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Autore: Kemushi    08/01/2017    1 recensioni
" Una musica.
Poche gentili note che sembravano danzare sinuose nell'aria. [...]
La musica si bloccò di colpo, ed un urlo agghiacciante la sostituì. [...]
Non c'era più nessuna musica a distrarci. "
Genere: Drammatico, Horror, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Una musica.
Poche gentili note che sembravano danzare sinuose nell'aria.
Mi inebriavano, era come se non riuscissi a sentire altro che loro; mi ipnotizzavano, mi isolavano dal resto del mondo. La musica riempiva frenetica l'aria, le donava sapore, corposità, la agitava come il vento agita l'acqua; tanto realistica, tanto soave, che potevo percepire lo strumento piegarsi sotto le mani abili del musicista, e obbedirgli come una docile bestia.
Ripensandoci a tempo di distanza, la mia memoria non è in grado di pensare ad un suono più melodioso.
Se mi avessero mai chiesto il significato di pace, avrei risposto con quelle semplici note.
Se mai avessi potuto rispondere.
Quasi assordante, mi cullava come solo vecchi ricordi sanno fare; dolce forse più del miele, tanto calda che mi dimenticai quasi della finestra aperta sull'inverno.
Seduta sulla balconata riuscivo a scorgere, in lontananza, oltre le mura merlate della magione, la casa della mia famiglia.. Mi chiesi quasi involontariamente cosa stessero pensando del mio trascolo, se così si può definire. Quando mi avevano salutata, i miei genitori sembravano quasi speranzosi; volevano forse darmi un addio che non potessi ricordare con malinconia.
Non ci erano riusciti, ma apprezzai il tentativo.
- Taeh, cosa ne pensi? - Quasi non la sentivo.
Non sentivo nulla se non quelle note vibranti.
Coprivano con grazia le voci squillanti delle ragazze che discutevano nella stanza, tutte giovani fanciulle come me, tutte incuranti del freddo pungente; ridevano, cantavano, danzavano leggere nel lenzuolo che le ricopriva. Alcune le conoscevo di vista, altre abitavano vicine alla fattoria di famiglia, ma la maggior parte mi erano completamente sconosciute; non mi sorprendeva però vederle tutte nella stessa stanza con me, tutte all'oscuro di ciò che le attendeva.
La nostra città era in debito con il Conte, e noi eravamo il prezzo da pagare, anche se non conoscevamo il nostro valore.
- Taeh? - mi chiamò una ragazza, ridendo dolcemente.
Non mi sembrò cortese ignorare la sua chiamata per la seconda volta..
Era la seconda volta? La musica mi rapiva a tal punto che avevo quasi perso la cognizione della realtà.
Mi girai, e le sorrisi.
Camille era sempre stata una delle ragazze più belle che io avessi mai conosciuto. Lunghi boccoli dorati le incorniciavano il viso, fino a ricoprirle le spalle e scenderle lungo la schiena; era tanto solare che nessuno avrebbe mai potuto tenerle il broncio per più di qualche attimo. La vedevo quasi tutti i giorni, veniva a comprare e vendere ogni tipo di cereale e ortaggio; aiutava instancabilmente la propria famiglia a mandare avanti il forno della città, e ci riusciva con eccellenti risultati. Poi era così gentile.. Quasi la invidiavo; la vita doveva averle voluto davvero bene.
Mi sorrise. - Cosa pensi che faremo, qui a corte? -
Feci spallucce. Non mi importava. O almeno, cercavo di non darci troppo peso, non sopportavo l'ansia.
- Diventeremo sue schiave, ovvio. - borbottò una ragazza, seduta in un angolo della stanza, le ginocchia strette al petto.
La musica cominciò a decadere lentamente in uno stridio acuto, stonato, come se lo strumento si fosse spezzato. Ma continuò a danzare, imperterrita.
Camille le sorrise - Magari diventeremo dame di corte! - propose raggiante - Sarebbe stupendo, raramente ho cucinato per qualcuno di importante. -
Poi si girò, e mi fece l'occhiolino.
Le sorrisi imbarazzata, stringendomi nel lenzuolo bianco.
Volevo seguire l'impulso di chiudere la finestra e porre fine al gelo nella stanza, ma mi era impossibile; il conte amava la musica a tal punto che fece smontare ogni vetrata della propria magione, cosicché tutto il paese avrebbe potuto udire le sue meravigliose note. Ego personale, suppongo.
Un pazzo, certo, come pensare il contrario. Ma un pazzo nobile; sopportare un musica tanto melodiosa era nulla in confronto alla fame e alle epidemie, e il Conte aveva abbastanza conoscenze e denaro per salvare tutta la città. Ci eravamo semplicemente abituati alle sue strambe abitudini e ai suoi assurdi prezzi.
La musica si bloccò di colpo, ed un urlo agghiacciante la sostituì.
Zitte.
Nessuna osava proferire parola. Quello che prima era caos di chiacchiere giovanili, era ora diventato un silenzio di terrore.
Rimasi ferma, immobile, quasi tremante; ogni parte di me rifiutava di muoversi per paura di esser destinata alla stessa sorte della donna che aveva appena gridato, e ogni mio pensiero non faceva altro che desiderare un destino differente.
Non c'era più nessuna musica a distrarci.
Nessuno sapeva cosa succedeva dentro la magione del Conte, se non che le ragazze che vi entravano, non ne uscivano; eravamo semplicemente state portate li, ignare di cosa aspettarci. Era sempre stato così, una sorta di tradizione che proseguiva ormai da anni, una tassa che permetteva al popolo di non morire di stenti.
Accettavamo semplicemente il nostro destino.
Improvvisa, la porta si aprì con uno scricchiolio acuto e sinistro; entrò una donna alta, esile, ricoperta da un lungo vestito nero. Aveva il volto coperto da una maschera di un rosso intenso, e un drappo scuro che le nascondeva completamente i capelli; ci osservò per qualche istante, prima di farci segno di seguirla. Accese un piccolo candelabro dorato, e ci illuminò il cammino.
La seguimmo, in silenzio, obbedienti. Cos'altro avremmo potuto fare?
I corridoi erano decisamente all'altezza del resto dell'abitazione; la linea dorata che prima divideva le pareti della camera, proseguiva anche nel resto della magione, in forte contrasto con la carta da parati nera e porpora. Così come i colori, si ripetevano anche gli ornamenti; minimalisti, spenti, quasi invisibili confrontati al resto.
Un contrasto interessante, mi ci sarei potuta abituare, sempre se avessi avuto tempo per osservarli meglio.
Camille mi si avvicinò garbatamente - Dici che ci faranno del male? - tremò.
La donna si fermò, e ci guardò attentamente per qualche secondo. Intuii un delicato sorriso, una punta di malizia nel sapere cosa ci aspettava, quasi del divertimento nel non dircelo; si portò un sottile dito alla bocca della maschera, come ad intimarci al silenzio.
Rabbrividii. Non avrei potuto disubbidirle nemmeno volendo.
Mi limitai ad una pacca sulla spalla e ad un sorriso, non che potessi fare di più; mi rassicurai nel vedere la ragazza più sollevata.
Ci fece scendere lungo una lussuosa scala di marmo bianco, gelido sotto i nostri piedi scalzi.
Proseguimmo avvolte da un pesante silenzio, scandito solo dal leggero ticchettio di quelli che dovevano essere i tacchi della donna, nascosti sotto al lungo vestito.
Avremmo fatto la sua stessa fine? Forse saremmo diventate davvero delle schiave.
Leggende che circolavano in paese narravano di cannibalismo, alcune di macabri esperimenti, altre ancora di una quantità di oro e diamanti tale da non poterla neppure immaginare, ma nessuno vi era mai uscito per raccontare quale versione corrispondesse a realtà. Prima di allora, avevo sempre sorriso alla fantasia della gente, e ignorato; io non ero destinata a vivere nella magione, io avevo un'altra vita in programma per il mio futuro.. Sorrisi amaramente al pensiero; ora le tenevo tutte a mente, e me le ripetevo silenziosamente per darmi anche solo un'idea di cosa potesse aspettarmi.
Le sottili linee nere che si intersecavano nel marmo ci avevano accompagnate fino ad una mediocre porta di legno, probabilmente ebano, con sottilissimi dettagli dorati; socchiusa, lasciava passare solamente un sottile spiraglio di luce.
Come poteva una sola persona possedere una quantità di denaro tale da poter vivere in un lusso tanto sfrenato, e al tempo stesso sostenere un intero villaggio?
Cominciai ad immaginarci come merce.
- Stiamo per morire? - sussurrò una ragazza piccola, dal fondo del gruppo.
Non sapevo se pensarla come lei o eliminare completamente quell'idea dalla mente.
- Affatto. - le risposero alcune con una risata sommessa - Stiamo per diventare ricche! -
Prospettiva decisamente più interessante.
La donna si girò nuovamente per intimarci il silenzio; nessuna osò disobbedire nuovamente. Ci scrutò di nuovo per qualche istante, quasi come se non ci ritenesse all'altezza. Poi aprì poi la porta, inondandoci di una luce accecante, seppur relativamente tenue.
Il timore si tramutò rapidamente in stupore.
Non sono tuttora in grado di descrivere con parole precise una stanza tanto immensa e tanto spaziosa. Pavimento, pareti, soffitto, tutto dello stesso rosso intenso, sporcato di tanto in tanto di macchie nere e dorate; la luce non era affatto naturale, ma proveniva invece da centinaia di candelabri che costellavano i muri. E poi ancora decorazioni d'oro rifinivano ogni angolo, e piccoli diamanti le decoravano e illuminavano; il soffitto pareva un cielo costellato di rubini, zaffiri, e altre gemme di cui non conoscevo nemmeno l'esistenza.
Ovunque lo sguardo si poggiasse, venivamo abbagliate da dimostrazioni di ricchezza e fama, sembrava come se il Conte si prendesse gioco della povertà del paese che lo circondava; se solo avessi potuto prendere anche la più insignificante pietra, la mia famiglia avrebbe vissuto in condizioni decisamente migliori di quelle a cui era costretta. Decisi di tenerlo a mente, in caso fossi mai riuscita ad uscire da quel posto.
Ma niente decorazioni.
Nessuna mensola pendeva dalle pareti, nessuna statua riempiva spazi vuoti, nessun vaso, nessuna pianta; vuoto assoluto sembrava accentuare il freddo dell'inverno.
Solo una sedia di legno, finemente imbottita, prendeva posto al centro della stanza.
E il Conte seduto su di essa.
Rimasi a fissarlo per interminabili secondi; aveva qualcosa di stranamente affascinante, come avevano sempre raccontato in paese, ma allo stesso tempo sembrava tanto misterioso e sinistro che avevo quasi il timore di guardarlo.
Era chino, come perso in chi sa quali pensieri, i gomiti appoggiati alle ginocchia e le mani intrecciate sotto al mento.
Qualcosa luccicava ai suoi piedi, come un lungo archetto da violino con metallo al posto del legno.
I colori e le decorazioni della stanza si ripetevano persino sui suoi abiti; non riuscivo a smettere di osservarlo, sembrava tanto in sintonia con la casa da farne parte lui stesso.
Fece un veloce gesto, come noncurante della nostra presenza, e la donna ci fece sistemare lungo un muro, di fronte a lui.
Sembrava un qualche assurdo rito, come un cerimonia di inizializzazione ad una setta sconosciuta.
Passarono lunghi e interminabili secondi di nulla assoluto.
Aprì poi leggermente gli occhi e ci scrutò, come a volerci esaminare; aveva un'espressine tanto fredda che l'inverno sembrò quasi estate.
Deglutii.
Avrei voluto distogliere lo sguardo, nascondermi, ma non riuscivo a muovermi; avevo quasi il timore di respirare, ero come incantata da quegli occhi, così gelidi, così ipnotici..
Si alzò di scatto, e ne rimasi quasi stordita; mi ero come svegliata di colpo.
- Benvenute, Care. -
Non capivo se averne paura o esserne nuovamente affascinata.
Aveva la voce bassa, calda, quasi roca; ma nascondeva un lato sinistro, qualcosa che non riuscivo esattamente a sentire, ma percepivo debolmente, come se le sue intenzioni fossero tanto devastanti che non riusciva nemmeno a nasconderle..
Mi girai verso le altre ragazze, in cerca della mia stessa sensazione; nulla, ne erano semplicemente ammaliate, completamente rapite, sembravano non aver occhi se non per lui.
Prese in mano l'archetto metallico e cominciò ad osservarlo morbosamente, come se non vedesse l'ora di utilizzarlo.
Ci avrebbe suonato qualcosa? Sarebbe stato un benvenuto degno di nota, in tutti i sensi. Anche se non vedevo nessuno strumento..
Si girò verso di noi come in cerca di qualcosa, probabilmente della ragazza che lo ispirava maggiormente. Trattenni il fiato, non sapevo nemmeno io in cosa sperare.
Poi alzò un dito con tale grazia che feci fatica ad associare il gesto ad un uomo, ed indicò Camille.
- Tu. -
La ragazza si guardò intorno per paura di aver frainteso; non capivo se si sentiva onorata per esser stata scelta, o terrorizzata per non conoscere quello che sarebbe successo di li a poco.
- Si, tu. - gli sussurrò dolcemente - Sei così graziosa, non potrai che fare un suono sublime. -
Avremmo dovuto cantare? Dannazione. Non avrebbe mai scelto me.. Dovevo forse esserne felice?
Camille arrossì, e si avvicinò con timore al Conte.
L'uomo le prese il viso tra le mani, guardandola soddisfatto; sembrava il sorriso di un cacciatore, alto, possente, sovrastava la preda come un'ombra di morte. Mi si raggelò il sangue a vedere il suo volto.
Desiderai con tutta me stessa che gli bastasse Camille; egoista, me ne rendo conto, ma quando ne potrebbe andare della tua stessa vita non puoi far altro che pensare a te stesso.
Lei non faceva che sorridere, come se l'uomo che le stava davanti non fosse lo stesso che vedevo io.
Ero forse diventata pazza?
Le prese le mani e la appoggiò delicatamente a terra, come se avesse paura di romperla; lei lo seguì ubbidiente, inginocchiandosi davanti alla sedia, rivolta verso di noi.
Non potemmo fare altro che osservare inermi, quasi ansiose di scoprire cosa ci aspettava.
Il Conte passò la mano sul suo archetto; lo accarezzò dolcemente, come se stesse tranquillizzando una bestia agitata.
Poi scostò delicatamente il lenzuolo che ricopriva Camille, fino a lasciarle la schiena scoperta.
Osservò la sua pelle dorata, la linea delle sue scapole, era come se il suo sguardo stesse scivolando silenzioso sulla ragazza, come se si stesse assicurando che la preda fosse in salute.
Vedevo Camille che tremava, forse per il freddo, forse per la paura. Mi guardò sorridente; non capii di preciso se stesse mentendo o meno, ma ricambiai il sorriso.
Calò l'archetto, e una nota acuta accompagnò una smorfia di dolore.
Il Conte cominciò a muovere lo strumento sulla schiena della ragazza, avanti e indietro, inesorabile, incurante del resto del mondo che lo circondava. Il metallo che scalfiva velocemente la pelle provocava macabre note, che si andavano a mescolare con il sangue, con il sorriso beffardo dell'uomo.
Una ragazza accanto a me si coprì gli occhi, un'altra si girò altrove, chi si tappava le orecchie, chi osservava inorridita la scena; la donna no.
Lei era rimasta immobile, a fissare lo spettacolo come se stesse aspettando di vederlo da una vita.
Non avevo nemmeno la forza di pensare, ero semplicemente inerme.
La musica era macchiata dalla voce della ragazza, dalle strazianti grida di dolore, che riecheggiavano per tutta la stanza come se rimbalzassero da una parete all'altra, da una mente all'altra.
Il sorriso del Conte si tramutò in una smorfia, e si fermò.
Si alzò in piedi, cupo, lo sguardo spento. Sembrava profondamente deluso, turbato dal pianto di Camille.
- La tua voce rovina la mia arte. - sussurrò a denti stretti.
La mano calò, e l'archetto staccò di netto la testa della ragazza.
Silenzio profondo inondò la stanza.
I miei pensieri smisero di parlare; i miei occhi divoravano amaramente il sangue che lentamente macchiava il lenzuolo, la mente avida in cerca di risposte.
Ma non ne avevo.
Solo assordante silenzio.
Non avevo nemmeno le forze per disperarmi, ero semplicemente stata avvolta da quella scena che la mente rifiutava di paragonare a realtà.
Un urlo interruppe lo stupore.
Una ragazza cominciò a correre terrorizzata verso la porta.
Non mi girai, ero immobile.
La sentii grattare disperata contro il legno con tale forza che potevo percepire le sue unghie rompersi e il sangue colare anche senza guardarla.
Ma non mi girai.
Le vicende cominciarono a farsi confuse nella mia mente, come se il tempo non stesse andando in ordine, per me; gli occhi gelidi di Camille che si confondevano con quelli di un'altra fanciulla, le grida terrorizzate delle ragazze, o forse prima uno sparo?
Mi ritrovai a terra, inginocchiata nel sangue ancora caldo, la schiena verso il conte; era successo tutto tanto velocemente che non me ne resi conto, la testa mi girava, ma il macabro caldo mi riportava alla realtà.
Sentivo la donna ridere. Una risata fragorosa che riportò il silenzio nella stanza.
Le fanciulle avevano gli occhi rossi, si guardavano intorno disorientate, mi guardavano dispiaciute.
Vidi la ragazza che prima tentava di scappare, stesa davanti alla porta, e il cranio bucato.
Tornai velocemente alla realtà, e mi resi conto ancora più velocemente di dove mi trovavo.
Sarei morta. Me lo sentivo. Sarebbe finito tutto ancora prima di poter cominciare.
Sentii una mano ossuta afferrarmi il mento e inclinarmi la testa indietro.
- Avrai il coraggio di rovinare la mia arte, Cara? -
La sua bocca era tanto vicina al mio orecchio che potevo sentirne il calore e l'umidità riscaldare il mio volto, un odore penetrante di tabacco mi inebriò con violenza fino quasi a farmi avere un conato.
Mi lasciò il mento, e allo stesso modo mi lasciai cadere la testa.
Lo sentii sedersi.
 L'archetto gelido cominciò a danzare sinuoso sulla mia schiena.
All'inizio era sopportabile, e strinsi i denti per ignorarlo.
Poi cominciò a librarsi sempre più veloce, accompagnato al sangue che colava denso sulla mia pelle.
Volevo urlare, piangere, disperarmi; pensai che la morte sarebbe stata più caritatevole di quella pena.
Ma rimasi zitta.
Potevo fare altro? Ero muta. Non una parola, non un urlo, avrebbero potuto abbandonare il mio corpo.
Note amare si diffusero nell'aria, note che non credevo di poter produrre. Lo sentii suonare con più veemenza, una musica sempre più complicata, sempre più dolorosa.
Una ragazza mi sorrideva tra le lacrime. Non seppi decifrarne l'espressione.
Lasciò cadere l'archetto a terra, ansimando.
Non osavo nemmeno immaginare come dovesse essere la mia schiena quando anche l'ultima nota si dileguò. Mi ripromisi di non guardarmi mai allo specchio.
Vidi la donna annuire, immaginai il gesto come risposta ad un cenno del Conte.
Infilò una mano nella scollatura del vestito, tirandone fuori un sacchettino legato a mo' di ciondolo. Lo aprì, e soffiò elegantemente la polvere che conteneva al suo interno sulle ragazze, ad una ad una, con cura.
Ero come stordita, cosa stava accadendo?
- Tu sei arte! - Urlò soddisfatto il Conte.
Infine la donna arrivò su di me; aveva un odore tanto dolciastro che mi diede quasi la nausea.
Gli occhi si fecero pesanti e sentii le forze abbandonarmi.
L'ultima cosa che percepii furono due mani forti che mi sistemarono il lenzuolo, e il pavimento che cominciò a mancarmi sotto i piedi.
  
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