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Autore: _only_ hope_    10/01/2017    3 recensioni
Amaluk è una città fantasma: dopo la Catastrofe quasi tutti se ne sono andati.
In questa città abbandonata, in mezzo al buio e alle macerie, si muove la piccola Lux.
Un uomo osserva i suoi passi,
e una donna provvede al loro sostentamento,
mentre un'altra è caduta in depressione.
Una bambina, intanto, strilla a più non posso.
[Partecipa al contest "È una storia sai", indetto da Najara sul Forum di EFP]
Genere: Avventura, Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Amaluk era una città fantasma, una di quelle in cui passeggiando per le strade non ci si imbatteva in nessuno, una di quelle che facevano sentire il gelo dentro. Il buio l'abbracciava giorno e notte, fatta eccezione per la rara luce di una torcia che ondeggiando ne illuminava le strade per alcuni secondi, rivelando le abitazioni ridotte a macerie, le pericolose buche disseminate ovunque e qualche animale randagio – a volte un topo, altre un cane – che fuggiva allarmato.

Non era sempre stato così: alcuni anni prima, due mesi prima della nascita di Lux, la luce del sole illuminava ancora la gioia e i colori; a quel tempo ad Amaluk c'era anche un mercato a cui accorrevano grandi e piccini. C'erano anche gli uomini, ad Amaluk, ma subito dopo la Catastrofe, nove anni prima, erano rimasti solo i giovani dai vent'anni in giù e gli anziani: gli altri erano partiti alla ricerca di un luogo migliore in cui avrebbero potuto ricominciare assieme ai loro famigliari, lasciandosi indietro mogli, sorelle, genitori e figli. Nessuno sapeva se lo avessero trovato: non erano più tornati. Probabilmente erano tutti morti.
Nel frattempo molti altri avevano provato a fuggire, finché dei settemila abitanti di Amaluk ne erano rimasti poco più di cinquecento.
Tra di loro c'era Maximilian, conosciuto come Il Vecchio, che aveva perso la moglie dodici anni prima e che da allora trascorreva il tempo che gli rimaneva osservando le vite degli altri dalla sedia a dondolo della veranda di casa sua; si trovava lì anche il giorno della Catastrofe ed era un miracolo che fosse ancora vivo: della sua abitazione era rimasta in piedi solo la vecchia sedia in legno. Lui, però, non parlava di miracolo, ma sosteneva che la Morte si fosse invaghita di sua moglie e che, di conseguenza, volesse impedirgli di ricongiungersi a lei.
Mentre borbottava a se stesso le sue convinzioni, dalla veranda spesso notava la piccola Lux passeggiare sulle macerie: i suoi piedi erano sempre scalzi, ma nonostante non portasse mai una torcia con sé non si era mai ferita. Era la prima bambina nata dopo la Catastrofe: era figlia del Buio, il Buio era parte di lei.
Anche quel giorno Il Vecchio osservò per alcuni minuti quella piccoletta alla debole luce della lanterna che era posata accanto alla sua sedia a dondolo: i suoi corti capelli color cenere erano aggrovigliati e scompigliati, mentre gli occhi chiusi guidavano i suoi passi lungo la strada. Lentamente la piccola scomparve dalla sua vista, ma ricomparve per un attimo quando cadde nella scia di una torcia che funzionava a pannelli che si ricaricano alle basse temperature, la stessa che subito dopo investì il povero Maximilian, che si ritrovò a strofinarsi gli occhi che bruciavano, nel tentativo di stimolarne i dotti lacrimali.
"Ma Le sembra il modo?" borbottò contrariato in direzione della donna che, come sempre, aveva attentato alla sua vista.
"Suvvia, non faccia baccano inutilmente, o non verrò più."
Il Vecchio si zittì, perché senza Marta lui sarebbe stato perduto: era lei che ogni giorno gli portava il cibo necessario a sfamarsi. In realtà, pochi sarebbero sopravvissuti in sua assenza, dato che aveva inventato lei i sistemi per costruire le serre che provvedevano al sostentamento di tutti. I primi tempi era stato bello: tutti le erano stati grati e le avevano chiesto di insegnare loro a costruirne altre; successivamente, però, erano diventati autosufficienti, ad eccezione di Maximilian e pochi altri, così Marta si era ritrovata più sola di prima. Senza contare che, eccezion fatta per Lux, era l'unica che si avventurava per le strade: per fortuna non aveva intenzione di smettere.
"Lei è troppo buona: non mi abbandonerebbe." borbottò alla fine Maximilian, solo per avere l'ultima parola.
"Non sfidi la mia pazienza..." commentò lei mentre si sedeva sui gradini in legno del portico e gli porgeva un panino all'insalata.
Maximilian in quella situazione a volte ricordava con nostalgia quando faceva un pic-nic nel parco o nel bosco assieme alla moglie: a tratti rammentava anche il sapore del pane e quello gustoso di una buona fetta di prosciutto, ma si rammaricava sempre perché più provava a rivivere il profumo di una spaccata o quello dell'erba, più quelli gli sfuggivano. Per non parlare del viso della moglie: il buio lo aveva cancellato, lasciando solo il ricordo sbiadito di una risata contagiosa.
Maximilian sorrise tra sé e Marta si chiese a che cosa stesse pensando quel vecchio tanto burbero e silenzioso.



Nel frattempo, due piedini nudi sfiorarono un pezzo di vetro, ma si scostarono appena in tempo; subito, però, due mani lo raccolsero e le dita ne carezzarono la superficie liscia, per poi portarlo fino al viso. Una sensazione conosciuta ma sbiadita invase la bambina: un piacevole calore le irradiò il cuore e le sue labbra si piegarono lievemente e inconsapevolmente verso l'alto, ma lei non riuscì a comprenderne il perché. Decise, però, di infilare il nuovo piccolo tesoro nella tasca anteriore del suo vestito ruvido e ormai consumato, accanto a quello strano granellino irregolare che aveva trovato il giorno prima tra le tegole di quello che un tempo era stato un tetto, ma che ormai si trovava all'altezza del terreno. Quell'abito era anche troppo piccolo: Lux faticava sempre per infilarlo e le sue gambe rabbrividivano ad ogni soffio di vento.
Schioccando la lingua sul palato la bambina riprese il suo cammino, seguendo il ritmo che quel motivetto per nulla melodico le dava: dopotutto lei non conosceva la musica; non aveva mai avuto l'opportunità di ascoltare un CD, né di udire una persona cantare o uno strumento musicale suonare.
Ad un tratto un rumore sconosciuto la portò a sobbalzare: era abituata alle grida, ai pianti e ai palazzi che crollavano senza preavviso, non si spaventava mai, ma quel suono era diverso. Assomigliava alle urla di sua madre quando era in preda ad un incubo, ma era più disperato, forte e acuto. Il cuore di Lux batteva ancora incessantemente contro la sua cassa toracica quando il suo cervello la portò fino alla fonte del baccano inarrestabile: non aveva paura ed era curiosa, un binomio che avrebbe potuto risultare pericoloso alcuni anni prima, ma che ormai non lo era più. L'unico pericolo in cui si poteva incorrere ad Amaluk erano le macerie, che lei conosceva come le sue tasche: le esplorava da quando aveva cominciato a camminare e neppure i piccoli cambiamenti che subivano quotidianamente e che tanto la stupivano erano in grado di lasciarla spaesata.
Il grido divenne sempre più forte e quando Lux finalmente ne scoprì la fonte si stava tappando le orecchie: tolse le mani dai lati della testa solo quando si accucciò e ne allungò una all'interno della piccola buca che si trovava sotto di lei. Dapprima toccò qualcosa di morbido e caldo, poi qualcosa di liscio che assomigliava molto alla sua pelle, finché il suo dito indice non venne risucchiato da una fessura umida.
Spaventata, Lux si ritrasse all'istante e subito il forte rumore, che era cessato per alcuni secondi, riprese più forte di prima. Le orecchie della bambina imploravano a gran voce una tregua, così cercò nuovamente la fessura: aveva trovato il modo per fermare le grida, ma sapeva che era solo temporaneo. Nel mentre, però, riuscì a pensare lucidamente e a continuare ad esplorare quello strano oggetto, finché non comprese che quello non era più grande di metà della sua gamba e che al tatto assomigliava sempre di più a lei: che si trattasse di un mini-essere umano? Ma esistevano?
Alla fine Lux decise di raccogliere quel fagottino e di portarlo alla sua mamma, che forse avrebbe saputo fornirle delle risposte, così riprese la scalata delle macerie, il dito indice ancora intrappolato, mentre un cattivo odore le invadeva le narici e la portava a storcere il naso.
Le sue speranze, però, risultarono vane: arrivata a casa scoprì che la sua mamma era ancora sdraiata sotto le coperte, nella stessa posizione in cui l'aveva lasciata alcune ore prima. Tutto era rimasto immobile, eccezion fatta per il cibo che ora era posato al centro del tavolino che si trovava in mezzo alla stanza che fungeva loro da rifugio: doveva essere passata Marta a portare la verdura e il pane.
I letti erano addossati all'angolo più lontano dalla porta, quello opposto alla legna su cui un tempo brillava un fuoco giallo e rosso: a volte Lux ne ricordava a tratti il calore, ma forse era solo la suggestione provocata dai racconti di sua madre; era troppo piccola l'ultima volta che aveva dormito al caldo, visto la luce e mangiato un pasto che non fosse freddo.
Decise di stendere il mini-umano sul suo materasso, vicino a quello della mamma, per andare a preparare qualcosa da mangiare: sulla via del ritorno entrambi gli stomaci avevano borbottato più volte. Quando Lux provò a riappropriarsi del suo dito indice promettendo che sarebbe ritornata con dell'ottima insalata, però, scoppiò il finimondo: il fagottino riprese a strillare a più non posso, talmente forte da svegliare la mamma, che si tirò a sedere di soprassalto e cominciò a lanciare insulti gratuiti. Lux sapeva bene che era opportuno dileguarsi quando la donna si alterava, così fuggì in un lampo, rendendosi conto solo svariati minuti dopo di aver abbandonato il mini-umano al suo infausto destino; a quel punto si diede mentalmente della stupida, ma era pur sempre una bambina terrorizzata, così non tornò indietro: rimase immobile, incapace di muovere un singolo passo, arrabbiata con se stessa, ma soprattutto con sua madre e con quel fagottino incapace di comprendere quando filarsela avrebbe potuto salvargli la vita.
Era trascorsa quasi mezz'ora quando Lux ritrovò piano piano il coraggio e altrettanto lentamente rientrò nel rifugio: regnava il silenzio, fatto che inizialmente la spaventò non poco, ma che la addolcì non appena udì una strana e indefinita nenia, dolce e allo stesso tempo malinconica. Anche il cattivo odore se n'era andato.
"Che cos'è?" chiese in un sussurro: ad Amaluk nessuno parlava mai ad alta voce, in quanto udire gli echi e i rimbombi del Buio faceva rabbrividire perfino le ossa.
La madre di Lux, però, non le rispose, così lei si avvicinò lentamente all'origine del suono sconosciuto, scoprendo con stupore che lo produceva proprio la sua voce.
"Mamma, che cosa fai?" domandò nuovamente.
La nenia cessò.
"Canto".
Lux aggrottò la fronte. "Perché? Che cosa significa?". Era decisamente perplessa.
"Lo faccio così questa bambina si calma" le spiegò l'altra con pazienza.
"Oh. Quindi non serve farsi risucchiare un dito?".
"No, anche se devo dire che hai trovato proprio un buon metodo". La donna sorrise, mentre Lux arrossì lievemente: non era abituata a ricevere dei complimenti. A dire la verità, non era neppure a parlare così a lungo con sua madre, né a trascorrere del tempo con lei; o, almeno, non più: un tempo passeggiavano e ridevano assieme tra le macerie, e la piccola riceveva un sacco di sorrisi e parole colme di dolcezza. Era sua madre ad averle trasmesso la passione per le macerie e la curiosità per gli oggetti strani, ma la bambina non lo ricordava.
"È davvero un mini-umano? Esistono davvero?" chiese non appena l'eco delle parole di Sara non fu che un lonano ricordo, e di riflesso la donna rise:
"Sì, è come una mini-Lux, solo che non sa né parlare, né camminare".
"Preparo l'insalata anche per lei?".
"Oh, no, beve soltanto latte" rispose la mamma, che aveva stimato l'età del fagottino a sei-sette mesi. Lux andò a tagliare l'insalata, chiedendosi dubbiosa che cosa fosse il latte.
Mentre osservava la mamma pensare, camminare avanti e indietro senza sosta, innervosirsi, lanciare l'insalata contro il muro ed infine raggomitolarvisi contro singhiozzando con la testa tra le braccia, la piccola comprese solo che non lo avrebbero trovato molto facilmente. Le grida della mini-Lux continuavano a risuonare senza sosta sullo sfondo, mentre la bambina si dimenava, le braccine che tentavano di afferrare un biberon immaginario.
Lux si chinò a terra e afferrò l'insalata, cercando di impedire alle mani di tremare e alle lacrime di scendere: non le piacevano le sensazioni che stava provando. Tentò, così, di respirare a fondo per riuscire a pensare lucidamente, poi ricordò che la madre le aveva riferito che la piccola non poteva mangiare la verdura e, dopo averci pensato a lungo, ne comprese anche il motivo: solo un dente piccolo piccolo le aveva morso il dito indice, e non le aveva neppure causato dolore. Così si ritrovò a tagliare l'insalata in pezzettini minuscoli e a spremere il pomodoro il più possibile: la piccola dapprima sembrò non gradire il cibo, ma alla fine, affamatissima, lo ingurgitò vorace e affamata e subito dopo crollò sfinita. Lux si addormentò ben presto al suo fianco cingendola dolcemente da dietro con un atteggiamento protettivo.
Il giorno dopo, però, quando si svegliò trovò il suo braccio pendere al di fuori del materasso, i polpastrelli che sfioravano le fredde piastrelle del pavimento. Alzò lo sguardo preoccupata, ma alla fine notò l'ombra della madre che, in piedi davanti al tavolo, rideva assieme alla bambina alla debole luce di una torcia quasi scarica.
"Che cosa fai?" le chiese in un sussurro, la voce impastata e difficilmente comprensibile.
"Le cambio il pannolino" le rispose la donna, tranquilla.
"Oh" commentò l'altra: non aveva capito nulla, di nuovo: la cosa cominciava a seccarla. "Che cosa vuol dire?" chiese poi, dato che Sara non aveva compreso la sua titubanza.
La donna le sorrise e le fece cenno di avvicinarsi.



Era stato bello finché era durato: lei e la sua mamma assieme come un tempo, quasi felici. Poi, però, Lux aveva osservato con semplicità che il fagottino doveva avere una mamma che lo cercava, là fuori da qualche parte, nel Buio, e a quel punto a Sara era crollata la realtà addosso: la neonata non era figlia sua, e doveva avere anche un padre nelle vicinanze, mentre suo marito non si trovava lì con lei, e non lo sarebbe mai più stato. Era là fuori, perso nel Buio, andato alla ricerca di un luogo migliore, e forse era anche morto. Non aveva mai conosciuto Lux.
A quel punto Sara constatò che stendersi a letto sarebbe stata una buona opzione, e sua figlia la osservò allontanarsi a testa bassa, sentendosi per l'ennesima volta triste e colpevole, perché incapace di risolvere quella situazione penosa per entrambe. Alla fine sospirò e constatò che, anche se non poteva aiutare la sua mamma, avrebbe potuto risolvere il problema della mini-Lux, così la prese tra le braccia e uscì nel Buio.
Cercò ovunque, gridò più volte, ma non incontrò nessuno. Presa dallo sconforto si distrasse un attimo, così inciampò nelle tegole di un tetto che aveva già persorso tante volte, e, per impedire alla sua protetta di scivolare e cadere rovinosamente a terra, Lux si mosse bruscamente: percepì il prezioso pezzetto di vetro che aveva trovato la mattina precedente scivolarle dalla tasca e lo udì rotolare via, ma fortunatamente riuscì a recuperarlo. Quando lo rimise al suo posto, però, si accorse che il granellino che si trovava accanto a lui era scomparso, caduto anche lui chissaddove, ormai introvabile.
Fu il colpo di grazia: scoppiò a piangere.
Una mano, però, le sfiorò il viso e l'aiutò a rialzarsi e, quando alzò lo sguardo, Lux incontrò due occhi colmi di dolcezza, un'espressione che non li caratterizzava più da ormai molti anni. Maximilian, dalla sua sedia sulla veranda, osservò due ombre abbracciarsi timidamente, e sorrise.
La bimbetta, invece, lasciata a terra cominciò a gattonare e arrivò fino a Marta, che stava andando a portare il pranzo al Vecchio, e che sorrise prima di prenderla in braccio.
Nei mesi successivi la mini-Lux conquistò anche un nome, Vittoria, e imparò a muovere i primi passi tra le macerie e il Buio di Amaluk, tuffandosi prima tra le braccia di Sara, poi tra quelle di colei che era diventata la sua sorellona. Nessuno aveva più trovato i suoi genitori, anche se continuavano a cercarli.
Il Buio, intanto, non era più così buio nelle vicinanze della veranda di Maximilian: il piccolo semino perduto da Lux aveva timidamente messo radici e cominciava a crescere, silenzioso e luminoso. Si nutriva delle risate di Lux, dei timidi e sporadici sorrisi della sua mamma e dei piccoli grandi gesti di Marta. Soprattutto, però, cresceva con sguardi, chiacchiere e abbracci: un rametto si allungò mentre Vittoria e Sara si stringevano in un abbraccio, e si riempì di luce quando Marta sedette accanto a Maximilian, sugli scalini della veranda.
"È bello avere un po' di luce" commentò lei con un sorriso.
"Parli per Lei" borbottò l'altro, più perché si divertiva a contraddirla che per altri motivi. Il suo cuore, intanto, era fisso su quella famigliola un po' stramba, e i nodi che lo opprimevano si scioglievano a poco a poco. Era bello non vedere più la figlia del Buio andarsene in giro da sola. Certo, a volte accadeva ancora, perché la madre aveva delle ricadute depressive, ma tutto sommato se la cavavano bene. Almeno loro.
"Sa, Marta, una volta anch'io e mia moglie ridevamo così".
Lei non rispose, e non diede neppure cenno di averlo udito, al che il Vecchio si chiese chi tra loro due fosse più sordo.
Finché lei non aprì bocca.
"Anche io e mio marito. Poi la casa gli è crollata in testa" sussurrò, seminando sorpresa in Maximilian, che realizzò che non conosceva per nulla la donna che si occupava del suo sostentamento. "La serra è l'unica cosa che mi rimane. Assieme a Lei, Maximilian" confessò infine, pentendosene subito dopo: che cosa le era saltato in mente?
"Dovremmo scendere da quelle tre, un giorno, per aggiungere qualche nome alla lista di chi ci è rimasto" commentò l'altro, semplicemente. "È molto scarna per tutti e due".
"Potremmo".
Così, alla debole luce dell'albero, due figure si alzarono in piedi e camminarono lentamente verso Lux e la sua famiglia.
E Amaluk fu un po' meno buia.











Angoletto di Hope-barra-Gio:

Ho scritto questa storia in occasione del contest "È una storia sai", che prevedeva l'uso di un'immagine (quella che trovate in cima)
e di ispirarci una canzone di un film Disney (ho scelto "Resterà l'amore").
È stata un'occasione per sperimentare un genere a cui non mi ero mai accostata: è stata una bella sfida.
Qualsiasi tipo di parere è sempre ben accetto :)

 

  
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