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Autore: AlbaD___    09/01/2017    0 recensioni
Dan Scott, avvenente uomo di successo e sindaco della città di Tree Hill, si è a lungo servito del glorioso passato sportivo e della posizione di prestigio assunta, per offuscare le sue più grandi frustrazioni.
Il desiderio di fama tanto agognato l’ha però condotto alla perdita della propria famiglia e al compimento di un violento crimine.
Rinchiuso nel carcere della contea, dopo essersi costituito per l’omicidio ai danni del fratello Keith, attraverso le cinque fasi del lutto ripercorre i principali avvenimenti che dall’adolescenza lo hanno condotto all’età adulta, condizionando irrimediabilmente i suoi rapporti personali e il prosieguo stesso della sua vita.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dan Scott, Deb Scott, Karen Roe, Keith Scott
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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2. UN ISTANTE PER SEMPRE


– Fermi! – si sentì urlare dopo un assordante fischio che riecheggiò per tutta la palestra, immobilizzandoci all’istante – Sembrate un ammasso di caproni – continuò Whitey, stringendo ancora il fischietto tra le dita – È questo lo spirito con il quale credete di vincere una finale? –
– Coach, non riusciamo più a respirare – rispose uno dei miei compagni di squadra, a più riprese a causa del fiatone – Sono settimane che ci alleniamo senza sosta, siamo esausti. –
– Parla per te, Wilson! – ribattei zittendolo, iniziando a palleggiare pur restando fermo sul posto – Non osare pensare di parlare a nome della squadra. – dissi risentito.
In quanto capitano, trovai inaccettabile e fuori luogo il suo intervento, soprattutto perché si trattava della mia di squadra. Adirato, cominciai a correre senza sosta da una parte all’altra del campo, schivando avversari immaginari per poi ritrovarmi di fronte al tabellone. Con uno scatto repentino, mi sollevai e schiacciai con foga la palla all’interno del canestro. La osservai attraversare la rete e, una volta sfilata, la raccolsi, ripresi a palleggiare e guardai Wilson dritto negli occhi in segno di sfida. Riuscii a divincolarmi da ogni tentativo di ostruzione da parte sua, raggiungendo il canestro opposto ma, quando mi ci ritrovai di fronte, provando ad infilarne una da tre punti ruotai troppo il polso, la palla rimbalzò sull’anello di ferro e cadde fuori dall’area. “Merda”, pensai accumulando sempre più rabbia. Non ebbi neanche il coraggio di voltarmi verso Whitey, temendo di incrociare il suo sguardo, e preferii fare della palla il mio unico obiettivo. – Questa volta non ti farò un altro favore. – mi rivolsi con tono superbo al mio avversario, per poi sottrargliela con un inaspettato tocco alle spalle. Era stato troppo facile. Per quanto potessi esserne contento in quel momento, ero molto preoccupato in previsione della finale. La mia era di certo bravura, ma dall’altro lato si trattava anche d’inesperienza da parte del mio compagno di squadra, inesperienza che avrebbe potuto rivelarsi fatale.
 
 
Al termine degli allenamenti filai dritto a casa, contento di non trovarvici mio padre, ancora impegnato con il lavoro. Avrei dovuto affrontarlo ma non volevo accadesse quel giorno, preferivo concentrarmi sui consigli fornitimi da Whitey e su Karen. Sapevo quanto tenesse a quella serata e non volevo deluderla. Il ballo di fine anno era l’evento più atteso dalle ragazze. Addobbi floreali, abiti eleganti, lustrini, paillettes e un cavaliere sotto braccio. Karen ed io eravamo candidati alle elezioni di re e reginetta, il campione di basket e la cheerleader, un classico. Data la nostra popolarità la vittoria era quasi del tutto assicurata.
Una volta salito in camera vidi il mio smoking e la camicia con jabot agganciati ad un’anta dell’armadio, avevo chiesto a mia madre di ritirare il completo al negozio. L’avevo scelto qualche settimana prima, ad accompagnarmi era stato mio padre e anche in quell’occasione, in uno dei momenti padre figlio che bisognerebbe ricordare, a me erano rimaste impresse soltanto le pressioni cui ero stato sottoposto prima dell’inizio dei play off. A volte odiavo me stesso per l’influenza che gli permettevo di avere sulla mia psiche. Ero un giovane ragazzo, atletico, popolare, avevo davanti una florida prospettiva di vita accanto alla ragazza di sempre, eppure non riuscivo a non essere turbato. Non si trattava delle tipiche agitazioni adolescenziali bensì di un timore di fondo accumulato anno dopo anno, a partire dall’età infantile. Avevo timore dell’uomo che mi aveva messo al mondo, temevo il suo giudizio, le sue reazioni e le ripercussioni che avrebbero avuto su di me, ma soprattutto sapevo che qualunque azione avessi compiuto non sarebbe mai stata abbastanza, io non sarei mai stato abbastanza per lui. L’ammissione nella squadra del liceo non avrebbe avuto alcun valore se non fossi diventato capitano, così come non ne avrebbe avuto la vittoria del campionato se non fossi stato ammesso al college. Qualunque sforzo risultava vano confrontato alle sue attese. Purtroppo non ero mai riuscito a comprendere chi dovesse essere il reale destinatario di quelle aspettative.
Una doccia tiepida, oltre a rilassare i muscoli, fu capace di aprire la mente ai più profondi pensieri e ciò non mi rendeva per niente entusiasta, per questo preferii uscire rapidamente per avvolgermi nel mio accappatoio. Una volta essermi riasciugato, indossai lo smoking e restai per un po’ a fissare compiaciuto la mia immagine allo specchio fin quando due leggeri colpi fecero sì che il mio sguardo si spostasse verso la porta.
– Vuoi che ti dia una mano a sistemarti? – domandò mia madre, facendo capolino nella stanza – Vieni qui. – continuò, avvicinandosi per sistemarmi il colletto della camicia.
Si trattava di una delle rare volte in cui indossavo un completo, ero solito farlo solo prima e dopo le gare, da quando Whitey aveva deciso che giacca e cravatta avrebbero migliorato l’immagine della squadra.
– Ne eri a conoscenza? – domandai rabbioso – Della lettera da parte del college. – aggiunsi, notando lo sguardo stupito di mia madre.
– Danny… – provò a dire.
– Come hai potuto? – urlai, non lasciandole il tempo di terminare la frase – Ora sei anche tu dalla sua parte? – chiesi profondamente risentito.
– Lasciami spiegare. – tentò nuovamente.
– Credevo di poter contare su di te, invece sei proprio come lui. – continuai, ignorando una seconda volta le sue parole.
– Sono stata io a trovare la busta nella cassetta delle lettere, quando l’ho mostrata a tuo padre me l’ha strappata via di mano dicendo che, qualunque fosse stato il contenuto, sarebbe stato meglio se tu non ne fossi venuto a conoscenza, per evitare distrazioni. Ho insistito tanto affinché cambiasse idea, ma sai quanto riesce a essere testardo e, sebbene volessi parlartene io stessa, non sapevo dove l’avesse nascosta. In quel modo ti avrei solo reso ancora più agitato – spiegò – Mi dispiace. –
– No. – affermai scuotendo la testa – Sono io ad essere dispiaciuto – ammisi, poggiandole un braccio sulle spalle – Venerdì sera non ti deluderò. – le promisi, stringendola a me.
– Figliolo, c’è un’unica persona a questo mondo che non dovrai mai deludere, prima di me, di tuo padre, di Keith e Karen. – disse premurosamente – E non solo nel basket, ricordalo sempre. –
Ogni qualità negativa appartenuta a mio padre riusciva a essere oscurata dalla bontà insita nel nobile animo di mia madre e non potevo far a meno di rivederla in Karen, per questo me ne ero follemente innamorato.
 
 
Prima di passare a prendere Karen mi sistemai il papillon, non avendolo mai indossato non ero sicuro di averlo annodato perfettamente. Annusai le piccole rose del bouquet da polso, comprate dal fioraio in fondo alla strada, ed emozionato bussai alla porta di casa di Karen. Quando venne ad aprire sospirò e sorpresa fece un passo indietro, come ad osservare per intero la mia figura. Era stupenda, semplice ma al tempo stesso elegante. Aveva i capelli ondulati sistemati con perfetta cura, fissati ai lati della testa da due forcine ricoperte di brillanti e indossava un vestito lungo di seta, di un rosa tenue che metteva in risalto le sue forme.
– Sei bellissima. – esclamai quando la vidi sull’uscio di casa, mentre le sue guance prendevano sempre più colore.
– Bel papillon. – osservò imbarazzata.
– Come futuro re del ballo non potevo non indossarlo. – risposi sicuro di me, per poi poggiarle una mano sul fianco, avvicinandomi per stamparle un bacio sulle labbra.
– I risultati non sono ancora stati svelati. – mi corresse, tenendo a bada la mia sfrontatezza.
– Andiamo – cominciai sorridendo – Stiamo parlando di Dan Scott, stella del basket locale, detentore del record del maggior numero di canestri messi a segno in una sola gara e capitano dei Ravens – ammiccai – Nonché fidanzato della più bella capo cheerleader che il liceo di Tree Hill abbia mai avuto. – aggiunsi con orgoglio, riuscendo a suscitarle nuovamente dell’imbarazzo.
– Deve trattarsi di un ragazzo davvero fortunato. – affermò, cingendomi il collo con le braccia per attirarmi a sé.
– Non immagini quanto. – dissi, dandole un altro bacio.
Una volta sciolta la presa attorno al mio collo, le afferrai delicatamente il polso sinistro per avvolgervi il bouquet di rose, intrecciando i due fili di raso color panna di cui era composto, poi le offrii il mio braccio, ci avvicinammo all’auto e da vero gentiluomo aprii lo sportello per aiutarla a salire.
 
 
La palestra della scuola, addobbata per l’occasione da Karen e il resto delle cheerleader, era colma di decorazioni che richiamavano l’azzurro scuro e il color ghiaccio, in tema con il motivo invernale del ballo. Finti pupazzi di neve e abeti spuntavano da ogni angolo, mentre il pavimento era ricoperto da piccoli fiocchi bianchi, forse di cotone, a ricordare la neve. In quell’ambientazione, con indosso lo smoking, somigliavo ad un pinguino al polo sud. Non amavo i balli né le feste a tema e di sicuro preferivo vedere la palestra gremita soltanto durante le partite. Seppur per poche ore, però, Karen avrebbe potuto distogliere il pensiero dalla lontananza dei genitori, inoltre sapevo quanto ci tenesse, non aveva parlato d’altro per settimane. Quando si tratta di indossare un bel vestito e sistemarsi i capelli è risaputo che le ragazze siano incapaci di tirarsi indietro.
La serata procedette all’insegna di canzoni anni ottanta, concessi a Karen un paio di balli ma in seguito preferii starmene in disparte, con alcuni dei miei compagni di squadra, discutendo riguardo la finale che avremmo dovuto affrontare durante il fine settimana successivo. In qualsiasi occasione fossi coinvolto, in qualunque luogo mi trovassi, non riuscivo a smettere di pensare al basket. Si trattava dell’ultimo anno di liceo, per tutti gli altri studenti rappresentava la fine della scuola, per me, invece, l’ultima possibilità di riuscire a conquistare il titolo di campioni di Stato. Eccetto alcuni elementi, era la squadra migliore che potessimo avere e i miei compagni erano i più forti con i quali avessi mai giocato nei quattro anni di liceo. Se avessimo voluto vincere, sarebbe stata l’occasione giusta per farlo.
Ebbi la sensazione che le ore successive fossero trascorse troppo lentamente, forse perché mi sentivo fuori contesto e, come se non bastasse, non potetti sfuggire al momento dell’incoronazione durante la quale, come previsto, io e Karen fummo eletti re e reginetta del ballo. Con mio stupore, sentirmi acclamato dal resto della scuola, nonostante non riguardasse la mia prestazione durante una gara, fu piacevole e contribuì ad ingigantire per un attimo il mio ego. Subito dopo il verdetto, Meg Price, capo redattrice del giornale della scuola, ci raggiunse sul palco seguita da Harry Jones, improvvisatosi cameraman per quella sera, per farci alcune domande.
– Il re e la reginetta del ballo sono Daniel Scott e Karen Roe – cominciò, presentandoci – Karen, qual è il segreto del vostro successo? – continuò, porgendole il microfono.
– Il segreto del nostro successo? – ripeté Karen pensierosa – Non saprei, bella domanda – aggiunse – Dan? – chiese dopo alcuni istanti, mentre le cingevo la vita con un braccio.
– Del buon sesso. – sdrammatizzai, tendendomi verso il microfono.
– Sii serio. – mi ammonì Karen, sorridendo per la mia battuta.
– Karen, credi che un giorno vi sposerete? – domandò Meg in maniera disinvolta, mostrando la sua solita impertinenza.
– Se credo che io e Dan un giorno ci sposeremo? – ripeté, ancora una volta, cercando forse di prendere tempo per fornirle una risposta adeguata – Chi può dirlo! – affermò, alzando le spalle. – È il ragazzo più dolce del mondo, quindi ci sto pensando – ammise, mentre un largo sorriso le si apriva sul volto – Venite a trovarci fra dieci anni, vedrete i nostri figli, la nostra grande e bella casa, e soprattutto la nostra felicità. – aggiunse con orgoglio, mentre mi chinavo su di lei per baciarle la fronte.
Quello appena descritto era il futuro che aveva sempre desiderato, me ne aveva parlato più volte, durante le notti trascorse a casa sua, mentre ce ne stavamo distesi a letto, l’uno accanto all’altra. Aveva le idee molto chiare in proposito e sembrava tutto perfetto, a patto che si fosse trattato di un lontano futuro in cui avevo terminato il college diventando un popolare atleta. L’unica aggiunta da parte mia, in quell’immaginario quadro idilliaco, era stato un canestro in giardino, se mai avessi avuto un figlio non avrei potuto non lasciarlo giocare a basket.
– Adesso è il momento del ballo degli studenti – esclamò a gran voce Meg, rivolgendosi al resto dei ragazzi presenti in palestra – Ad aprire le danze saranno il re e la reginetta del ballo – continuò – Un bell’applauso per Dan e Karen. – li incitò, mentre la sua voce veniva coperta dagli applausi.
Presi Karen per mano, scendemmo dal palco e ci ritrovammo al centro della palestra, danzando sulle note di ‘Every rose has its thorn’ dei Poison.
– Grazie. – sussurrò, lasciando sprofondare la testa nel mio petto.
– Per cosa? – domandai sorpreso per quell’affermazione, continuando ad ondeggiare a ritmo di musica.
– Per tutto quello che hai fatto e continui a fare per me – spiegò, sollevando per un attimo la testa, per darmi un bacio – Soprattutto negli ultimi mesi – continuò, riprendendo la posizione precedente – Non sarei stata in grado di superare la partenza dei miei genitori se non ci fossi stato tu. – confessò.
– Non avresti dovuto farlo, se non ci fossi stato io. – dissi con tono rammaricato.
Avevo sempre temuto che la decisione di non seguire i suoi genitori fosse dipesa dalla mia presenza ma questo, se da un lato mi inorgogliva e rassicurava, dall’altro contribuiva a suscitare in me un senso di colpa nei suoi confronti. Sapevo quanto fosse stato difficile per lei aver dovuto dire loro di no e accettare di restare a Tree Hill solo per me. Per questo motivo, dal momento della loro partenza, mi ero impegnato ogni giorno affinché non si pentisse di quella scelta.
– Non devi fartene una colpa – mi rassicurò, accarezzandomi una guancia – Sono stata io a prendere questa decisione e lo rifarei altre mille volte. Se mai dovesse esserci per me un futuro lontano da Tree Hill, vorrei che fosse accanto a te. È con te che voglio stare, Dan. – ammise, prendendo il mio volto tra mani – Mi dispiace che questo abbia comportato l’essermi dovuta allontanare dai miei genitori ma sono in grado di superarlo, proprio grazie a te. –
Rassicurato dalle sue parole, attesi affinché i battiti dei nostri cuori e i nostri respiri si regolassero, prima di chiederle di ripensare all'incontro avvenuto quella stessa mattina nel corridoio della scuola.
– Ero stato convocato da Whitey – continuai, tenendo viva la tensione – Mi ha consegnato la busta che conteneva la mia borsa di studio per il college. – le confessai, e un largo sorriso si aprì sul mio volto.
– Oh, Dan – sospirò – Sono davvero contenta per te. – ammise, stringendomi a sé, mentre i suoi occhi brillarono per l’emozione.
Seppur i nostri sogni comuni avrebbero inevitabilmente subito un rallentamento con il mio trasferimento a Chapel Hill, ne sembrò realmente entusiasta. Giocare a basket al college si sarebbe rivelato molto impegnativo, le partite e le trasferte avrebbero reso difficile il poter ritornare periodicamente a casa. Avrei potuto decidere di non alloggiare al dormitorio e cercare un appartamento non lontano dal college in cui vivere con Karen, ma quando si trattava di pensare al futuro non riuscivo a spingermi troppo oltre, preferivo concentrarmi esclusivamente sulla mia carriera sportiva.
 
 
Di ritorno dal ballo, un improvviso temporale scagliatosi sulla città mi costrinse a guidare con cautela, impiegando il doppio del tempo per raggiungere casa di Karen. Gli scrosci d’acqua, accompagnati dall’alternarsi dei tergicristalli, impedivano una corretta visuale della strada ma anche dell’abitacolo. Non potevo voltarmi alla mia destra per osservare l’espressione di Karen, ma di tanto in tanto udivo profondi respiri pieni di apprensione. Preferivo ritenere fosse preoccupata di ritornare presto a casa, per sentirsi al sicuro, poiché l’alternativa remava contro di me. Solo nell’istante in cui le avevo confidato di aver ottenuto la borsa di studio, mi ero reso conto della gravosità di quella notizia. Il mio destino, da tempo segnato, stava prendendo forma ma restava pur sempre il mio e, qualora avesse voluto farne parte, Karen avrebbe dovuto rinunciare ai suoi sogni per me, così come aveva già rinunciato al poter vivere con i suoi genitori in Europa.
Quando arrivammo, sfilai la giacca per utilizzarla in sostituzione dell’ombrello, essendone sprovvisti, scesi di corsa dall’auto e cercai di riparare Karen dalla pioggia fino al raggiungimento del portico.
– Sei bagnato fradicio – affermò una volta entrati in casa, mentre l’acqua che aveva inzuppato i miei abiti cominciava a gocciolare sul parquet – Vado a prenderti degli asciugamani. – continuò, dirigendosi verso la sua camera.
La seguii, tentando di non lasciare altre tracce e, quando mi sfilai la camicia per asciugarmi e indossare un maglione pulito, Karen mi rivolse uno sguardo smanioso, per poi fiondarsi tra le mie braccia e baciarmi.
– Voglio trascorrere la mia vita con te – ammise, dopo aver staccato le sue labbra dalle mie – Non so cosa ci riserverà il futuro ma sarei disposta a seguirti ovunque – continuò, facendo probabilmente riferimento alle possibili risposte da parte dei college.
Non riuscendo comunque a rilassarsi del tutto, intuendo che le parole non sarebbero bastate a rassicurarla, le cinsi la vita, l’attirai a me e cominciai a baciarle una guancia, fino a scivolare lungo il collo.
– Resterò sempre al tuo fianco, te lo prometto. – le sussurrai all’orecchio e finalmente sentii il suo nervosismo dissolversi.
Si lasciò andare tra le mie braccia, con l'abbandono di chi si affiderebbe completamente alla persona che ama, passò una mano tra i miei capelli per poi farla cadere lungo la schiena, mentre la sua bocca si muoveva sulla mia e tocco dopo tocco i nostri corpi si fusero l’uno con l’altro.

La canzone del nostro ballo era ‘Ogni rosa ha le sue spine’.
È stata la sera in sui ti ho detto che andavo via per giocare a basket.
Voglio che tu sappia che per diciassette anni ho finto che la mia fosse la scelta giusta.
[4x16]
 
   
 
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