia non lo rendeva di certo esperto di storie serie quanto quella di Gajeel e Levy.
- Non lo so, il perché. Non lo so assolutamente. Mi ha lasciato ieri, dopo aver passato il pomeriggio insieme a studiare e… a coccolarci sul letto – disse con difficoltà, mentre lo stomaco gli si attorcigliava. E non per la fame. – Mi ha detto che non poteva andare avanti così e che era ora di finirla.
Natsu lo fissò, immobile, con la pizza mezza in bocca, cercando di capire se poteva morderla e masticarla o se Gajeel stava per sbottare e spaccare qualcosa.
Gray si schiarì la voce. – Forse… e non lo dico per deriderti o mettere in dubbio le tue… prestazioni… insomma… dico che forse non è soddisfatta dai vostri… amplessi?
Gajeel sarebbe scoppiato a ridere per il rossore sulle guance del compagno se solo non fosse stato preso in contropiede da quella domanda.
- Che?!
- Hai capito, dai! Magari non era soddisfatta dalla vostra vita sessuale! È importante in una relazione – chiarì Gray, prendendo una fetta di pizza che Natsu aveva già afferrato, per dissimulare l’imbarazzo.
Anche Gajeel era leggermente arrossito, mentre Natsu mangiava pacificamente. A dire il vero, la sua presenza lì era futile quanto il sapone nel deserto.
Il diretto interessato fece una smorfia. Quello che Gray ipotizzava non poteva essere vero.
E non perché Gajeel, orgogliosamente, si rifiutava di crederlo, ma perché, semplicemente, lui e Levy non avevano ancora esplorato pienamente quell’ambito della loro relazione. Non avevamo mai, in quasi un anno passato insieme, avuto un rapporto completo, non avevano ancora fatto l’amore nel vero senso della parola. Certo, avevano acquisito conoscenza dei loro corpi con metodi alternativi, ma sempre lentamente e per gradi. Gajeel le aveva lasciato intendere che lui sarebbe stato anche pronto ad andare sino in fondo, ma non aveva mai insistito dal momento che Levy non era sicura al cento per cento, nonostante si lasciasse andare alle sue carezze con un trasporto che lui non avrebbe mai nemmeno sognato.
Gajeel le aveva lasciato i suoi tempi, non aveva forzato la cosa per permettere a lei di ottenere tutta la sicurezza di cui aveva bisogno. Si rifiutava di pensare al fatto che lei non si fosse fidata di lui per via di quello che le aveva fatto quasi tre anni e mezzo prima. Respingeva il pensiero che lei temesse l’intimità con lui per via del loro primo incontro.
Forse, però, lei non era mai stata davvero sicura di lui, e dopo mesi di dubbi inespressi aveva capito di non poterne più.
- Non c’è speranza che torni con me – mormorò Gajeel, seppellendo il viso nell’incavo del braccio, posato sul tavolo.
Gray deglutì a vuoto, la gola improvvisamente secca. – Non dire così, dai. Non fare la mammoletta. Potete parlarne e…. ahem… trovare metodi alternativi per… divertirvi. Non credo, cioè, presumo che tu non sia così male. Penso. Forse è lei che è un po’… come dire… difficile? Lenta? Insomma, tu sei un gigante in confronto a lei e…
- Gray tappati quella fogna! – sbroccò Gajeel, incenerendolo con lo sguardo. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era che Gray gli desse consigli di natura sessuale sui suoi rapporti, mai avuti, con Levy. – Non l’abbiamo ancora fatto, non penso che mi abbia lasciato per quello. Sarebbe ridicolo.
Gray batté le palpebre diverse volte, stupito, mentre Natsu giocava con le venature di legno del tavolo. Non ci capiva mai nulla di quei discorsi, e Gajeel sospettava che fosse Lucy, la sua ragazza, a prendere ogni volta l’iniziativa e sedurlo.
- Non avete fatto ancora niente? Ma state insieme da… quanto? Dieci mesi? – domandò esterrefatto Gray.
- Otto mesi. Nove tra cinque giorni. Avevo già pensato al regalo per il primo anniversario, anche se manca un po’ di tempo – lo corresse Gajeel, sospirando. – E comunque abbiamo fatto altre cose che non sto qui a spiegarti, se permetti. Non abbiamo mai avuto un rapporto completo, ma pensavo fosse normale visto che lei ogni tanto è insicura e… non lo so più. Forse l’ho forzata da qualche parte, si sentiva oppressa, oppure non mi ha mai perdonato del tutto. Sono stato un bastardo, un criminale, anzi, peggio… Non la biasimerei se in realtà mi avesse ingannato per più di un anno solo per farmela pagare. Però io ci sono troppo dentro, capisci?
Gray annuì, incapace di trovare qualcosa di sensato da dire.
Per una volta, fu Natsu a salvarlo. - Lei ti ama Gajeel. Cioè, ti amava. Ti ama ancora. Non lo so. Però persino io mi sono reso conto che tra voi c’era un’affinità speciale. Levy è la migliore amica di Lucy, e sai benissimo che non potrebbe ingannare nemmeno il suo peggior nemico. È troppo buona.
- Natsu ha ragione, Gajeel. Non c’entri tu, o meglio, c’entri, visto che la relazione è vostra, ma non sei colpevole nel modo in cui credi. Andiamo! Vestiti coordinati, weekend passati insieme il novanta percento delle volte, hai quasi rinunciato alla tua vita sociale per lei, e lei ha fatto lo stesso. Sembrate già sposati da quanto affiatati siete… eravate. Dev’essere una cosa recente che l’ha spinta a prendere questa decisione.
- Ci ho già pensato, ma non mi pare di aver fatto nulla di diverso dal solito, ultimamente. Che caspita, non abbiamo mai nemmeno litigato seriamente!
Gajeel prese un respiro profondo, sentendosi vecchio e pesante, con tutto quel peso che gravava sulle sue spalle.
Era forte, certo, ma non così forte.
- Io non posso più stare senza di lei – ammise dopo qualche attimo di silenzio, rotto solo dalle fusa dei gatti che si erano appostati sotto il tavolo. – Lei mi ha cambiato completamente, mi ha salvato, lo sapete. Non so nemmeno come si viva, senza Levy al mio fianco.
Gray si stropicciò gli occhi e Natsu giochicchiò con la lattina vuota di birra, affranto. Con Gajeel era abituato a litigare e azzuffarsi, vederlo depresso e inerme come un pulcino era un colpo basso.
- Senti, ti va di analizzare la situazione con noi? Dall’inizio? Dalla prima volta che l’hai vista? Aspetta… - disse Gray, bloccandolo, quando lo vide aprire bocca per protestare. – Lo so che non vuoi disseppellire quei ricordi, non lo vuole nessuno, ma può aiutarci a capire la motivazione di Levy. Siamo tuoi compagni, tuoi amici, quindi…
Gajeel stette in silenzio, restio a parlare di sé e di Levy. Restio a parlare in generale, riservato com’era. Solo Levy era riuscita, con una semplicità disarmante, a distruggere quella corazza e diventare parte di lui.
- Se non vuoi, lo capisco – lo informò Gray poco dopo.
Gajeel guardò l’orologio appeso alla cucina, valutando che ci sarebbe voluto davvero parecchio tempo per rivoltare da dentro a fuori la sua relazione con Levy. Ma una vita senza di lei era inconcepibile e lui aveva bisogno di aiuto.
Ne aveva davvero bisogno.
- Potrebbe volerci un po’ di tempo.
- Tranquillo – lo rassicurò Natsu. – Tanto domani abbiamo solo il compito di chimica.
Gray rise della battuta e si sistemò meglio sulla sedia, in attesa.
Gajeel sospirò e chiuse gli occhi. Quando li riaprì, non vide più Gray e Natsu, ma una giornata primaverile di cui conservava un ricordo indelebile, sentì risate inquietanti accanto a sé e percepì il mondo annerirsi mentre lui, stufo della sua vita, diceva addio alla sua coscienza.
 
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All’ultimo anno di superiori, di Gajeel si potevano dire due cose: che era stufo di essere abbandonato e che gli piaceva il basket.
Frequentava una scuola per teppisti dalla quale, invece di diplomati e futuri studenti universitari, uscivano drogati dediti al commercio di merce illegale o lottatori disposti a scontrarsi con chiunque e senza motivo.
Gajeel era stato abbandonato dal padre all’età di nove anni, e la vita con la mamma non era stata facile.
Anzi, la vita non era stata facile.
Sua madre era un’agente pubblicitario famoso, sicuramente ricca e con più pensieri per il proprio lavoro che per il figlio. Stava via per periodi che duravano anche tre mesi, sentendo suo figlio una volta alla settimana, se le cose andavano bene. Gajeel era cresciuto passando di tata in tata, con la possibilità di usufruire senza riserve del conto corrente della madre, che almeno dal punto di vista economico non gli faceva mancare nulla.
Quando, per ripicca verso il mondo, Gajeel aveva convinto un tatuatore, con una mazzetta non indifferente di denaro, affinché lo riempisse di piercing, in barba alla sua età ancora lontana dai diciotto anni e alla mancanza del permesso genitoriale, sua mamma non se n’era nemmeno accorta. Era tornata a casa, aveva dato uno sguardo al figlio senza realmente vedere i piercing che si era fatto impiantare al posto delle sopracciglia, ai lati del naso e sul mento, gli aveva accarezzato frettolosamente la testa ed era sparita in camera sua. Ne era uscita ore dopo con un completo firmato addosso che valeva probabilmente quanto l’intera casa e il cellulare all’orecchio, una limousine fuori dalla porta.
Gajeel era stanco di essere abbandonato.
A scuola lo evitavano persino i bulli, perché con quei capelli neri come la morte e la faccia, che sembrava avere più metallo che carne, incuteva timore anche agli assassini. Solo Juvia gli era amica, anche se all’epoca Gajeel non dava importanza ad un simile legame. Juvia era una ragazza depressa che veniva derisa da tutti per l’abbigliamento e il carattere trasparente. A causa della sua forza, nessuno si era più azzardato a molestarla fisicamente da quando aveva rotto il naso a due ragazzi e rischiato di castrarne un terzo.
Crescendo da solo tra le mura di una casa troppo grande e lussuosa, troppo fredda e inumana, Gajeel si era convinto di non avere un cuore. E, se anche l’aveva, era convinto che fosse duro quanto una roccia e che battesse spinto solo dall’odio nei confronti di se stesso, di quel ragazzo ricco che non valeva l’attenzione dei genitori.
Che non valeva l’attenzione di nessuno.
L’odio verso se stesso lo spinse ad odiare anche gli altri, a poco a poco, avvelenando quel briciolo di coscienza che non sapeva di avere.
Era deciso a non rovinarsi con le droghe, ma quando stava per compiere diciotto anni si rese conto di invidiare quelle specie di crew che, immerse nell’illegalità, sembravano rappresentare una vera famiglia, cosa di cui aveva bisogno al di là di ogni suo tentativo di negazione.
Il professore di educazione fisica gli parlava in continuazione del fatto che diversi college della zona fossero interessati alle sue capacità atletiche, e che avrebbe potuto facilmente ottenere una borsa di studio per lo sport che gli avrebbe garantito un facile accesso alla serie A del basket nazionale. Se solo lo avesse voluto.
Ma lui voleva solo appartenere a qualcosa. A qualcuno.
Fu così che, senza porsi domande o sentire rimorsi, incontrò Levy.
Come rito d’entrata nella crew scolastica di malfattori che per anni lo aveva evitato per paura, doveva picchiare qualcuno fino a farlo sanguinare, lasciandolo agonizzante sul marciapiede prima di scappare.
Quel giorno di primavera la strada era deserta, e gli alberi in fiore costituivano un quadro improbabile della carneficina che Gajeel avrebbe dovuto perpetrare.
Dopo un’ora di attesa, i ragazzi della gang indicarono una ragazza piccola e carina che passeggiava serenamente. Indossava una corta gonna con calzettini alti, una giacca abbinata alla gonna e una candida camicetta che faceva risaltare un seno morbido e ben formato, segno che, nonostante l’aspetto da bambina, dovesse essere poco più piccola di Gajeel. Aveva capelli celesti che profumavano di vento e, avvicinandosi da dietro, il ragazzo si sorprese a dubitare di ciò che stava facendo.
Quando la ragazza si girò, però, Gajeel non ebbe più alcun dubbio. Con un ghigno disumano, si fiondò sulla sua preda.
 
La fortuna doveva amare quella ragazza, però, perché pochi istanti dopo Gajeel sentì delle voci in avvicinamento che gridavano: - Levy! Levy!
Un tipo alto e magro dai capelli arancioni e uno con la stessa fisionomia ma capelli neri spinsero via Gajeel, salvando la ragazza che aveva incassato senza fiatare tutte le botte che il ragazzo le aveva inflitto senza pietà. Gajeel rifilò qualche pugno e qualche calcio anche a quei due tipi, atterrandoli, e scappò verso i ragazzi che lo osservavano da dietro i cespugli, pronto ad accoglierlo tra di loro.
Peccato che, per paura di essere scoperti, quelli se la fossero data a gambe, abbandonando Gajeel.
Dopo poco tempo, nonostante avesse perso due anni di scuola per via delle bocciature, Gajeel si diplomò e ottenne una borsa di studio sportiva per il Fairy Tail College, insieme a Juvia.
Giurò a se stesso che avrebbe preso in mano la sua vita e si sarebbe riscattato, avrebbe combinato qualcosa di buono non per sua madre o per la scuola, ma per sé, per potersi finalmente guardare allo specchio e non vergognarsi di chi vi vedeva riflesso.
Non sapeva ancora che i guai stavano solo per iniziare.
 
Il primo giorno di college andò bene, e grazie alla compagnia di Juvia riuscì a passare indenne la mattinata. Nel pomeriggio avevano luogo le prime prove per la selezione di basket e per la squadra delle cheerleaders.
Gajeel era praticamente già dentro la squadra e pensava che nulla potesse andare storto, se non che… i due ragazzi che pochi mesi prima aveva picchiato erano in palestra, erano nella Fairy Tail Basket League, e nel momento in cui lo videro gli saltarono addosso. Furono necessari tre alunni, tra cui il nipote del preside, Laxus, ed Elfman, il carro armato della scuola, per separarli, mentre l’allenatore, Gildarts, li spediva dal preside.
Il preside Makarov era un nonnetto che non arrivava al ginocchio di suo nipote, e fece ai tre ragazzi un discorso sull’unità, sulla famiglia e sulla fratellanza che spinse Gajeel a credere che in quella scuola le cose potessero migliorare.
Quando uscì dall’ufficio, però, Jet e Droy, così si chiamavano i suoi compagni, si trattennero a stento dall’afferrarlo per la camicia e sbatterlo contro il muro. Solo una cosa li bloccò: la presenza di Levy.
Gajeel fissò la ragazza che aveva brutalmente picchiato senza mutare espressione, mentre lei sgranava gli occhi e lasciava cadere i libri che aveva in mano, destinati alla biblioteca. Incapace di parlare, scappò via da dov’era venuta, inseguita dai suoi amici che insultarono Gajeel con un odio che rese le loro parole più pesanti di quanto avrebbero dovuto essere.
Quella sera, a casa sua, Gajeel si chiese se nella vita avrebbe mai potuto trovare un po’ di pace.
O un po’ di amore.
Ma forse pace e amore sono il riflesso l’una dell’altro, inseparabili e troppo arduamente cercate dall’animo umano.
 
Tre settimane dopo Jet e Droy, insieme a Laxus, pareggiarono i conti con Gajeel.
Lo attesero fuori dalla palestra con i loro intenti stampati in fronte, e al ragazzo non rimase altro da fare che gettare a terra le sue borse e sospirare, preparandosi ad incassare silenziosamente.
Dopo tre minuti di quella tortura che lo faceva sanguinare dal naso e dalla bocca, una voce femminile si frappose tra i tre carnefici e il corpo macilento di Gajeel, che alzando l’unico occhio ancora indenne vide l’ultima persona che si aspettava di vedere: Levy.
La ragazza era di fronte a lui e gli dava la schiena, le braccia tese e le gambe larghe.
Ridotto com’era, Gajeel si rese improvvisamente conto che se Jet e Droy non l’avessero fermato, quella volta, a quell’ora Levy sarebbe stata probabilmente morta. Per mano sua.
La ragazza li informò che avevano già pareggiato i conti, e disse ai tre compagni di sparire, perché la vendetta non era nobile e non poteva perdonarla nemmeno a loro.
Quando si chinò per aiutare Gajeel, lui la scacciò per evitare che vedesse le lacrime nei suoi occhi, e si diresse a casa zoppicando, sotto lo sguardo ingiustificatamente preoccupato di Levy.
 
Gajeel, come previsto, entrò senza problemi nella squadra, formata da dieci membri che doveva ancora imparare a conoscere: Natsu, Gray, Elfman, Laxus, Bixlow, Freed, Jet, Droy, Gerard e lui.
Tutti e nove i membri della squadra erano amici di vecchia data e conoscevano Levy da quando erano bambini. Inutile dire che il trattamento che riservarono a Gajeel fu tutto fuorché caloroso. Purtroppo per loro, Gajeel era uno dei più validi giocatori di basket della squadra, e il preside e Gildarts non facevano altro che sgridarli per la mancanza di collaborazione con lui. Che gli piacesse o no, erano un gruppo, una famiglia, e la scuola non avrebbe partecipato a nessuna competizione fintantoché non avesse avuto una vera basket league a sua disposizione.
Incredibile ma vero, le cose migliorarono quando venne selezionata la squadra della cheerleader. Per ironia della sorte, le ragazze pon-pon erano quasi tutte fidanzate con un membro della squadra di basket. Tutti tranne una.
Erza, la temibile rappresentante d’istituto che aveva sempre a disposizione uno sguardo gelido per Gajeel, stava con Gerard. Mirajane e Lisanna, sorelle di Elfman, stavano con Laxus e Bixlow, che erano grandi amici di Evergreen, la fidanzata dello stesso Elfman. Gray era stato apertamente dichiarato proprietà di Juvia, mentre Natsu, cosa che nessuno si spiegava, stava con Lucy.
Restava fuori Levy, che veniva contesa da anni da Jet e Droy, ma non era mai stata interessata a nessuno dei due.
Per obbligo imposto dal preside i membri della squadra dovevano pranzare insieme e Gajeel, sebbene rispettasse quell’ordine per non incorrere nelle conseguenze, sentiva sempre la fame abbandonarlo nel momento in cui i suoi compagni si zittivano quando lo vedevano, per poi ricominciare a mangiare e ignorarlo.
Un giorno le ragazze entrarono urlando e ridendo nella sala mensa, inducendo tutti a girarsi, baskettisti compresi.
- Indovinate chi sono le nuove cheerleader? – esultò Mirajane, gettandosi su Laxus.
- Come se ci fossero dei dubbi – dichiarò Jet, ridendo e complimentandosi con Levy. Nel giro di un minuto ogni ragazza aveva preso posto sulle gambe del proprio fidanzato.
Restava fuori solo Levy, che dissimulava il disagio con un sorriso caldo. Jet e Droy le fecero segno di accomodarsi su di loro, ma lei rifiutò gentilmente e Gajeel la osservò con curiosità. Distolse lo sguardo solo quando i loro occhi si incontrarono, e Levy si affrettò ad abbassare il suo.
Gajeel si schiarì la voce e si alzò: - Se vuoi puoi sederti qui, io vado a ripassare per dopo.
La tavolata ammutolì e lo osservò in silenzio.
- Oh… grazie – mormorò Levy, presa in contropiede.
Jet fece una smorfia e Droy le indicò il posto, senza badare a Gajeel.
Buttando via il vassoio ancora pieno di cibo, Gajeel uscì dalla mensa senza sapere che due occhi ambrati lo avevano seguito fino a che la sua schiena non era più stata visibile.
 
Le cose migliorarono lentamente, davvero lentamente, ma nel giro di qualche settimana Gajeel venne considerato, anche se non un amico, per lo meno un compagno di squadra.
Il giorno dopo aver lasciato il posto a tavola a Levy, si verificò la stessa situazione. I tavoli della mensa erano già stretti per dieci ragazzi dotati di spalle da nuotatori, se poi si aggiungevano sei ragazze fin troppo formose la temperatura iniziava a salire.
Quel giorno Gajeel aveva fame, e non avrebbe rinunciato al suo posto per nulla al mondo, però lo sguardo velatamente triste di Levy, accucciata per terra dall’altra parte del tavolo, lo metteva a disagio.
La ragazza, sentendosi osservata, volse gli occhi verso di lui, e anziché fuggire dalle sue iridi calde color cioccolato, Gajeel le fece cenno con la testa di sedersi accanto a lui.
Levy si dimostrò stupita di quell’invito, ma quando vide che Gajeel si stringeva a Laxus per lasciarle un po’ di spazio, si mosse lentamente verso di lui, seguita dagli sguardi perplessi di tutti gli altri.
Gajeel sentì la gola seccarsi quando la ragazza si sedette accanto a lui, rivolgendogli un sorriso grato ma teso, e notò che comunque Levy stava il più possibile staccata da lui.
Era dura, ma almeno era un inizio.
Con il passare dei giorni l’affetto di Juvia verso il suo amico Gajeel fece scoprire ai membri della squadra che il ragazzo aveva anche un senso dell’umorismo non indifferente, sebbene più tendente al sarcasmo tagliente che alla simpatia. Le interazioni con loro cominciarono ad essere più frequenti e Levy iniziò a rilassarsi vicino a lui, riducendo la distanza tra i loro corpi. Ormai, quando vedeva arrivare le ragazze, Gajeel faceva automaticamente posto sul bordo della panchina, e Levy si sedeva senza nemmeno chiedere.
Dopo quattro mesi dall’inizio del college, durante le vacanze di natale, Gajeel invitò tutti a casa propria per capodanno.
Non aveva mai festeggiato capodanno in compagnia, se non con Lily.
Pensava che avrebbero rifiutato tutti quanti, cercando scuse improbabili che gli avrebbero solo confermato che non sarebbe mai stato uno di loro.
Invece, contro ogni aspettativa, non solo la squadra reputò quella di Gajeel una buonissima idea, ma addirittura si organizzò per dormire da lui, con sacchi a pelo e materassi gonfiabili che il ragazzo non sapeva nemmeno esistessero.
Fu un capodanno memorabile, e per la prima volta in vita sua Gajeel non si sentì solo. Non si sentì respinto. E nemmeno sfruttato, perché i ragazzi e le ragazze erano totalmente disinteressati alla sua condizione economica, anche se si dimostrarono stupiti di casa sua all’inizio. Qualcosa gli suggerì che, se anche fosse vissuto in un condominio scalcagnato, i suoi compagni non avrebbero fiatato.
Dopo capodanno Gajeel cominciò ad essere invitato frequentemente ad uscire con loro, e anche se Jet e Droy erano ancora un po’ freddi nei suoi confronti, Levy li spronò a dimenticare il passato e Laxus si scusò, a modo suo, per ciò che gli aveva fatto.
 
Gajeel era soddisfatto della sua vita, per una volta. Si rese conto di non aver mai desiderato, in fondo, l’approvazione di sua mamma, ma solo l’approvazione di qualcuno.
Anche se lui non lo sapeva, nel giro di poco tempo avrebbe trovato molto più di quello.
Infatti, sebbene i suoi crediti sportivi fossero ineccepibili, la media di voti delle altre materie faceva venire i brividi e dopo pochi mesi dall’inizio della scuola il preside Makarov gli disse che, purtroppo, se avesse voluto continuare a giocare a basket avrebbe dovuto prendere almeno C in tutte le materie. La sua media oscillava tra la D e la F. E il Fairy Tail College non avrebbe venduto i voti a nessuno, al contrario della sua precedente scuola.
- Ma non possono buttarti fuori dalla squadra! – protestò Bixlow quando, a pranzo, Gajeel disse che rischiava l’estromissione a causa dei suoi voti.
- Possono eccome, invece. E io non ho idea di come fare per tirare su i miei voti.
Mirajane, meditabonda, lasciò cadere lo sguardo su Levy, che aveva chinato la testa e fissava con molto interesse il suo vassoio vuoto.
- Levy è una secchiona – rivelò affettuosamente, lasciando cadere il commento che nel silenzio innaturale della tavolata pesava quanto un macigno. – Oltre ad essere brava a capire, è brava a spiegare. Potresti farti dare lezioni da lei – suggerì, mentre Lucy le pizzicava un fianco per intimarle di non esagerare.
Avendo perso due anni, Gajeel era uno dei più grandi, eppure era al primo anno.
Levy deglutì e annuì lentamente, mentre Jet e Droy si irrigidivano. – Si può fare. Del resto, la squadra ha bisogno di te. Se per te va bene.
Gajeel assentì senza nemmeno pensarci, e quando Levy lo guardò sorridendo timidamente, lui si chiese quando, esattamente, la ragazza avesse smesso di fuggire il suo sguardo per iniziare, invece, a cercarlo.
 
Una settimana dopo, Gajeel stava litigando con il forno quando suonò il campanello di casa.
Si tolse le presine dalle mani e il grembiule, disse a Lily di comportarsi bene e diede un’ultima occhiata alla casa splendente, pulita da cima a fondo grazie agli sforzi congiunti della donna delle pulizie e suoi.
Aprì il cancello e la porta d’ingresso, lanciando un’occhiata distratta all’ospite.
Levy si avvicinava a lui con aria tesa, ma i suoi occhi tradivano anche una certa calma da cui Gajeel si sentì rincuorare. Almeno finché non sentì il forno segnalare la fine della cottura.
- Fai come se fossi a casa tua! – urlò prima di fiondarsi in cucina, lasciando Levy sbigottita in mezzo al giardino.
Prudentemente, lei salì le scale che conducevano alla porta e si tolse le scarpe.
- Permesso…
- Vieni, vieni. Scusa, è che rischia di bruciarsi il dolce se lo cuocio un solo minuto più del previsto.
Levy annusò l’aria che sapeva di cioccolata e si chiuse la porta alle spalle. Appese la giacca all’ingresso e si stupì della grandezza e della raffinatezza di quella casa, che cosparsa di materassi e sacchi a pelo era sembrata decisamente più piccola, a capodanno.
Lily le si avvicinò e le si strusciò sulle caviglie impunemente, facendola sorridere. Levy lo prese in braccio e, afferrata la borsa, si diresse in cucina.
- Scusa per l’accoglienza, ma… Lily ci sta provando per caso? – si informò Gajeel.
La ragazza rise e accarezzò il gatto sedendosi con lui al tavolo della cucina, dove il padrone di casa stava finendo di farcire e guarnire una torta al cioccolato.
- Non sapevo che sapessi cucinare – disse lei, lasciando cadere la borsa e notando come il ragazzo armeggiava con quel profumatissimo impasto in modo esperto. La cucina splendeva. Lei, nelle rare volte in cui cucinava, faceva scoppiare l’Armagheddon in casa.
- Diciamo che ho dovuto imparare. Vivere di hamburger e pizza è bello quando hai dodici anni, ma crescendo ti rendi conto che non è il massimo.
- Non cucina tua mamma?
Gajeel evitò accuratamente di rispondere e cominciò a mettere via gli ultimi ingredienti rimasti sul tavolo.
- Vuoi mangiare oppure prima studiamo?
Levy scosse le spalle, lasciando andare Lily. – Come preferisci.
- Allora te ne servo una fetta ora, perché è ripiena di cioccolata fusa ed è buona ancora tiepida.
Cinque fette di dolce dopo, Levy chiarì che, se avesse voluto continuare a prendere ripetizioni da lei, avrebbe dovuto cucinarle ogni settimana una torta come quella.
- Non me ne frega nulla se ingrasso, tanto il ragazzo non ce l’ho e posso mangiare quello che mi pare –concluse, agitando in aria il cucchiaino ancora sporco di cioccolata.
Gajeel ridacchiò e mise nel lavabo i piattini e i cucchiaini, incartandole una grossa fetta di dolce da portare a casa. – Se anche avessi il ragazzo, dubito che si lamenterebbe per il tuo aspetto fisico.
Arrossita, fu il turno di Levy di non rispondere.
Studiarono ininterrottamente per quattro ore, e solo quando Gajeel le chiese se voleva cenare da lui Levy si rese conto che erano le sette.
Scusandosi, raccattò in fretta le sue cose e si preparò ad uscire per tornare di corsa a casa. Gajeel le mise in mano la torta e lei lo ringraziò e gli disse che si sarebbero visti l’indomani a scuola.
Levy tirò la maniglia della porta, ma quella non si aprì.
Girandosi per avvertirlo del problema, si rese conto che era Gajeel stesso a bloccare la porta con una mano, a pochi centimetri da lei.
La ragazza ebbe paura, e lui vide quell’inquietudine riflessa nei suoi occhi color della cioccolata.
Si raffrettò a ritrarsi per tranquillizzarla e strinse i pugni per il nervosismo.
Senza pensare, fissandola per mostrarle la sua sincerità, Gajeel disse: - Scusami, Levy. Avrei dovuto chiederti perdono prima, mesi fa, ma sono un codardo e…
Levy gli mise un dito sulle labbra, zittendolo. – Non importa. Sono fiera di quello che sei adesso. Non parliamone più, va bene?
Gajeel scosse la testa: - No, non è giusto, io volevo dirti che…
- Ho capito che ti dispiace – lo bloccò di nuovo lei, quasi seccata. – Ti perdono. Ci vediamo domani.
Quella notte Gajeel non dormì, agitato all’idea di rivederla il giorno dopo e scoprire la freddezza nei suoi occhi. Scoprire che in realtà, nel profondo della sua anima, non l’avrebbe mai perdonato.
Invece, il giorno dopo Levy lo salutò con più calore del solito, facendo sorridere Mirajane e spiazzando Gajeel.
Mano a mano che il tempo passava e la fine dell’anno scolastico si avvicinava, gli incontri per le ripetizioni raddoppiarono, e Gajeel si trovava sempre a bramare l’arrivo di quei due giorni settimanali in cui poteva avere Levy solo per sé.
Nel giro di poco aveva iniziato ad aprirsi con lei come aveva fatto solo con Lily, che aveva subito passivamente per anni i suoi monologhi-sfogo. Levy gli era entrata dentro ora dopo ora, sorriso dopo sorriso, parola dopo parola e sguardo dolce dopo sguardo dolce. Senza che lui se ne fosse accorto, parlare con lei era diventata una delle poche cose di cui non poteva fare a meno. Di cui non voleva fare a meno.
Con cautela e modi gentili, un pomeriggio in cui si erano messi a studiare sul divano Levy lo aveva inconsciamente spronato a parlare della sua famiglia, scoprendo così che suo padre, l’unica persona che avesse mai amato, l’aveva abbandonato, mentre sua madre si era dimenticata della sua presenza dopo la sua nascita.
Quando Gajeel le rivelò la sua infanzia a spizzichi e bocconi, cercando di non farle capire quanto perso fosse stato, Levy vide il profondo vuoto che albergava nel suo cuore, e che solo l’amicizia con i ragazzi della squadra aveva parzialmente colmato. Comprese quanto fosse stato difficile crescere senza una guida, sentendosi rifiutato da tutti per il proprio aspetto duro o per il carattere irascibile, che in realtà nascondevano semplicemente un profondo bisogno di essere amato e accettato.
Levy non poteva dire di approvare ciò che le aveva fatto, colto dal peggior tentativo della sua vita di essere accolto da quella che ai suoi occhi appariva come una famiglia, ma aveva capito il suo disperato tentativo di appartenere a qualcosa, a qualcuno. Più che rabbia o delusione, la cosa le suscitava una profonda tenerezza.
- Non voglio disseppellire ricordi dolorosi, Gajeel – aveva esordito lei dopo il lungo silenzio che era seguito alla narrazione del ragazzo, che si era vergognato per tutto quello che aveva raccontato. – A volte anche i criminali più incalliti hanno un cuore puro che però non è stato indirizzato nella maniera giusta. Anche i più grandi scienziati sarebbero dei selvaggi se crescessero con le scimmie. Io penso che tu abbia imparato dai tuoi errori, e che alla fine tu abbia trovato qualcuno a cui appartenere.
Gajeel l’aveva fissata senza nascondere il suo stupore di fronte a quella rivelazione.
Qualcuno a cui appartenere… Si stava per caso riferendo a…?
- Insomma, la squadra è un po’ fuori dagli schemi, lo ammetto, ma sono peggio di una chioccia quando qualcuno attacca un loro amico. Hai… hai visto, no, come si sono comportati con te dopo quello che… ehm… era successo con me?
Gajeel si era rabbuiato, non tanto per ciò che Levy gli aveva rammentato, quanto per aver capito chi era il “qualcuno” a cui alludeva.
La morsa di rassegnazione che gli attanagliava il cuore era ormai inequivocabile per lui, così come il nome di quel sentimento che lo spingeva verso Levy con la forza di dieci treni.
Fraintendo la sua espressione, Levy gli aveva accarezzato il braccio, cercando di non far caso ai muscoli che sentiva tendersi sotto alle sue dita, o al calore della sua pelle olivastra. – Non sei cattivo, Gajeel. Non penso che tu lo sia mai stato.
Colto di sorpresa, Gajeel si era voltato verso di lei e l’aveva vista avvicinarsi prudentemente, fino a posargli un leggero bacio sulla guancia.
Poi, rossa come la fascetta che quel giorno aveva indossato per agghindarsi i capelli, si era alzata, aveva preso le sue cose, lo aveva salutato ed era uscita, mentre lui era rimasto immobile ad evocare il breve istante in cui le sue labbra avevano sfiorato la sua guancia ruvida.
Quella sera si era reso conto di quanto silenziosa e vuota fosse quella casa senza la presenza gioiosa e luminosa di Levy a rischiararla e farla sembrare la villa dei sogni proibiti di ognuno di noi. Senza lei, era solo un edificio ammobiliato lussuosamente e triste, infinitamente triste e vuoto.
Gajeel sapeva che era sbagliato desiderare la compagnia della ragazza, innamorarsene; sapeva che si stava illudendo e che prima o poi lei avrebbe trovato qualcuno che l’avrebbe amata e resa felice. Pensava che fosse il giusto prezzo da pagare per ottenere il perdono dei suoi errori, non intralciare le sue scelte romantiche, anche se gli avrebbero fatto più male dell’apatia di sua mamma.
Il perdono invece arrivò sotto altre spoglie.
 
Verso fine aprile la squadra di basket e le cheerleader, ovviamente, andarono a fare una gita in montagna, completa di campeggio notturno tra sabato e domenica.
Partirono dopo mezzogiorno, in seguito ad un lauto e gratificante pasto a casa di Gajeel, e nel giro di quattro ore i ragazzi più Erza arrivarono allo spiazzo erboso protetto da fitti alberi in cui si sarebbero accampati. Il posto era rinomato per essere il rifugio preferito dei campeggiatori, e infatti, anche se incolto e selvaggio, nella radura erano chiaramente identificabili le griglie per il barbecue e i ciottoli rocciosi e anneriti dalla cenere per i falò.
Quel weekend erano soli, essendo il clima ancora troppo freddo per gli altri turisti.
Le ragazze impiegarono cinque ore a raggiungere i ragazzi, a parte Erza che era arrivata prima degli altri e si era messa ad impartire ordini a Gerard e agli altri sul montaggio delle tende, e Juvia, che si era appiccicata a Gray, indifferente al dolore che la sua andatura sostenuta le provocava. Arrivata nello spiazzo, infatti, era crollata.
Gajeel, per tutta l’ora in cui erano rimasti separati dalle ragazze, aveva continuato a buttare l’occhio verso la fine del sentiero, preoccupato per il tempo impiegato da Levy a raggiungerli.
Quando vide arrivare Mirajane e Lisanna, insieme ad Elfman che portava Evergreen in braccio perché era da uomo aiutare la propria fidanzata, provò un sollievo momentaneo che crollò immediatamente: Lucy e Levy ancora non si vedevano.
Accertatosi di non essere visto, corse verso il sentiero e rifece a ritroso tutto il percorso dell’andata finché, dieci minuti dopo, quando ormai iniziava a temere il peggio, sentì la risata di Levy, inconfondibile, provenire dalla curva che aveva di fronte.
Lei e Lucy sbucarono dall’angolo con le mani cariche di more selvatiche e fragoline di montagna, bloccandosi alla vista di Gajeel.
- Ah, sei tu! Cosa ci fai qui? – chiese Lucy, riacquistando il sorriso che aveva perso credendo che Gajeel fosse un orso.
Levy ridacchiò e allungò la mano aperta, invitandolo a prendere un po’ di frutti di bosco.
Gajeel grugnì e lanciò loro un’occhiataccia, ignorando l’offerta di Levy. Invece, andò alle spalle delle ragazze e fregò loro gli zaini, mettendosene uno in spalla e tenendo l’altro in mano. – Pensavo che un orso vi avesse mangiato – borbottò, infastidito, incamminandosi verso gli altri campeggiatori. – Sarebbe stato irritante dovervi seppellire.
Levy sorrise alle sue spalle, conscia del fatto che quello era il metodo alternativo di Gajeel per dire di essere preoccupato. Lucy le diede alcune pacche con il gomito e le strizzò l’occhio, prima di affrettarsi dietro Gajeel.
- Che premuroso che sei – disse con aria civettuola, facendo ridacchiare Levy. – Un ragazzo d’oro. Natsu non si è nemmeno accorto che manco, probabilmente.
Gajeel scrollò le spalle, disinteressato. – Sei tu che ti sei innamorata di lui. Problema tuo.
Lucy sorrise. – E tu? Di chi ti sei innamorato per venire a salvarci?
Levy la guardò ad occhi sgranati, intimandole di tacere.
Gajeel, invece, la ignorò, nascondendo il rossore che gli si era appena formato sulle guance. – Sono innamorato della pace di questo luogo, che verrebbe sicuramente calpestata se un lupo venisse a sbranarvi e voi vi comportaste da femminucce urlanti.
Lucy sbuffò, mentre Levy iniziò a preoccuparsi seriamente. – Davvero ci sono lupi e orsi?
Gajeel le lanciò una rapida occhiata da sopra la spalla: - Quanti libri hai messo nello zaino?
Levy aggrottò la fronte, confusa. – Cosa c’entra questo con…?
- Rispondi.
- Tre. Uno lo sto finendo e sono indecisa su quale cominciare, quindi ne ho portati due.
Lucy sorrise dell’amica, mentre Gajeel mugugnò improperi. – Tsk, porta via tre libri e non legge nemmeno i cartelli che spiegano che siamo in una riserva naturale con animali allo stato brado.
Lucy e Levy si scambiarono un’occhiata terrorizzata prima di scappare, incuranti della ripida salita, verso il luogo in cui i loro amici stavano allestendo il campo.
Sparite dalla sua visuale, Gajeel sbuffò: - Tanto se vengo mangiato io si preoccupano più della fine che fanno i loro zaini.
 
La sera, esausti, si radunarono accanto al mega falò che Natsu aveva acceso senza difficoltà, arrostendo marshmallow con pezzi di cioccolato incastrati. Erza stava girando mezzo bosco alla ricerca delle fragoline selvatiche che Lucy e Levy le avevano fatto assaggiare, armata di una torcia e di uno sguardo deciso che avrebbe terrorizzato anche un branco di lupi a digiuno.
Le tende erano state erette attorno al falò per proteggersi dagli animali liberi, di cui tutti erano venuti a conoscenza quando Lucy e Levy erano arrivate al campo ansimanti e spaventate, dicendo che sarebbero state sicuramente mangiate da un lupo. Quando Gajeel era arrivato alla fine del sentiero e aveva lasciato cadere a terra gli zaini delle due ragazze, era stato assalito dall’intera squadra di basket che chiedeva conferma alle sue parole.
- Ma leggere i cartelli mai, voi? – aveva borbottato.
I ragazzi avevano montato le tende, ognuno per sé e la propria ragazza, e Levy aveva timidamente chiesto aiuto a Gajeel per la sua, visto che Jet e Droy faticavano non poco con la loro. Il ragazzo, lusingato, aveva colto la palla al balzo, per rendersi conto troppo tardi del fatto che, per Levy, il “mi aiuti” consisteva nel “tu monti, io leggo”.
Lucy era l’unica che, piangendo e lanciando parolacce ai quattro venti, aveva montato la sua tenda da sola, dato che Natsu aveva perso tempo a cercare Happy, il suo gatto, per tutto il bosco. Per fortuna Gajeel aveva saggiamente declinato l’offerta dell’amico di portare anche Lily.
Quando fu ora di andare a dormire, in concomitanza con il primo ululato alla luna perpetrato da un vero lupo, in lontananza, Gajeel si rese conto di una cosa: erano in numero dispari. Dieci giocatori di basket e sette ragazze pon-pon, di cui sei di loro fidanzate con altrettanti membri della squadra.
Restavano fuori Jet e Droy, che avrebbero spartito una tenda, lui e Freed, che ne avrebbero divisa un’altra, e… Levy.
Gajeel poté leggere chiaramente il terrore nei suoi occhi quando, ad un rumore sospetto proveniente dal bosco, le ragazze si rifugiarono nella tenda, protette dai loro ragazzi, mentre Levy restava davanti al fuoco a torcersi le mani.
Gajeel fu l’ultimo ad andare a coricarsi, dopo aver verificato che il fuoco fosse sotto controllo. All’interno della tenda sentiva già Freed dormire placidamente, e il richiamo del sonno era forte anche per lui, ma non poteva evitare di pensare a Levy. Le loro tende erano una di fronte all’altra e quella della ragazza era illuminata dalla torcia che, ne era certo, stava usando per leggere.
Sospirando, Gajeel tirò giù la lampo della tenda della ragazza e la sentì esclamare il suo terrore.
- Mi hai fatto paura, sciocco! – lo assalì quando poté mettere a fuoco il suo viso.
Era accovacciata a quattro zampe sopra il suo sacco a pelo, con la torcia incastrata nella scollatura della maglia e i capelli sciolti che le invadevano il volto.
- Scusa – mormorò lui, cercando di distogliere lo sguardo dal punto in cui sbucava la torcia. Immagine troppo, troppo suggestiva. – Non dormi?
- Se leggo mi distraggo, invece se spengo la torcia e provo a dormire comincerò a sentire un sacco di strani rumori che mi terranno sveglia tutta la notte. Quindi, piuttosto di angosciarmi al buio, preferisco passare la notte leggendo e recuperare il sonno domani, quando saremo tornati.
Gajeel la fissò in silenzio e lei gli restituì lo sguardo senza imbarazzo. – Be’, sai, magari i rumori molesti in realtà sono i tuoi amici che… - azzardò schiarendosi la voce, cercando di farle intendere con gli occhi cosa mai avrebbero potuto fare i loro amici in tenda con le proprie ragazze.
Levy, capendo, lo guardò trucemente: - Gray e Natsu dormono, Mirajane ed Ever non riescono nemmeno a muoversi in tenda con Laxus ed Elfman, Lisanna si è addormentata durante il falò. L’unica che potrebbe fare qualcosa è Erza, ma non in questo periodo del mese.
Gajeel storse il naso, facendola ridacchiare.
- Allora, piccoletta, hai fatto bene a portare tre libri.
Levy gli sorrise dolcemente, sciogliendogli il cuore, e Gajeel si allontanò senza il coraggio di darle la buonanotte.
La ragazza sospirò e tornò al suo libro, rassegnata all’idea di passare la notte in bianco.
Quando, quasi un’ora dopo, le palpebre le diventarono pesanti come tapparelle di piombo, Levy si rilassò pensando di riuscire a dormire pacificamente, e spense la torcia.
Due minuti e cinque strani rumori dopo, la riaccese e sbuffò così forte che avrebbe potuto svegliare anche Natsu da uno dei suoi pisolini che seguivano il Natsu vs Food.
Gajeel, che non dormiva, se ne accorse e si sedette nel sacco a pelo, fissando il contorno della figura di Levy che si stagliava nella luce che illuminava la sua tenda. Poteva udirla borbottare e muoversi, arrabbiata.
Sorridendo, prese il suo cuscino e uscì silenzio dalla tenda, chiudendosela alle spalle. Il concerto di russamenti dei suoi compagni era quasi ricattabile, e il fracasso era un’assicurazione del fatto che nessuno, né orso affamato né lupo incattivito, si sarebbe mai avvicinato a quel frastuono.
Levy cacciò un urlo quando Gajeel tirò giù la zip della sua tenda ed entrò sinuosamente, tappandole la bocca affinché il suo grido non svegliasse tutti.
- Tu sei proprio un idiota! – sibilò, quando il ragazzo le lasciò libera la bocca.
Gajeel ridacchiò e, in canottiera e pantaloni della tuta, stese il suo sacco a pelo nel piccolo ambiente, prima di fronteggiare Levy.
- Cosa pensi di fare? – indagò lei, perplessa.
- Tu non vuoi dormire, ma io sì. E Freed russa più di Natsu e Gray messi insieme.
Levy socchiuse gli occhi. – Freed?!
- Mh-mh – assentì lui, infilandosi nel sacco a pelo. – Quindi dormo qui. Buonanotte.
Detto ciò, le diede le spalle e si tirò il sacco fin sopra la testa.
Levy rimase immobile alcuni istanti, cercando di capire cosa fosse appena successo.
Freed non russava. Ne era certa. Gajeel, infatti, non sapeva che quella di campeggiare era una tradizione annuale dei ragazzi della squadra e che lei e Freed dormivano sempre nella stessa tenda per risparmiare spazio e peso.
In diversi anni di campeggio, Freed non aveva emesso un suono durante la notte.
- Comunque puoi dormire ora, se vuoi. Gli animali selvaggi saranno più interessati a me che ad uno stuzzicadenti come te.
Levy gli tirò un calcio e si rifugiò nel suo sacco a pelo per poi spegnere la torcia.
Sperava che Gajeel, nel buio, non intuisse il suo sorriso.
Andare a dormire nella sua tenda perché Freed russava… pff certo.
Le scappò una risatina e sentì Gajeel girarsi verso di lei. – Che cavolo ridi?
- Non sto ridendo, ho freddo – rispose lei, piccata.
- Hai freddo e allora ridi?
- Fatti i fatti tuoi.
Gajeel restò in silenzio, meditando. Quello che stava per proporre era non solo un azzardo, ma un suicidio, e fu costretto a respirare profondamente prima di aprire bocca.
- Potresti… -  esordì Levy.
- Se vuoi… - propose lui.
Si bloccarono entrambi quando sentirono l’altro parlare.
- Prima le signore – la incitò lui.
- Prima tu, sei nella mia tenda e decido io – lo rimbeccò lei, divertita.
Gajeel si schiarì la voce e sussurrò: - Se non pensi male e se non ti fa… cioè, se vuoi possiamo dividere un sacco a pelo. Ma non pensare male! – ripeté, agitato.
Levy ridacchiò. – Non è una cattiva idea, utilizzarti come stufa mi farà sentire meno freddo.
I due tacquero per un po’, finché Gajeel sbuffò. Stava morendo d’ansia. – Ti muovi a venire qui?
- Non vieni tu qui? – chiese Levy.
- Sai, piccoletta, sono il doppio di te, forse il mio sacco a pelo è leggermente più grande del tuo lombrichetto.
Ignorando l’acidità delle sue parole, Levy uscì dal sacco a pelo indossando dei pantaloni larghi e felpati di due tagli più grandi, davvero, davvero sexy, una maglia a maniche corte, una felpa e i calzini di lana.
- Porca miseria Levy, probabilmente tieni più caldo tu che i nostri due sacchi a pelo uniti! Come fai ad avere freddo? – chiese Gajeel, stupito, quando la sentì scivolare accanto a lui e chiudersi la cerniera alle spalle.
Levy gli tirò due o tre calci nel tentativo di girarsi per trovare una posizione, trovandosi infine con il petto premuto contro il fianco di Gajeel, che fissava immobile la cima buia della tenda.
- Ti… ti do fastidio? – mormorò timidamente Levy, cercando di allontanarsi da lui per lasciargli più spazio.
Nascosto nella tenebra della tenda, il coraggio di Gajeel si fece sentire, e il suo braccio partì per circondarle la vita. – No – rispose, laconico, premendosela contro, la voce tanto rude quanto il gesto era gentile.
Levy sorrise e scosse la testa, cercando una posizione comoda sul suolo duro della tenda.
- Aspetta – sussurrò Gajeel, girandosi come lei sul fianco e passandole il braccio sotto la testa, per farle da cuscino.
- Ma è morbido! – esclamò pacatamente lei, consapevole di quanto i loro corpi fossero appiccicati in quella posizione.
Gajeel ridacchiò. – Il mio braccio è fatto di carne, ovvio che è morbido. Pensavi fosse duro?
Levy si schiarì la voce: - Be’, ehm, sì. È… molto muscoloso, quindi…
Ancora, Gajeel soffocò una risata spontanea, una di quelle di cui solo Levy conosceva l’esistenza, e che riservava a lei nelle giornate di studio in casa sua.
- Non prendermi in giro e dormi. Sei venuto qui per dormire, no? – lo rimbrottò, divertita.
- Sissignora.
Gajeel allungò le gambe, intrecciandole alle sue, avvicinandosi a lei di conseguenza. I loro petti si sfioravano e, se Levy non fosse arrivata all’altezza del suo torace, probabilmente anche i loro visi sarebbero distati solo pochi millimetri.
- Ehi! – lo sgridò, sentendolo muoversi contro di lei.
- Non hai detto di avere freddo? Le tue gambe a contatto con le mie si scaldano prima. Anzi, tecnicamente quando si rischia l’ipotermia bisognerebbe spogliarsi per ricevere calore da un altro corpo umano.
Levy gli tirò un pugno leggero sul petto, prima di riportare la mano sotto il suo viso. – Non avevi detto di non avere cattive intenzioni?
- Infatti non ne ho, cerco solo di preservarti da un raffreddore.
Levy ridacchiò e si accoccolò contro di lui, sospirando. – Buonanotte, Gajeel – augurò, girando la testa per posargli un bacio sul braccio.
Dopo alcuni istanti di silenzio, il ragazzo propose: - Comunque noi tecnicamente potremmo fare quello che i tuoi amici prima non hanno fatto, no? Anche quello è un buon metodo per scaldarsi.
Quando Levy non rispose, Gajeel si schiarì la voce. – Tecnicamente, si suda anche. Sempre per scaldarti, sai. Non per altro.
- Sto dormendo.
La risata di Gajeel fu l’ultimo rumore molesto che quella notte si udì nella radura del bosco.
E lo sconcerto della squadra di basket e delle cheerleader nel vedere Levy e Gajeel uscire dalla stessa tenda, la mattina, fu il primo rumore che si sentì nel raggio di tutto il bosco.
 
Da quel momento in poi la relazione di Gajeel e Levy… planò verso le acque dell’eterno dubbio.
Le ripetizioni che Levy gli dava vertevano sempre di meno sulle materie scolastiche e sempre di più su… loro due. I contatti che si scambiavano iniziarono a diventare calcolati e ben misurati. Non si sfioravano erroneamente, quando erano a casa di Gajeel o quando erano seduti vicini in mensa. Mai per sbaglio, sempre in modo oculato, per tastare il terreno o vedere la reazione dell’altro. Lo stesso valeva per gli sguardi che si scambiavano, ai quali nessuno dei due si sottraeva nel momento in cui una beccava l’altro a fissarla, e viceversa.
A parte uno spiacevole incidente in palestra, però, durante il quale Gajeel salvò Levy da una caduta fatale dalla piramide umana di cui lei era la cuspide, prendendola in braccio, non ci furono contatti intensi e stretti come quelli della notte del campeggio.
Almeno, fino all’arrivo della fine della scuola.
Il ballo di primavera, che si teneva una settimana prima della chiusura estiva, elettrizzò tutti, e per giorni al tavolo della squadra di basket non si parlò d’altro.
Le ragazze discutevano dei vestiti che avrebbero indossato e i ragazzi pensavano a cosa fare nel dopo serata, meditando se trovarsi a casa di qualcuno di loro o stare soli con le proprie fidanzate.
Jet e Droy erano alla sfrenata ricerca di una ragazza per il ballo, dopo aver ricevuto l’ennesimo rifiuto di Levy, onde evitare di dover ballare tra di loro come durante gli anni del liceo. Sarebbe stato imbarazzante.
Freed non poteva andare per impegni personali.
Gli unici che rimanevano erano Levy e…
- Gajeel, con chi vai al ballo? – indagò Mirajane a pranzo, distogliendo il ragazzo dai suoi pensieri molto coerenti che avevano come filo conduttore il tema “metodi per invitare Levy al ballo in modo originale”.
Quindici paia di occhi si fissarono su di lui con curiosità, di cui uno, ambrato, molto insistente.
- Ehm…
- Ci vai, no? – lo incalzò Mira, gentilmente.
- S…ì.
- Con chi?
- Con… ehm… una ragazza.
Quattordici paia di occhi si spalancarono mentre uno, ambrato, si abbassò a fissare con interesse il proprio vassoio.
Gajeel, nel panico, lo notò, senza però sapere come reagire.
- Oh – rispose Mirajane, delusa, dando silenziosamente voce alla domanda che tutti si stavano ponendo. Non andava con Levy?!
- E tu, Levy? – domandò allora Lucy, sperando di non aver sparato sulla croce verde.
- Io? Ah, certo, io. Io non… so se andrò – rivelò, schiarendosi poi la voce.
- Perché?! – esclamò Lucy, stupita. – Ti hanno invitata in nove! Hai rifiutato tutti?
- Otto, non nove – la corresse Levy, depressa. – E sì, ho rifiutato l’invito di tutti.
- Come mai? – domandò Mirajane, sporgendosi da davanti per mettere una mano sulla sua.
- Credo che non valga la pena di andare al ballo con qualcuno che non sia la persona che vorresti ti accompagnasse. Preferisco stare a casa che andare in compagnia di un ragazzo che per tutta la serata mi farà pensare ad un altro.
- Quindi tu sai con chi vorresti andare? – chiese Gajeel, facendole alzare lo sguardo.
Levy lo fissò cercando di parlargli con gli occhi, domandandogli perché non l’avesse invitata e chi era la ragazza che avrebbe portato al posto suo. Chiedendogli perché l’aveva illusa se alla fine, nei suoi confronti, non provava altro che un gran senso di colpa che avrebbe comportato solo un’amicizia superficiale.
Friendzonata indirettamente. Prima del ballo. Be’, meglio che essere friendzonata dopo.
- Ovvio che so con chi vorrei andare – borbottò Levy, giocando con l’insalata.
- E non vai con lui… perché? – la spronò.
Levy scosse la testa e si alzò, prendendo il vassoio. – Perché va con un’altra.
Detto ciò si dileguò, lasciando un posto in più a tavola e un vuoto nel cuore di uno dei commensali.
Lucy sospirò. – Gajeel, sei un idiota. Con chi cavolo vai al ballo? Perché non ci vai con Levy?
Il ragazzo sbuffò e ringhiò quando vide che tutti, ragazzi e ragazze, lo stavano fissando trucemente.
- Cosa volete? Vado con chi mi pare al ballo. Anzi, probabilmente non ci vado.
- Ma non hai detto che ci vai con una ragazza? – chiese Mira, perplessa.
- Presumevo che fosse Levy, quella ragazza, ma voi mi avete messo alle strette, cretini! Non potevo invitarla al ballo qui, in mensa! Siete fuori? Persino io so che non è il massimo del romanticismo!
Erza sbuffò, sconsolata, e Lucy si mise le mani tra i capelli. – Che casino! Ora alzati e vai ad invitarla!
- No! – sbottò Gajeel, battendo con rabbia un pugno sul tavolo. – Avete fatto abbastanza, grazie, mi arrangio come voglio io.
Detto ciò, si alzò e se ne andò, cercando di ripercorrere i passi della ragazza di cui si era perdutamente innamorato.
Purtroppo, Gajeel non la trovò, e dovette aspettare il pomeriggio per vederla e spiegarle la situazione.
Se solo avesse cercato nel bagno delle ragazze, avrebbe trovato Levy in lacrime, con il cuore che affogava mentre lei tirava lo sciacquone sulla possibilità di avere una storia con Gajeel.
 
Il pomeriggio, invece, Levy non si presentò a casa del ragazzo. Gli inviò un messaggio un’oretta prima del loro incontro, informandolo che a causa di problemi di forza maggiore non avrebbe potuto aiutarlo con lo studio né quella settimana, né quella dopo.
Mancava una settimana e mezza al ballo.
Per tutti i giorni che separarono Gajeel da quell’evento che riempiva gli studenti d’entusiasmo, Levy fu sfuggente e inavvicinabile. A pranzo non si vedeva, adducendo la scusa che per la fine della scuola voleva portare al massimo i voti delle materie in cui ancora non eccelleva (materie inesistenti a detta di Lucy), agli allenamenti arrivava sempre allo scoccare dell’ora, a pelo, invece che con largo anticipo, e se ne andava via un minuto prima della fine, senza salutare nessuno ed evitando di incrociare lo sguardo degli altri. Quando vedeva Gajeel da lontano, nelle pause, si rifugiava in bagno, e rispondeva ai suoi messaggi solo a notte fonda, scusandosi per la sua assenza con la giustificazione dello studio assiduo.
Gajeel non riuscì a contattarla fino alla notte del ballo scolastico.
 
Erano le sette del sabato sera del ballo e le giornate avevano cominciato ad allungarsi così che il sole ancora non aveva dato la buonanotte al mondo, rischiarando i vestiti scintillanti di tutti i partecipanti alla festa, che sembravano tante piccole stelle sfavillanti negli abiti brillantinati e lucidi.
Alle otto Erza comunicò a Gajeel che Levy non c’era, e lo stesso fecero Mirajane e Lucy, a distanza di pochi minuti.
Il ragazzo sbuffò e gettò il cellulare sul divano, buttandosi sopra di esso pochi istanti dopo, con la faccia premuta nel cuscino.
Lily gli si arrampicò sulla schiena e pensò bene di rifarsi le unghie sulla pelle soda dei suoi muscoli trapezoidali, facendolo ridacchiare.
- Me lo merito, vero? Mi merito che tu mi buchi la schiena per essere stato uno stupido con Levy. Non ne faccio mai una giusta con lei. Ora probabilmente è a casa a deprimersi, come me.
Pantherlily affondò le unghie più a fondo, solleticandolo più che infastidendolo. Sembrava quasi che cercasse di fargli notare qualcosa.
- Vado a prenderla. La porto fuori – sbottò dopo poco, alzandosi di scatto e facendo volare via Lily, che atterrò sul pavimento e gli soffiò contro.
- Scusa, mi farò perdonare! – gli disse salendo le scale che conducevano a camera sua.
 
Meno di mezz’ora dopo, stava bussando alla porta di casa di Levy.
Gli aprì la porta la sua sorellina più piccola, Wendy, di cui la ragazza le aveva parlato spesso come di una bambina dolce e premurosa anche se un po’ sbadata. A sua detta, da lei aveva ereditato la poca dotazione pettorale e le maniere pacate, però sperava che non avesse preso da lei anche la fortuna in campo amoroso.
Levy, in quello, non aveva granché fortuna, ma prevedeva che la sua sorellina avrebbe infranto diversi cuori.
- Ciao Gajeel – lo salutò sorridendo la bambina, aprendo la porta per farlo entrare. – Cerchi Levy?
- Ciao piccolina – rispose lui, accarezzandole la testolina, facendola ridacchiare. Levy gli aveva confessato che la sorellina aveva un debole per lui, sebbene l’avesse visto sì e no tre volte. – Sì, cercavo tua sorella, è in casa?
- Vado a chiamartela – esclamò Wendy correndo verso la camera della sorella.
Levy ne uscì due minuti dopo, con gli occhi rossi e confusi e i capelli spettinati. – Cosa ci fai qui? Non dovevi essere al ballo con la tua ragazza?
Wendy lo guardò a bocca aperta, sconvolta, e assisté con interesse alla scena.
- Tecnicamente mi ha dato buca prima ancora che potessi invitarla – rivelò lui, cercando di trattenere l’istinto di fiondarsi su di lei e abbracciarla.
Non pensava che una settimana di astinenza dalle sue parole e dalla sua presenza l’avrebbe reso così smanioso di un contatto. Per fortuna non l’aveva mai baciata e non era andato oltre, altrimenti avrebbe potuto compiere qualche assurda boiata abbastanza grave da farlo internare a vita.
- Mi dispiace, ma non sono qui in veste di valvola di sfogo per stare a sentire te che mi sciorini i problemi con la tua fidanzata! – sbottò lei, stremata.
Gajeel la guardò ghignando tristemente, desiderando che le cose fossero andate in maniera più decente. – Io non sono qui per fare quello che pensi io voglia fare. E non ho la fidanzata. Sono qui per portarti fuori a cena.
Levy strabuzzò gli occhi e si passò una mano sul viso, cercando di appurare la mancanza di lacrime sul suo viso. L’ultima cosa che voleva era piangere davanti a lui, indifferentemente se di rabbia o di sconsolazione.
- A cena? Fuori?
- Sì. Gli altri sono al ballo, noi facciamo qualcosa di più originale. Cambiati – le disse, accennando alla sua tuta da casa, - ti aspetto in macchina.
Levy e Wendy rimasero immobili ad osservare la porta di casa da cui Gajeel era uscito, basite.
- Per me gli piaci – commentò Wendy, asciutta. – E a te piace lui.
- Ma smettila – la sgridò Levy, roteando gli occhi.
Intanto, però, si era già fiondata in camera sua.
 
La serata trascorse tranquillamente, senza battibecchi o scenate d’isteria, e verso le dieci i due stavano passeggiando in un parco del centro città con i fianchi che si sfioravano, dopo un’abbuffata di sushi offerta da Gajeel.
- Mi dispiace che tu non sia potuto andare al ballo – rivelò Levy, cercando di indagare su quella fantomatica ragazza di cui Gajeel non le aveva mai parlato.
Lui scosse le spalle. – Non me n’è mai importato molto, ma so che alla ragazza che volevo invitare sarebbe piaciuto andare – rispose lui, fermandosi in mezzo al ponticello che attraversava un torrente poco profondo ma decisamente largo, contemplando la vista di quell’acqua gorgogliante che, incurante delle difficoltà della vita, seguiva il suo corso senza deviare né fermarsi.
Gajeel desiderò avere quel tipo di sicurezza, ma sapeva che sarebbe stato impossibile ottenerla.
- Quindi lei non va? – chiese lei, appoggiandosi alla balaustra di legno e osservando il cielo stellato, invece del fiumiciattolo vivace.
- No, non è andata.
- Ma l’hai invitata, almeno?
- Non ne ho avuto l’occasione.
Levy si voltò verso di lui, scettica. – Come si fa a non avere l’occasione di invitare qualcuno ad un ballo? Se proprio non potevi farlo di persona, potevi inviarle un messaggio.
Gajeel ridacchiò di fronte alla sua ingenuità. O fingeva di non capire, o lui era tremendamente difficile a farsi capire. – Sai, Levy, mi è difficile parlare con qualcuno che per una settimana e mezza, a scuola, mi evita. Che non si presenta nemmeno ai nostri incontri di ripetizione pomeridiani bisettimanali e che risponde ai miei messaggi quando io sto dormendo, solo per augurarmi la buonanotte.
Levy lo guardò, inespressiva, e poi tornò a fissare il cielo.
Gajeel sbottò: - Ohi, ma hai capito che dovevo invitare te al ballo?!
Levy scoppiò a ridere di fronte alla sua frustrazione, e fece un quarto di giro verso di lui, fronteggiandolo. – Ora sì, prima no, scemo! Come faccio a capirlo se non me lo chiedi o non me lo dici? Avevo il sospetto che volessi invitarmi, ma poi hai detto a tutti che ci andavi con ‘una ragazza’. Cosa dovevo pensare?
- Dovevi pensare che non sono così stupido da dire a tutti che vado al ballo con te quando, primo, non ti ho invitata e, secondo, non so nemmeno se tu vuoi venirci con me!
Levy si raddrizzò e alzò il mento, gonfiando le guance per l’irritazione. Gajeel pensò a quanto fosse tenera e piccola, un pulcino tra le sue braccia. Non era un caso se toccava sempre a lei stare in cima alle piramidi umane delle cheerleader o essere lanciata in qualche evoluzione che gli faceva venire i brividi di paura. – Ovvio che volevo andarci con te! Ho rifiutato apposta tutti quegli inviti che mi erano stati rivolti!
Gajeel le afferrò le mani con delicatezza e le strinse tra le sue, cogliendola di sorpresa. – Io alla fine non sono dispiaciuto di com’è andata la serata, sai? Posso averti qui con me senza la baraonda di corpi e puzza di sudore che ci sarebbe nella palestra della scuola.
Levy sorrise, suo malgrado, e allargò le braccia in una posa inequivocabile. – Mi concedi almeno un ballo? Questo me lo devi.
Gajeel sorrise e le passò una mano dietro la schiena, mentre la sua gli si posava sulla spalla. Poi intrecciarono le dita di quelle libere e cominciarono a muoversi lentamente sulle note di una melodia invisibile che guidava i loro cuori all’unisono.
Poco dopo Gajeel sghignazzò, rompendo l’atmosfera magica in cui Levy si era persa. – Perché ridi?
- Perché sei piccolissima – la prese in giro lui, chinandosi un attimo per sollevarla da terra e danzare con i suoi piedi a parecchi centimetri dal ponte di legno.
- Sei proprio uno stupido! – esclamò lei, infastidita, che però gli passò le braccia attorno al collo e allacciò le gambe alla sua vita.
- Uno stupido per il quale hai preso una cotta, ammettilo – la canzonò lui, incrociando le braccia sotto al suo sedere prima di appoggiarla sul parapetto del ponte, in modo da essere alla stessa altezza.
- No – rispose seriosa lei, scuotendo la testa, facendo vacillare la maschera di sicurezza di Gajeel. – Uno stupido di cui mi sono innamorata.
Sorpreso da quella rivelazione, Gajeel non mosse un muscolo quando Levy avvicinò il viso al suo per posargli un bacio sulla fronte. Quando rientrò in possesso dei suoi nervi e muscoli, incatenò gli occhi ai suoi e vide l’unica cosa che aveva bisogno di vedere in quel momento: l’amore che la ragazza gli prometteva, più potente di qualsiasi perdono lui avesse mai sperato di poter anche solo lontanamente ottenere.
Si chinò lentamente verso di lei, cercando di farle capire con lo sguardo che l’amava alla stessa maniera, se non di più, e ottenne solo impazienza in risposta: impazienza di unire le loro anime in un bacio che sarebbe valso più di mille parole.
Quando le loro labbra già si sfioravano e i loro occhi erano ormai chiusi per concentrarsi su altro, un botto li fece sobbalzare e allontanare, fissando il cielo lì dove la luna era stata coperta da brillanti fuochi d’artificio multicolore.
Levy scoppiò a ridere. – Sai da dove vengono?
Gajeel scosse la testa, rapito.
- Dalla scuola – rise ancora Levy, stringendogli le braccia al collo mentre si sporgeva all’indietro per guardare meglio il cielo. – Natsu ha l’ossessione per i fuochi, ma anche se il preside lo minaccia e gli vieta di avvicinarsi anche solo ai petardi, lui trova sempre il modo di far scoppiare qualcosa. Alla fine noi ci godiamo lo spettacolo artificiale mentre il preside lo rincorre. Non sai quanto veloce è il nonnino.
Gajeel ridacchiò e le passò le braccia attorno alla vita, dandole stabilità affinché non cadesse nel fiume, e restarono a fissare in silenzio le acrobazie dei fuochi d’artificio che si spandevano tra la notte nera e la luna bianca.
Quando tornarono il buio e la quiete, Levy si raddrizzò, sgranchendosi la schiena, e si strinse a Gajeel. – Ora che facciamo?
Lui ghignò e la fece scendere a terra, senza mai mollare la sua mano. – Se ti va, a casa ho preparato la tua torta preferita.
Levy strabuzzò gli occhi e scosse la testa, risoluta. – No, Gajeel no. No. Ho preso tre chili da quando vengo a darti ripetizioni, non voglio più vedere uno dei tuoi dolci.
Lui alzò gli occhi al cielo e si incamminò verso casa, tirandosela dietro. – Ti ricordi cosa ti ho detto la prima volta che hai messo piede in casa mia?
Levy rifletté un attimo, poi azzardò: - Che ti dispiaceva?
Gajeel rinsaldò la stretta sulla sua mano, facendola pentire delle sue parole. – Prima di quello. Tu hai detto che potevi mangiare quello che volevi perché non avevi il ragazzo. Io ti ho risposto che il tuo ragazzo non si sarebbe lamentato comunque del tuo aspetto fisico.
Lei restò zitta, seguendolo con andatura più sostenuta, fino ad arrivare alla macchina di Gajeel. – Ma ho preso tre chili – si lamentò, affranta.
Gajeel sbuffò. – Tre chili non sono nulla e, sinceramente, non me n’ero nemmeno accorto.
- Perché non mi hai guardata bene – lo informò, sentendosi di colpo grassa.
Il ghigno che Gajeel le regalò non la rassicurò per niente, ma la fece rabbrividire in un modo del tutto nuovo. – Fidati che ho guardato meglio di quanto tu creda.
Levy restò a bocca aperta davanti alla macchina, a fissare il punto in cui il suo probabilmente-ragazzo si era chinato per salire in macchina, da dove la stava fissando ridendo.
Alla fine, rossa in volto, salì e mise il broncio, borbottando improperi contro di lui e le sue qualità culinarie.
Mentre correvano verso casa di Gajeel, Levy sorrise guardando fuori dal finestrino, con la mano del ragazzo che le accarezzava la guancia.
Non aveva preso tre chili, aveva solo voluto vedere la sua reazione. Gajeel aveva superato la prova più dura e complessa, che per molti maschi era peggio di un campo di battaglia: non mettere mai bocca sulle quantità di cibo ingerite dalla propria ragazza.
 
Quella notte Levy dormì con Gajeel e la domenica, piovosa, la passarono a letto a chiacchierare, fingere di studiare e bisbigliare romanticherie da innamorati che in altre circostanze avrebbero fatto venire il voltastomaco a Gajeel.
Si baciarono per la prima volta quel sabato notte quando, vestita con una maglia di Gajeel che doveva fungerle da pigiama, Levy si alzò sulle punte dei piedi per dare al suo ragazzo il bacio della buonanotte. Sulle labbra.
Stordito, Gajeel impiegò alcuni minuti per riacquistare l’uso delle gambe e solidificare le sue ossa gelatinose, raggiungendola sotto le coperte. Stremati com’erano, dopo una cena abbondante e una torta da capogiro che non fece altro che stimolare il sonno digestivo, il loro intento era quello di dormire immediatamente. Peccato che Gajeel trovò molto più interessante stringere a sé Levy, incastrare le loro gambe e baciarla come se non ci fosse un domani, fino a rischiare di morire per soffocamento.
Al loro risveglio, Levy aveva le labbra leggermente gonfie, cosa che invitò Gajeel a riprendere da dove si erano interrotti la notte prima.
Lunedì a pranzo, quando la ragazza si presentò in mensa sorridendo, sorprese tutti accomodandosi sulle gambe di Gajeel, come le altre ragazze, invece che sulla panchina dove lui le riservava sempre il posto.
I loro sorrisi furono eloquenti per l’intera tavolata, e Mirajane non fece altro che lanciare loro occhiate compiaciute per diversi giorni.
Gajeel, a cui Levy aveva ormai risvegliato l’ormone, cercava sempre di incastrarla in qualche angolo della scuola, attaccandola al muro e baciandola come se non ci fossero altro che loro, ricevendo in cambio un abbandono e un trasporto di cui non avrebbe mai creduto capace quello scricciolo che stringeva tra le braccia.
Quella di dormire a casa di Gajeel nel weekend divenne quasi un’abitudine alla quale nessuno dei due poteva sottrarsi, e mentre la stabilità del loro rapporto si fortificava, così come la conoscenza delle parti più profonde delle loro anime, la loro unione fisica si spingeva sempre un po’ più in là.
Durante le notti che passavano accoccolati sul divano o a letto, a guardare film, baciarsi o semplicemente godersi l’uno il calore dell’altra, le loro carezze diventarono sempre più audaci e la consapevolezza dei loro corpi iniziò a delinearsi nettamente nei loro gesti.
Gajeel pensava di morire e rinascere durante quei momenti in cui, pelle contro pelle, Levy si disinibiva sempre di più, offrendogli il suo corpo oltre al suo cuore, donandogli lo scrigno che proteggeva la sua anima senza riserve, stringendogli il cuore in una morsa di calore divino che lo induceva a domandarsi cos’avesse fatto di buono nella sua vita dissoluta per meritarsi quell’istante con lei, con quell’angelo che sembrava anelare un suo tocco con la sua stessa intensità.
Una notte estiva, con la finestra del balcone aperta sulla notte e un leggerissimo lenzuolo a coprire i loro corpi seminudi, Gajeel e Levy si stavano fissando negli occhi fregandosene del caldo che i loro corpi a contatto producevano.
- Ti amo, Levy. Non lasciarmi mai – mormorò lui, seppellendo il viso nei suoi capelli mentre, con le lacrime agli occhi, si rendeva conto che la perfezione di quel momento non era eterna, e che Levy sarebbe potuta sparire dalle sue braccia come una bolla di sapone.
Lei si alzò sul gomito e, obbligandolo a guardarla in faccia, gli accarezzò dolcemente la guancia prima di lasciargli un bacio in fronte. – Mai, Gajeel. Ma lo stesso vale per te.
Lui incurvò un poco le labbra in un sorriso triste, fuggendo il suo sguardo. – Se ti lasciassi, dove andrei? Cosa farei, senza una ragione per vivere?
Commossa, Levy lo baciò e lo strinse a sé mentre lui sospirava a più riprese per non lasciarsi andare alle lacrime.
Si addormentarono così, a metà di una ninna nanna interrotta, con i corpi intrecciati e i cuori che battevano all’unisono.
 
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Gajeel prese l’ultimo sorso di birra, scoprendo che la lattina era già vuota, e osservò impassibile Natsu, che dormiva sul tavolo della sua cucina con tanto di bava.
Gray si stava sfregando gli occhi, cercando di restare sveglio nonostante fossero ormai le due di notte e l’alito gli puzzasse di sonno mancato.
Dopo un silenzio troppo lungo da parte di Gajeel, bloccò le mani e lo osservò di sottecchi, con gli occhi rossi: - Hai finito?
Gajeel, troppo stremato ed esasperato per saltargli alla gola, annuì stancamente, alzandosi per pulire i rimasugli delle croste della pizza e le lattine vuote di birra.
- Be’, un gran casino – commentò Gray, lasciandosi scivolare sulla sedia fino a sentire che, se si fosse spostato di un solo centimetro, il sedere sarebbe passato dal sedile al pavimento, svegliandolo in maniera alternativamente brutale.
- Tu dici? – chiese sarcasticamente Gajeel, avvicinandosi al tavolo con una pezza bagnata, per pulirlo.
- Purtroppo sì. E sai perché è un casino?
Gajeel si bloccò, lo fissò con un fuoco quasi spento negli occhi e racimolò ogni briciolo di acidità che gli faceva dolere lo stomaco nella lingua. – Nooo, non so proprio perché è un casino!
Gray ignorò il suo tono amorevole e lo fissò con una sincerità disarmante: - È un casino perché non ha senso la vostra rottura.
Gajeel era indeciso se tirargli la pezza in faccia o fracassargli la testa di pugni.
Era andato da lui, ascoltando per ore la meravigliosa favoletta su lui e Levy in modo tale da aiutarlo, e se ne usciva con un: “È un casino perché non ha senso?”.
- Lo so che è ovvio! – lo precedette lui, notando il suo sconcerto. – Però, anche dal punto di vista di un esterno a cui non è mai fregato un cavolo della vostra storia, è assurdo che vi siate lasciati. Non penso che tu mi abbia raccontato frottole e, basandomi sulle tue parole, nel giro di un anno e mezzo probabilmente sareste stati sposati felicemente con tanti bambini. Persino Natsu ti ha detto che è evidente che Levy ti ama!
- Non lo so più, Gray – mormorò, sconfitto, accasciandosi sulla sedia e prendendosi la testa tra le mani.
- Sì, fidati. Quand’è che ti ha scaricato?
- Domenica sera. È stata con me a pranzo e, anche se era un po’ giù di morale, non mi aspettavo assolutamente una bomba come quella che mi ha scaricato la sera. Prima di cena, oltretutto! Dopo essere stata con me praticamente tutto il giorno, standomi addosso per essere confortata più del solito, mi dice che non ce la fa più e se ne va. Così. Cioè, ma io che diamine capisco da questo?!
Gray sospirò. – Poco, capisci proprio poco. Oggi le hai parlato?
- Mi ha evitato tutto il giorno! Tutto. Il. Giorno!
- Domani beccala. Attaccala al muro e… non so, baciala con la lingua.
- Ma ti pare il modo di risolvere la cosa? Semmai le chiederò perché mi ha mollato, no?
Gray batté diverse volte gli occhi di fronte allo stupore di Gajeel, riflettendo sulla sua proposta. – Be’, sì, puoi fare anche così.
- Mh… - mugugnò l’amico, grattandosi la testa. – E se fingessi che non sia successo nulla? Le vado vicino, la prendo per mano, le sorrido…
- Tu non sorridi mai…
- Per lei potrei fare un’eccezione, no?
- Non credo che tu ne sia capace, ma tentar non nuoce – acconsentì Gray.
- Seh… - riprese lui, irritato. – Comunque, se faccio il finto tonto lei dovrà spiegarmi il motivo per cui non dovrei comportarmi come se fossi il suo ragazzo, no?
Gray annuì con vigore, poi si bloccò e scosse la testa. – A dire il vero sono confuso, sai, sono le due e non capisco più nulla. Ripeto, per me una bella pomiciata con tanto di palpatina innocente risolve sempre tutto.
Gajeel lo sguardò con scetticismo, sospettando che il sonno svegliasse gli istinti più animaleschi di Gray.
- Sinceramente penso che se avessi dato retta ai tuoi consigli, dal primo all’ultimo che mi hai dato, Levy mi avrebbe già lasciato da tempo.
Gray gli lanciò un’occhiataccia, per poi alzarsi facendo strisciare rumorosamente la sedia sul pavimento. – Fai come vuoi, io non mi impiccio più nei tuoi affari visto come ripaghi i miei sforzi di aiutarti. Per sdebitarti ti permetto di ospitarmi qui stanotte, anche perché non se ne parla proprio di tornare a casa ora. Sto morendo di sonno.
Gajeel si alzò a sua volta e annuì. – La domestica ha rifatto questo weekend la stanza degli ospiti, fai come se fossi a casa tua. Ma non c’è nemmeno bisogno di dirlo.
Gray gli lanciò un sorriso un po’ storto, ma quando fece per allontanarsi Gajeel lo bloccò mettendogli una mano sulla spalla. – Grazie, comunque. Per tutto.
Il ragazzo annuì e gli diede una pacca rassicurante alla mano, per poi allontanarsi e salire le sontuose scale illuminate che portavano al piano superiore.
Gajeel sospirò e si stiracchiò, rendendosi conto solo in quel momento della presenza di Natsu, che dormiva con la testa sul tavolo.
Meditò alcuni istanti su cosa fare di lui, e alla fine optò per sistemarlo sul divano. Quando provò a sollevarlo, però, lui grugnì e si lamentò, accasciandosi ancora di più sulla sedia.
- Resta là allora – borbottò, lasciandolo andare e prendendo i gatti al suo posto, con l’intento di portarseli a letto. – Buonanotte.
Natsu gli rispose russando.
 
- Mi spiegate perché mi fa tanto male la schiena? – chiese Natsu il martedì mattina successivo, mettendosi le mani sulla zona lombare e spingendo avanti il bacino, facendolo scrocchiare.
- Non so mica, io ho dormito benissimo – rispose Gajeel, facendo ghignare Gray.
Lui e l’amico si erano svegliati stanchi, ma tutto sommato in buono stato, mentre la faccia di Natsu aveva preso la forma del tavolo. Dopo aver fatto colazione e aver pulito la sua bava, lo avevano caricato in macchina di Gray di peso, ancora addormentato, e il ragazzo lo aveva scaricato nel suo letto, dove lui si era svegliato senza chiedersi come fosse arrivato fin lì.
A distanza di anni, Gray, che lo conosceva da quando erano all’asilo, si stupiva ancora dei suoi comportamenti privi di logica e apparentemente insensati.
Gajeel ridacchiò, ma quando portò lo sguardo davanti a sé si zittì e torno serio: Levy aveva appena salutato Lucy, che era entrata in aula, e si stava dirigendo verso la sua classe.
- Auguratemi buona fortuna – mormorò Gajeel, partendo in quarta verso di lei senza aspettare risposte.
- In bocca al lupo – gli gridò Gray, proprio nel momento in cui una presenza morbida e azzurra gli si attaccava al braccio.
Era arrivata Juvia.
Gajeel rallentò il passo quando fu a pochi passi di distanza da Levy. Prese un respiro profondo, cercò di sorridere anche se lo stomaco gli era finito al posto delle budella, e viceversa, e si preparò a rinascere o morire definitivamente.
- Ehi, Lev! Buongiorno! – esclamò passando un braccio attorno alle spalle della… sua ragazza, conscio del fatto che quello non era affatto il modo in cui la salutava di solito. L’ansia gli giocava brutti scherzi.
Gajeel la vide perdere il sorriso e irrigidirsi, fissarlo brevemente e poi distogliere lo sguardo, agitata.
Cautamente, scosse la spalla per fargli mettere giù il braccio e lui, anche se riluttante, obbedì, posandole però la mano sul fianco.
- Gajeel – lo ammonì lei, fermandosi in mezzo al corridoio.
Lui sospirò, infilò le mani in tasca e si piazzò davanti a lei, chinandosi per essere più vicino al suo viso.
E se avesse provato a fare ciò che Gray gli aveva suggerito? Anche se, tecnicamente, visto che non aveva gradito nemmeno un braccio attorno alle spalle, difficilmente avrebbe preso alla leggera un bacio.
- Che c’è? – la incalzò allora lui, burbero e afflitto.
- Cosa stai facendo?
- Ti sto salutando. Ne ho tutto il diritto dato che sei la mia…
- Amica – lo prevenne lei, incrociando le braccia al petto.
- Ragazza – la corresse lui, infastidito.
- No, Gajeel. Amica e basta.
- Amica non basta. Non sei mia amica, Lev. Lo sai bene.
Lei strizzò gli occhi e parlò senza guardarlo in volto, sussurrandogli: - Non chiamarmi Lev…
Gajeel giurò di aver sentito anche un “ti prego” varcare la soglia delle sue labbra, ma non ebbe il coraggio di chiederle conferma. Lei adorava quando lui abbreviava il suo nome in un modo che nessun altro faceva. Solo lui, solo quando erano insieme, senza gli altri.
- Si può sapere perché non posso nemmeno più toccarti?! – sbottò, infastidito, facendo un passo avanti, costringendola ad indietreggiare.
Levy strinse i libri al petto, come per difendersi, e cercò di assumere un’espressione arrabbiata. – Perché ci siamo mollati, Gajeel. E quindi nessuno dei due ha più il diritto di toccare l’altro.
- No, tesoro, tu hai scaricato me, e senza darmi uno straccio di motivazione – sibilò, stringendo i pugni per evitare di urlare. – Tu mi hai mollato. Tu. Non venirmi a dire che ci siamo mollati, perché questa cosa non è assolutamente condivisa e penso di avere il diritto di scegliere chi deve essere nella mia vita e chi no. Non ho scelto io di non averti più, l’hai scelto tu per me, e non è esattamente come quando ordinavi la cena cinese anche per me. Non è quel genere di scelta che puoi prendere tu da sola.
Levy si guardò le scarpe, incapace di fissarlo negli occhi. – Uno di noi due doveva prenderla questa decisione, Gajeel. L’ho presa io, e un giorno mi ringrazierai. Ora, se permetti, vado in classe.
Fece per sorpassarlo, ma lui l’afferrò per la mano e l’attirò a sé, stringendola in un abbraccio disperato che lei non ricambiò. Attese pazientemente che le sue braccia allentassero la presa su di lei e la liberassero, ricadendogli senza forze lungo i fianchi.
- Non voglio dare spettacolo, Gajeel. A dopo.
La guardò allontanarsi senza nemmeno battere le palpebre, aspettandosi di vederla voltare la testa e fissarlo, sorridergli, corrergli incontro o mandarlo a quel paese. Gli sarebbe andato bene tutto, ma non quel completo disinteresse.
Non quella convinzione nei confronti di una decisione che lo aveva ridotto ad un’ombra di se stesso.




MaxB
*si ripara* Lo so che voelte uccidermi.
Insomma, quale persona sana di mente scrive di Gajeel e Levy che si lasciano? E chi CAVOLO PUO' SOGNARE che si lasciano?
...
Io. E il bello è che nel sogno ci provavo pure con Gajeel AHAHAHAHAAH. Lo so che l'avreste fatto anche voi., pervertite. Poi vi assicuro che mi sono sentita in colpa e me ne sono andata via, lasciandoli a risolvere i loro strani problemi.
Anche Stephenie Meyer ha sognato la storia di Edward e Bella e da lì ha tratto i 4 e passa libri della saga di Twilight eh!! Questa cosa mi ha emozionata.
Ok basta!!!
Volevo solo dirvi che ho cercato di rimediare alla batosta con tanto fluff e che, dal momento che mi piacciono le cose brevi e mi riescono davvero benissimo, le cose brevi (più corte penso che siano, più lunghe diventano), il capitolo è troppo lungo (MA DAI?!), per cui l'ho diviso e nel prossimo, già ultimato e che posterò appena avrò tempo, ci sarà la conclusione.
Altrimenti vi sareste addormentati 8 volte prima di finire la storia.
Bene, spero vi piaccia, spero che, come me, soffriate leggendolo, visto che è un paradosso, e che abbiate voglia di leggerne la conclusione!!
A presto,
MaxB


P.S.: ringrazio tantissimissimo C63 che mi ha betato le 42 pagine di storia, e che è sempre fantastica e gentile nel dar retta ai miei deliri.
E nell'incoraggiarmi, ovviamente.
E nel perdere la pazienza e il sonno per sottolinearmi tutte le virgole di troppo che mi sono sfuggite e si sono messe a guerreggiare tra di loro (ups...).
Grazie cara
  
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