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Autore: BitterSweetAbsinth    26/05/2009    2 recensioni
Quella che mi presto a raccontarvi, cari lettori, non è una storia, benchè possa sembrarlo. Uno squarcio di saggistica che potrebbe essere un insulto alla definizione stessa. E non voglio far morale, giammai! In tanti hanno provato a buttare dentro i loro testi butterati di cazzate qualche filastrocca melensa su cosa è giusto e cosa non lo è, finendo solo col trasmettere idee sbagliate. Sì, la mia storia - passatemi tale modesto nomignolo - è stracolma di sangue, zampilla da ogni spazio vuoto fra una parola e l'altra, nonostante voi non possiate vederlo.
NB: l'ho messa nel genere "introspettivo" perchè non sapevo dove cacciarla, vogliate perdonarmi questa piccola incongruenza con la storia.
Genere: Generale, Triste, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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QUESTA STORIA NON E' DEGNA DI ESSERE RACCONTATA


Penso di dover chiarire alcune cose, prima di lasciarvi alla lettura (?) di questo delirio: questo testo nasce come sfogo. Ero molto, molto, molto arrabbiata e le parole sono uscire senza che me ne accorgessi (qualcosa del genere). E' un po' particolare - molto particolare - e dubito che a voi possa piacere. Non rispetta i canoni delle solite fanfiction, nè desiderava assomigliarci. E', come detto prima, delirante, ma soprattutto stracolma di allusioni critiche nei confronti di soggetti vari ed eventuali, nonchè della società stessa (almeno, alcuni aspetti), con qualche accento ironico qua e là. Spero che possiate apprezzarlo almeno in parte, e... ettendo commenti!


Quella che mi presto a raccontarvi, cari lettori, non è una storia, benchè possa sembrarlo.
Uno squarcio di saggistica che potrebbe essere un insulto alla definizione stessa.
E non voglio far morale, giammai! In tanti hanno provato a buttare dentro i loro testi butterati di cazzate qualche filastrocca melensa su cosa è giusto e cosa non lo è, finendo solo col trasmettere idee sbagliate.
Sì, la mia storia - passatemi tale modesto nomignolo - è stracolma di sangue, zampilla da ogni spazio vuoto fra una parola e l'altra, nonostante voi non possiate vederlo.
Tra le righe vi sono altre parole scritte in inchiostro simpatico, stronzate su qualche pover uomo che s'è perso per il mondo, scherzetti grotteschi di non so quale divinità che gioca con le sue pedine di carne e sangue e amori dal finale drammatico che non meritano un briciolo della mia labile memoria.
A volte capita che il sopracitato protagonista di questa storia inesistente penetri, come un lombrico nel terreno, nella trama assurda dei miei innominabili pensieri; in ogni caso, può andare in fondo quanto vuole: non troverà nulla.

Se - e dico se - una qualche tragica storia d'amore s'apprestasse a trafiggere il vostro sensibile ego, ebbene, non troverete che sputi sul mondo, qui dentro.
Tuttavia, mi piacerebbe parlare di sangue e morte, perchè evidentemente è tutto qui quello che la mie fiacche dita sono in grado di sputare fuori, come sentenze che nessuno ha voglia di ascoltare - quante cazzate -.
Ormai se ne sono dette di tutti i colori, ma ecco a voi un po' di morte che vi si attorciglia amabilmente intorno alle budella: potrei raccontarvi della tragica fine di Didone, ma è stato detto e ridetto; nonostante ciò potrei modificarla, cambiare qualche nome, inserire dettagli cruenti ed ecco qui: ciò che la gente vuole.
Raccontare ciò che è stato già detto non è così difficile, dipende tutto dall'ignoranza di chi ascolta - o no?-; mi duole ammetterlo, è possibile plasmare a nostro piacere intere opere epiche senza che nessuno se ne accorga.
Io, personalmente, potrei definirmi socratica in questo: affermo di non sapere; ebbene, non è poi un'affermazione del tutto infondata, ma mi crogiolo nel mio buco nero di conoscenze mancate, pensando a quanto il resto del mondo ci stia sprofondando più di me.
A conti fatti, ciò che ho detto fino ad ora non ha alcun senso. La trama non è importante, direi bene.

Non che sia rilevante il contenuto, s'intende: io sto facendo letteratura - probabilmente migliore di molte altre puttanate che spacciano per tale -.
Ora, invero, vorrei passare al mio tragico, malinconico, violento racconto, prestando particolare attenzione a ciò che la gente vuole.
Non siamo in una città, nè tantomeno sulla terra - per carità, troppo scontato!

E' così che, invece, per vostra grande sorpresa, ci troviamo al centro della terra - incancescente, brulicante di lapilli bronzei e distruttivi anche se presi singolarmente.

Dormono ivi, sommersi da un mare rovente, due uomini, e il sonno li protegge dal vomito caldo che consuma ogni cosa.
E mentre riposano, accompagnati dal rombare delle esplosioni intorno ai loro corpi nudi, sognano l'uno l'altro, in un'infinita stretta di mano fredda e intangibile.
Giorni e giorni passarono in questo modo, mentre i due galleggiavano in mezzo a questo sconfinato manto cremisi, avvolti dalla maledizione eterna della solitudine.
Non desideravano altro che poter concretizzare quel sogno di potersi sfiorare, almeno una volta, le dita.
Ahimè, il prezzo da pagare era alto: se si fossero destati da quella morte apparente, la lava li avrebbe inghiottiti.

Dormirono per anni, crogiolandosi nella loro impotenza, avvertendo in lontananza, a migliaia di chilometri di distanza, le grida entusiaste di coloro che erano stati relegati sulla crosta di quella sfera imperfetta.
I fortunati s'amavano, con la consapevolezza di poterlo fare senza che nessun pericolo galleggiasse sopra alle proprie teste.

E un giorno, uno dei due raggiunse l'altro in sogno, mormorandogli nella mente che non c'era ragione d'esistere, se non potevano anche loro essere accontentati da quella gioia che impregnava il terriccio lontano, lontano da loro.
Sussurrò molto piano, mentre gli scoppi intorno a loro tuonavano come divinità impazzite.
Sussurrò davvero piano, ma l'altro lo sentì, e gli rispose che la morte lo teneva nel grembo proprio in quel momento, che no, non c'era ragione di vivere, se non poteva venire alla luce.
Eppure, preso atto di questo desiderio opprimente, continuarono a sognare l'uno le parole dell'altro, l'uno le mani dell'altro, senza riuscire ad aprire gli occhi una volta per tutte.
Rimasero altri anni così, addormentati, scontenti, fino al giorno in cui, per la seconda volta, l'altro lo supplicò di seguirlo fino alla fine dei loro dolori.
Eruttarono mari di lava intorno a loro, come a voler intonare la loro marcia funebre, infine aprirono gli occhi: erano svegli.

Riuscirono finalmente a raggiungersi, a toccarsi, ma solo allora compresero che il contatto delle loro mani, rispetto al calore asfissiante del mare incandescente, non era altro che una morsa fredda, più fredda dei loro sogni.
Annasparono violentemente quando cominciò a zampillare sulla loro pelle candita la lava, corrodendola.
Credettero davvero che, se si fossero riaddormentati, tutto sarebbe tornato com'era prima, ma ormai non potevano tornare indietro.
Come cemento, il liquido denso si strinse intorno ai loro corpi, penetrò nella bocca, nelle orecchie, nei pori, e lentamente, troppo lentamente, li stava uccidendo.
Ora che non c'era più il sonno a proteggerli e cullarli, maledissero la veglia, causa di tutta quella morte, di tutto quel dolore.
Non solo: maledissero l'uno l'altro, per la misera fine a cui si erano arresi senza trovare quell'agognata soddisfazione.
Triste fu la loro sorte, non rimase che polvere, ma presto anche quella sparì.
Amanti solo per pochi secondi, ed ora dannati per l'eternità - questo è ciò che gli fu concesso.
Tutto per accorgersi di quanto fossero tiepidi, dolci, accoglienti il sonno ed il miraggio.
Anche se lo compresero troppo tardi.

Questa storia non è degna di essere raccontata.


FINE
  
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