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Autore: MaxB    08/01/2017    4 recensioni
La storia d'amore di Gajeel e Levy ha toccato i cuori di migliaia di fangirl e fanboy.
Sembra che i loro personaggi siano nati per stare insieme per sempre, prima ancora che Hiro Mashima preventivasse un tale sviluppo dei loro sentimenti.
Per questo è, per molti, l'OTP perfetta.
...
Ma se Levy lasciasse Gajeel per un motivo che non vuole spiegargli?
Come si comporterebbe lui, di nuovo single dopo nove mesi di relazione?
Riuscirebbe a convincerla a tornare insieme e a farsi spiegare il perché della rottura?
~~~~~~~~~~○~~~~~~~~~~
Scrivere questa cosa è stata fisicamente dolorosa, ma necessaria dal momento che l'ho sognata (letteralmente, ho fatto un sogno su loro che si lasciavano). Mi ha assillata e l'unico modo per liberarmi della tortura è stato scriverla.
Spero che vi piaccia e... GAJEVY FOR LIFE, FOREVER AND EVER❤
[College AU][Tanto fluff][2 capitoli]
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gajil Redfox, Gray Fullbuster, Levy McGarden, Lucy Heartphilia, Natsu
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IL FUTURO


- Allora?
La voce di Gray riscosse Gajeel dalla sua muta e disperata contemplazione di Levy che, a qualche passo di distanza, stava riponendo i libri nel suo armadietto, scherzando con le amiche.
- Cosa? – farfugliò lui, rispondendo più per riflesso involontario che per educazione.
- Le hai parlato? – lo incalzò Gray, salutando distrattamente Laxus, Bixlow e Freed, di passaggio.
Gajeel non li notò nemmeno. - Sì.
- E? Hai seguito il mio consiglio?
Il ragazzo gli lanciò un’occhiata di fuoco e chiuse con forza lo sportello del suo armadietto, per poi girarsi e fronteggiare l’amico ad un palmo dal suo naso. – Non abbiamo limonato, Gray, ero troppo intento a soffrire per l’acido di limone che la conferma del suo rifiuto mi ha mandato in circolazione.
Gray sembrava disorientato. – Scherzi? Levy? Ma dai!
Gajeel strinse i pugni e meditò seriamente di spaccare il naso al compagno, ma con la coda dell’occhio vide Levy voltarsi verso di loro e desistette. Un secondo dopo la ragazza li stava nuovamente ignorando.
- Non è possibile che tu e Levy non stiate più assieme. Non posso crederci.
- Pensa me! – sbottò Gajeel, prendendo le sue cose e avviandosi verso le ragazze.
Salutò educatamente con un gesto della mano quando passò loro di fianco, e le sue compagne risposero sorridendo affabilmente. Tranne Levy.
Lucy guardò l’amica, stranita di fronte al suo atteggiamento freddo nei confronti del ragazzo. Stava per aprire bocca ed indagare, ma l’arrivo di Natsu, che travolse chiunque incontrò sul proprio percorso, le fece accantonare momentaneamente la questione.
Gajeel decise che nel pomeriggio sarebbe rimasto in palestra ad allenarsi, a dispetto dei compiti, della stanchezza e di qualsiasi altra cosa. Si sarebbe scaricato fino a farsi dolere i muscoli, finché il bruciore fisico non avesse obnubilato il lancinante strazio che gli albergava nel petto.
Solo così, forse sarebbe riuscito ad andare avanti.
 
Si stava allenando da venti minuti scarsi, ma la foga e l’impegno che Gajeel profuse nel riscaldamento e nei successivi tiri a canestro lo fecero riempire di sudore nel giro di poco.
Con solo i pantaloni della divisa sportiva addosso, si allenò come un giocatore di NBA, con l’impegno di tutti i membri della sua squadra messi insieme nei giorni precedenti una gara di campionato.
Avvertì la sua presenza quando fece l’ennesimo canestro perfetto, a dispetto della sua mancanza di concentrazione. Girandosi, la vide avanzare timidamente in mezzo alla palestra, fermandosi a pochi passi da lui.
Gajeel la guardò con la bocca semiaperta, la palla sottobraccio, recuperata al volo, e i muscoli del petto bene in vista. Aveva il respiro affannoso e qualche ciocca di capelli sudata e spettinata gli ricadeva sul viso, addolcendone i tratti.
- Che fai qui, Levy? – chiese, incapace di mantenere il silenzio un secondo di più.
La ragazza si morse il labbro inferiore e distolse lo sguardo dal suo, sistemandosi meglio la borsa sulla spalla. – Sono venuta per avvisarti che non posso più darti ripetizioni – disse tutto d’un fiato, con una freddezza che fece venire i brividi a Gajeel nonostante fosse accaldato.
- Bene, oltre a mandare nel cesso la nostra relazione ora mandi al diavolo anche la mia possibilità di avere qualche voto decente. Non bastava rovinare la vita a me, devi anche fare in modo che tutto ciò che mi riguarda vada male – ringhiò lui, gettando la palla lontano e tuttavia non riuscendo a farle alzare lo sguardo.
D’impeto, le prese il mento tra le dita, obbligandola a voltare la testa per guardarlo, e le si avvicinò per scrutarla negli occhi. Quando si chinò ancora di più per baciarla, lei lo prevenne. – Non voglio rovinarti la vita, Gajeel. Fidati che è meglio così, è la cosa migliore iniziare a vivere uno senza l’altro. Non sarebbe potuto essere altrimenti.
Il ragazzo scattò all’indietro come se avesse visto danzargli davanti agli occhi la lingua sibilante di un serpente velenoso. – La smetti con queste frasi criptiche e sibilline e con la storia dell’’è meglio per tutti’? Un cavolo che è meglio per me se mi hai lasciato, Levy! Non vuoi più saperne di me? D’accordo, ma dammi una motivazione, una! Una più credibile di quella che stai usando ora, perché penso di meritarla, dopo quasi nove mesi insieme. Ti avevo anche già comprato il regalo per l’anniversario, sai? Che idiota che sono stato a pensare che tu fossi sincera.
Lo schiaffo di Levy fu repentino e doloroso, e Gajeel si ritrovò a fissare il muro laterale al posto di quello frontale. Probabilmente gli sarebbe rimasto il segno di cinque dita piccole e rosse stampate sulla guancia, più eloquenti di qualsiasi altra parola.
- Non darmi della falsa – sussurrò lei, guardandolo con occhi incattiviti che Gajeel non le aveva mai visto, e che non le si addicevano. – Lo sai che per me non sono stati una bugia questi otto mesi. Non provare nemmeno ad insabbiarli con qualche stupidaggine, non te lo permetto.
Il ragazzo riportò lentamente l’attenzione su di lei, stringendo gli occhi e contraendo i pugni. – Che importanza ha, ora? Mi hai scaricato! Se la nostra storia avesse significato qualcosa ora saremmo ancora insieme – sbraitò, facendola indietreggiare nonostante lo sguardo freddo che continuava ad ostentare.
Gajeel respirò profondamente e chinò la testa, sconfitto. – Ti prego Levy, non mi lasciare. Non voglio tornare ad essere quello che ero prima.
Il silenzio si protrasse finché non si sentì un singulto, e Gajeel scoprì che proveniva da Levy, che stava piangendo con una mano davanti alla bocca, cercando di fermare le lacrime e i singhiozzi.
- Lev… - mormorò, avvicinandosi cautamente e posandole una mano sulla guancia, asciugandole le lacrime salate di dolore che le scendevano come una cascata dagli occhi sofferenti. Non più arrabbiati, solo sofferenti. Gajeel si sentì in colpa, perché con Levy era così. Non poteva vederla piangere, non voleva vederla agonizzare come in quel momento. Il ragazzo capì che, se il lasciarlo avesse potuto riportare il sorriso sulle sue labbra, si sarebbe messo da parte uscendo dalla sua vita. Era più facile sopportare il suo dolore che vedere la sua ragazza provarlo a causa sua.
- Lev, scusami – mormorò, posando la fronte sulla sua, mentre la mano di lei si spostava dalla sua bocca e si appoggiava sul suo petto nudo, sul suo cuore. – Se la nostra storia ti rende infelice, va bene. Se è questa la motivazione, d’accordo, non stiamo più insieme. Mi dispiace di averti fatta piangere. Uscirò dalla tua vita… cercherò di farlo, insomma. All’inizio porta pazienza, vedrai che prenderò l’abitudine di… di starti lontano, con il tempo. Meriti di meglio, è vero. Scusami.
Gajeel aveva le mani piene delle sue lacrime, che dai suoi occhi erano scese fino ad inzuppare le sue dita gentili mentre cercavano di scacciare via quei solchi di fuoco salato dalle sue guance morbide.
Sentendo i suoi stessi occhi inumidirsi, le posò un bacio in fronte e fece per allontanarsi, ma Levy scoppiò a piangere senza ritegno e gli si gettò addosso, circondandogli il collo con le braccia e la vita con le gambe, cogliendolo di sorpresa e costringendolo ad ondeggiare alla ricerca dell’equilibrio necessario a tenere in piedi entrambi. La sua bocca trovò quella del ragazzo con urgenza, bagnando il suo volto con le sue lacrime che presto si mischiarono a quelle che piovevano dai suoi occhi cremisi.
Perché Gajeel lo sentiva, quello era un bacio d’addio.
Si baciarono con un impeto e una foga che non avevano mai adoperato, facendo trapelare la disperazione che bruciava nel loro cuore come una città devastata dalle bombe. Si baciarono come se quello fosse stato il loro unico momento insieme prima di morire, e forse era così per entrambi. Gajeel dovette interrompere quel contatto troppo presto, per appoggiare la fronte sulla sua spalla e, stritolandola a sé, piangere come non aveva mai pianto nemmeno da bambino, quando sua mamma lo scaricava a qualche tata invece di coccolarlo come qualsiasi altro genitore. Pianse come non aveva mai pianto nemmeno quando suo papà, l’unico che forse l’aveva amato, era andato via.
Levy lo cullò a sé e tirò su con il naso, asciugandosi le lacrime con le mani bagnate, baciandogli il collo e singhiozzando nel suo orecchio. Dal collo risalì lungò la mascella e la guancia, gli baciò gli occhi umidi e scese lungo il naso, fino ad unire di nuovo le loro bocche in un bacio di amore amaro.
Senza una parola, Levy sciolse il groviglio di gambe dai suoi fianchi e Gajeel la posò delicatamente a terra, osservandola impotente mentre, senza guardarlo, scappava via aprendo le porte della palestra con rabbia, facendole sbattere contro il muro.
Lasciando Gajeel fermò in mezzo alla sala vuota, che sembrava piovergli addosso per sommergerlo.
Passarono diversi minuti prima che il ragazzo fosse capace di riordinare i suoi pensieri e costringersi ad andare verso le docce, sapendo che nemmeno un bagno nella lava sarebbe riuscito a scaldarlo e scacciare quel gelo che gli aveva marchiato la pelle dove Levy lo aveva toccato per l’ultima volta.
 
- Oddio, sei morto vero? Sei un fantasma! – esclamò Natsu il giorno dopo, provando cautamente a fargli passare la mano attraverso l’addome, ricevendo in cambio un pugno di ferro contro lo stomaco.
Gemette, mentre Gray ridacchiava. – Natsu non ha tutti i torti, Gajeel. Ti sei fatto investire e poi sei rimasto sotto la neve per tutta la notte?
Gajeel non rispose nemmeno, semplicemente chiuse con forza il suo armadietto e cercò con lo sguardo qualcosa. Anzi, qualcuno. Qualcuno che, appena intercettò i suoi occhi, si girò dall’altra parte e si sforzò di sorridere alle sue amiche, leggermente accigliate. La vide gesticolare alla ricerca di una scusa per il suo scarso entusiasmo, per poi indicare la classe e dirigervisi con un’allegrezza che non avrebbe ingannato nemmeno un cieco.
- Le hai parlato ancora? – lo distrasse Gray, pungolandogli il petto, dopo aver seguito il suo sguardo e aver intuito la causa del suo turbamento.
- Sì – disse Gajeel, secco, prendendo la sua sacca e andando nella direzione in cui erano le ragazze, sue amiche.
- E? – lo incalzò Gray, mentre Natsu li tallonava cercando di far loro lo sgambetto. – Risolto qualcosa?
- Abbiamo limonato – lo mise al corrente Gajeel, alzando la mano in cenno di saluto verso le cheerleader, che ricambiarono sorridendo.
Gray, che stava cercando di non farsi vedere da Juvia per evitare che gli si appiccicasse addosso, rispose dopo parecchi istanti.
- Ah, quindi… ah, avete limonato! Fantastico. Vedi che ho i migliori consigli del mondo? Non ti chiedo di pagarmi solo perché sei mio amico – gongolò Gray, fiero del consiglio a cui nemmeno lui, in realtà, aveva creduto.
- Ma allora perché sei così depresso? – indagò Natsu, dicendo per una volta una cosa sensata.
- Perché era un limone d’addio – sbottò Gajeel, inforcando la sua classe e lasciando i suoi amici piantati nel corridoio, come due pesci lessi.
Gajeel si sedette al suo banco e chiuse gli occhi, godendosi il silenzio che non sarebbe durato molto.
Infatti dopo cinque secondi i suoi timpani vennero perforati dagli urletti poco virili di Gray.
- Come sarebbe a dire che era un limone d’addio?!
- Nel senso che ti ha scritto addio su un limone e te l’ha dato? – chiese invece Natsu, con gli occhi che luccicavano. – Che cosa geniale! Per far capire che l’addio è aspro! – concluse scoppiando a ridere, mentre Gray e Gajeel lo guardavano con un tic rabbioso alla palpebra.
- Quindi è ufficiale? Ti ha piantato? – domandò pacatamente Gray, fissandolo dall’alto.
L’amico sospirò. – Sì. È finita.
- Ma…
- Lasciami in pace, Gray. Lasciami solo, ci vediamo all’allenamento – lo prevenne, gelandolo con lo sguardo e facendogli capire che in quel momento nemmeno la garanzia di vincere il torneo lo avrebbe fatto parlare.
Gray e Natsu lo osservarono in silenzio, indecisi su cosa fare, e alla fine si diressero verso la porta. – Ci vediamo dopo, Gajeel.
Il ragazzo non li salutò, appoggiò la testa sul bancone e desiderò tornare al tempo in cui, non avendo nessuno da amare, la sofferenza della solitudine sembrava miele al confronto di un cuore distrutto.
 
Ad allenamento non se la cavò male, rispetto al lunedì. Cercò di usare tutta la rabbia che gli scorreva come fiele nelle vene per giocare in attacco, facendo però qualche fallo violento che l’allenatore gli fischiò con sorpresa.
Chi invece non andò granché bene fu Levy, che era distratta e rischiò in due diverse occasioni di cadere dalla sommità della torre umana, richiamando all’erta Gajeel che si appostava vicino alle cheerleader nel caso in cui fosse stato necessario un intervento urgente di salvataggio.
Fidanzati o no, non avrebbe permesso che Levy si ferisse.
- Levy, sei distratta da lunedì, qualcosa non va? – chiese Lucy, notando con la coda dell’occhio che Gajeel tornava a giocare senza dire una parola, e che lui e Levy evitavano qualsiasi tipo di contatto visivo.
La ragazza annuì in risposta, sfregandosi il braccio come riflesso incondizionato. – Sono solo preoccupata per le verifiche di fine quadrimestre.
- Temi che Gajeel non le passi? – indagò Lucy, mettendole una mano sulla spalla.
Levy la guardò, sorpresa, e poi si ricordò che nessuno sapeva che lei e Gajeel si erano lasciati. – No, non è questo. Penso che le passerà, insomma… - rivelò, poco convinta.
- Avete litigato? Ha dimenticato di fare qualcosa?
- Perché deve per forza avere a che fare con Gajeel, il mio umore? – replicò Levy, sulla difensiva.
Lucy alzò le mani in segno di pace. – Scusa, non volevo offenderti. È solo che ogni volta che ti vedo così c’entra lui. Eri giù di morale l’anno scorso, quando hai scoperto che frequentava il tuo stesso college, eri così depressa quando pensavi che andasse al ballo di primavera con un’altra, o quando pensavi si fosse dimenticato del vostro primo mesiversario.
- Mi stai dicendo che quando sono infelice è causa sua?
- Non dico questo, dico solo che a lui tieni così tanto che le tue preoccupazioni sono legate imprescindibilmente a lui. Quindi, visto che non ti ho mai, mai vista così giù, pensavo che fosse per causa sua. Scusa se ho sbagliato considerazione – concluse Lucy, amareggiata.
Levy sospirò. – Scusami tu, non è un bel periodo, è vero. Ma non è colpa di Gajeel. Anzi, tecnicamente sì, ma in realtà è colpa mia perché…
La ragazza si bloccò quando si rese conto che i suoi borbotti confusi non facevano altro che disorientare Lucy. – Levy, zitta – la blocco l’amica dopo poco. – Fermati da me dopo l’allenamento, un po’ di cioccolata calda e chiacchiere tra donne guariscono sempre tutto.
Levy sorrise leggermente lanciando un’occhiata di sottecchi a Gajeel, che in quel momento segnò a canestro e si voltò subito verso di lei per assicurarsi che lo stesse guardando. Lei si affrettò a puntare il naso contro la punta delle sue scarpette bianche, stringendo gli occhi per cancellare il suo volto e non rendersi conto di quanto fosse bello da far male.
Cercò di ripetersi che quella separazione era un bene per entrambi, che col tempo sarebbero stati più felici. Ma più passavano le ore, più aveva voglia di piangere e uccidersi di gelato in attesa che lui andasse a salvarla e dirle che era bellissima senza in realtà aprire bocca, comunicandoglielo con gli occhi come solo lui sapeva fare.
- Levy? – la richiamò l’amica.
- Sì, Lu, d’accordo – concesse lei, sorridendole leggermente.
- Andiamo a finire allora, altrimenti Evergreen si mette a litigare con Erza su chi sia più idonea per sostituirti in cima alla torre umana.
Levy ridacchiò e tornò dalle compagne, obbligandosi a non voltarsi per scoprire che gli occhi cremisi che tanto amava la stavano fissando con disperazione.
 
- Novità? Ho visto che ti guardava durante la partita – esordì Gray in spogliatoio, piazzandosi nudo come mamma l’aveva fatto davanti a Gajeel, seduto sulla panchina.
Lui, appena alzò lo sguardo, fece una smorfia disgustata e lo spinse indietro, facendogli piazzare il sedere in faccia a Natsu, che si buttò per terra sputando.
- Chi guardava chi? – chiese Jet, infilandosi i pantaloni puliti. Poi si accigliò e lanciò un’occhiata a Droy, che lo raggiunse. – Tradisci Levy, Gajeel?
Il ragazzo li fulminò con lo sguardo e poi guardò in cagnesco Gray, lasciandogli intendere quanto fosse stato idiota a tirare fuori l’argomento davanti a tutti.
- Non può tradirla se non stanno insieme – spiegò Natsu, il genio della palestra e dintorni.
Gajeel si infilò la maglia e si alzò per infilarsi il giubbotto al volo, ma la mano di Elfman lo bloccò. – E’ da uomo scaricare.
- In realtà è stata lei a mollare lui, e lui si sta piangendo addosso da lunedì – rivelò Natsu, tutto contento.
Gray gli tirò un calcio sugli stinchi e i due iniziarono a lottare senza nemmeno bisogno di guardarsi.
- Oh – disse Elfman. – Be’, anche soffrire per amore è da uomini!
- Falla finita, Elfman – lo zittì Jet, sedendosi dove prima era Gajeel. – Che vuol dire che ti ha mollato? Non state più insieme? E da quando?
- Da domenica – sibilò lui, allacciandosi le scarpe e prendendo la borsa.
- E perché?! – sbottò Droy, sconvolto.
- Me lo chiedo da domenica – rispose Gajeel, mentre l’eco delle porte dello spogliatoio che sbattevano chiudeva il discorso.
 
- Lucy guarda in alto, allunga la trachea. Guarda su, Lu! Ecco, ora bevi. L’acqua, non la cioccolata!
Levy passò all’amica il bicchiere, spronandola a bere per calmare la tosse. Le era andata di traverso la cioccolata in modo così violento che era diventata paonazza.
- Tu… - tossì l’amica, bloccandosi per riprendere fiato e bere. – Tu cosa?!
Levy sospirò, piegando le ginocchia sul divano di camera di Lucy. La stanza della sua amica poteva quasi contenere il primo piano di casa sua. – Io ho rotto con Gajeel.
- Ma sei masochista?! Pazza? Crudele? Ti sei bevuta l’infinità di intelligentissimi neuroni che hai nel cervello, Levy?!
- No… - mormorò lei, poco convinta, imponendosi di non piangere. – No io… non lo so, sono tanto confusa – rivelò, fallendo nel tentativo di mostrarsi sicura.
- Oh, piccola, vieni qui – la invitò Lucy, aprendo le braccia e stringendosi l’amica al petto, soffocando i suoi singhiozzi. – Levy, ora lo chiami, gli dici che lo ami e che ti venga a prendere per passare la notte insieme, va bene?
La ragazza annuì, prendendo il cellulare che Lucy le passava. Sbloccò lo schermo e provò a digitare il numero di Gajeel, ma quando una lacrima inzuppò lo schermo lo buttò a terra come se avesse preso la scossa. – Non posso Lu, non posso. Aiutami a non cedere, ti prego.
L’amica la strinse e la cullò, cercando di farla calmare.
Quando Levy riuscì a respirare in modo regolare, dopo parecchi minuti, Lucy le passò la tazza di cioccolata ormai fredda, e le accarezzò i capelli, rischiando di farla piangere di nuovo al ricordo del modo dolce in cui lo faceva sempre Gajeel.
- Levy, che diavolo è successo?
Dopo un sorso di cioccolata, la ragazza sospirò e, preso il cellulare da terra, fissò il salvaschermo che non aveva ancora cambiato, in cui Gajeel dormiva placidamente e lei gli baciava la guancia, un selfie fatto una domenica mattina di qualche mese prima. Si soffiò il naso e sospirò ancora.
- Ho lasciato Gajeel – sussurrò.
- Okay. Perché?
Levy fissò ancora la foto sul cellulare, prima di riappoggiarsi al divano e strofinarsi gli occhi arrossati. – Praticamente…
 
Giovedì mattina Gajeel stava stringendo convulsamente la fascetta di Levy, una delle tante che la ragazza aveva scordato a casa sua. Il piano era di farle riavere le sue cose. Ne aveva tante a casa sua, tra libri e indumenti come calzini e fascette o cambi di pigiami e tute. Dal momento che si erano lasciati, non c’era più motivo di tenerli a casa. Quindi glieli avrebbe ridati.
Uno alla volta.
Uno al giorno.
Ogni oggetto ritornato era una possibilità di parlare con lei, dal momento che sembrava intenzionata ad evitarlo nonostante il suo “siamo comunque amici”.
- Ehi Levy – la bloccò quel giorno, sorprendendola alle spalle in compagnia di Lucy. Magari non le aveva ancora detto che non stavano più insieme, e se non voleva farglielo sapere doveva almeno dargli corda.
La ragazza si fermò e Lucy lo osservò preoccupata, con uno sguardo che non ammetteva dubbi: sapeva.
Gajeel aggrottò le sopracciglia e riportò gli occhi su Levy, strabuzzandoli. – Che hai fatto agli occhi? Stai bene?
Levy aveva due pallina da ping pong al posto delle palpebre, e le iridi erano più rosse che bianche.
Gajeel allungò la mano per posargliela sulla spalla, ma la vide irrigidirsi e desistette.
- Ti avevo detto che dovevo mettere gli occhiali – mormorò Levy a Lucy, grattandosi le palpebre gonfie.
- Ma stai bene? Che è successo? – chiese ancora Gajeel, non tollerando il silenzio come risposta.
- Ho dormito male, Gajeel, grazie per la tua sensibilità – rispose allora Levy, tagliente.
Il ragazzo strinse ancora di più la fascetta, dispiaciuto. Non era quello il modo in cui aveva pensato di iniziare la conversazione.
- Devi dirmi qualcosa? – lo incalzò Levy, incapace di guardarlo.
- Oh, hai dimenticato questa a casa mia e… be’, tieni – farfugliò, allungandole la fascetta arancione.
Levy la prese e poi la osservò con occhio critico. – Come mai è così stropicciata?
Gajeel si schiarì la voce e poi scosse le spalle. – Non so, forse durante il tragitto fino a qui si è un po’ accartocciata.
Levy la mise in borsa e poi lo guardò, impassibile. – Grazie. Ora vado a lezione.
Gajeel rimase immobile, osservandola mentre si allontanava. Si ricordò di Lucy solo quando la ragazza gli posò una mano sul braccio e gli sorrise tristemente. Prima di seguire Levy gli mimò il gesto di asciugarsi una lacrima, e Gajeel capì che in realtà la sua ex ragazza aveva passato la notte a piangere.
Il motivo non lo sapeva, ma l’accoglienza che gli aveva riservato non faceva presagire nulla di buono.
 
Venerdì mattina a Gajeel servì tutta la buona volontà di cui disponeva per mettere piede fuori casa e dirigersi al college, dove Levy lo avrebbe ignorato e i suoi amici lo avrebbero fissato con un rivoltante sguardo compassionevole, come si guarda un cucciolo ferito. E, oltretutto, proprio mentre tenevano in braccio le loro ragazze, con le quali probabilmente non perdevano occasione di imboscarsi nei bagni o in qualche aula vuota a scuola.
Che andassero al diavolo, gli facevano schifo tutti quanti.
Prima di uscire posò la testa sul freddo legno della porta d’entrata, vergognandosi di se stesso e di come la mancanza di Levy gli stesse già avvelenando l’anima, facendo tornare il suo cuore a quel buco oscuro che era stato ai tempi della sua infanzia e adolescenza.
Aprì la porta e poi si voltò verso il mobiletto d’entrata, che probabilmente era costato a sua madre un occhio della testa, con tutto quel cristallo antigraffio e legno pregiato.
Sopra esso c’erano due biglietti che Gajeel aveva ricevuto da sua mamma qualche settimana prima, e che offrivano un weekend tutto pagato in una spa di lusso, con tanto di suite residenziale e ristoranti prenotati. La sua amata genitrice gli inviava spesso contentini di quel tipo, come weekend pagati in qualche bella città, prenotazioni in ristoranti in cui un antipasto costava quanto la somma di sei diverse portate dei locali normali, terme, videogiochi o console nuove, tutto quello che Gajeel non le chiedeva e lei pensava che desiderasse. Di solito lui vendeva quei regali e versava il ricavato in un conto bancario che aveva aperto per potersene un giorno andare di casa, ma quella volta aveva deciso di usare i biglietti per fare una sorpresa a Levy.
Sabato, cioè l’indomani, sarebbe stato il loro nono mesiversario, e una bella nottata alla spa con la sua ragazza era quanto di meglio Gajeel potesse desiderare dalla vita.
Una smorfia di sarcastico dolore gli affiorò sulle labbra, e il ragazzo afferrò i biglietti prima di chiudersi la porta alle spalle, senza nemmeno salutare Lily.
 
- Ehi Levy!
La ragazza strinse gli occhi quando sentì la voce di Gajeel chiamarla forte nel corridoio e i suoi passi avvicinarsi in fretta. Troppo in fretta. Stava sicuramente correndo.
Levy accelerò il passo e puntò il bagno femminile, stringendosi i libri al petto in modo che Gajeel non potesse prenderla per le braccia per indurla a fermarsi. Non si sarebbe azzardato a tirarla per la gonna per bloccarla, nemmeno se fosse stato il suo ragazzo.
Stava per allungare la mano verso la porta del bagno, quando si scontrò contro qualcosa di solido eppure a suo modo morbido.
- Ahi… - mormorò, massaggiandosi la fronte.
- Scusa – farfugliò una voce a lei fin troppo familiare, così tanto da riconoscere una punta di divertimento nel suo tono fintamente pentito. – Buong… ehm… ciao, Levy – aggiunse poi, imbarazzato.
Levy non alzò lo sguardo, ma sapeva che si stava grattando la testa.
- Ciao. Dovrei andare in bagno.
Lui sbuffò una risata poco convinta, non intenzionato a lasciarla passare. – Dovrei parlarti.
- Io no, Gajeel. Posso andare bagno o devo farmi la pipì addosso?
- Mh-mh – confermò lui, appoggiandosi al muro con la spalla.
Levy gli lanciò un’occhiataccia e fece per aggirarlo, ma lui allungò un braccio e le sbarrò l’accesso. – Va bene, non parliamo. E comunque per fortuna vedermi ti fa scappare solo la pipì e non direttamente la cacc…
- Gajeel! – lo bloccò lei, con disappunto.
- Sì, sì – concesse lui, sapendo di farla infuriare. Sorrise leggermente al pensiero di quando diceva cose “poco fini” e signorili, facendole mettere il broncio, solo per il gusto di baciare quelle guance gonfie e prenderla in braccio, spupazzandola come se fosse un pulcino o un coniglietto.
Dio quanto l’amava…
- Siccome devo andare in bagno, ma se prima non mi parli a quanto pare non posso passare, dimmi – lo spronò lei, guardando accigliata la sua espressione confusa.
- Cosa?
- Gajeel mi stai facendo perdere tempo, cosa devi dirmi?
- Ah già. Tieni – esordì, mettendole davanti agli occhi i due biglietti per la spa di lusso che distava un’ora da lì.
Lei li prese con un po’ di titubanza, sperando di cuore che non le chiedesse di andare da qualche parte con lui. – Cosa sono?
- Biglietti per la spa che hanno appena aperto. È tutto pagato, massaggi di ogni tipo, bagni, la suite e i ristoranti.
Levy ritirò la mano come se i biglietti avessero preso fuoco all’improvviso. – Wow – mormorò, poco convinta.
- Prendili – la incitò lui.
Lei abbandonò ogni tipo di astio e lo fissò con quegli occhi limpidi dentro cui Gajeel aveva visto, fino a poco tempo prima, il proprio futuro. Non lo vedeva più, in quel momento.
- Perché?
- Perché te li sto regalando.
- Perché? – chiese ancora lei, con la voce sempre più flebile.
- Perché sono tuoi comunque. Te li… li avrei usati domani, come regalo d’anniversario. Ti avrei portata alla spa fino a domenica sera, ci saremmo rilassati e divertiti. Un bell’anniversario.
Levy sentì le viscere attorcigliarsi in una morsa dolorosa, e arretrò di un passo scuotendo la testa. – No, Gajeel. Non posso accettarli.
- Invece devi. Li accetterai o li butterò via. E tu sai quanto valgono. Vuoi farmi gettare all’aria tutti questi soldi?
Levy scosse ancora la testa, sentendolo avvicinarsi ancora a lei. Gajeel le incastrò i biglietti in un libro, ma lei scosse ancora la testa. – Sono tuoi, usali tu e vai a goderti il weekend con qualcuno.
Gajeel rise, una risata triste e amara. – Con qualcuno, certo. E con chi?
Lei non rispose e distolse lo sguardo dai suoi occhi indagatori e terribilmente eloquenti. Con chi altri poteva andare, se non con lei, l’unica persona che amava al mondo?
- Almeno tu puoi andarci con Lucy – fece notare poco dopo, allungando una mano senza rendersene conto, per accarezzarle la guancia.
Levy si irrigidì e strinse gli occhi, pregando che non la toccasse e al contempo sperando con tutta l’anima, il sangue, il fiato e i nervi che aveva in corpo che la sfiorasse, che le facesse sentire il contatto tra le loro pelli.
Ma il momento passò e quando Levy aprì gli occhi lo vide allontanarsi, dandole la schiena.
- Gajeel! – lo chiamò.
Lui alzò la mano in segno di saluto, senza voltarsi. – Divertiti con Lucy. E vai a fare la pipì.
Levy osservò le sue spalle larghe e forti, che tante volte l’avevano sostenuta, finché scomparvero nella sua aula, in fondo al corridoio. Sentì la mano e la voce di Lucy accompagnarla in bagno, dove l’amica la seppellì nel suo abbraccio, cullandola.
Levy sperò che il corpo di Lucy si trasformasse in quello confortevole e sicuro di Gajeel, e che l’indomani fosse proprio il ragazzo il suo accompagnatore.
Anzi, il suo ex ragazzo, dovette ricordare a se stessa.
 
I giorni che precedevano le vacanze di Natale trascorsero lenti e grigi, uniformi e immutabili per Gajeel.
L’unica cosa che lo spronava ad alzarsi dal letto, la mattina, era Levy. Era la speranza che lei gli aveva insegnato a non perdere mai, nemmeno nelle situazioni disperate.
Da ormai una settimana Gajeel la bloccava nel corridoio per restituirle qualcosa di suo, oggetti che aveva dimenticato a casa del ragazzo: una collana, una molletta, un libro. Ogni volta le ridava qualcosa usando quella scusa per poter parlare con lei, anche se negli ultimi due giorni gli aveva a malapena rivolto la parola.
E ogni giorno si svegliava con l’angoscia di ciò che avrebbe fatto una volta che avesse finito gli oggetti da renderle.
Sentiva bruciare un pezzo di cuore, sempre, quando Levy prendeva con distacco ciò che lui le offriva, declinando con muta decisione la sua supplica di tornare da lei.
La mancanza del suo profumo e del contatto con la sua pelle, le sue labbra, il suo collo e il suo calore in generale lo stava mandando in una crisi d’astinenza che si traduceva in situazioni imbarazzanti per entrambi e per i loro stessi amici, come quando Gajeel aveva preso due fette della sua torta preferita in mensa e, all’arrivo di Levy, aveva provato ad imboccarla facendola diventare paonazza, o quando, una mattina in cui era particolarmente assonnato, l’aveva abbracciato da dietro in mezzo al corridoio, schiacciando il suo petto contro la sua schiena e chinandosi per baciarle il collo. Levy si era irrigidita e gli aveva tirato un calcio sul polpaccio, allontanandosi in fretta di fronte alle espressioni contrite di Erza, Juvia e Mirajane.
Il non stare più con lei lo stava letteralmente uccidendo dentro, e ogni tanto si sentiva un vecchio malato d’Alzheimer che dimenticava di essere di nuovo single, di nuovo senza Levy.
Per chi non lo conosceva era facile dire che Gajeel fosse taciturno e cupo, lo era sempre stato, solitario e brusco, perennemente accigliato. Ma i suoi amici non sapevano più cosa fare per tenerlo su col morale, e non si facevano abbindolare dall’atteggiamento distaccato del ragazzo: quella che tutti confondevano per silenziosa tetraggine era in realtà un pozzo di oscura depressione da cui tutti sapevano che sarebbe riemerso solo con un metodo.
O con una persona.
Levy.
L’unica medicina che non poteva più avere.
 
Dal canto suo, la ragazza non se la passava molto meglio e, anzi, sembrava che invece di essere scaricatrice, fosse proprio lei la scaricata.
Come Gajeel, non usciva più con gli amici, si chiudeva in casa ogni pomeriggio per “studiare”, e solo Lucy riusciva ad entrare nella fortezza che era diventata la sua camera. L’amica non aveva più metodi per farla ragionare, un pomeriggio sì e uno no andava da lei e la trovava a letto in lacrime, con Wendy che non sapeva più come confortarla e diventava sempre più triste di fronte alla disperazione della sorella.
Lucy aveva iniziato con il cullarla e coccolarla, all’inizio, ma aveva cominciato a diventare più dura quando aveva scoperto che la media ineccepibile di Levy aveva subito una lenta ma inesorabile variazione in negativo e la ragazza non studiava quasi più, stava semplicemente a letto ad autocommiserarsi.
Aveva quindi finito con il farle discorsi sempre più seri che Levy sembrava capire eppure accantonare, era diventata più tagliente nei commenti e più volte l’aveva fatta piangere con la speranza che tornasse in sé e ponesse fine a quel teatrino delirante che aveva messo su poche settimane prima. Alla fine, stanca di usare le buone, un pomeriggio si era infuriata e le aveva urlato contro insulti rivolti alla sua scarsa intelligenza, al suo masochismo e alla sua incapacità di vivere. Levy l’aveva guardata senza battere ciglio, con gli occhi ormai asciutti e rossi per il precedente pianto, e senza una parola aveva abbracciato l’amica e le aveva chiesto scusa decine di volte.
- Non è con me che devi scusarti, Levy – le aveva fatto notare Lucy, ancora arrabbiata, stringendola a sé, sperando che fosse la volta buona che rinsavisse. – E lo sai bene, invece, con chi dovresti scusarti.
Levy aveva scosso la testa sul petto di Lucy. – No, smettila, sai che non posso.
Lucy aveva sbuffato e, afferratala per le spalle, l’aveva scossa cercando di far fare contatto ai neuroni addormentati che bazzicavano nel cervello dell’amica. – Sai come la penso. Se Gajeel sapesse che l’hai scaricato per un motivo inesistente come questo… be’, se io fossi al posto suo ti riempirei di botte. Peccato che Gajeel non lo farebbe mai.
- Non lo merito – aveva farfugliato Levy, con gli occhi chiusi. – Senza di me starà meglio.
Lucy l’aveva scossa di nuovo, attirandosi un’occhiata vitrea e apatica dall’amica. – Non starà meglio, Levy! Ma hai visto com’è ridotto? Natsu e Gray lo hanno portato a mangiare sushi fin quasi a farlo vomitare per fargli recuperare i chili che tu gli hai fatto perdere in questi ultimi giorni!
Levy si era dimostrata attenta all’improvviso, senza nascondere l’interesse che provava nei confronti di tutto ciò che riguardava Gajeel. – Ha perso peso? – aveva chiesto, la voce di nuovo rotta.
- Sì, Levy, ha perso peso perché non sa come fare senza di te. E per te vale lo stesso, razza di scema! Quindi ora sali in macchina e ti porto da lui, passate una notte di quelle di cui dovrebbero vietare la visione ai minori di trent’anni e non dormite fino a domani mattina. Poi marinate scuola, non vi presentate in classe, tanto è quasi natale e non abbiamo verifiche, e parlate. In più domani è l’ultimo giorno, dopo ci sono le vacanze.  Chiarite, anzi, chiarisci, ti scusi, ti fai perdonare e poi venite a scuola allegri e felici ridando una botta di vita al gruppo, che sembriamo tutti diventati vecchi poveracci depressi per colpa vostra.
Levy aveva sorriso all’idea, specialmente a quella di passare una notte di fuoco con lui. Quello di non esserglisi mai concessa completamente era il suo più grande rimpianto, e l’idea di non poter ricordare, a distanza di anni, di essere stata sua per la prima volta la lacerava dentro e la faceva sentire più infelice di quando pensava al fatto che non poteva più averlo accanto a sé.
Alla fine aveva scosso la testa negativamente.
- Bene – aveva sibilato Lucy, mollandola e prendendo la sua borsa. – Ci penso io allora!
Pochi minuti dopo, Lucy stava suonando il campanello della villa di Gajeel.
 
Gajeel era semisdraiato sul divano di casa sua, con Lily acciambellato sul suo petto e un piatto gigantesco di pasta ormai fredda posato sul tavolino di fianco a lui.
Non aveva fame, ma i ragazzi del gruppo lo avevano minacciato di andare a casa sua e ficcargli in gola la pizza frullata mediante l’ausilio di un imbuto se lui non avesse inviato a tutti la foto della sua cena. Una cena che fosse abbondante e possibilmente calorica.
Sbuffando, aveva cucinato con scarso impegno ed entusiasmo, per poi rendersi conto che l’aspetto della sua creazione culinaria non lo invogliava tanto quanto l’odore che aveva prodotto cucinandolo.
Stava accarezzando il suo gatto sul musetto, mentre lui si godeva quelle coccole insolite e rare del suo padrone, quando il campanello trillò.
Gajeel lo ignorò, come aveva fatto quel lunedì sera di due settimane prima, quando alla fine era corso ad aprire pensando che fosse Levy che si presentava da lui per dirgli che la loro rottura era in realtà uno scherzo di cattivo gusto. Al secondo suono, disilluso, Gajeel si alzò sbuffando e aprì il cancello di casa con il gatto in braccio.
Una volta spalancata la porta l’accolse il freddo pungente dell’inverno, che annunciava un bianco natale in arrivo e gli avrebbe fatto venire voglia di cioccolata calda, un bel fuoco e una coperta con lui e Levy seppelliti dentro… se solo avesse avuto ancora voglia di festeggiare…
Una figura imbacuccata in un piumino corto rosso avanzava mormorando “freddo freddo freddo” come un mantra, e Gajeel riuscì a capire chi era solo grazie alla generosa dose di profumo che la sua “amica” si spruzzava sempre addosso e regolarmente assumeva come se fosse una droga di qualche tipo.
- Che ci fai qui? Ehi, togliti le scarpe – l’accolse gentilmente quando Lucy si fiondò in casa e fece per dirigersi dentro il caminetto acceso del soggiorno.
- Oh scusa – mormorò, battendo i denti. – Muoviti a chiudere la porta, però! – lo sgridò poi.
- Sì capo – bofonchiò lui in risposta. Sperava tanto che Lucy non stesse diventando come Natsu, che si imbucava senza permesso a casa della gente e annunciava la sua presenza solo quando i padroni di casa iniziavano a fare qualcosa di sconveniente.
- Gajeel hai acceso il riscaldamento? Si gela qui dentro, morirai ibernato! – esclamò Lucy, andando a palpare il freddo termosifone del soggiorno, al quale era appesa una parrucca rossa riccia che era rimasta lì da uno dei loro vecchi festini idioti.
- Non l’ho acceso perché non ci sono mai in casa, e quando ci sono mi basta accendere il camino per avere caldo.
- Lo vedo – insinuò Lucy, indicando la sua canottiera e i suoi piedi nudi. – Vestiti che mi fai venire ancora più freddo.
Sbuffando, Gajeel accese il riscaldamento dal computerino domotizzato che sua mamma aveva fatto installare tre mesi prima, quando tornando a casa aveva prima di tutto notato che quella casa era obsoleta e solo poi salutato suo figlio con un bacio aereo e gli occhi puntanti sullo smartphone.
- Ora sei contenta? Vuoi che cambi anche l’arredamento o quello è di tuo gusto? – la stuzzicò lui, lasciandosi cadere sul divano e posando Lily per terra.
Lucy lo riacciuffò prima che scappasse e se lo strinse al petto, dopo aver deposto la giacca in entrata, seppellendo il gatto nell’incavo del suo seno. – Caldo caldo caldo caldo… - mormorò, in estasi, ignorando Gajeel.
Il ragazzo le fregò il gatto una volta che lei si fu seduta accanto a lui. – Così me lo soffochi, Lucy. E togliti quella parrucca che sei ridicola.
- Sei più simpatico del solito, Gajeel – fece notare lei, sedendosi a gambe incrociate e fissandolo con attenzione. – E la parrucca la tengo perché ho freddo anche alla testa e almeno questa massa di orribili riccioli sintetici possono fungermi da cappello.
- Se lo dici tu… - concesse lui, lasciandosi andare contro lo schienale in una posa scomposta.
Lucy si guardò intorno, notando come sempre quanto fosse impeccabile l’ordine che regnava in quella casa abitata solo da un ragazzo ventenne che, tecnicamente, doveva essere ancora in preda al dominio degli ormoni su ogni altra funzione vitale. – Mi offriresti uno di quei dolci tanto buoni che facevi sempre per Levy?
Gajeel alzò appena lo sguardo, scuotendo la testa: - Non cucino più dolci da quando… be’, da quando Levy non li mangia più.
- Oh – esalò Lucy, più dispiaciuta per la mancanza di alimenti favorevoli allo sviluppo precoce del diabete che per l’insinuazione di Gajeel. – Potresti portargliele a scuola, però. Levy ama le tue torte.
- Ci ho provato – mugugnò lui, restio a parlare. – Non è andata molto bene.
Lucy scrutò Gajeel apertamente, senza imbarazzo. Se anche lui l’avesse colta nel bel mezzo di quello spudorato studio, non le sarebbe importato: era per Levy che lo faceva. E anche per lui.
La prima cosa che notò furono i cerchi nerastri attorno agli occhi di Gajeel, dentro cui le fiamme delle sue iridi languivano fiaccamente. I suoi occhi avevano sempre incusso timore per il loro colore intenso che a Levy piaceva definire passionale, ma in quel momento non avevano nulla da invidiare alla cenere rossa che esala i suoi ultimi respiri prima di diventare un semplice e freddo grigiore di morte. Non aveva delle occhiaie di simile portata da quando aveva perso il sonno nel tentativo di farsi perdonare e accettare dal loro gruppo. Da quando non dormiva più per colpa del rimorso per ciò che aveva fatto a Levy.
Subito dopo notò il modo in cui il fisico gli si fosse asciugato. Natsu aveva accennato al fatto che avesse perso qualche chilo, e i suoi muscoli gonfi e perennemente tesi sembravano leggermente più umani alla luce di quella perdita di massa. Se avesse continuato a perderla, però, la cosa non sarebbe andata granché bene, e il ragazzo più muscolo dopo Laxus ed Elfman avrebbe perso il suo posto sul podio, soppiantato probabilmente da Gray o Natsu.
- Gajeel, devi fare qualcosa, non va mica bene così – gli disse Lucy dopo alcuni istanti, fissandolo negli occhi e notando l’enorme stanchezza che vi era imprigionata dentro.
Lui sbuffò una risata amara mentre le sue labbra si incurvavano in un sorriso sarcastico. – Tu dici? Io mi sento in ottima forma, non sono mai stato meglio – si schermì, riportando lo sguardo sulle fiamme che ardevano, implorandole di bruciare anche il suo cuore inutile.
- Devi trovare una soluzione – lo ignorò Lucy, voltando il busto verso di lui.
Questa volta, Gajeel ringhiò e le lanciò un’occhiata che bruciava più del fuoco nel camino. – Io una soluzione ce l’ho, coniglietta, ma non è praticabile per colpa della tua amichetta del cuore, che mi ha gettato in questo schifo di situazione – sbottò, avvicinandosi a Lucy senza però indurla ad arretrare.
Alla fine si trovò ad ansimare a pochi centimetri dal suo viso, a fissare quegli occhi leggermente più scuri di quelli che amava, che in quel momento gli trasmettevano solo compassione.
- Lei sta male quanto te, Gajeel – rivelò Lucy, prendendolo per il mento affinché non si allontanasse e non abbassasse gli occhi.
- Come può star male quanto me se ha voluto lasciarmi lei?! – sbraitò, battendo un pugno sulla testiera del divano, sottraendosi alla presa di Lucy.
- Ti ha lasciato perché pensa sia la cosa migliore per te. Lei pensa che tu… ma almeno sai perché ti ha mollato?
- No! Non so un accidenti di nulla perché lei non mi ha mai voluto dire nulla – urlò ancora, evitando di guardare Lucy affinché non vedesse le lacrime che gli erano affiorate agli angoli degli occhi. – Mi evita, non mi guarda nemmeno, non so come fare ad andare avanti senza di lei e non so cosa fare per riprendermela. Lei non vuole tornare ad essere mia, e non gliene faccio una colpa, ma io non posso farmene una ragione – aggiunse poi, pacatamente, con la voce strozzata.
- Probabilmente la vorrai uccidere quando ti dirò il motivo per cui ha rotto con te… - mugugnò Lucy, imbarazzata.
Gajeel sollevò di scatto la testa e batté le palpebre diverse volte, confuso, facendo colare sulle sue guance ruvide le lacrime che fino a quel momento aveva cercato mascolinamente di trattenere. – Tu lo sai? Sai perché mi ha lasciato? – chiese, afferrando Lucy per le spalle e scuotendola leggermente, in un modo che fece ricordare alla ragazza i metodi che lei stessa aveva usato per far rinsavire Levy.
- S-sì, lo so. All’incirca. È una cosa un po’ complicata, Gajeel, non sono sicura di aver capito bene, ma è una gran boiata e sono giorni che cerco di dire a Levy di smetterla con questa stupidata e tornare da te, per smettere di far soffrire te e prima di tutto lei.
Gajeel la guardò con le sopracciglia aggrottate. – Lei sta soffrendo?
Lucy scossa la testa, esasperata. – Penso sia ridotta peggio di te. Almeno tu non ti sei disidratato a furia di piangere – commentò ridendo, con finta allegrezza.
Le sue parole caddero nel vuoto e lo sguardo vitreo di Gajeel le fece intuire che il suo cervello fosse ancora in coma. – Gajeel, hai un po’ di Vodka? Ne ho bisogno tanto io per spiegarti la situazione quanto tu per svegliarti e capirmi.
Il ragazzo si riscosse e abbassò lo sguardo, imbarazzato. – Ho finito tutti gli alcolici ieri sera, non ho nemmeno una birra in frigo. E mi sono vietato di andare a fare rifornimento. Non so se capisci cosa intendo...
Lucy lo guardò, colpita, e commentò: - Te lo concedo, forse sei messo peggio di lei. Oppure no. Cioè, avete perso più o meno gli stessi chili e lei trascorre le giornate a letto a piangere mentre tu…
- Io le passo a fissare il camino, indifferentemente che sia spento o acceso. E fino a ieri mi faceva compagnia una bella visione doppia causata dall’alcol e una serie di discorsi deliranti che hanno tenuto lontano da me persino Lily. Davvero mi vuoi aiutare? – chiese, speranzoso, ricominciando a lacrimare.
Lucy sospirò. – Vi voglio aiutare, Gajeel. Tutti e due. Perché Levy sta rovinando la vita di entrambi e per un motivo inutile e veramente stupido e…ehi!
Lucy alzò le braccia al cielo nel momento in cui Gajeel, singhiozzante, le seppellì il viso nel petto e cominciò a piangere in maniera non diversa da quella di Levy. Quando il ragazzo l’abbracciò mormorando un sentito ringraziamento, Lucy sorrise e abbracciò a sua volta quel ragazzo che le aveva sempre incusso un po’ di timore, ma aveva dimostrato di saper amare la sua migliore amica più della sua stessa vita, ed era la prova vivente che chiunque, con le persone giuste, può diventare una persona meravigliosa.
- Mi sa che gli alcolici non li hai finiti tutti ieri, eh Gajeel? – sussurrò scherzosamente Lucy, accarezzandogli i capelli.
- Mi era avanzata un po’ di Vodka – ammise lui, facendola ridacchiare. – Ma davvero poca – concluse, scosso da un nuovo eccesso di singhiozzi.
Rimasero così per diversi minuti, finché Gajeel si fu calmato e Lucy fu pronta a rivelargli il motivo della sua sofferenza.
 
Intanto, a pochi passi dalla casa del ragazzo, la situazione stava per complicarsi ulteriormente.
- Gli lascio le chiavi e me ne vado. Ma suono o no? Entro in casa direttamente? Magari, se apro io senza bussare, lo trovo che gira nudo per casa e poi… da cosa nasce cosa, no? – mugugnò Levy, percorrendo i pochi metri che la separavano dalla dimora del suo ex con le chiavi di casa sua in mano, pronta a restituirgliele per porre definitivamente fine alla loro storia.
- No, pessima idea, cosa sto dicendo?! – sbottò a mezza voce, indignata con se stessa, bloccandosi in mezzo al marciapiede. Riusciva a vedere il cancello di casa di Gajeel, ma l’alta e imponente siepe le bloccava la vista della villa e la rendeva invisibile dall’interno. – Io l’ho lasciato e non posso saltargli addosso, costringerlo a fare l’amore con me e poi andarmene dicendogli che comunque è finita. Non posso fargli questo…
Finito di borbottare, riprese a camminare, e si fermò solo ad un passo dal cancello. – E quindi? – si domandò ancora, sbirciando l’interno del giardino. – Suono? No, non suono. Il cancello lo apro. E la porta? E se davvero lui sta girando nudo per casa? Quando stavamo insieme girava in mutande senza problemi, quindi… magari fa freddo per girare nudi. Okay dai, sono sicura che non stia girando nudo, fa troppo freddo anche per lui che è una stufa umana. E se mi proponesse di cenare con lui? O di fare qualunque altra cosa? Io…
Levy batté un piede per terra, indignata. – No, basta. Gli dico di no, mi mostro menefreghista come sono sempre a scuola, gli lascio le chiavi e me ne vado. Non mi interessa se i motivi per cui l’ho lasciato sono stupidi, non lo sono per me. Punto.
Detto ciò, aprì il cancello e percorse il lungo vialetto impostando la sua facciata impassibile migliore, sperando che i suoi occhi, anche se gonfi, non fossero più rossi.
Aveva messo il piede sul primo scalino del portico quando sgranò gli occhi e tornò sui suoi passi.
Le chiavi le caddero di mano prima ancora di realizzare ciò che i suoi organi visivi stavano osservando: seduti sul divano del soggiorno, visibili dall’enorme finestra che dava sul giardino e aveva la tenda leggermente tirata, Gajeel e una tipa rossa con i capelli ricci si stavano… divertendo. Lui aveva la testa seppellita nelle sue tette enormi, la testa che ondeggiava al ritmo delle spalle, mentre il viso di quella prostituta era coperto dai capelli del ragazzo e lei gli mormorava robe sconce che probabilmente lo avrebbero portato presto a perdere il controllo. Si stavano abbracciando possessivamente e Levy scappò via per evitare che altri frammenti di quella fugace visione le si scolpissero nel cervello.
Sbatté il cancello alle sue spalle, fregandosene del rumore, e corse verso casa finché sentì bruciare i polmoni. Lucy le aveva detto che Gajeel soffriva da morire.
Ovviamente! Soffriva, certo, all’idea di dover stare con una tipa con le tette piccole come le sue, altroché! Gli aveva fatto un favore a lasciarlo, e lei glielo aveva anche detto che sarebbe stato meglio per entrambi.
- Bene, ora è il mio turno di ripartire da zero, Gajeel. Se puoi farlo tu perché non posso farlo io?
Si addormentò con il cuore che bruciava di odio e la certezza che la più piccola traccia di amicizia tra loro fosse scomparsa.
Al suo risveglio, però, si sentì più triste del solito. E non per il tradimento, che oltretutto non era un tradimento dato che Gajeel era libero.
Era depressa perché sapeva che lui non avrebbe mai fatto una cosa simile, specialmente a lei.
La certezza di non sapere tutta la verità la fece riflettere su quanto Gajeel dovesse essere stato male in quei giorni in cui lei gli aveva negato l’unica cosa che non poteva dargli: una motivazione coerente per la fine della loro relazione.
 
Quel venerdì mattina l’eccitazione degli studenti di fronte all’imminente chiusura della scuola per le vacanze era palpabile, ma Levy si sentiva catapultata in un incubo. Aveva evitato tutte le sue amiche e i suoi amici dal momento in cui aveva messo piede nell’edificio, ripromettendosi di comportarsi normalmente e non fare scenate. Ogni chioma rossa che i suoi occhi captavano, però, le appariva sospetta, e quando aveva afferrato Gray per il colletto della camicia, chiedendogli quante amiche con i capelli rossi Gajeel avesse, si era sentita una pazza che doveva solo vergognarsi.
Stupito, Gray aveva fatto il nome di Erza, e lo stesso aveva risposto Natsu quando lo aveva incrociato vicino al suo armadietto e non era stata in grado di trattenersi, attaccando anche lui al muro.
Aveva appena aperto l’agenda presa dal suo armadietto, cercando di far mente locale sulle materie da portare quella mattina, quando sentì un colpo metallico risuonare alla sua destra e una presenza massiccia alle sue spalle.
Si voltò repentinamente trattenendo il respiro, e incrociò gli occhi fiammeggianti di Gajeel.
A dispetto della sua ferita interiore, che bruciava come il fuoco presente negli occhi del ragazzo, Levy desiderò solo avvinghiarsi a lui e baciarlo fino a perdere la cognizione del tempo e dello spazio. Invece lo guardò con rabbia e disgusto, stringendosi a se stessa e spingendosi contro gli armadietti alle sue spalle per evitare di toccarlo.
- Che vuoi? – chiese acidamente.
- Voglio che sia tu che io ci spieghiamo – rispose laconicamente lui, determinato come non l’aveva mai visto. In quegli ultimi giorno aveva visto crescere nei suoi occhi una lenta e inesorabile rassegnazione, ma lo sguardo con cui la stava inchiodando in quel momento era identico a quello che le rivolgeva nei momenti in cui la baciava e la stringeva a sé.
Era uno sguardo vivo.
Era lo sguardo che la faceva sciogliere.
- Non ho bisogno di spiegazioni e non ho voglia di dartene – sibilò, provando a girarsi per prendere i libri e andarsene.
- Levy, ascolta, per piacere – la supplicò una voce familiare.
La ragazza si voltò, perplessa, fino ad incrociare il volto di Lucy, nascosta dietro Gajeel.
Il ragazzo tolse il braccio con cui stava intrappolando Levy solo per permettere a Lucy di avvicinarsi a lei.
- Credo che tu abbia frainteso una cosa. Credo. A dire il vero non lo credo, ma Gajeel ne è sicuro e…
- Di che parli, Lucy? – la bloccò Levy, spaesata.
Lucy sospirò. – Dove sei stata ieri sera, dopo che me ne sono andata?
Levy corrugò la fronte e si mise sulla difensiva. – A casa mia.
- Ah-ah – acconsentì Gajeel, poco convinto, mostrandole il mazzo di chiavi di casa sua che aveva concesso a lei molti mesi prima, affinché si sentisse libera di andare da lui quando voleva.
Levy arrossì ed evitò di guardarlo.
- Sei andata da Gajeel, vero? – la incalzò Lucy.
Lei scosse le spalle, imbarazzata.
- E te ne sei andata sbattendo il cancello – concluse lui per Lucy, secco. – Perché?
- Perché non avevo voglia di vederti – sputò lei, trafiggendolo con gli occhi.
Lui rise senza allegria. – Risposta sbagliata.
- Te ne sei andata, anzi, sei fuggita, lasciando cadere le chiavi, perché hai visto Gajeel in compagnia di una ragazza. Giusto?
- Ma cosa volete da me? Io sono andata a restituire le chiavi a Gajeel e me ne sono tornata a casa, tutto qui. Se anche lui fosse stato in compagnia di tre ragazze, non vedo perché la cosa avrebbe dovuto interessarmi. Non stiamo mica insieme! – esclamò lei, sebbene i suoi occhi tradissero una convinzione scarsa quanto la sua altezza.
Gajeel ridacchiò. – Lev, rispondi solo sì o no. Mi hai visto con una tipa rossa?
Levy si fissò le scarpe, lì dove aleggiava il livello della sua determinazione. – Sì – mormorò fiaccamente.
Gajeel ridacchiò ancora, ma fu Lucy a parlare. – E cosa stavano facendo Gajeel e la ragazza?
Levy lo fissò con delusione, facendolo ghignare, e lo vide leccarsi le labbra con intento. Lei rispose con una smorfia orripilata.
- Li hai visti darci dentro, non è vero? Magari si stavano abbracciando passionalmente e lui aveva il viso sepolto nelle su…
- Basta, Lucy! Sì, li ho visti, lo ammetto! E allora? Lui può portarsi a letto tre ragazze diverse, non stiamo insieme e non mi interessa.
- Grazie per la considerazione – bofonchiò Gajeel, leggermente offeso per quelle insinuazioni.
- Levy – la chiamò Lucy, mostrandole la parrucca rossa e riccia che aveva indossato a casa del ragazzo. – Ero io quella ragazza. E vuoi sapere cosa stavamo facendo?
La ragazza spalancò gli occhi e fissò a turno il seno della sua migliore amica e l’espressione seria del suo ex, non capendo più nulla.
- Lo stavo consolando, Levy – rivelò alla fine Lucy. – Gajeel stava piangendo come un bambino e mi ha abbracciata nel momento in cui gli ho detto che sapevo come poteva tornare con te, visto che conoscevo il motivo per il quale tu lo avevi scaricato.
L’amica la osservò senza aprire bocca, giocando nervosamente con l’orlo della gonna. Non si azzardava a guardare Gajeel nemmeno per un secondo. – Mh – disse alla fine, impassibile.
- Grazie per avermi dato del magnaccia, comunque – aggiunse Gajeel, leggermente offeso. – Potrei arrabbiarmi parecchio per la scarsa considerazione che hai nei miei confronti e nei confronti del mio am… dei miei sentim… insomma, di quello che provo per te, ma non ora. Magari in un secondo momento. Adesso mi preme di più parlare del brillante motivo che il tuo cervello ha elaborato per mollarmi.
- Allora vi lascio soli – avvisò Lucy, ridando la parrucca a Gajeel e attirando l’attenzione dell’amica. – Quando vorrai ringraziarmi, Levy, sarò ben disposta a uscire a mangiare sushi con te. E… un minimo di scuse a Gajeel, il tuo ragazzo, ci vorrebbero. A dopo!
Levy osservò la ragazza allontanarsi nel corridoio sorridendo, fermandosi accanto a Natsu per lasciargli un timido bacio sulla guancia prima di raggiungere le amiche.
Gajeel aspettò senza fretta che lo sguardo di Levy si perdesse, incapace di trovare altri dettagli su cui soffermarsi nel tentativo di non voltarsi verso di lui, e poi le prese il mento tra le dita, delicatamente, riportando i suoi occhi meravigliosi su di sé.
Li vide riempirsi inesorabilmente di lacrime, annegando piano, e allora si chinò per baciarla dolcemente e lentamente, sorridendo quando la vinse e Levy rispose al bacio sforzandosi di non espandersi troppo, intrecciando le mani tra di loro affinché non attirassero Gajeel a sé.
Quasi le sfuggì un gemito contrariato quando lui si allontanò di poco, liberando le sue labbra.
Levy osservò incantata le sue palpebre chiuse, mentre lui si gustava gli strascichi di quel bacio che gli sembrava ancora più meraviglioso dopo quasi tre settimane di astinenza. Alla fine aprì gli occhi e Levy sentì cederle le ginocchia di fronte a quel rosso liquido che lei sembrava aver sciolto con il suo calore.
- Scusami – si sentì mormorare, lontana dal suo corpo. – Non volevo insinuare che tu… cioè che quello che provi sia… superficiale, ecco.
Lui le scansionò l’anima con gli occhi, ma non sorrise, e la sua espressione severa la fece pentire ancora una volta di non esserglisi mai concessa. Si era resa conto, in quei giorni lontana da lui, che era la cosa che più al mondo desiderava.
- Innanzitutto ti restituisco queste, che sono tue, non mi interessa come vadano le cose – le disse, mettendole in mano le chiavi di casa sua. – Davvero pensavi che mi stessi trastullando con un’altra? – le chiese a bruciapelo, obbligandola a non interrompere il contatto visivo con lui.
Levy sospirò e non si ritrasse quando lui le sfiorò dolcemente una guancia, accarezzandole le labbra con il pollice. In quel momento si rese conto che no, non aveva mai dubitato di lui, e il suo cuore aveva lottato dalla notte precedente per non cedere all’inevitabile conclusione che il cervello le voleva propinare.
- No – rispose quindi, sicura, facendo sorridere un poco Gajeel. – Non ci ho mai creduto, mi sono rifiutata di farlo, ma non sapevo che spiegazione dare a ciò che avevo visto. E tu come hai fatto a capire che vi avevo visti?
- Ho sentito sbattere il cancello. Sapevo che solo tu avevi le chiavi e, quando mi sono scostato da Lucy e le ho detto che forse eri tu, lei mi ha raccontato che era appena stata da te. Sono corso fuori e ho visto delle impronte nella neve, che prima non c’erano, che si fermavano a poca distanza dalla finestra del soggiorno, e poi ho visto le tue chiavi per terra. Sono corso in strada ma tu non c’eri già più. Lucy si è tolta la parrucca e si è resa conto che avresti frainteso tutto.
Levy annuì fiaccamente, distogliendo lo sguardo. – Questo non cambia le cose, comunque. Tu sei libero di fare ciò che vuoi, Gajeel, io…
Il ragazzo la baciò di nuovo, facendole scordare la morbidezza di poco prima. Si accanì sulle sue labbra in un modo che la fece bruciare dentro, chiedendole perentoriamente un accesso alla sua bocca che lei gli concesse senza remore, prendendolo per il colletto della camicia e attirandolo ancora di più a sé, sentendolo sbattere con la mano contro l’armadietto accanto a lei.
- Faccio tardi a lezione – sussurrò alcuni istanti dopo, mentre lui continuava a torturarle piacevolmente il collo.
- Ti aspetto oggi pomeriggio a casa mia. Non accetto un no come risposta, e non dirmi che non stiamo più insieme perché sono cavolate belle e buone, Lev.
- Ma è vero! – protestò lei, scostandosi.
- Certo – concesse lui. – Ma il bacio di poco fa diceva l’esatto contrario, piccoletta. E a meno che tu non sia una di quelle che limonano senza problemi con chiunque, cosa che sono certo tu non sia, direi che nemmeno tu sei convinta di ciò che hai deciso per entrambi.
- Perché devi rendere tutto così difficile? – bisbigliò lei, abbassando la testa per impedirgli di vedere le sue lacrime.
Gajeel le prese il viso tra le mani, asciugandole con i pollici la liquida tristezza che le colava lungo le guance, e le diede un altro breve bacio sulle labbra. – Sei tu a rendere le cose difficili, Levy. Io, per una volta nella vita, voglio fare una cosa giusta, e tu sei la cosa più giusta del mondo. Lo sai che ti amo. Io sono convinto che mi ami anche tu, quindi oggi verrai da me e domani mattina ti sveglierai nel mio letto, a casa.
Per quanto la prospettiva le rendesse le gambe molli dall’attrattiva, Levy scosse la testa e allontanò le sue mani. – No, Gajeel.
Il ragazzo sospirò, e Levy si sorprese della sua infinita pazienza.
Lui, di pazienza, proprio non ne aveva, eppure stava perdendo tutto il suo tempo per lei, rodendosi il fegato. Per la milionesima volta, il dubbio che la decisione da lei presa non fosse stata esattamente corretta le attraversò la mente, e per la prima volta non riuscì a scacciare quel tarlo dalla sua mente.
Cosa diavolo stava facendo?
- Senti – la incalzò lui, picchiettando sulla mano nella quale le aveva piazzato le chiavi. – Io non cederò mai su di te, okay? Mai. Chiamami stalker, chiamami ossessionato, fai te, ma finché ho la certezza che nemmeno tu hai perso i tuoi sentimenti per me io combatterò, chiaro? Quindi tu oggi verrai da me, fine della discussione. Sai perché ne sono convinto? – chiese infine.
Levy, perplessa, scosse nuovamente la testa, guardando con preoccupazione il ghigno che gli si andava formando sulle labbra.
Gajeel le rubò un ultimo bacio e poi si scostò bruscamente, mettendosi fuori dalla sua portata.
Le agito davanti al naso il suo cellulare, con aria trionfante. – Verrai da me perché il cellulare ti serve, Lev, e lo troverai solo in un posto.
Detto ciò, si allontanò fischiettando, seguito a ruota dallo sguardo stupito di Levy, incerto su come si sarebbe risolta la faccenda tra di loro, ma certo dell’amore che provavano l’uno per l’altra.
 
Inutile dire che Levy non riuscì a concentrarsi per tutto il giorno. Quando la campanella finale trillò e i corridoi si riempirono delle grida estatiche degli alunni in vacanza, la ragazza avrebbe a mala pena saputo dire che lezione si era appena conclusa.
Salutò le sue amiche con un sorriso genuino e, suo malgrado, euforico, che fece strabuzzare gli occhi di tutte quante, abituate ormai da troppi giorni a vederla depressa.
Levy cercò di darsi un tono di fronte a Lucy, fissandola accigliata per farle intendere che era arrabbiata con lei, ma Lucy le fece l’occhiolino e le mandò un bacio aereo, facendola sorridere e arrossire.
Aveva cercato Gajeel durante la pausa, per tentare di farsi ridare il cellulare ed evitare di andare a casa sua nel doposcuola. Ma la sua ricerca era stata fiacca e svogliata e Levy non era stata più in grado di autoingannarsi: voleva andare da Gajeel, voleva passare la notte con lui, voleva farsi perdonare e spiegarli il motivo per cui lo aveva lasciato.
La piccola pulce che le rammentava i motivi validi per cui non avrebbero dovuto stare insieme ogni tanto la pungeva, facendole perdere il sorriso, ma Levy quel giorno non si sarebbe rattristata nemmeno di fronte ad un terremoto.
Il bacio di Gajeel ancora le bruciava sulle labbra, e la consapevolezza che una chiacchierata con lui avrebbe sistemato tutto le scaldava il cuore, facendole venire voglia di correre fino a casa a piedi.
Era giunto il momento di affrontare l’unica cosa che le avrebbe definitivamente fatto cambiare idea sulla sua decisione: una conversazione con il suo ex.
 
Levy prese un respiro profondo, nascosta dietro la siepe che separava la strada dalla villa di Gajeel.
Poi ne prese un altro, poi un altro ancora, sperando che insieme all’aria pungente che odorava di neve entrasse nei suoi polmoni anche una dose forte di coraggio femminile.
Un secondo sì e uno no la sua prodezza di indossare un completo intimo sexy e parecchio eloquente le pareva una gran cavolata da poco di buono, ma a tratti si sentiva felice di averlo fatto, ed eccitata all’idea di ciò che sarebbe potuto succedere.
Quando finalmente inserì la chiave nel cancello e sentì il click metallico che indicava l’apertura dello stesso, il cervello le andò in tilt, e percorse il vialetto che la separava dalla porta d’ingresso senza ricordare di aver percorso un solo passo.
Infilò la chiave nella toppa senza nemmeno interrogarsi sulla necessità di suonare e, quando fu circondata dal calore famigliare della casa di Gajeel, la paura l’invase come una nuvola nera di nebbia.
La paura della mancanza di certezze.
Chiuse la porta con delicatezza, appoggiando la fronte sul freddo legno alla ricerca della ragione che sembrava averla abbandonata.
Solo quando percepì le braccia forti e gentili di Gajeel circondarle la vita sentì che ogni inquietudine si scioglieva, lasciando spazio ad un piacevole tepore che Levy poteva solo definire amore.
- Sei congelata – le sussurrò Gajeel all’orecchio, da dietro, posandole un bacio sul retro della nuca.
Senza voltarla, le slacciò il giaccone e lo appese nell’ingresso, sistemandole poi vicino ai piedi le gigantesche pantofole che usava sempre quando andava a trovarlo. Lei si tolse le scarpe con calma, ben consapevole della presenza attenta del ragazzo dietro di lei, pronto a sorreggerla nel caso in cui avesse perso l’equilibrio.
Alla fine, stringendo gli occhi con forza, si voltò verso di lui e sbirciò il suo viso da sotto le lunghe ciglia: Gajeel aveva i capelli legati, indossava una canottiera e i pantaloni della tuta, e la stava fissando così intensamente da procurarle un involontario attorcigliamento dell’intestino, un misto di desiderio, paura e amore travolgente.
In barba ai suoi mille dubbi, Levy gettò le braccia al collo di Gajeel prima che lui potesse aprire bocca per offrirle, lo sapeva, una fetta della sua torta preferita, il cui soave profumo l’aveva investita ancor prima di aprire la porta di casa.
- Levy – mormorava Gajeel ogni tanto, quando riprendeva fiato dal suo divorarle la bocca.
- Sh… - lo rassicurò lei quando sentì il suo abbraccio farsi possessivo e disperato, terrorizzato all’idea che quello potesse davvero essere, definitamente, il loro ultimo bacio.
- Levy, io…
- Sh – lo zittì ancora lei, baciandolo un’ultima volta prima di sgusciare via dalla sua stretta e correre ridendo fino alle scale.
Le salì lentamente sorridendogli con aria maliziosa, invitandolo a seguirla con il dito.
Gajeel sbatté le palpebre solo quando Levy sparì dalla sua vista, rifugiandosi, ne aveva la certezza, in camera sua. Il ragazzo corse a spegnere il forno e finì di guarnire a torta in pochi minuti, fiondandosi poi su per le scale con la paura strisciante che la ragazza se ne fosse andata.
Invece, quando spalancò con forza la porta di camera sua, la trovò stesa sul suo letto, rossa di vergogna, mentre lottava con tutta la sua volontà per non coprirsi il corpo seminudo, rivestito solo da una biancheria coordinata di pizzo che faceva risaltare ancora di più la candida bellezza della sua pelle.
Nella penombra della stanza, illuminata solo dalla morente luce del giorno, Gajeel pensò che non esistesse veste più bella della sua pelle, e provò l’inconsueto desiderio di entrarle dentro, fondendosi con i suoi nervi e le sue vene, permettendo alle loro pelli di diventare una sola.
Solo quando Levy si schiarì la voce con imbarazzo Gajeel si azzardò a guardarla negli occhi, neri a causa dell’oscurità, eppure brillanti di vita e amore. – Gajeel, ho freddo – mormorò piano, stringendosi le braccia al petto e portando le ginocchia all’addome, rannicchiandosi in posizione fetale per provare a scaldarsi.
Silenziosamente, il ragazzo si tolse la canottiera e i calzini che indossava in casa, salendo carponi sul letto per avvicinarsi a lei.
Levy lo osservava con un occhio solo, l’altro era nascosto dal suo braccio, e Gajeel si chinò per baciarle la palpebra a cui aveva accesso. Le scostò i capelli dal volto, sciogliendole la fascetta che teneva in ordine le sue ciocche rubate dal cielo, e le accarezzò la guancia.
Levy sorrise e si sollevò lentamente, gonfiando il petto con orgoglio in un muto invito, baciandogli le labbra teneramente eppure quasi voracemente. Gli accarezzò l’addome e i pettorali, artigliando poi le mani alla sua schiena e sedendosi a cavalcioni sulle sue gambe piegate, unendo i loro corpi in un meraviglioso scambio di calore e sensazioni.
- Che stai facendo? – le chiese pacatamente Gajeel quando la sentì scendere dal suo collo per baciargli il resto della pelle disponibile, dalle spalle al petto.
Levy risollevò la testa e lo osservò con il viso inclinato, la frangetta che le ricadeva scomposta sulla fronte, facendola sembrare un piccolo angelo furbo. Dopo pochi istanti arrossì vistosamente e si fissò le mani. – Io… be’, pensavo lo avessi capito – rispose piano a disagio.
Gajeel ridacchiò brevemente, per poi tornare serio. – Ho capito cosa vuoi fare, ma intendevo chiederti se ne sei convinta.
- Certo – disse lei, sicura di sé, prendendogli il viso tra le mani per trasmettergli con gli occhi la sua cieca convinzione. – Con ogni fibra del mio essere.
- Non mi potrò trattenere, dopo - rivelò lui, seppellendo il viso nel suo collo, tremando di paura e aspettativa.
Levy sorrise e lo abbracciò, accarezzandogli i capelli. – Non voglio che tu ti trattenga. Questa notte è solo nostra, Gajeel, mia e tua e di nessun altro. Ciò che tu sarai lo sarò anche io, e ciò che tu vorrai essere lo diventerò io per te. Ti prego, amami senza riserve, questa notte.
- Ti ho sempre amata senza riserve, piccoletta – rivelò lui, solleticandole il collo con il fiato.
Levy annuì, conscia di quel fatto, conscia del male che aveva inflitto ad entrambi in quelle tre settimane. – Lo so. Ma questa notte amami fisicamente, Gajeel. Completamente. Per parlare avremo tempo dopo.
Il ragazzo assentì, e la fece delicatamente stendere sotto di sé.
Fecero l’amore senza mai smettere di guardarsi negli occhi, comunicando silenziosamente mentre le loro mani e i loro corpi si univano in centinaia di altre conversazioni che avevano per tema lo stesso, unico argomento: l’amore che, nei confronti l’uno dell’altra, non si sarebbe mai spento.
 
La certezza inconfutabile di essere osservata si fece strada nei sogni placidi di Levy inducendola ad aprire un occhio. Con lo sguardo annebbiato, riuscì a distinguere solo la figura sfocata di Gajeel, intento a contemplarla, prima di grugnire e raggomitolarsi al suo fianco alla ricerca di calore.
Il ragazzo, che aveva sollevato leggermente la tapparella mediante il pulsante di fianco alla testiera del letto, si stava godendo il lento risveglio della ragazza studiandone con calma infinita le espressioni, la pelle, i respiri e lo scorrere del sangue nelle vene. Ciò che lo incantava di più era il movimento leggero del suo petto, che con regolarità perfetta si alzava e abbassava al ritmo del suo respiro, mischiato al rassicurante battito del suo cuore che le faceva tremare lievissimamente il seno semiscoperto.
Gajeel la stava guardando come si osserva un miracolo, un sogno, un qualcosa troppo bello per essere vero e credibile.
La stava guardando come chi vuole imprimersi un ricordo nella mente, conscio dell’importanza che può rappresentare un momento che nella vita non si presenterà più.
La stava guardando come chi cerca una certezza in un corpo immobile ed addormentato, insicuro di quello che sarebbe successo da quell’attimo in poi nonostante un’intera notte passata a formulare muti giuramenti e promesse d’amore vero e sincero.
Quando capì che Levy si era riaddormentata, Gajeel le lasciò un bacio in fronte, facendole aprire un occhio che si richiuse in fretta, si infilò i pantaloni e si diresse fuori dalla stanza a piedi nudi.
La ragazza si svegliò completamente solo diversi minuti dopo, credendo che in realtà fosse passato un secondo da quando aveva sentito il bacio di Gajeel sulla pelle.
La parte di letto in cui il ragazzo aveva dormito si era ormai raffreddata, e Levy, senza la sua fonte umana e inesauribile di calore, rabbrividì e tastò le lenzuola inospitali alla ricerca di lui.
Quando non lo trovò si sollevò lentamente, sentendo che i capelli le si erano arruffati come mai prima d’allora, e si guardò intorno: era sola.
Colta dall’innato timore di essere stata abbandonata, di essersi sognata tutto, Levy afferrò la coperta morbida e profumata ai piedi del letto, che Gajeel aveva sistemato lì nel caso in cui avesse avuto freddo durante la notte. Una volta coperta la sua parziale nudità, esposta al freddo mattutino dell’inverno, la ragazza scese le scale in punta di piedi, maledicendosi per non aver preso le ciabatte, e si diresse in cucina senza dubbi.
Trovò Gajeel appoggiato con le mani ai lati del gas, mentre aspettava che il caffè finisse di salire e il latte di scaldarsi. I suoi occhi, però, assenti, erano fissi sul muro piastrellato davanti a sé, senza davvero vederlo, e il fatto che non si fosse ancora accorto della presenza di Levy la diceva lunga sul suo stato di attenzione.
Si riscosse solo quando lei lo abbracciò da dietro, seppellendo il viso nella sua schiena calda.
- Ehi… - la salutò lui, accarezzandole le mani intrecciate sul suo addome.
- Buongiorno – rispose lei, baciandogli la schiena.
- Ti stavo per portare la colazione a letto, mi hai rovinato la sorpresa – la sgridò lui, spegnendo entrambi i fornelli.
- Colpa tua, il letto è freddo senza la sua stufa umana.
Gajeel sorrise leggermente da sopra la spalla, voltandosi per sistemare latte e caffè nelle tazze che aveva preparato sopra al vassoio già colmo di cibo.
- Torno su e faccio finta di dormire? – propose Levy, scostandosi e dirigendosi lentamente verso il corridoio.
Gajeel annuì distrattamente, non del tutto presente a se stesso, e Levy iniziò a preoccuparsi sul serio vedendo la sua distrazione. Che avesse fatto qualcosa di male quella notte? Certo, tecnicamente non erano ancora tornati insieme, ma il ragazzo non si era fatto problemi fino a quel punto, perché avrebbe dovuto farseli proprio quella mattina?
Levy risistemò la coperta ai piedi del letto e si infilò sotto le coperte, lasciando fuori solo gli occhietti.
Gajeel la raggiunse poco dopo e, notando il suo sguardo furbesco, decise che era meglio posare la colazione sul comodino piuttosto che sul letto, per il momento.
Levy sollevò le coperte, lasciandogli vedere il suo corpo, invitandolo a raggiungerla.
- Facciamo un po’ di gongolini – gli chiese lei con la voce da bambina, abbracciandolo e appiccicandoglisi addosso.
Lui ridacchiò con scarsa convinzione, stringendola a sé, intrecciando le loro gambe e accarezzandole la schiena con le sue mani grandi e fredde, facendola gemere e inarcare. – I gongolini che cavolo sono? – mormorò, nascondendo la faccia nei suoi capelli.
Lei sorrise e gli baciò il collo, cercando in tutti i modi di far sciogliere l’inquietudine che aveva dentro con il calore del ragazzo. Perché era così serioso e distaccato? Si era reso conto che lei in realtà non era granché? Che non era quella che davvero voleva? – Ci crogioliamo un po’ a letto prima di mangiare – spiegò lei a mezza voce. – Ci gongoliamo qui. Chiamarli ‘crogiolini’ non è tanto simpatico, meglio gongolini.
Gajeel ridacchiò di cuore di fronte alla sua spiegazione, e si girò fino a tirarsela addosso, fungendole da materasso.
Levy incrociò le braccia sotto al mento e lo osservò, studiandogli la dritta linea del naso, i piercing che brillavano sobriamente nella penombra, le labbra carnose leggermente schiuse, le braci che gli ardevano negli occhi e la scrutavano con la sua stessa intensità. E il cipiglio di preoccupazione tra le sopracciglia.
- Mangiamo? – propose lei, cercando di rimandare l’inevitabile tempesta che sentiva montare tra di loro come un’onda anomala.
- Aspetta – la fermò lui, rischiacciandola contro di sé quando lei provò ad alzarsi. – Prima parliamo.
- Non possiamo fare dopo? Perché guastarci la giornata?
- Sinceramente, sono già tre settimane che aspetto di fare questa chiacchierata con te, e ieri sera non ho tirato fuori l’argomento per… be’, non ce n’è stata l’occasione. Ma avremmo dovuto farlo ieri, comunque. Basta rimandare.
Levy sospirò e appoggiò la fronte sul suo petto, baciandogli piano la pelle, cercando di distrarlo con le sue carezze.
- Levy! – la richiamò lui, pizzicandole piano la guancia. – Perché diavolo non vuoi parlare?! Tu, poi! Tu che vorresti aprire una discussione anche per decidere cosa mangiare a colazione!
La ragazza non rispose, rimase solo ferma a respirare contro la sua pelle.
- Levy, guardami – la incalzò Gajeel, solleticandole il collo per farle alzare il volto. Lei faticò a sostenere il suo sguardo, più vicino di quanto si fosse aspettata. – Dimmi perché non vuoi parlarmi. Perché non vuoi dirmi come mai mi hai lasciato.
Levy tacque ancora, e parlò solo quando Gajeel aprì la bocca, esasperato, per porle di nuovo la domanda. – Perché mi avresti fatto cambiare idea, se ti avessi spiegato perché ti ho mollato. Mi avresti fatto cambiare idea e io mi sarei sentita una stupida di fronte all’insostenibilità della mia motivazione.
- Non sei una stupida, non lo penso nemmeno ora, dopo quello che hai combinato.
Lei sorrise un po’ e annuì, abbassando lo sguardo.
- Allora, mi spieghi? È tanto insulsa, questa motivazione? – la spronò lui.
- Sì, parecchio. Però mi era sembrata valida quando l’ho formulata. Reggeva.
Gajeel ridacchiò e le diede un bacio veloce, intenerito di fronte alla sua confusione, nonostante avesse causato un sacco di problemi. – Allora? Mi dici perché mi hai lasciato o devo minacciarti?
Levy cercò di prendere tempo, ma un sopracciglio inarcato di Gajeel le fece capire che era meglio darsi una mossa. Non si sapeva quanto avrebbe retto la sua già effimera pazienza. – Ho letto un libro, meno di un mese fa. Si chiama David Copperfield, è di Dickens.
- Mh – mormorò Gajeel. – Tu di libri ne leggi a palate, cosa c’entra questo?
- Fammi finire – lo sgridò Levy, lasciandosi scappare una risata nervosa. – Nel libro, David, il protagonista, si innamora follemente di una ragazza, una bella signorina che però ha interessi molto diversi dai suoi. Lui la chiamava la sua ‘sposa bambina’ e dopo il matrimonio si è reso conto che con lei, per quanto l’amasse, non sarebbe mai stato completamente felice. Lei era ingenua e infantile, pensava solo all’acconciatura dei capelli e ai vestiti e alle sorprese. Lui invece era un uomo di mondo, un uomo in carriera che nella vita ne aveva passate tante, troppe.
Gajeel la osservava in silenzio, cercando di capire dalle espressioni della ragazza dove volesse andare a parare.
- C’è una frase, in particolare, che mi ha colpita molto. David la diceva in riferimento proprio a sua moglie, di cui a volte si vergognava per gli atteggiamenti da bambina. Diceva che ‘non c’è barriera più insormontabile della disparità di vedute, della diversità di carattere e della differenza di idee’.
Gajeel attese ancora, e capì che la ragazza aveva finito solo quando si infilò in bocca un biscottino ripieno rubato dal vassoio, sorridendogli con vergogna.
- E quindi?! – sbottò dopo un po’, certo di non aver capito nulla.
Levy sospirò. – All’inizio non ci ho fatto molto caso, ho finito il libro e basta. Dopo alcuni giorni, però, abbiamo discusso per un’inezia, ricordi? Ti ho aiutato a rifare il letto ed eravamo in disaccordo sul modo in cui farlo, perché tu lo fai a modo tuo e io a modo mio. E mi sono tornate in mente le parole di David, sulle differenze di carattere, di idee e di vedute.
- Aspetta – la interruppe Gajeel, guardandola sconcertato. – Mi hai mollato perché eravamo in disaccordo su come fare il letto?! – la incalzò, esterrefatto.
- No! – esclamò lei, offesa. – Che stupidaggine. Ti ho lasciato perché ho iniziato a dubitare della nostra capacità di vedere il futuro allo stesso modo. Io ti amo, Gajeel, ma anche David amava sua moglie eppure insieme hanno passato una vita non esattamente felice perché erano troppo diversi…
Gajeel la fissò con la bocca aperta, prima di stropicciarsi la faccia con le mani. – Non so nemmeno cosa dirti, Levy. Sinceramente, sono spiazzato. È partito tutto da come rifare il letto! Assurdo! Io non avevo visto grandi problemi dato che, per risolvere la questione, ci siamo rotolati nel letto ancora sfatto e tu hai anche perso la maglietta tra le lenzuola, mi pare.
La ragazza arrossì e accantonò la questione scuotendo la mano, come per scacciare una mosca. – Non è questo il punto.
- Il punto è proprio questo, Levy! – la bloccò lui, tirandosi a sedere di scatto e trovandosi con Levy a cavalcioni su di lui, l’espressione indecifrabile ma leggermente colpevole. – Daniel…
- David – lo corresse lei, incrociando le braccia al petto, rabbrividendo di freddo per l’esposizione all’aria.
- David – riprese lui. – David come risolveva le questioni importanti con sua moglie?
- Prendeva lui le decisioni, di solito, lei era troppo immatura. Io non…
- Sh – la bloccò lui. – Mi pare che sia io che tu siamo due esseri razionali e dotati di intelletto… magari tu di più, ma un cervello ce l’ho anche io. Loro non risolvevano nulla perché non parlavano, Levy, non riuscivano a trovarsi. Io e te discutiamo sempre, e penso che sia un bene. Se non discutiamo, come possiamo risolvere i problemi? Ognuno decide per sé e chi si è visto si è visto?
Levy non rispose e rimase ferma con lo sguardo puntato in basso.
- Stiamo insieme da nove mesi ormai, ma ci conosciamo da più di un anno. Se fossimo troppo simili tra noi non funzionerebbe e se fossimo troppo diversi, come dici tu, sarebbe sbagliato comunque. Ma noi siamo stati insieme nove mesi, ti ripeto, Levy, e senza problemi. Almeno per me. Dobbiamo essere diversi per trovarci e completarci, no? A cosa mi serve una ragazza uguale a me? Me ne serve una che arrivi dove io non posso. E non è vero che abbiamo visioni diverse del futuro. Il mio futuro sei tu, comunque vada la vita, e pensavo che anche per te fosse lo stesso. Qual è la tua visione del futuro?
Levy alzò timidamente lo sguardo e lo fissò con timore. – Finire il college, trovare lavoro e comprare casa con te.
Gajeel non ghignò nemmeno, le accarezzò semplicemente la guancia e la osservò con tenerezza. – La mia è un po’ diversa, forse hai ragione tu, allora – ammise.
Levy lo osservò, ferita, e gli chiese: - Come, scusa? Quale sarebbe la tua visione?
- Finire il college, trovare lavoro, sposarti e mettere su famiglia con te. Due o tre figli, dipende.
La ragazza si aprì in un sorriso estatico, prima di gettargli le braccia al collo e sciogliersi al contatto delle sue mani bollenti sulla schiena. – Sono una stupida.
- Nah, ma tutti hanno i loro momenti – la rassicurò Gajeel, mordendole il collo giocosamente.
- Non pensi che siamo troppo diversi? Abbiamo due caratteri davvero differenti, Gajeel, e magari un giorno non troveremo più un punto d’incontro comune.
- Levy – la chiamò Gajeel, staccandola leggermente da sé per guardarla negli occhi. – Non sono cupido, non ne so granché di relazioni, ma penso che se tutti si mettessero a pensare ai problemi di coppia che potrebbero sorgere, un giorno, allora tutta la popolazione sarebbe single.
Levy annuì. – Sì, non hai tutti i torti. Quindi non pensi che ti stancherai di me? Io non sono entusiasta quando tu ti metti a guardare le partite di basket, e lo so che ti scoccia quando mi fermo in libreria durante i nostri appuntamenti.
Gajeel scosse la testa. – Non è che mi scoccia, la tua espressione felice ogni volta ripaga il tempo perso, è solo che è pieno di polvere in libreria. E poi non mi sembra che ti infastidisca il basket, visto che alla fine finisci sempre con il leggere o il costringermi a fare i pop-corn per guardare la partita insieme a me. Sono cretinate queste, Levy. E non mi stancherò mai di te, mai. Mi hai rubato la vita.
Levy sorrise lievemente e appoggiò la fronte alla sua spalla. – Mi sembrava un buono motivo per lasciarci, tre settimane fa. Ma non mi ha resa felice nemmeno per un’ora, questa scelta.
- A chi lo dici – borbottò Gajeel, abbracciandola.
- Torniamo insieme? – chiese lei, facendosi piccola piccola tra le sue braccia.
Gajeel ridacchiò. – Fosse per me, a quest’ora non ci sarebbe stato bisogno di chiederlo, visto che non ci saremmo lasciati.
Levy annuì, sorridendo.
Gajeel scoppiò a ridere. – Sai qual è il bello?
La ragazza alzò il viso per guardarlo in volto, e scosse la testa.
- Il bello è che, dopo otto mesi di relazione, abbiamo fatto l’amore quando in realtà non stavamo insieme.
Levy lo guardò accigliata, in disaccordo. – Io direi che siamo tornati insieme proprio ieri sera.
- Ah, se lo dici tu, mi sottometto al tuo volere – scherzò lui, buttandola sul letto e coprendola con il suo corpo, facendola prima urlare e poi ridere. – Non farmi mai più una cosa del genere – le intimò, tornando serio, posando la sua fronte sulla sua.
- Te lo prometto – concesse lei, attirandolo a sé e baciandolo, fregandosene della colazione che era ormai fredda sul comodino.
Gajeel ridacchiò e coprì entrambi con le lenzuola. – Piccoletta, dobbiamo recuperare tre settimane di astinenza, spero che tu abbia dormito bene e sia ben riposata.
Levy rise e lo baciò al buio, beccando il suo naso invece che le sue labbra. – Così però non vedo nulla – gli fece notare, scoppiando a ridere quando le sue mani risalirono lungo il suo ventre, solleticandola.
- Non hai bisogno di vedere, se ti guido io – le bisbigliò lui all’orecchio, per poi baciarla e accompagnarla lontana da lì, in un mondo solo loro.
Guidarla verso il loro futuro insieme.





MaxB
Ehehehehe non potevo mica lasciarli separati, no no signori miei.
E' impossibile!
A dire il vero non ho molto da dire, quindi spero che vi sia piaciuta questa storia alternativa, e che la motivazione non sia così banale come sembra.
La verità è che sono passati molti, troppi anni da quando ho letto David Copperfield l'ultima volta, e quella frase che ho riportato nel testo mi è rimasta impressa a foco nella memoria, facendo a pugni con la mia convinzione che gli opposti si attraggono.
Grazie mille a chi ha letto e ancora più grazie a chi ha lasciato un recensione^^
A presto,
MaxB
  
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