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Autore: Sophja99    07/01/2017    1 recensioni
Durante una vacanza in Canada, Aline e Megan, madre e figlia, a causa di un errore si ritroveranno sperdute in un paese sconosciuto e coinvolte in un viaggio alla scoperta di se stesse, che permetterà loro di mettere da parte tutte le loro divergenze e i problemi e risanare il loro rapporto già da tempo turbolento e complicato.
Prima classificata al contest "Inverno, Neve e Vacanze" indetto da Jadis_ sul forum di Efp.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non ricorderai i passi che hai fatto nel cammino


22 dicembre


Megan diede un calcio ad un sassolino, per ingannare l'attesa e sfogare la stizza che provava, e rimase ad osservare le nuvolette di condensa che uscivano dalla sua booca tutte le volte che respirava. Non era abituata ad un freddo tanto pungente; per questo, appena uscita dall'edificio, aveva subito chiuso la cintura lampo del giacchino fino al collo, per poi cingerlo con una pesante sciarpa e coprirsi le mani con dei guanti. Finalmente, dopo qualche minuto, che, tuttavia, le parvero un'eternità, vide una macchina nera svoltare l'angolo e fermarsi di fronte all'uscita dall'aeroporto di Lourdes-de-Blanc-Sablon, al nord del Canada. Il mezzo si fermò davanti a lei e Megan, riconosciuta subito la figura che sedeva al volante, si sbrigò a riporre le due valige che si era portata dietro nel portabagagli. Quindi, una volta aperta la portiera, si fiondò nella macchina, per proteggersi dal gelo di dicembre.

«Però, non è male questa macchina» affermò Megan, gettando lo sguardo sul cruscotto e intorno a sé, mentre aspettava di scaldarsi prima di iniziare a spogliarsi.

«Ovvio che lo è» ribatté la madre, Aline. «Con quello che è costata!»

«Capirai! Per quattro giorni... Di certo non è nulla rispetto all'aereo» Megan roteò gli occhi.

«Ti ho vista. Smettila di farlo» la riprese Aline.

«Certo...» Megan voleva bene a sua madre, naturalmente, ma certe volte il suo comportamento la faceva proprio impazzire. Non era una di quelle severe e rigide, che non permettevano ai propri figli di fare nulla, ma, anzi, era l'esatto opposto. Perennemente sbadata e con la testa fra le nuvole. Megan sapeva che non lo faceva apposta, ma talvolta proprio non riusciva a sopportarla e puntualmente finivano ad urlarsi contro, la madre che la sgridava e lei che la ignorava o le rispondeva male. Ultimamente, poi, la situazione era anche peggiorata: non riuscivano a passare una sola giornata senza litigare. Forse era proprio quello uno dei motivi che avevano spinto la madre a proporle un viaggio in Canada, dai suoi genitori, per natale, da cui l'aveva portata solo una volta da quando Megan era nata (ed ora aveva diciassette anni).

Dopo qualche minuto l'aereoporto sparì e lasciò il posto alle case di Blanc-Sablon dai tetti a punta tipici di quelle zone fredde, contornate da una lunga e desolata landa interamente ricoperta di neve. In lontananza Megan poteva scorgere la costa e il mare, sebbene a quella distanza non riuscisse a definirlo bene e capire se fosse ghiacciato oppure no.

«Mamma» la chiamò di punto in bianco Megan, rompendo l'innaturale silenzio che si era andato a creare nell'abitacolo.

«Sì?» rispose quella, senza staccare gli occhi dalla strada.

«Sei certa di ricordare la strada per il paese dei nonni? Non sarebbe meglio comprare una mappa?»

«Credi che mi sia scordata tutto?» ribatté l'altra, quasi con ripicca. «Tranquilla; la tua avveduta madre ricorda benissimo il percorso.»

«Ok, ok» affermò Megan, interrompendola prima che si tuffasse in un altro dei suoi lunghi e interminabili discorsi. «Allora quanto è lontano da qui?»

«Penso...» la madre fece una pausa, riflettendo. «Due ore?»

Fantastico... pensò Megan. Altre due ore da sola con mamma. Accese la radio per colmare il silenzio che la faceva sentire a disagio.

Per un po' trascorse il tempo a guardare il paesaggio dalla finestra, ma presto si cominciò ad annoiare e a muovere inquieta sul sedile, che iniziava a sembrarle incredibilmente scomodo. Cercò di prendere sonno, ma tutte le volte che chiudeva gli occhi e finalmente sprofondava nell'inconscenza, veniva puntualmente svegliata dalla macchina sballottata dalle pietre della strada o dal minimo rumore, come la musica della radio. Guardò l'orologio della macchina: era passata solo un'ora, quando le era parsa un'eternità. Rimase quasi delusa.

«Mi annoio...» bofonchiò Megan, guardando distrattamente la strada davanti a lei.

«Dai che siamo quasi arrivate!» affermò la madre, stranamente euforica. «Pensa che poi potrai darti alla pazza gioia con lo shopping e il divertimento, tutto con tua madre.»

«Non vedo l'ora» mormorò la ragazza, tutt'altro che esultante all'idea.

«Andiamo! Sarà divertente. E così potremo passare più tempo insieme» affermò Aline, rivolgendole un sorriso a trentadue denti.

«Che bello» fu l'unico, atono commento della ragazza, che si richiuse di nuovo nel suo mondo, guardando fuori dal finestrino e cercando di ignorare la presenza della madre.

Non riusciva proprio a capire perché sua madre avesse a tutti costi deciso di portarla in Canada per le vacanze di natale. Quando Aline le aveva comunicato di aver comprato due biglietti per l'aereo per Blanc-Sablon, lei inizialmente era rimasta attonita, senza riuscire a realizzare cosa le avesse appena detto, e, subito dopo aver capito, si era arrabbiata, e anche molto. Si era già organizzata per passare tutto il suo tempo libero con le amiche e, invece, tutto a un tratto saltava fuori sua madre, estasiata, con la ricevuta in mano del pagamento dei biglietti. Inutile dire che aveva dato in escandescenze e aveva minacciato di non venire con lei e far andare sprecati i soldi spesi per il suo biglietto, ma il giorno successivo, quello che doveva passare a casa del padre, poiché i suoi genitori avevano divorziato pochi anni prima, questo, sicuramente avvertito da Aline, aveva cercato di calmarla e farla ragionare, facendole comprendere che le avrebbe fatto bene una vacanza per riposarsi e, soprattutto, andare ad incontrare i nonni che non vedeva ormai da troppo tempo. Megan, alla fine, si era lasciata convincere dal padre ad accettare, nonostante la prospettiva di passare cinque giorni sola con la madre e con parenti che a malapena ricordava le facesse accapponare la pelle.

Si chiese quando il rapporto con Aline fosse diventato così complicato: lei aveva sempre avuto un legame più forte con il padre e il divorzio non aveva fatto altro che dividerla ancora di più da sua madre. Certo, da piccola non aveva sentito tanto il distacco, sebbene si fosse ben resa conto che i suoi genitori non vivevano più insieme e avesse sofferto molto per questo, mentre con il passare degli anni la frattura che si era creata con la madre si era ingigantita sempre di più e il loro rapporto era andato a rotoli. Una parte di lei si dispiaceva per questo, ma non riusciva proprio a farci nulla e certamente la madre non le rendeva le cose più facili, con il suo carattere a tratti un po' infantile e difficile.

Mentre guardava le lande imbiancate fuori dalla macchina, contornate dai colori arancioni, rosa e viola del tramonto inoltrato, cercò di distogliere la mente da quel sofferto argomento e si chiese, invece, come mai i nonni avessero deciso di andare a vivere proprio lì, a Red bay, uno dei pochi centri abitati della zona. Nulla a che vedere con le metropoli degli Stati Uniti che da sempre sognava di visitare; le veniva quasi da piangere a pensare a quanto queste fossero vicine al Canada e a lei, - molto più dell'Inghilterra -, quando, invece, lei era costretta ad andare in un paese dimenticato da tutti, probabilmente anche dai suoi stessi abitanti.

Dopo un quarto d'ora, del sole non rimanevano altro che pochi raggi, che ancora mandavano barlumi di luce sulle tonalità dell'arancione, ma, tuttavia, questi già lasciavano il passo all'azzurro e il blu del cielo, in più punti coperto da grandi nuvole che facevano presagire maltempo. Man mano che i minuti passavano, la luce del sole si faceva sempre più debole, mentre l'oscurità della notte avanzava senza tregua. Nonostante Megan non avesse alcun interesse a rimenere in quelle terre fredde e sperdute, doveva ammettere che il panorama fosse meraviglioso: l'orizzonte non era coperto da case o montagne e poteva vedere chiaramente ogni passaggio del sole, che sembrava letteralmente tuffarsi sotto la terra.

«Quanto manca?» domandò Megan, assonnata, ma attenta a qualunque cartone stradale che potesse indicare quanto ancora fossero distanti dalla città, sebbene questi non sembrassero esserci.

«Dovremmo arrivare tra mezz'ora» rispose Aline, mentre mandava la macchina a tutta birra sulla strada. All'improvviso i fanali accesi illuminarono un cartello molto più piccolo rispetto a quelli che si trovavano in Inghilterra, ma Megan riuscì solo a vedere che indicava un'altra strada di un bivio che la madre, nella velocità a cui andava la macchina e per l'oscurità, non aveva notato, e a leggere la parola Red. “Red di Red Bay? La città dei nonni?” si chiese Megan, nonostante il sonno accumulato dal giorno di viaggio in aereo. «Mamma» la chiamò, subito allarmata.

«Sì, tesoro?»

«Credo che abbiamo sbagliato strada.»

«Ma cosa dici?» ribatté la madre, sorridendo.

«Ho visto il cartello di Red Bay che indicava dall'altra parte. Come cavolo hai fatto a non accorgertene?»

«Megan, ricordo bene la strada per Red Bay ed è tutta dritta. Sarà stato il sonno a fartelo immaginare. E poi non dire certe parole davanti a me.»

«Perché non mi credi mai?» Megan alzò la voce. «Abbiamo sbagliato strada! E, tanto per la cronaca, cavolo non è una parolaccia e penso che a diciassette anni posso anche usare parole da adulta, come caz...»

«Non ci provare!» la interruppe la madre, coprendo con voce imperiosa la fine della frase. «Fino a prova contraria sei ancora minorenne e sotto la mia autorità: perciò, in mia presenza, non si dicono parolacce e si fa quello che dico io, capito?»

Megan sbuffò. Quando sua madre si impuntava, non c'era verso di convincerla del contrario. «Capito» disse, suo malgrado. «E allora come la mettiamo con il cartello?»

«Continuiamo finché non arriviamo a Red Bay.»

«Toglimi una curiosità: quando è stata di preciso l'ultima volta che sei venuta qui?»

«Quando ci ho portato te: tredici anni fa.»

«Grandioso» rispose la figlia, che aveva solo pochissimi ricordi di quella vacanza, poiché allora aveva cinque anni. I pochi che rammentava li aveva recuperati guardando le foto scattate con i nonni. «Avremmo fatto meglio a comprare la mappa.»

Stranamente, la madre non commentò; si limitò a gettarle uno sguardo scocciato, prima di volgere nuovamente la sua attenzione alla strada. Megan chiuse di scatto la radio, che già da un po' non mandava più segnale e aveva iniziato a trasmettere solo un rumore fastidioso. «Potresti almeno rallentare?» domandò poi, irritata, la ragazza. «Così magari riesco a vedere qualcosa.»

Aline emise uno sbuffo, anch'essa piccata, ma la velocità a cui andava la macchina diminuì leggermente. I minuti passavano e di Red Bay non c'era nemmeno l'ombra. Dopo un'altra mezz'ora di viaggio, a Megan sembrava ovvio che avessero sbagliato strada, per colpa della cocciutaggine della madre, ed ora non c'era più verso di tornare indietro, poiché si stava facendo tardi e anche la benzina si stava iniziando ad esaurire. Non potevano far altro che continuare e sperare di trovare un distributore e un albergo di fortuna, ma quella strada e i d'intorni sembravano totalmente deserti. Non c'era neanche l'ombra di centri abitati. Mentre Megan era impegnata in questi pensieri, si accorse da lontano che sul ciglio della strada c'era un piccolo cartello, sebbene parecchio rovinato soprattutto sui lati, con su scritto Whitby Habour e che indicava per una stradina laterale.

«Mamma, gira! Prendi per quella via» affermò, afferrando la spalla di Aline.

«Ma non sappiamo dove porti!»

«Non abbiamo altra scelta» si sbrigò a spiegare Megan, prima che la macchina oltrepassasse il bivio e che non ci fosse più speranza di trovare un posto dove passare la notte. «Devi ammetterlo: ci siamo perse. Inoltre, stiamo per finire la benzina e questo è l'unico paese nelle vicinanze dove poter fare rifornimento.»

La macchina rallentò, mentre Aline prendeva in considerazione le riflessioni della figlia. Guardò, indecisa, il cartellone logoro che indicava la presenza del paese, ma, infine, premette il pedale del'acceleratore e svoltò nella stradina.



Passarono per una strada circondata da un fitto bosco, stretta e sterrata, in cui la macchina sobbalzava continuamente per la presenza di grandi sassi e buche mai coperte o asfaltate. «Vai piano!» Megan avvertì la madre. «Rischi di bucare una gomma. E poi su una strada ricoperta di neve bisogna sempre andare piano.»

«Si può sapere quanto è lontana questa fantomatica Whitby Harbour?» domandò Aline, sfastidiata dali consigli della figlia.

«Pensi che io lo sappia?» rispose con una domanda a sua volta la figlia, proprio con l'intento di irritarla. La madre non rispose, ma era evidentemente piccata dall'atteggiamento di Megan.

Dopo dieci minuti, che, tuttavia, parvero ad entrambe un'eternità, finalmente il bosco si aprì e la macchina sbucò in un enorme spiazzo che dava direttamente sul mare. Megan tirò un sospiro di sollievo come vide delle case, sebbene queste non fossero illuminate da nulla che rasentasse un lampione. L'unica fonte di luce proveniva dalle finestre di poche case, i cui abitanti, nonostante l'ora, dovevano essere ancora svegli. Aline parcheggiò l'auto dove non avrebbe dato problemi a nessuno e spense i motori. «Andiamo a vedere se qualcuno potrà aiutarci» affermò la madre, mentre Megan si infilava e allacciava di nuovo il giacchino con le varie coperture e usciva dalla macchina.

Madre e figlia si avviarono verso il centro abitato poco distante da dove avevano lasciato l'automobile. Da quel poco che riuscivano a vedere, non doveva essere troppo popolato; le case erano davvero poche e di certo mancava degli elementi moderni che erano divenuti ormai indispensabili per molte città, come i lampioni. Si diressero dove si trovava la maggiore concentrazione di abitazioni, a formare un'unico stradone solitario, e lo percorsero gettando continuamente occhiate verso destra e sinistra, alla ricerca di un albergo o almeno di un bed and breakfast. Mentre camminavano, Megan sentì qualcosa di soffice e umido posarsi sulla sua mano e, inizialmente, credette che si trattasse di pioggia. Tuttavia, quando andò a guardare meglio e sollevò il viso verso l'alto, vide che in realtà aveva iniziato a nevicare. Mentre era intenta ad osservare i fiocchi che lentamente si calavano sul paese, il suo sguardo cadde su un edificio su cui capeggiava un cartello in legno evidentemente corroso dal tempo. Qui vi era iscritto e, in seguito, pitturato con la tinta nera Whitby Harbour's Hostel. Toccò il braccio della madre e le indicò l'ostello. «Non è granché, ma, visto come è ridotto questo paese, credo che sia il massimo che potremo trovare qua.»

«Proviamo» disse Aline e si affrettò verso l'edificio. Tirò la porta, che si aprì scricchiolando e facendo suonare un piccolo campanello attaccato sopra le loro teste. Entrarono e rischiusero la porta dietro di loro. La stanza in cui era entrata era illuminata solo da una piccola stufa che ben poco riusciva a constrastare il freddo della notte. Le pareti e il pavimento erano di legno e l'unico mobile visibile era una scrivania piena di scartoffie, insieme ad una sedia. Megan notò che la pareti erano piene di quadri e foto, molte delle quali in bianco e nero, altre più recenti e a colori, che raffiguravano principalmente pescatori sulle loro barche che mostravano fieri le loro prede. Intuì che quello dovesse essere un paese che viveva principalmente di pesca, data la vicinanza del mare e la distanza da ogni altro centro abitato.

«C'è nessuno?» domandò Aline e dovettero attendere qualche minuto prima di sentire dei movimenti al piano superiore e, poco dopo, la luce spuntare dalle scale collegate alla stanza, da dove scese con non poca fatica un'anziana donna con una torcia in mano. Quindi, la spense e accese invece la luce di una lampadina infissa sul soffitto, che, seppur debole, aiutò a rendere la stanza un poco più visibile.

«Posso aiutarvi?» domandò la donna in un inglese meno marcato di quello parlato da Megan e la madre. «Io sono Olivia, la proprietaria dell'ostello.»

«Buonasera» affermò educatamente Aline, presentando a sua volta lei e la figlia. «Vorremmo prendere una stanza per la notte. Stavamo andando verso Red Bay, ma abbiamo sbagliato strada...»

«Red bay?» chiese quella, aggrottando la fronte. «L'avete oltrepassata diversi chilometri prima.»

Megan lanciò uno sguardo acusatore alla madre, che questa ignorò. «L'abbiamo intuito, ma temo che non potremo ripartire prima di domani mattina. Per questo abbiamo bisogno di una stanza per la notte.»

«Naturalmente!» esclamò l'arzilla anziana, affrettandosi verso il bancone. «Tutte le stanze sono libere. Forse saranno un po' impolverate, ma non tanto da dare fastidio. Sapete, in questo periodo non c'è praticamente nessun turista.»

«Non si preoccupi. Tanto rimarremo solo per questa notte» ribatté Aline, afferrando le chiavi che la signora le aveva teso e su cui capeggiava la scritta 20.

Aline si occupò poi del pagamento e, in seguito, tornò fuori a prendere le valigie dalla macchina. «Mamma, come faremo a contattare i nonni?» chiese Megan, quando Aline fu rientrata all'ingresso dell'ostello. La ragazza mostrava il suo antiquato telefono di fronte alla madre, indicando il segnale praticamente assente. Un'altra questione su cui più e più volte Megan aveva litigato con lei era proprio per il cellulare: la ragazza aveva sempre desiderato avere un iPhone moderno, come quello che avevano tutti i suoi coetanei, ma la madre si era categoricamente opposta, rifilandole un telefono con cui era impossibile fare qualcos'altro oltre a chiamare e mandare sporadici messaggi.

«Mi scusi» disse, quindi, la madre, richiamando l'attenzione della signora che si era seduta dietro il bancone ad occuparsi di vari fogli spiegazzati. Quella sollevò il capo, guardandola con un lieve sorriso in volto. «C'è un modo per contattare i nostri parenti? Un telefono?»

«Sfortunatamente nessuno di noi lo possiede in casa. È inutile dato che non funzionano. Però, ne possediamo uno, messo a disposizione di tutta la comunità.»

«Dov'è?» domandò Megan.

«Di fuori, ma vi consiglio di andare domani mattina perché ha iniziato a nevicare e si preannuncia una bufera.»

«No, devo avvertirli subito, altrimenti si preoccuperanno da morire» sostenne Aline. «Megan, tu, intanto, porta le valigie nella stanza» aggiunse, passando le chiavi alla figlia, prima di uscire dall'ostello ed essere inghiottita dalla nevicata.

«Vieni» disse Olivia con un sorriso, indicandole le scale. «Ti mostro la camera.»


Megan si infilò la maglietta di lana del pesante pigiama, alla ricerca di un po' di calore, per poi gettare lo sguardo alla stanza e al mobilio. In fondo, non era poi così male: aveva due letti a castello, due comodini, un armadio e un bagno. Di certo, nulla in confronto agli alberghi in cui era solita alloggiare durante i suoi viaggi in Inghilterra e in Europa. Alla fine, la polvere non si era rivelata un grosso problema: ricopriva gli angoli più remoti del pavimento della stanza e alcuni mobili, ma nulla che rendesse la permanenza invivibile.

Dopo pochi minuti la porta si aprì e la madre fece capolino all'interno della stanza. «Allora?» domandò Megan, che si era già immersa nelle coperte del letto.

«Sono riuscita a trovare il telefono e chiamare mamma e papà» disse, mentre si toglieva il cappotto e andava ad aprire la cerniera della valigia per prendere il suo pigiama. «Gli ho spiegato la situazione e hanno detto che ci verranno a prendere il prima possibile. Cioè, domani mattina.»

«Mi chiedo come è possibile che in tutto il paese ci sia solo un telefono» rifletté Megan. «So che non è molto grande, ma, addirittura, uno solo? Non è scomodo?»

«Non lo so, ma a loro non sembra dare fastidio. Certo, non che quel telefono sia molto moderno... Anzi, è in condizioni peggiori delle nostre cabine telefoniche più dissestate.»

«Beh, se loro si trovano meglio così...» mormorò la ragazza, poco prima di socchiudere gli occhi. «Buona notte.»

   
 
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