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Autore: Nemamiah    09/01/2017    2 recensioni
Arriva il momento perfetto per ogni cosa: per tornare ad amare, per rivedere la propria famiglia o per crearsene una dopo tanti no detti a se stessi. Arriva sempre il momento, soprattutto quando hai smesso di aspettarlo.
«Freya, di cosa ti preoccupi? È tua madre: non avrei mai il coraggio di separarti da lei e nemmeno l'arroganza per ordinartelo.»
«Potrò mai rivedervi?»
L'uomo la baciò sulla fronte: «Certo. Tornerò sempre da te, figlia mia.»
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Nero come il bianco - Raccolta'
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Raziel



Raziel - Il Momento Giusto


Capitolo 1


Great is youth, and equally great is old age...
great are the day and night.
Great is wealth and great is poverty...
great is expression and great is silence.

-Walt Whitman, Leaves of Grass






Stava diventando buio in fretta: era meglio che si sbrigasse a tornare indietro alla locanda, altrimenti la proprietaria non gli avrebbe servito la cena. Non che morisse dalla voglia di mangiare il pinnekjøtt, ma almeno sarebbe stato meglio dei soliti piatti di pesce di cui iniziava ad avere la nausea. Percorse il sentiero al contrario, uscendo dalla foresta innevata e tornando al paesino dove aveva vissuto negli ultimi anni. Non era nulla di eccezionale, ma gli abitanti erano estremamente cortesi e nessuno di loro si era posto domande sul perché un forestiero si fermasse per tanto tempo in un luogo con cui non aveva legami.
Vivevano un migliaio di anime nel paesino, abbastanza per permettersi di avere una specie di macellaio, che era anche un pescivendolo, una locanda, una libreria che vendeva volumi usciti almeno dieci anni prima e un negozio di vestiti. Per la maggior parte erano anziani, donne e uomini che erano nati là e desideravano morirvi, poi si aggiungevano molte coppie di mezza età e alcuni giovani che non avevano ancora deciso di fuggire via. In aggiunta, per sua immensa sfortuna, un paio di accampamenti di militari di chissà quale nazione turbavano la quiete dei dintorni.
I militari non gli stavano simpatici: i militari portavano guerra e sangue. Ne aveva già visto abbastanza per tutta la sua vita.
Sbatté un paio di volte gli scarponi sul muro a fianco alla porta e poi entrò, correndo al suo posto per non mancare la ciotola di brodo caldo che la proprietaria distribuiva celermente. Era grasso e saporito: una goduria per le sue membra congelate.
Osservò la sala al piano terra: c'erano più soldati del solito ad occupare le sedie del bancone, ognuno con un bicchiere di un liquido ambrato di fronte. Non era però troppo strano. All'accampamento gli alcolici non abbondavano, e nemmeno il riscaldamento. Meglio bere in pace lì, al caldo e circondati da facce nuove. Anche se...
«Ofelia, che ci fanno loro qui?» chiese a una delle cameriere in carne con cui aveva fatto amicizia.
Questa gli riempì la ciotola, ormai vuota, di costolette di pecora e guardò nella direzione dei militari, contraendo il viso in una smorfia di disgusto: «Quelli, signore, sono la rovina dell'accampamento. Sono quelli che andranno a ovest, verso il mare, a trovare qualcuno che li scaldi per stanotte.»
«Ofelia, prostitute è così difficile da dire?»
La donna lo fissò imbarazzata e gli diede la schiena, servendo la pecora agli altri commensali, in silenzio.
Lui mangiò un boccone, che si sciolse in bocca, poi si tolse i guanti e divorò le costolette con mani, come un cavernicolo: era il suo primo piatto di carne dopo mesi, se lo sarebbe goduto fino in fondo.
L'uomo seduto al suo fianco rise, chiudendosi ancora di più nel cappotto che indossava e commentò acido: «Quella non sa neanche da che parte lo si scalda, un uomo, durante la notte. Ha solo una fifa nera di poter finire come loro.»
«Immagino che tu lo sappia.»
«Beh, non ho mai provato a farlo, ma state ben certo che mi sono fatto scaldare per bene. Mi chiamo Fedor, e voi?»
«... Raziel.»
«E che razza di nome è?!»
«Perché, Fedor ti pare migliore?»
L'uomo soffocò una risata con un colpo tosse: «Sì, in effetti avete ragione... Comunque, da quanto siete qui?»
«Alloggio alla locanda da qualche anno.»
«E la cara proprietaria non vi ha ancora cacciato? Io sono qua da una settimana e ogni mattina la vedo attendere impaziente la mia partenza.»
Raziel chiamò Ofelia per una seconda porzione e si tolse la sciarpa marrone, appallottolandola sopra i guanti, e il cappello, nascondendolo in una delle tasche dei pantaloni. Si alzò e si fece dare una bottiglia di vino al bancone, guardando con sdegno i soldati. Al tavolo versò un bicchiere per lui e per il suo vicino, che ringraziò.
«... Non vi piacciono i militari, vero?»
«Non particolarmente.»
«Mio figlio è uno di loro, mi ha inviato una lettera cinque o sei anni fa.»
«Immagino ti manchi.»
«No.»
Raziel sollevò il viso dalla ciotola, sorpreso da quella negazione forte, che non lasciava spazio per attenuanti.
«Non potrebbe. L'ho tenuto in braccio quando è nato, poi me ne sono andato da quella casa. Il mestiere del genitore non è mai stato il mio. Ho un po' di figli sparsi per il mondo, ma lui è l'unico che mi scrive. Quando torno a Mosca ci sono sempre pacchi di lettere per me alla posta.»
«Sono anni che non torni al tuo paese, allora.»
Fedor alzò un sopracciglio, poi tolse anche lui la sciarpa, legandola allo schienale della sedia.
«Mi piace viaggiare, ho i soldi per farlo. Diciamo solo che non ho scelto il periodo migliore.»
Fu il torno di Raziel di ridacchiare, contenendosi per non sputare il boccone che aveva appena mangiato: «Se si pensasse a tutte le disgrazie che possono accadere, non ci si sposterebbe mai da casa. Quando si ode il richiamo, si deve correre il rischio.»
«Sa che richiamo odo io, proprio ora?»
«Quello del pinnekjøtt?»
«No, quello dell'ovest. Dovreste accompagnarmi.»
Raziel per poco non si strozzò, chiedendosi per quale motivo dovesse uscire fuori, di notte, con quel gelo, con un tipo che conosceva da meno di un'ora per andare a visitare un bordello. Fedor scoppiò in un'aperta risata allo sconcerto del rosso e slacciò la cintura che gli stringeva la giacca sulla pancia per avere maggior libertà.
«Non ho mica detto che deve entrare con me: può sedersi in uno degli ingressi, vicino al fuoco e rimanere lì al caldo. Non voglio perdermi nella neve, in due sarà più facile tornare indietro domani mattina.»
Raziel aveva creduto che avrebbe visto un'arma spuntare da sotto la giacca, mentre tutto quello che notò furono una penna e dei fogli di carta. Prese un respiro profondo e bevve un altro bicchiere di vino, spingendo poi il piatto in avanti e infilandosi i guanti.
«Questo sì che si chiama prendere l'iniziativa» disse alzandosi e chiudendo la cintura. Slegò la sciarpa e la avvolse intorno al collo coprendosi bene.
Una volta vestito Raziel fece per riportare la bottiglia, ancora mezza piena, al bancone, ma Fedor lo intercettò: «Questa viene con noi. Sarà una lunga notte, dovete avere compagnia.»
Raziel scosse la testa ed uscì seguendolo. Non aveva idea di quale direzione prendere, ma non avrebbe dimenticato il cammino fatto: sarebbe stato un'ottima guida al ritorno.
Fedor estrasse una torcia dalle tasche e l'accese. La neve riluceva del pallore giallo della lampadina. Sembrava una distesa di petali soffici di iris gialli coperti di rugiada.
A Raziel arrecava quasi dispiacere calpestarla e lasciare le impronte del proprio passaggio.

Chissà cos'avevano Ofelia e le altre donne contro le prostitute. Non erano donne problematiche: negli anni aveva sentito parlare di loro solo un paio di volte a causa di alcuni neonati abbandonati davanti alla porta della chiesa. Non che ci fossero state prove a sostegno della teoria che fossero figli loro, ma alla locanda le cameriere li avevano nominati tali e tali sarebbero rimasti fino alla loro morte. Per il resto erano solo voci e commenti velati che però non nascondevano il profondo disgusto delle donne virtuose.
Come se poi la virtù dipendesse dal numero di persone con cui si ha condiviso il letto, pensò Raziel, rivedendo nella mente l'intelligentissima Kore, il caro Attalos, la dolce Iliade e la meravigliosa Caterina.
Se dovessero giudicare me, senza dubbio non ne verrei fuori pulito... Ma come direbbe Hesediel, nessuno può giudicare il faraone se non il faraone stesso.

Si strinse maggiormente la sciarpa, pregando di arrivare presto, e chiuse le maniche sul posto per impedire al freddo di entrare in quello spiraglio. Guardò poi il suo compagno di viaggio mentre camminava: nonostante la sua familiarità aveva continuato a dargli del lei, educatamente, ma come se non volesse instaurare un rapporto con lui. Probabilmente questo atteggiamento influenzava il desiderio di non volersi mai legare a nessuno e le prostitute erano un ottimo compromesso.
Nel momento in cui pensò di chiedere a Fedor quanto ancora avrebbero dovuto camminare, questo si voltò verso di lui indicando uno scuro gruppo di case in cerchio.
Al centro c'era uno spiazzo da cui la neve era stata spalata via e si vedeva bene il terreno bruno sotto i piedi. Avrebbe ricominciato a nevicare nell'arco di poche ore, ma le donne lì aveva tempo in abbondanza durante il giorno e pochi compiti da svolgere: la mattina seguente avrebbero tolto nuovamente la neve.
«Siamo usciti prima dei militari: c'è l'imbarazzo della scelta.»
Raziel sorrise un poco imbarazzato, ma non disse nulla. Si lasciò condurre nella casa più grande e si sedette a fianco a Fedor su una panca di legno vicino al fuoco, in attesa.
Dalla scala scese una donna dai capelli neri, lunghi, molto magra. Aveva il viso di una bambina: non poteva avere più di vent'anni. Gli occhi scuri sembravano quelli di un angelo e le ciglia lunghe li incorniciavano magnificamente. Fedor si alzò e lasciò alcune monete su un tavolo; la ragazza scosse la testa, in silenzio. L'uomo allora fece un sorriso sghembo e tirò fuori altro denaro dalle tasche: a quel punto la giovane lo prese per mano e lo portò al piano di sopra.
Passarono un paio d'ore e Raziel le affrontò seduto sulla panca, a godere del calore del fuoco. Aveva un po' caldo, ma non si arrischiava a togliere nessun abito: meglio non essere scambiato per un cliente in attesa.
Dopo un'altra ora, e due militari che avevano salito le scale mano nella mano con altre due belle ragazze, la bottiglia di vino era diventata invitante e ne avrebbe volentieri bevuto un buon sorso, se solo avesse trovato la voglia per tirare fuori le mani dalle tasche.
Alla fine poggiò la nuca al muro e si chiese perché avesse accompagnato Fedor: avrebbe potuto starsene tranquillo nella sua stanza, con quella copia del manoscritto di Platone da leggere e una bella coperta calda sui piedi. Invece aveva scelto, di nuovo, di aiutare una persona in cerca d'amore. Proprio vero, il lupo perde il pelo, ma non il vizio: nel suo caso, un paio di ali verde smeraldo.
Si svegliò dal pisolino sentendo gli stivali di uno dei soldati sbattere sui gradini della scala: la ragazza doveva averlo sbattuto fuori dalla stanza. Nel frattempo, mentre l'uomo si rivestiva vicino al fuoco, entrò una donna. Questa squadrò il soldato con disgusto e distolse lo sguardo, schifata. Poi notò la presenza di Raziel, e lo stesso sguardo si addolcì. Gli si avvicinò.
«Bisogno di un letto caldo?» chiese.
«Non sono un cliente.»
«E io non ti sto offrendo i miei servizi: solo un letto e delle coperte.»
«Oh, un letto e delle coperte possono ispirare molti scenari.»
Lei si mise le mani sui fianchi: «Anche un fuoco può ispirare molti scenari, ma non mi pare di averti bruciato.»
Raziel alzò gli occhi e la guardò, poi si tirò su e abbassò la testa: «In tal caso accetto molto volentieri la vostra offerta.»
Gli disse di seguirla e lo portò nella casa opposta a quella, obbligandolo a salire subito nella camera da letto.
Raziel osservò la casa attentamente: era essenziale, ma curata e pulita. Non la casa di una prostituta, quella di una donna.
Il letto era grande, con molte coperte, e sistemato abbastanza vicino al camino da goderne di tutto il calore senza rischiare di prendere fuoco. Tutto sommato era una camera accogliente.
«Immagino che vi facciate pagare bene» le disse mentre toglieva la giacca.
«Molto bene, ma stasera non lavoro.»
«Perché, se posso chiedere?»
«Non do ai soldati l'amore, io.»
Improvvisamente Raziel ebbe voglia di giocare: «Io potrei essere un soldato senza divisa.»
«Voi? Non fatemi ridere. Voi, un soldato? Non sareste capace di uccidere un uomo nemmeno se stesse minacciando la vostra vita. State giocando con la donna sbagliata.»
«Siete esperta di soldati a quanto sento.»
«Senz'altro più di voi. E ora levatevi quegli scarponi: non salirete sul letto con quelli.»
«Come volete.»
Si sedette sul bordo del letto e lasciò gli scarponi vicino al muro, distendendosi.
La donna non aveva intenzione di lavorare quella sera, ma si spogliò come se lui non fosse nemmeno nella stanza.
Lasciò la giacca su una sedia e le scarpe vicino al fuoco, poi prese un paio di calzettoni asciutti e li infilò velocemente. Si tolse il vestito e indossò una camicia di notte e una vestaglia, stringendo bene la cintura affinchè non si slacciasse. Sciolse i capelli e li lasciò liberi sulla schiena.

Quello era il corpo di una donna: non eccessivamente muscoloso, magro quanto bastava per esaltare la prosperità delle curve; i capelli selvaggi e non acconciati. Un corpo che abbracciandolo ti avrebbe trasmesso calore, qualcosa di vivo e pulsante.
«Ammirato lo spettacolo?»
«Non mi avete lasciato scelta, ma come ho già detto: un letto può ispirare molte idee, soprattutto ai civili.»
«State tranquillo e nessuno si farà male. Poi, non avevate detto di non essere un cliente?»
«Chi dovrebbe farsi male?» le chiese non appena si mise sotto le coperte a fianco a lui.
«Voi» sussurrò e spense la luce.
La donna si addormentò in pochi minuti, ma Raziel avrebbe giurato che stesse dormendo con un solo orecchio: l'altro controllava lui e ogni suo movimento.
Non importava: da qualche secolo, precisamente dopo Caterina, si era lasciato l'universo femminile alle spalle. La visione di una bella donna era sempre un piacere, ma non chiedeva altro. Non aveva bisogno di altri trattamenti. La sua vita, così com'era, gli era più sufficiente. Presto sarebbe tornato alla civiltà, magari avrebbe preso una nave e avrebbe viaggiato fino a uno dei porti americani, scendendo in quello che più l'avrebbe convinto, per poi raggiungere i suoi amici.
Passarono altre ore e Raziel, cullato dal respiro ritmato della donna al suo fianco, si addormentò, sognando di giardini immensi e di una stanza verde smeraldo, con un grande letto e un trono di legno intarsiato.
Si risvegliò di soprassalto sentendo l'urlo di una ragazza in piena notte.
Il posto accanto a lui era vuoto e la donna stava accovacciata di fronte alla finestra con un fucile tra le braccia. Si alzò e si mise dietro di lei, chiedendole di chi fosse il grido.
«Aphrotiti... Quel soldato che si è portato in camera ore fa la sta picchiando... Probabilmente non gradisce di dormire fuori come il cane che è.»
«Come lo sapete?»
Gli fece spazio e anche lui, nella notte buia, riuscì a vedere i due dall'altro lato della piazza, di fronte alla porta aperta di lei.
«E vorreste sparargli?»
«...»
L'uomo gettò a terra Aphrotiti e la donna vicino a Raziel gli diede uno spintone per aver lo spazio e prendere la mira. Raziel la guardò e seppe che non ce l'avrebbe mai fatta: la mano le tremava, avrebbe mancato il soldato correndo il rischio di colpire la ragazza.
Le prese l'arma dalle mani e sparò. Il soldato cadde e non si rialzò.
Chiuse la finestra e restituì l'arma alla donna, che lo fissava sconvolta e stupefatta.
«Ancora certa che io non sia un soldato?»
«Non più così tanto... Torniamo a dormire.»
Raziel non si oppose e si distese sul letto, lasciando le coperte aperte per la donna. Questa rimase per un po' sul bordo, intimorita da quello che aveva appena visto. Nonostante ciò, quando Raziel aprì le braccia, non esitò a posare la testa sulla sua spalla, felice di quella concessione.





Coro dell'autrice
Sono tornata dal silenzio, sopravvissuta al cibo del Natale, che tra l'altro smaltirò come minimo fino al Pasqua, e pubblico questo primo capitolo.
Altro nome, altro angelo: tocca Raziel questa volta. Ora, Raziel è (o dovrebbe essere, ogni sito la dice un po' a modo suo) un Arcangelo, Potenza dell'amore e del sapere, del coro dei Cherubini. E me lo sono immaginata come un bell'uomo, con capelli lunghi e barba entrambi rossi, la carnagione molto chiara e un carattere saggio, sentimentale, gentile ma passionale. Qualsiasi riferimento ad orientamenti sessuali si evince perfettamente dal testo, diversamente dall'aspetto. Non è un libertino, ma la persona giusta è in grado di affascinarlo e farlo cadere in tentazione.
Non mi arrischio ad aggiungere altro, sennò potrei fare spoiler per il prossimo capitolo che, ipoteticamente, potrebbe già essere l'ultimo, dipende da quanto i personaggi avranno voglia di recitare sotto la mia guida.
Aggiornerò nel più breve tempo possibile, ma dovrò conciliare la scrittura con l'Università e la sessione d'esami. In ogni caso so già perfettamente cosa debba accadere e come, ed in parte tutto ciò esiste già.
Come al solito questa storia rappresenta uno spin-off per conoscere meglio i personaggi della storia madre che, come al solito, non ho nè finito nè deciso di pubblicare.
Vi auguro Buona Lettura, Buon Anno Nuovo già che ci sono e spero che abbiate voglia di lasciarmi qualche recensione.

Un saluto a tutti
Izumi


   
 
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