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Autore: Mushroom    06/01/2017    1 recensioni
Merlin lavora in un centro commerciale e incarta regali. Da lui vengono soprattutto vecchietti, adolescenti svogliati e… Arthur. Un tizio che pare comprare roba tutti i giorni e che, a giudicare dalla mole di regali che fa, deve essere imparentato con un esercito. O più generoso di Babbo Natale stesso.
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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2.

L’orario peggiore è appena dopo il primo pomeriggio.

Arthur ha lavorato al Camelot, quando era un ragazzino, per farsi le ossa, vedere come funzionava il lavoro dal giusto punto di vista. È sempre stato trattato meglio di quanto avrebbero dovuto, e complimentato più di quanto fosse onesto. Ha scoperto anni e anni dopo – grazie a Leon – che gli avevano fatto vincere di proposito il premio come impiegato del mese.

«Cosa avrebbero dovuto fare? Sarai il loro capo, un giorno.»

Non si è mai sentito tanto biasimato.

Comunque, Arthur ci ha lavorato, è questo che conta, e da allora le cose non sono cambiate più di tanto. Ci sono ore di vuoto e ore in cui vorresti morire.

Per le cinque e mezza, il banco di Merlin è stracolmo di persone e Arthur si mette una mano in tasca per stringere la scatoletta dei gemelli.

Tempismo sbagliato.

Passa il tempo che gli avanza a gironzolare nel reparto elettronica. Deve ancora comprare qualcosa per Morgana.

 

**

I giorni successivi, Arthur cambia tre profumi diversi, acquista due peluche e si fa incartare sei volte un puzzle da cinquemila pezzi.

Merlin non è goffo nel suo lavoro. Usa dita lunghe e veloci per impacchettare, arricciare e stringere nastri, ma quando si tratta di Arthur, ogni cosa diventa complicata. Come se ci traesse qualche tipo di insano intrattenimento nel venire maltrattato, o nel sbagliare tutto e sentirsi ordinare di fare tutto da capo.

 «Qui dentro inizia ad essere...» Morgana sorseggia un bicchiere di vino, osservando la pila di regali ammassati in un angolo del salotto. Se avesse un albero di natale sotto cui metterli, avrebbe ottenuto il quadretto perfetto «Affollato.»

«Ricordo male, o hai una casa dove tornare

Morgana ovviamente non coglie il suo consiglio e continua a sorseggiare, scrutando i pacchetti con la stessa espressione che riserva alle mostre di arte contemporanea. Da quanto ne sa, non è una buona cosa.

Il cumulo di pacchetti non si arresta.

C’era una punta di ragione, quando Morgana parlava del lavoro: Arthur non ha tanto tempo libero quanto gli piace pensare – hanno la chiusura del mese da finire, i continui affari con i fornitori, il tenere a bada un ufficio che non vuole altro che finire la settimana per godersi le vacanze.

Però quello stupidissimo regalo va comprato, in un modo o in un altro. Quindi si ritaglia un paio d’ore, prende la macchina, gira in tondo finché non trova assolutamente nulla di adeguato e afferra una delle prime cose che trova in giro, solo perché ha scoperto che la sua giornata migliora notevolmente dopo aver maltrattato Merlin per una decina di minuti – di solito lo interrompe mentre mangia, ma hanno avuto un paio di episodi fuori orario, come la volta che si era presentato alle nove di mattina (e aveva scoperto che Merlin non è uno a cui piacciono le mattine.)

Un’altra volta arriva tardi.

Sarà pressappoco orario di chiusura, ma il numero di clienti annuncia uno straordinario non previsto per tutti i dipendenti. Fuori fa freddo – quello brutto, pungente, che spinge Arthur a rifugiarsi sotto un cappotto spesso e guanti e sciarpa. C’è una massa enorme intorno al banco. Bambini che saltellano, adulti che sbuffano, una ragazza e un ragazzo mano nella mano.

Gwen è occupata a servire un paio di signore, come Arthur gira per il suo reparto, indisturbato, passando per la zona giocattoli, spendendo troppo tempo davanti a una fila di giochi da tavolo, senza ancora un’idea vera e propria su cosa fare.

In chiusura, mentre il negozio sfolla, si siede su una panchina, a fianco a un grosso albero di natale, con le mani in tasca. Arthur non è fan del natale. Non ama i regali, le cene di famiglia obbligate, gli slogan di buona volontà – però ama quello. Ama le persone, l’atmosfera che si respira quando non c’è un momento in cui stare fermi, perché i clienti sono da servire. Certo, puoi trovare un buon numero di teste di cazzo, come in tutti i lavori, ma nessun periodo per un negozio è come quello delle feste.

In ufficio, questo non c’è. Ci sono gli addobbi messi da Mithian, i biscotti che Percival giura di non aver preparato, ma che porta ogni anno il giorno prima che tutti vadano a casa – Arthur si chiede se quell’uomo stia sbracciato anche mentre cucina, e la risposta deve essere .

Decide che è il momento di andarsene. Ha appena fatto due passi fuori – fa più freddo, per la miseria – quando sente un «Arthur?» alle sue spalle, e trova Merlin, una nuvola di condensa di fronte al viso, che lo insegue.

«Gesù.» Arthur si stringe le tempie, fermandosi proprio in mezzo al parcheggio, sotto una luminarie rossa. Aspetta che Merlin lo raggiunga. Non è una scelta saggia – scappare sì, sarebbe stato saggio. «Cosa c’è, adesso?»

Merlin non sembra avere risposte alla sua domanda. Lo guarda un attimo, a qualche passo di distanza, come se stesse cercando di trovare una scusa. «Oggi non hai comprato niente?»

«Non devo sempre prendere qualcosa.»

«Allora perché sei venuto?»

Prende una pausa, tanto per massaggiarsi le palpebre «Per non privarmi della tua pietosa compagnia, ovviamente.»

Sotto la luce dei lampioni, Merlin increspa le labbra in un sogghigno. «Ah, sì?»

«Certo.» continua Arthur, ficcandosi le mani nelle tasche «Ho molto a cuore il supporto verso le persone clinicamente stupide.»

«Immagino.» Merlin fa un cenno con la testa, serissimo «È bene cercare di sostenere i propri simili.»

Se Arthur avesse qualcosa tra le mani, gliela lancerebbe addosso, a prescindere dal fatto di star sorridendo. Che da qualche parte, molto nel profondo, qualcosa – di cui negherà l’esistenza, per il suo bene – nel parlare con Merlin riesce ad alleggerirlo. Di conseguenza una cosa se la lascia sfuggire. «Cercavo il regalo per la compagna di mio padre.»

Il volto di Merlin cambia. Questa volta è sorpreso.

«Ma non ho trovato niente.»

L’altro stringe le labbra «Lei che tipo è?»

Arthur lo guarda, ci pensa, e poi «Un troll

In risposta, riceve una risata. «Non può essere così terribile.»

Sorride di riflesso, ed è quasi grato che le luci lo nascondano un po’. Di fatto, alza le spalle. La verità è che non la conosce: a parte le cordiali cene a casa di Uther, in cui Morgana finiva sempre per bere troppo vino, di lei ne sa quasi quanto ne sa di sua madre – niente. E non gli interessa saperne di più. C’è qualcosa di sbagliato nel vederla con suo padre, e Arthur non vuole credere che si tratti di qualche specie di infantile rivendicazione famigliare.

Merlin inizia a muoversi sul posto, portandosi le mani di fonte alla bocca per scaldarle. «Io devo -- » indica alle sue spalle, per dire andare.

Arthur sente qualcosa di molto simile alla delusione fioccare nel petto, ma annuisce «Certo.»

«A domani, Arthur. »

**

Arthur è una persona fedele alla parola data. Certo, non che ne abbia data una, Merlin è solo scappato dopo aver salutato, ma un a domani è un a domani.

Neanche prova a passare per i reparti da donna. L’ultimo scoglio sarebbe alzare la cornetta e chiedere a Uther cosa Catrina potrebbe volere per natale. Come se fosse facile fare un regalo a una persona ricca.

Riflettendoci, suo padre è sempre stato avaro in campo sentimentale. Di sua madre ha sempre parlato poco. Arthur, quello che sa di lei, è che il suo nome era Ygraine, che l’aveva amato, ed era morta dandolo alla luce. Uther non aveva mai detto una parola in più.

Infine era arrivata Morgana.

Non sapeva molto della madre di sua sorella. Era una donna sposata. Uther, forse, l’aveva amata. Se Morgause non fosse spuntata, probabilmente Arthur non avrebbe mai saputo che avevano un legame di sangue – ma sarebbe stato lo stesso, in fondo. Erano cresciuti insieme. Sangue o non sangue, erano una famiglia.

«Ho chiamato mia madre.» esordisce Merlin, senza preamboli, quando lo vede. Arthur ha comprato una racchetta da tennis, e non vede l’ora di osservare Merlin maledirlo in gallese. Subito dopo averlo pensato, considera l’ipotesi di avere qualche problema.

«E allora?»

Merlin sbuffa «Dice di provare con dei sali da bagno.»

Gwaine, nel frattempo, addenta una mela, guardandoli come se stesse assistendo a una partita di tennis. A sentirlo dire, lui e Gwen scommettono giornalmente su ciò che Arthur porterà al banco.

Arthur assottiglia gli occhi. «Come, prego?»

«Sono anonimi.» spiega «Utili, anche. Di solito presentati in belle confezioni.»

«Aspetta.» Arthur porta una mano in avanti «Stai cercando di aiutarmi

Merlin rotea gli occhi. «Potresti semplicemente dire grazie

**

Morgana non fa un cenno quando lo vede rientrare. Appollaiata sul divano, inclina la testa, con espressione accomodante, verso il cesto che Arthur tiene tra le mani.

Arthur, se non fosse se stesso, avrebbe smesso di badare al fatto che sua sorella sta vivendo praticamente con lui. Certo, si dice in fondo, mentre poggia il cesto, è meglio averla lì, che chissà dove, irrintracciabile per mesi, per un capriccio.

Ricorda bene cosa significhi essere divorati dalla preoccupazione.

«Sono sali da bagno?»

«E altre cose per la doccia.» si slega la sciarpa. «Ho chiesto a Gwen di fare un assortimento.»

Sembra ammirata «È sorprendentemente una buona idea. Molto - » si ferma, quasi volesse scegliere le parole «- modesto, per i tuoi gusti.»

Un momento di silenzio.

Solo Morgana può far sembrare il silenzio un’inquisizione. Ormai è rassegnato. «Parla

Lei stira le labbra, come se stesse cercando di non ridere, e sa che niente di buono succede quando Morgana fa quell’espressione. «Chi è Merlin

Ritira tutto. Vuole Morgana distante. Irrintracciabile.

«Quello che mi incarta i regali?»

Alza un sopracciglio. «Gwen dice che andate d’accordo.»

Arthur emette un suono frustrato, aprendo il frigo. «Allora Gwen si sbaglia.» Che è vuoto. Meraviglioso.

Morgana sospira, affranta. Poi «Dovremmo mettere un albero di natale.»

«No

**

L’albero di natale, come prevedibile, arriva comunque.

Deve davvero buttarla fuori.

A Morgana neppure piace il natale. Per ripicca, Arthur le compra un maglione a forma di renna. Se l’è cercata, in fin dei conti. Quando glielo porta, Merlin non ha il buon gusto di tenere la bocca chiusa. Sarebbe un dramma, se non si fosse abituato così tanto a sentirlo parlare.

A volte crede che potrebbe parlare anche con una pianta, dandogli l’occasione. Probabilmente ci farebbe amicizia, perché Merlin riesce a fare amicizia con qualsiasi cosa.

Non vuole dire di averlo osservato, ma ha passato del tempo (forse troppo) lì in mezzo. Merlin conosce tutti i dipendenti che incrocia. Si ferma sempre per un saluto. Quando chiede come stiano, lo fa perché gli interessa saperlo.

Non sa con che tipo di alieno abbia a che fare. Se si tratti solo di un idiota bonaccione incapace di fare del male, come ha l’impressione, a volte.

«Studia medicina.» rivela Gwen, perché Arthur – beh, lui chiede, sebbene non al diretto interessato. Tira a freno una battuta su come, probabilmente, uno come Merlin sarebbe stato propenso a svenire alla vista del sangue. «Gwaine dice che è un vero mago in quello che fa.» aggiunge, con un sorriso, e sarà una di quelle cose a cui Arthur potrà credere solo prima di morire. Figurarsi. Merlin, un mago.

«Certo.» Arthur storce il naso «Merlin.»

Si vede che è Gwaine ad essere la fonte.

Torna sui suoi passi con un set di coltelli. Quello è per, beh, Agravaine, crede, non stava pensando quando l’ha preso in mano. Probabilmente lo riporterà indietro dopo l’epifania.

**

Ci riflette su quando è alla cassa, su come stia diventando ridicolo quel suo continuo circondarsi di cose inutili – potrebbe fare quello che fanno le persone normali, cioè chiedere il numero di telefono, per esempio, ma quello significherebbe ammettere a voce alta che Merlin non è un essere umano così sgradevole.

Dio, gliel’avrebbe rinfacciato a vita.

È a quel punto che l’albero di natale cade. Si sente qualcuno strillare, poi un tonfo e la musica si interrompe per fare spazio a emergenza nel settore giocattoli, tutto il personale addetto è pregato di 

Da quella distanza lì, Arthur può solo vedere la cima collassare in mezzo agli scaffali. Prende un profondo respiro, e lascia perdere il set di coltelli.

Le musiche di natale tornano al loro posto, e man mano che prosegue verso la zona incriminata, la confusione intorno a lui aumenta. Vede persone fare foto con la camera del cellulare, quello che sembra il capo reparto dare ordini – sbagliati, ovviamente – ai suoi sottoposti.

«Qualcuno avrebbe dovuto assicurarlo.» ringhia, sul posto, passando avanti al tipo ingessato che cerca di sistemare la situazione. Da’ un’occhiata veloce all’etichetta sul suo completo - sotto la scritta Hello, my name is appare un George. Il tipo non si muove di una virgola. Lo guarda con indignazione, come se Arthur non ne sapesse niente di addobbi natalizi, e tanto meno sapesse come gestire un’emergenza.

«Dov’è Gaius?» sbotta immediatamente. Fa lo slalom tra le decorazioni che rotolano a terra – alcune rotte, alcune miracolosamente salve. Facendo una cernita veloce, il danno non è così ampio. Nessuno è stato colpito, prima di tutto, è quello è sicuramente positivo. Alcune scatole di giocattoli sono state trascinate a terra, e ora giacciono ammucchiate e ammaccate.

Gaius, il capo del personale, è già sulla strada per quando Arthur chiede di lui. Arriva per trovarlo senza giacca, la maglietta arrotolata fino ai gomiti, mentre schiavizza un gruppo di ragazzi spauriti per tirare di nuovo su l’enorme abete di plastica.

Milioni di glitter, scappati dalle decorazioni, scintillano sui suoi vestiti e gli impregnano i capelli. Gaius può solo alzare un sopracciglio, alla vista, e Arthur, se non fosse troppo occupato a sentirsi incazzato per dover fare tutto il dannatissimo lavoro per colpa dell’incompetenza di chi gli sta attorno, apprezzerebbe il fatto che nonostante l’età, Gaius sappia ancora come giudicare silenziosamente grazie al potere del sopracciglio.

«Arthur.» sembra meravigliato dal trovarselo di fronte. Non troppo. Meravigliato quanto uno come Gaius può esserlo – e lasciateglielo dire, alla sua età davvero poco può scomporlo. «Vedo che te la stai cavando bene.»

Arthur si acciglia. «Abbiamo bisogno di fare un inventario veloce dei danni.» spiega, senza fermarsi, e poi gesticola verso George «E poi spiegami come hai fatto ad assumere quel tipo lì.»

Gaius sorride, e alla sua voce, finalmente, qualcuno inizia a dare ascolto.

**

Trova Merlin al bar, qualche ora più tardi. Arthur è sudato, sta morendo di sete, e dovrà lavorare di notte per cercare di recuperare il pomeriggio che ha passato al Camelot.

Secondo il primo rapporto, il negozio dovrebbe riuscire a prendere in carico le spese degli addobbi e delle luminarie distrutte nella caduta. Per i giocattoli dovranno trovare un’altra soluzione. In quelle condizioni non sono vendibili. Potrebbero metterli a metà prezzo, pensa.

Magari donarli in beneficienza.

Una mano si stringe intorno al suo gomito «Perché sei coperto di glitter?» divertito.

Arthur fa immediatamente un passo indietro «Stavo sistemando delle decorazioni.»

Merlin stringe gli occhi, affiancandolo «Tu? Al lavoro?» guadagnandosi, in questo modo, una pappina. Che schiva.

«Se ti interessa saperlo, ho un lavoro.» fa, disgustato «Uno vero. Che si occupa di far funzionare dozzine di posti come questo.»

Per un attimo, Merlin si limita a un sorrisino furbo, come se sapesse. Gli fa uno strano effetto, non se lo aspettava. «Sì, ma – si tratta di uffici e pubbliche relazioni. Non immaginavo che fossi capace di - .»

«Riempirmi di glitter?»

Annuisce. «Sicuro di non essere semplicemente rimasto lì a dare ordini?»

Questa volta, riesce benissimo a schivare il suo colpo. Arthur si imbroncia «Non saremo tutti medici.» inizia, evidenziando la parola come suo padre la evidenzierebbe – ossia come se fosse un insulto. «Ma ho lavorato qui. Come dipendente. Quando studiavo

Lo vede immagazzinare l’informazione come può – conoscendolo, male – e dice «Non sono ancora un medico.» come se processare il fatto che Arthur potesse lavorare fosse semplicemente troppo.

Arthur sogghigna. «Grazie a Dio.» e non aggiunge che però, nonostante dubiti fortemente della capacità di Merlin di tenere in vita qualcuno, pensi che diventerà bravo nel suo lavoro. Non per come gliel’ha detto Gwen. Solo, da come sembra essere Merlin – tiene a quello che fa.

Anche nei pacchetti regalo. Sono solo quelli di Arthur ad essere storti.

Merlin fa una fa una faccia scettica «Ringraziamo anche per averti tenuto in un ufficio?»

«Sono grandioso, in quell’ufficio.»

Ridacchia, e poi aggiunge «Come sono andati i sali da bagno?»

«Come diavolo - »

«Gwen.»

Ah.

Traditrice.

«Possono andare.»

Merlin alza entrambe le sopracciglia. «Stai dicendo che ti ho dato un buon consiglio?»

«Mai

**

 

Quando non esce per comprare regali, Arthur si ritrova inavvertitamente a farne uno. Lo fissa per quindici minuti. A braccia incrociate, serio, probabilmente suscitando la curiosità di un bambino che voleva solo un libro con dentro un peluche.

Non è che si fermi così tanto spesso nel reparto bambini, solo che. C’è questo titolo, e Arthur pensa che non è colpa sua, che è il mondo ad odiarlo. Che quest’idiota inizia a farsi trovare ovunque, a prescindere dal fatto che abbia uno dei nomi più stupidi dell’intero creato.

Merlin, il grande stregone, fa il titolo, in grande e in lettere colorate. Lo soppesa tra le mani, ne sfoglia alcune pagine. Infine, marcia fino alla cassa.

È solo un’altra occasione per prenderlo in giro.

Però ci scrive una dedica sopra. E se lo fa incartare. A casa, lo nasconde dentro l’armadio, visto che è l’unico posto dove non possono arrivare gli occhi di Morgana. 

   
 
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