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Autore: HeyAM    09/01/2017    2 recensioni
Quando lo vide la prima volta, nella sua uniforme, il sangue le si gelò nelle vene. Non era il primo tedesco che vedeva, ma lui era tutta un'altra cosa, quel teschio sul copricapo urlava morte.
Ha dato lui l'ordine lui di uccidere la moglie, vive per l'ideologia di Adolf Hitler, l'uniforme lo ha divorato.
Per lei il rosso è il colore dell'amore, per lui quello del sangue, ma cosa succede se si incontrano?
Dal prologo:
E lui era lì, guardava con sguardo freddo ciò che accadeva attorno a lui, dava l'impressione di essere alto anche se era seduto, le mani erano coperte dai guanti di pelle nera. Gli occhi azzurri dell'uomo la congelarono, sentì una strana sensazione dentro di sé, le cose sarebbero cambiate.
Genere: Guerra, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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Era tornata ogni giorno quella settimana, si erano visti ogni volta nell'ambiente spartano dell'infermeria del comando in una routine che per lei era sinonimo di tranquillità.

Ogni mattina si era svegliata e con una qualche scusa si era recata al vecchio municipio, due guardie l'avevano sempre accolta e ormai non c'era più bisogno che dicesse nulla, uno dei due la portava a quella porta che ormai conosceva così bene e lei faceva il suo ingresso. 

Poi si sedeva lì, vicino al suo ufficiale, parlavano tanto, soprattutto Elisabetta parlava, Schwartz le aveva chiesto molte cose sulla sua vita, voleva sapere tutto di lui. A sua volta anche la giovane italiana aveva provato ad indagare sulla vita dell'uomo ma senza i risultati sperati, però aveva per esempio scoperto che aveva 28 anni e che prima di arruolarsi aveva studiato un anno letteratura all'università e che l'italiano lo aveva imparato durante il ginnasio.

Franz Schwartz era una persona riservata e, quella unica volta che era capitato che uno dei suoi sottufficiali era entrato nella stanza quando c'era anche lei l'ufficiale aveva subito cambiato atteggiamento comportandosi in maniera distaccata nei suoi confronti.

Ma Elisabetta non gliene faceva una colpa, poteva ben comprendere che ci fossero delle cose a cui lui teneva particolarmente, come la sua immagine tra i soldati.

Quella mattina però, quando si presentò al comando, il soldato di turno la condusse in un'altra zona del comando, precisamente davanti ad una porta che conosceva bene ma che non era quella dell'infermeria bensì quella dell'ufficio del comandante.

Da una parte ne fu sollevata perché ciò voleva dire che il tedesco stava meglio, ma dall'altra parte sapeva già cosa si sarebbe trovata davanti quando avrebbe varcato quella soglia. 

Fu tentata di abbandonare e tornare a casa ma poi pensò che quello dopotutto era lo stesso uomo dei giorni precedenti.

Bussò e attese l'invito ad entrare che arrivò, dopo pochi istanti, in tedesco.

Aprì con la stessa esitazione delle precedenti volte la porta e se lo trovò lì, seduto dietro la scrivania, impeccabile nella sua divisa. La giacca grigia antracite portata sopra la camicia bianca, la cravatta nera al collo; sulla parte sinistra portava delle medagliette, sulle spalline vi erano i gradi. Alla cinta portava la fondina nera pelle dentro la quale poteva chiaramente distinguere la pistola dell'uomo. Il viso era completamente rasato e i capelli biondi lucidi e pettinati all'indietro con cura.

"Elizabeth." Sorrise lui da dietro la scrivania, quel sorriso la rese meno irrequieta, chiuse la porta alle sue spalle e si avvicinò a lui.

"Ti hanno lasciato andare." Sorrise lei riferendosi al fatto che l'uomo fosse stato riammesso al servizio dopo il periodo trascorso in infermeria.

"Non proprio." Sospirò lui alzandosi dalla seduta e sistemandosi difronte a lei appoggiato alla scrivania.

"Cosa vuol dire non proprio?" Domandò allarmata la ragazza.

"Mi mandano in Germania, così da essere sicuri che mi riprenderò dalla ferita." Elisabetta si bloccò, il sorriso che campeggiava sulle sue labbra sparì, non sapeva cosa dire, lui se ne andava già e figurarsi se si sarebbe ricordato di lei.

"Oh... Si beh in effetti ha senso... Insomma..." Blaterò lui, quella notizia l'aveva spiazzata, non se lo aspettava e le aveva fatto male la naturalezza e la scioltezza con cui lui gliel'aveva data.

Aveva già cominciato a muovere qualche passo indietro decisa a lasciare l'ufficio dell'uomo prima che questo vedesse quanto la cosa l'aveva destabilizzata quando arrivarono le sue parole.

"Non è poi una ferita così grave, ma per qualche giorno mi farà bene tornare a casa, è da un po' che manco." Sospirò lui. "Ma tranquilla, non ti libererai così facilmente di me." Sorrise poi lui. "Dieci giorni di congedo non sono poi tanti." Il peso sullo stomaco di Elisabetta si affievolì immediatamente. 

"Dieci giorni?" Mormorò lei confusa, l'uomo annuì sorridendo, probabilmente ora aveva capito cosa aveva portato la giovane a quel cambio d'umore. 

"Dieci giorni, non sono tanti ma in questo momento mi sento fortunato." Elisabetta sospirò lanciandosi su di lui con un coraggio che fino a qualche giorno prima non sapeva nemmeno di avere. 

"Io avevo capito che era per sempre." Sbottò lei. "Non potevi dirlo subito?" Indignata, ma in quel momento una dura verità prese forma in lei, era davvero così presa da lui da star male all'idea che se ne andasse? La risposta era sì, ma pure questa volta decise di ignorare la cosa.

Schwartz la strinse tra le sue braccia per la prima volta da in piedi e si sentì così piccola in confronto a lui, tanto che il suo volto poggiava sul suo petto e i suoi occhi sbucavano appena da sopra le spalline sulle quali vi erano i gradi dell'uomo.

"Chi ti aspetta a casa?" Domandò lei all'improvviso ricordandosi la frase dell'ufficiale di prima senza staccarsi da lui, non aveva mai visto una fede sulle sue dita anche se sapeva che molti dei tedeschi a casa avevano moglie e figli e dopotutto lui aveva passato l'età in cui i ragazzi all'epoca si sposavano. Lo sentì chiaramente inspirare e poi espirare per poi accarezzarle i capelli.

"Mio figlio." Ammise lui. Elisabetta si irrigidì allontanandosi immediatamente dal suo corpo. 

"Hai un figlio?" Chiese sconvolta. Come aveva potuto nasconderglielo? Lui annuì sperando che all'altra andasse bene quella come risposta.

"Sei sposato?" Domandò poi terrorizzata Elisabetta, era arrabbiatissima con lui e non dava cenno a nasconderlo.

"Lo sono stato." Ancora una volta la giovane italiana indietreggiò scuotendo il capo. Lui le aveva nascosto tutto.

Vedendo l'altra prossima a fuggire Schwartz mosse qualche passo in avanti verso di lei ma ciò ebbe l'effetto contrario da quello desiderato visto che si allontanò ulteriormente da lui.

"Elizabeth" Iniziò l'ufficiale ma lei lo interruppe. "Non mi importa, non me lo hai detto fino adesso perché dovresti dirmelo ora?" 

Se però il tedesco era rimasto calmo fino a quel momento non sembrò esserne più capace dopo quella frase.

"Non parlarmi così ragazzina." Iniziò ora tremendamente serio. "Il mio matrimonio e mio figlio sono delle cose mie private, per quale motivo dovrei avertene parlato? Per due bacetti?" 

Quelle parole ebbero un effetto devastante sulla ragazza, le gambe le cedettero e gli occhi chiari si fecero improvvisamente lucidi, senza dire nulla si voltò e spalancata la porta corse giù per le scale, da dietro Schwartz non aveva fatto assolutamente nulla per fermarla.

Si sentiva così stupida, il suo cervello aveva avuto un blackout in quei giorni e lei si era aperta a quell'uomo senza sapere nulla di lui, quei sette giorni in infermeria erano stati il paradiso, lui che la ascoltava e che la stringeva a sé, ma solo ora si rendeva conto che tutto ciò era stata una visione distorta sua personale della realtà.

Sulla strada del ritorno verso il paese scoppiò improvvisamente a piangere sfogando tutte le emozioni che si era tenuta dentro. Si vergognava profondamente di sé stessa, si credeva più intelligente e invece era cascata per colpa del diavolo in persona. Ragazzina, l'aveva chiamata l'ufficiale e lei si era convinta che dopotutto lo era sul serio, come poteva averci creduto tanto da riuscire a passare sopra tutti i crimini di cui l'uomo si era macchiato?

Aveva preferito saltare la cena in quanto non si sentiva in grado di sedere al tavolo con la sua famiglia e non avrebbe sopportato le loro domande nel caso si fossero accorti del suo stato. Si era chiusa in camera ed era decisa a rimanerci, si era rintanata sotto le coperte e cercava invano di dimenticare la farsa che era stata quella settimana.

All'improvviso la porta si aprì e lei non badò neanche troppo a chi fosse entrato, dava per scontato che l'unica persona che potesse entrare fosse sua sorella, ma quando sentì il classico rumore che aveva imparato a conoscere degli stivali dei militari. Non distolse lo sguardo dalla parete e non aveva intenzione di farlo. Trattenne poi il respiro quando sentì qualcuno sedersi sul suo stesso letto e riconobbe poi il profumo dell'uomo, gli occhi si fecero di nuovo lucidi al pensiero della discussione avuta la mattina prima.

"Non ho molto tempo, tra due ore devo essere pronto per partire e voglio chiarire questa cosa." Serio lui. Elisabetta però non aveva intenzione di perdere altro tempo con lui a farsi illudere dalle sue parole.

"Nessuno le ha chiesto di sprecare il suo tempo con una ragazzina." Senza muoversi di un millimetro. 

"Per questo ti chiedo di non interrompermi, così non ci impiegherò molto." Secco lui in quelle parole senza ammettere replica e tanto valeva lasciarlo fare, già sapeva che non avrebbe comunque avuto un'alternativa.
  
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